Satan Worship – I’m The Devil

Per gli appassionati del genere I’m The Devil potrebbe essere un album interessante, malvagio e demoniaco il giusto senza scadere nel kitsch.

Esordio sulla lunga distanza tramite la Iron Shield per il malvagio trio tedesco dei Satan Worship, autore di un demo un paio di anni fa (Poison & Blood) e ora in partenza verso gli inferi con questo I’m The Devil.

Il gruppo è composto da tre demoni incarnati nei resti umani in decomposizione chiamati Leatherface Perkele (voce, chitarra e basso), Max The Necromancer (chitarra) e Marc Reign El Patron (batteria), anche se l’album è stato registrato in realtà dal primo dei tre, aiutato dal batterista Incitatus.
Il loro sound richiama il black/thrash metal old school, musica che più underground di così non si può, anche se una produzione discreta valorizza questa mezz’ora abbondante di possessioni demoniache e blasfemie varie.
Black /thrash, si diceva, e allora la musica del gruppo non può che richiamare i Venom, anche se, bisogna dirlo, non mancano alla band la personalità ed il giusto approccio al genere, il che aiuta non poco i brani del disco ad emergere.
Certo, si parla di tracce violente e senza compromessi, molto maligne nell’ impatto e sorrette da sfumature horror metal vecchio stile ma, con una buona vena e conoscenza della materia, i Satan Worship ne escono molto bene.
Cariche di impatto speed, maledette da un’atmosfera demoniaca, le canzoni di questo I’m The Devil piacciono, presentando almeno due picchi notevoli, la sabbatica Satanik Possession, riuscito brano horror doom, e la devastante speed/thrash/black Under The Sign Of The Reaper.
Per gli appassionati del genere I’m The Devil potrebbe essere un album interessante, malvagio e demoniaco il giusto senza scadere nel kitsch.

TRACKLIST
1.Holy Blasphemy
2.I’m the Devil
3.Azrael’s Hand
4.The Girls of Manson Family
5.Satanik Possession
6.Zodiac Overkill
7.The Black Flame
8.Black Death
9.Under Sign of the Reaper
10.The Last Days of Paul John Knowles

LINE-UP
Leatherface Perkele – Vox, guitars and bass.
Max The Nekromancer – Guitars
Marc Reign El Patron – Drums

SATAN WORSHIP – Facebook

Egon Swharz – In The Mouth Of Madness

Quello degli Egon Swharz, pur non mostrando elementi di novità, si rivela al mio orecchio superiore ad altre uscite di questo tipo, grazie ad un suono più profondo ed intenso.

Egon Swharz è il nome di un trio abruzzese che si lancia in un segmento stilistico piuttosto affollato negli ultimi tempi, come è quello dello stoner doom strumentale.

Il mio pensiero, per quel che possa valere, l’ho già ribadito più volte: la rinuncia ad un vocalist nella maggior parte dei casi si fa sentire, e sono poche le band che riescono a sopperirvi brillantemente, in virtù di un approccio più deciso e soprattutto non manieristico.
In The Mouth Of Madness possiede una buona percentuale di tali caratteristiche, per cui l’operato degli Egon Swharz si snoda con una certa fluidità, nonostante non vengano meno momenti in cui la reiterazione ossessiva dei riff potrebbe indurre a pensare il contrario (valga quale esempio la conclusiva Hobb’s End Horror).
L’album è intriso di atmosfere che attingono ad un immaginario cinematografico contiguo all’horror lovecraftiano, ben raffigurato dalla copertina, opera del sempre bravo SoloMacello, traendo linfa musicalmente da quei tre o quattro nomi che la band stessa cita quali propri riferimenti (Electric Wizard, Iron Monkey, Sleep).
La chitarra si concede rare escursioni soliste, prediligendo semmai, in alternativa ad un riffing roccioso e pachidermico, sequenze di arpeggi che segnano i momenti più rarefatti (in particolare la parte centrale
della lunga Green Breathing Tunnel), mentre la base ritmica svolge il suo puntuale lavoro di robusto puntello dell’intera struttura musicale.
Quello degli Egon Swharz, pur non mostrando elementi di novità, si rivela al mio orecchio superiore ad altre uscite di questo tipo, grazie ad un suono più profondo ed intenso, capace di evocare le immagini di un ipotetico film tratto da qualche terrificante racconto del solitario di Providence.
Purtroppo, parafrasando quello che si dice a proposito di animali particolarmente intelligenti od espressivi, a questo album manca solo la parola …

Tracklist:
1.The Feeding
2.The Thing In The Basement
3.Green Breathing Tunnel
4.Haunter (Visions From An Abyss)
5.Hobb’s End Horror

Line up:
Enzo P.Zeder – bass
Gianni Narcisi – drums
Vittorio Leone – guitars

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Horisont – About Time

About Time è un ottimo oldies but goldies, una raccolta di tracce che sanno splendidamente di già sentito nel loro replicare le atmosfere della musica dei mostri sacri del genere, ma per gli Horisont il tutto funziona al meglio.

Classic rock proveniente dalla Scandinavia, vintage quanto si vuole, ma molto coinvolgente.

Gli Horisont confermano quanto di buono fatto in passato e, superati i dieci anni di attività, tornano sul mercato con un altro bellissimo lavoro.
About Time segue di due anni il concept fantascientifico creato con Odyssey e si torna indietro al classic hard rock suonato dai gruppi storici del genere a cavallo tra gli anni settanta ed il decennio successivo.
La bontà della proposta del gruppo svedese sta nel non affidarsi ad un’unica ispirazione, assecondando invece le varie influenze che di fatto costituiscono lo zoccolo duro, non solo del sound ad appannaggio della band, ma di chiunque ami l’hard rock classico.
Quindi, oltre all’uso perfetto dei chorus che, nell’opener The Hive, sanno tanto di opera rock, le ottime cavalcate classic metal, genere contiguo ma qui sottomesso al più maturo rock duro, predominano nelle trame degli Horisont che fanno spallucce all’originalità e se ne escono con dieci brani in cui, tra le loro note, si sprecano riferimenti a Uriah Heep, Scorpions, Thin Lizzy, Led Zeppelin ed addirittura Who in versione progressiva (la stupenda Point Of Return).
About Time è un ottimo oldies but goldies, una raccolta di tracce che sanno splendidamente di già sentito nel loro replicare le atmosfere della musica dei mostri sacri del genere, o almeno una buona parte di essi, ma per il gruppo svedese il tutto funziona al meglioe l’album si rivela una vera goduria per gli amanti dei suoni classic rock.
Electrical, il blues lynottiano di Night Line, l’hard rock purpleiano della drammatica ed intensa Hungry Love, ed il blues progressivo della title track, sono delle piccole gemme musicali, magari datate nel loro spirito old school ma tremendamente affascinanti.

TRACKLIST
1. The Hive
2. Electrical
3. Withour Warning
4. Letare
5. Night Line
6. Point Of Return
7. Boston Gold
8. Hungry Love
9. Dark Sides
10. About Time

LINE-UP
Axel – Vocals
Charles – Guitar
David – Guitar
Magnus – Bass
Pontus – Drums

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DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO
e l’album risulta una vera goduria per gli amanti dei suoni classic rock.

AFI – The Blood Album

Gli AFI sicuramente non sono inferiori a molti gruppi odierni, anzi, ma qui sembrano la brutta copia di un gruppo emo punk odierno, loro che hanno scritto grandi pagine di musica.

Decimo disco in studio per i veterani AFI, ed è subito un gran successo commerciale, se oggi si può ancora parlare di successo commerciale per un disco.

The Blood Album arriva quattro anni dopo Burials, ed è un album di cui francamente non se ne sentiva il bisogno. Gli AFI in passato sono stati un grande gruppo di punk hardcore melodico con molte influenze esterne, dal gothic al dark in stile The Cure, ed erano riusciti ad essere uno dei gruppi più interessanti nel panorama del boom del punk negli anni novanta e duemila. In tanti si sono emozionati ascoltando gli AFI, e tanti lo faranno ancora adesso. Ma c’è una grande differenza fra il prima ed il dopo degli AFI, poiché i dischi precedenti erano di buona qualità, mentre questo disco è pieno di commercialità, piattezza e ritornelli tutti uguali, per un prodotto davvero medio basso. Le canzoni sembrano tutte uguali e quando non lo sono è perché, per brevi istanti, riecheggiano i vecchi fasti, ma sono davvero pochi momenti. Gli AFI sicuramente non sono inferiori a molti gruppi odierni, anzi, ma qui sembrano la brutta copia di un gruppo emo punk, loro che hanno scritto grandi pagine di musica. E’ un gran peccato ascoltarli così, ma ora sono anche più famosi rispetto a prima e ciò la dice lunga sui tempi musicali (e non) che stiamo vivendo.

TRACKLIST
1. Dark Snow
2. Still a Stranger
3. Aurelia
4. Hidden Knives
5. Get Hurt
6. Above the Bridge
7. So Beneath You
8. Snow Cats
9. Dumb Kids
10. Pink Eyes
11. Feed from the Floor
12. White Offerings
13. She Speaks the Language
14. The Wind That Carries Me Away

LINE-UP
Davey Havok – vocals
Jade Puget – guitars
Hunter Burgan – bass
Adam Carson – drums

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Fabio La Manna – EBE

In EBE potrete trovare progressive metal, progressive rock, post rock e ambient, il tutto perfettamente inglobato in un’opera davvero riuscita, complimenti.

Godere di opere progressive in tempi come questi, in cui la musica si è adeguata allo scorrere velocissimo del tempo senza dare più tempo alle persone di metabolizzare alcunché, diviene un rito a cui purtroppo pochi si assoggettano, consumati dall’usa e getta abituale purtroppo anche nella musica rock.

E così diventa una battaglia contro i mulini a vento cercare di raccontare a chi non è amante dei suoni progressivi un album come EBE, ancora di più se pensiamo ad un opera strumentale.
La musica dell’album si sviluppa su un concept fantascientifico e sull’incontro con UFO ed altre civiltà, ed è stato creato dal musicista Fabio La Manna, polistrumentista con un passato nei metal progsters Alchemy Room e nei My Craving, band gothic rock.
EBE è il secondo album solista, successore di Res Parallela uscito nel 2013, in cui La Manna si avvalse dell’aiuto del batterista Andy Monge, come in questo ultimo lavoro, mentre per le uscite live è prevista l’entrata in formazione di un bassista nella persona di Fausto Poda.
EBE è un viaggio tra mondi e civiltà perdute in compagnia del talentuoso musicista e compositore nostrano, che non lascia dubbi sulle sue notevoli capacità di creare musica strumentale senza scadere in una semplice dimostrazione tecnica, ma lasciando che ha parlare siano le emozioni.
Un album progressive tout court che mantiene un approccio classico, solo a tratti attraversato da venti metallici, provenienti da pianeti sconosciuti, mentre accenni alla musica progressiva dai rimandi settantiani guidano l’ascoltatore, poi deliziato da una musica che riesce a descrivere situazioni e scenari fuori dai nostri canoni grazie allo spartoto di brani come la bellissima title track , l’incedere doomy di Elohim Song o i raffinati ricami dell’elegante Starchild.
Come suggerisce Fabio La Manna in sede di presentazione all’album, su EBE potrete trovare progressive metal, progressive rock, post rock e ambient il tutto perfettamente inglobato in un’opera davvero riuscita, complimenti.

TRACKLIST
1.Being Of Light
2.EBE
3.Closer
4.In Love And Silence
5.Elohim Song
6.The Little People
7.The Vanishing Of Enoch
8.Starchild
9.Luna2

LINE-UP
Fabio La Manna – All Instruments
Andy Monge – Drums

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