MOJUBA

Il video di Astral Sand, tratto dall’album omonimo.

Il video di Astral Sand, tratto dall’album omonimo.

Astral Sand, con la regia di Pasquale Giovine, è il primo video estratto da Astral Sand, il primo album della band abruzzese Mojuba uscito lo scorso 3 dicembre per Red Sound Records.

La band nasce 2014 da un’idea di Mascio (chitarra), ispirato dagli ascolti pesanti e psichedelici di quel periodo. La prima formazione viene completata da Pierserio (voce), conosciuto ad una jam sul finire del 2013.

La strada musicale da percorrere si delinea subito. Sì, perché i ragazzi amano jammare riff di chitarra incastonati in dense atmosfere evocative, sulle orme dei grandi gruppi heavy anni ’70, Black Sabbath su tutti. Senza dimenticare band come Kyuss e Orange Goblin. Se li si volesse incastrare in un genere, questo sarebbe sicuramente lo stoner.

Il nome arriva poco dopo. Il “Mojuba” è una preghiera africana di lode e ringraziamento, da cui deriva il termine Mojo, l’amuleto magico che accompagnava i bluesman delle origini, successivamente diventato sinonimo di libido con l’avvento del rock ‘n’ roll. Fascinazione per i rituali magici e per la natura evocativa dell’Africa tribale a parte, Mojuba ha assunto per i ragazzi un altro significato: liberare il corpo e la mente

Dopo circa un anno di sala prove e concerti, nel 2015 si susseguono due cambi di formazione: entrano nel gruppo Alfonso (batteria) ad aprile ed infine Fabrizio (basso) ad ottobre.

Dopo due anni trascorsi tra sale prove e concerti, senza ulteriori indugi nel gennaio 2016 i Mojuba registrano il loro primo album, “Astral Sand”, che uscirà il 3 dicembre per Red Sound Records.

Teramobil – Magnitude Of Thoughts

Una cascata arrembante di note su note, a tratti progressive o vicine al death, molte a sezionare rock per riproporlo in maniera dissonante, sempre con la velocità esecutiva che non scende praticamente mai dai limiti consentiti, ed una voglia di stupire che è pregio e difetto del gruppo canadese.

Difficile, quasi impossibile seguire gli intrecci musicali di questo trio canadese se non si è amanti del metal estremo ipertecnico e strumentale.

Già, perché i Teramobil suonano un metal estremo che definire death risulta superficiale, il loro sound a tratti destabilizzante vive di decine di varianti, di cui le più ordinarie sono quelle progressive, shred, rock, hard rock e groove, passando da sfumature moderne e jazzy ad altre, come nella title track che si avvicina al periodo settantiano, con tanto di organo sopra un tappeto di suoni tra i più disparati.
La band nasce nel 2010 e tre anni dopo licenzia l’esordio in formato ep (Multispectral Supercontinuum), ancora altri tre anni passano prima che Magnitude Of Thoughs arrivi negli stereo degli appassionati e, credetemi, per certi versi, questo lavoro è quanto di più estremo si possa trovare in circolazione.
Tale termine si usa non solo per descrivere la violenza tout court, ma pure per un modo di porsi fuori dagli schemi ed assolutamente per pochi: e di estremo in questo lavoro, partendo dall’opener Terahertz, non manca nulla: una cascata arrembante di note su note, a tratti progressive o vicine al death, molte a sezionare rock per riproporlo in maniera dissonante, sempre con la velocità esecutiva che non scende praticamente mai dai limiti consentiti, ed una voglia di stupire che è pregio e difetto del gruppo canadese.
A tratti, infatti, manca la forma canzone e per chi si pone in maniera superficiale all’ascolto molti passaggi rasentano la cacofonia, anche se per molti sarà follia compositiva alla John Zorn, tanto per fare un esempio su chi più deve aver influenzato i Teramobil.
Certo è che Mathieu Bérubé (chitarra), Dominic”Forest”Lapointe (basso) e Alexandre Dupras (batteria) sanno il fatto loro e viaggiano sullo spartito con una facilità di esecuzione straordinaria.
Album dal difficile ascolto se non si è amanti del metal estremo tecnico e strumentale.

TRACKLIST
1.Terahertz
2.Magnitude Of Thoughts
3.Thanatonaut
4.Deconstruct Metabolism
5.Synchrotron
6.Exoteric
7.The Armada

LINE-UP
Mathieu Bérubé – Guitar
Dominic”Forest”Lapointe – Bass
Alexandre Dupras – Drums

TERAMOBIL – Facebook

Tethra – Like Crows For The Earth

Like Crows For The Earth è, un album magnifico, che porta di diritto i Tethra al livello delle band di punta del doom tricolore

Sono passati quattro anni dall’ottimo full length Drown In The Sea Of Life ed oggi ritroviamo i Tethra alle prese con un nuovo album intitolato Like Crows For The Earth.

Come spesso accade a troppe band, il vocalist Clode, unico membro originale rimasto, nel frattempo ha dovuto rivoluzionare la line-up approdando ad una formazione a cinque che, rispetto al passato, si avvale dell’apporto di due chitarristi.
Troviamo così, ad affiancare il musicista novarese, Luca Mellana e Gabriele Monti alle sei corde, Salvatore Duca al basso e Lorenzo Giudici alla batteria, a comporre un organico che, a giudicare dall’esito finale, si rivela del tutto all’altezza della situazione, con l’auspicio che ciò possa garantire a lungo termine una certa stabilità.
Come per il suo predecessore la produzione è stata affidata alle mani esperte di Mat Stancioiu, mentre anche il mastering, eseguito da parte dell’eminenza grigia del doom Greg Chandler (Esoteric), e l’artwork, curato da Marco Castagnetto, sono indicatori netti della volontà di non trascurare il benché minimo particolare, in modo da consegnare al pubblico un prodotto impeccabile sotto tutti gli aspetti.
L’obiettivo viene ampiamente raggiunto in virtù di un scrittura varia, che porta i Tethra a spaziare tra le diverse anime del doom, partendo dal gothic, passando a quello di matrice più classica per giungere, infine, a quello dai toni dolenti ed animato da pulsioni death: il tutto viene sviluppato con la massima consapevolezza e maturità, riuscendo nella non facile impresa di mantenere un’impronta ed un’identità precisa, nonostante la tracklist sia composta da una serie di brani dotati ciascuno della propria peculiarità.
L’album si apre con la breve intro acustica Resilience che prepara il terreno a Transcending Thanatos, episodio già sufficientemente indicativo di una maggiore propensione gotica: in particolare lo splendido e trascinante refrain ha riesumato nella mia memoria di vecchio appassionato i misconosciuti olandesi Whispering Gallery, autori di tre oscuri gioelli di death doom melodico all’inizio del secolo.
Prelude to Sadness, altro strumentale, introduce Springtime Melancholy, canzone che, pur restando nei canoni del doom tradizionale, mostra una volta di più una maggiore propensione melodica che trova sfogo nell’ottimo assolo conclusivo di Luca Mellana.
E’ il sitar ad aprire Deserted, traccia che, nonostante l’incipit di tutt’altro tenore, si rivela il brano più trascinante ed immediato del lotto, in virtù di un riffing micidiale, un chorus di grande presa ed un break centrale contrassegnato da un altro azzeccato assolo: insomma, qui si trovano tutti gli ingredienti necessari per imprimere la traccia nella memoria, mantenendo intatta la profondità del genere proposto.
L’interludio Subterranean mette in mostra le doti vocali di Clode, che se già prima era lecito considerare un vocalist di indubbio valore, con questo lavoro innalza ulteriormente il proprio livello, spiccando per versatilità e spaziando da tonalità estreme (growl con qualche sconfinamento nello screaming) a profonde ed evocative clean vocals che non possono che rimandare a quelle di Fernando Ribeiro, uno dei modelli di riferimento per chiunque si cimenti in questo genere musicale.
Subito dopo si palesa il momento in cui l’album trova la sua ideale sublimazione con un brano magnifico come The Groundfeeder, che si può considerare idealmente il manifesto musicale dei nuovi Tethra, unendo alla perfezione le diverse anime del sound ed andando a lambire, in certi passaggi strumentali, l’emozionalità dei migliori The Foreshadowing.
Entropy è l’ultimo dei frammenti acustici, preparatorio al trittico finale aperto dalle belle melodie chitarristiche di Synchronicity Of Life And Decay, traccia che si sviluppa poi in maniera piuttosto ritmata e chiusa ancora una volta da un assolo brillante che riporta, infine, al punto di partenza, mentre Earthless spinge ancor più sul versante gothic grazie a linee melodiche irresistibili che si alternano a passaggi più rarefatti, esaltati da una prestazione superlative di Clode dietro al microfono: ancora un brano magnifico per intensità e attrattività.
A chiudere il lavoro ci pensa la title track, ultima delle gemme offerte da un album di qualità a tratti sorprendente, il cui suggello non può che essere il brano più malinconico ed oscuro del lotto, esempio magistrale di come il doom possa offrire quel turbinio di sensazioni che ad altri generi non sempre è concesso fare.
Like Crows For The Earth è, semplicemente, un disco magnifico, che porta di diritto i Tethra al livello delle band di punta del doom tricolore, grazie all’approdo ad una forma capace di veicolare in maniera più diretta ed efficace quei toni dolenti e malinconici che sono la componente imprescindibile del genere.

Tracklist:
1.Resilience (intro)
2.Transcending Thanatos
3.Prelude To Sadness
4.Springtime Melancholy
5.Deserted
6.Subterranean
7.The Groundfeeder
8.Entropy
9.Synchronicity Of Life And Decay
10.Earthless
11.Like Crows For The Earth

Line up:
Clode Tethra – Vocals
Luca Mellana – Guitars
Gabriele Monti – Guitars
Salvatore Duca – Bass
Lorenzo Giudici – Drums

TETHRA – Facebook

Morta Skuld – Wounds Deeper Than Time

La devastante e morbosa atmosfera di malignità e potenza, l’assoluta forza di questa raccolta di tracce, old school nell’animo ma fresche nel songwriting, non fanno che confermare la nomea dei Morta Skuld

Sembra davvero di essere tornati ai primi anni novanta, con una band storica come i Morta Skuld ed una label leggendaria come la Peaceville di nuovo insieme per regalarci ancora grande death metal old school.

Attiva dal 1990, la band proveniente dal Wisconsin fu molto attiva negli anni d’oro del death metal e, tra il 1993 (anno di uscita del primo full length Dying Remains) ed il 1997, furono quattro gli album di una carriera brillante, almeno nella scena estrema dell’epoca.
Poi, dopo l’uscita di Surface, il lungo silenzio durato quasi vent’anni ed interrotto dall’ep Serving Two Masters del 2014, antipasto di questo nuovo album che arriva come un treno in corsa ed impatta contro i crani dei deathsters mondiali.
Wounds Deeper Than Time è stato registrato ai Mercenary Studios da Scott Creekmore (Putrid Pile, Broken Hope, No Zodiac, Waco Jesus, Bloodline, Lividity), mentre la produzione è farina del sacco del gruppo di David Gregor chitarrista, cantante nonché fondatore dei Morta Skuld, oggi assieme aa Scott Willecke (chitarra), AJ Lewandowski (basso) ed Eric House (batteria).
Morta Skuld e Peaceville risultarono all’epoca una coppia vincente e il nuovo album, a distanza di così tanti anni, conferma questa brillante collaborazione.
Wounds Deeper Than Time è un album death metal come lo si faceva negli States negli anni novanta, ma con una verve ed un impatto che lo inseriscono senza problemi nella musica estrema di questo nuovo millennio.
La devastante e morbosa atmosfera di malignità e potenza, l’assoluta forza di questa raccolta di tracce, old school nell’animo ma fresche nel songwriting, non fanno che confermare la nomea dei Morta Skuld e del loro sound che, se non cambia di una virgola rispetto alle storiche opere, insegna death metal alle nuove generazioni.
Soffocante, potente e oscuro, il sound di brani come Breathe In The Black, Against The Origin e la title track fa parte della storia del metal estremo, seguendo i passi di Morbid Angel, Obituary e della splendida scena di quei gloriosi anni.

TRACKLIST
1.Breathe in the Black
2.Hating Life
3.My Weakness
4.Against the Origin
5.In Judgment
6.Wounds Deeper than Time
7.Scars Within
8.Devour the Chaos
9.Becoming One Flesh

LINE-UP
Scott Willecke – Guitars
Dave Gregor – Guitars, Vocals
Eric House – Drums
AJ – Bass

MORTA SKULD – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=aBsvNAs6ai4

Light Of The Morning Star – Nocta

Nocta è la summa di quanto di meglio possa offrire il metal più tenebroso quando si fonde con un senso gotico della melodia, e il disco potrebbe essere la colonna sonora della notte di un vampiro, che desidera lascivamente nottetempo ma al contempo è conscio di essere maledetto.

Non si sa granché di O-A, unico deus ex machina di Light Of The Morning Star, ma spiega molto più la sua musica che mille parole.

Dopo aver esordito nel 2016 con l’ep Cemetery Glow, andando ad esplicare le coordinate del progetto, O- A torna con questo debutto sulla lunga distanza, che è notevole. Nocta è la summa di quanto di meglio possa offrire il metal più tenebroso quando si fonde con un senso gotico della melodia, e il disco potrebbe essere la colonna sonora della notte di un vampiro, che desidera lascivamente nottetempo ma al contempo è conscio di essere maledetto. Questi nove cantici oscuri sono pieni di melodie sensuali e di distorsioni che accompagnano una tenebrosa eppure calda narrazione, senza fronzoli o autocompiacimenti, ma solo tanta nera sostanza. Molti sono i generi trattati, da una radice funeral doom melodica si passa ad un gothic metal con sfumature black melodiche, ma su tutto domina la melodia. Le canzoni sono strutturate in maniera da creare un climax che trasporta l’ascoltatore in un limbo piacevole, ma assai vicino alla morte, che è comunque uno stadio della nostra natura. O-A compone e suona da solo un album di canzoni bellissime e lascive, sensuali e vampiresche, il tutto con una lucidità ed una facilità musicale che non possono che stupire. Si rimane fortemente attratti da questa musica magnetica che sa di castelli polverosi e cimiteri con la nebbia, da ascoltare al buio e con le cuffie.
Nocta piacerà molto a chi ama il doom ed il metal più dark, ed è propenso a fare incursioni sonore in altri ambiti musicali.

TRACKLIST
1.Nocta
2.Coffinwood
3.Serpent Lanterns
4.Grey Carriages
5.Crescentlight
6.Oleander Halo
7.Ophidian
8.Lord of All Graves
9.Five Point Star

LIGHT OF THE MORNINGSTAR – Facebook

Tre Chiodi – Murmure

Un album affascinante e sicuramente originale, ma complicato e difficile da’assimilare se non si riesce ad entrare in simbiosi con ciò che i Tre Chiodi vogliono descrivere: per questo c’è bisogno di tempo e della dovuta attenzione nell’ascolto.

Affascinante progetto alternativo, non solo musicalmente parlando, ma anche concettualmente per i temi trattati.

Nato nel 2014, il progetto Tre Chiodi è formato da Babu (batteria), Enrico (voce e chitarra) e Zilty (basso): il loro sound si manifesta urgente, dalla tensione palpabile mentre alternative rock, stoner e grunge nirvaniano si alleano per sommergerci di watts.
Il concept scelto per Murmure riguarda il corpo umano ed ognuno dei nove brani prende ispirazione da una sua parte in una pazza e quanto mai originale proposta.
Passati i primi ascolti e digeriti i testi, a tratti leggermente forzati nel voler essere originali a tutti i costi, rimane l’ottima parte strumentale, dove i Tre Chiodi giocano con il rock alternativo americano degli anni novanta, partendo dal grunge della piovosa Seattle, viaggiando tra il deserto della Sky Valley ed arrivando al noise newyorchese.
A livello lirico i brani sono dei monologhi tra il parlato ed il cantato, mentre la chitarra urla torturata dall’elettricità, il basso pulsa come il cuore affaticato di chi si è perso nel deserto e le pelli si strappano sotto i colpi inferti da Babu.
Cuore, bellissima, intensa ed attraversata da una vena psichedelica, è a mio avviso il punto più alto di questo intrigante ed intricato lavoro, nel quale il trio viene aiutato da ospiti che duettano con Enrico, come Mirko (8ful Strike) e Folake (Hit-Kunkle).
Murmure, che in latino indica il suono dei polmoni mentre respirano, è un album affascinante e sicuramente originale, ma complicato e difficile da assimilare se non si riesce ad entrare in simbiosi con ciò che i Tre Chiodi vogliono descrivere: per questo c’è bisogno di tempo e della dovuta attenzione nell’ascolto.

TRACKLIST
1.Trago
2.Lingua
3.Anche
4.Cuore
5.Denti
6.Vertebra
7.Orbite
8.Colon
9.Capelli

LINE-UP
Babu – Drums
Enrico – Vocals, Guitars
Zilty – Bass

TRE CHIODI – Facebook