Overkill – The Grinding Wheel

Gli Overkill aggiungono il loro marchio a questo gradito ed inatteso ritorno del thrash metal al posto che gli compete nelle gerarchie dei generi metallici, con un lavoro completo, curato ed esaltante.

Mancavano gli Overkill per confermare il ritorno in pompa magna ed in piena salute del thrash metal sul mercato metallico mondiale, ormai un dato di fatto in questo anno solare che ha visto, oltre a molte piacevoli sorprese sbucate dalle varie scene in giro per il mondo, l’altissima qualità delle proposte dateci in pasto dai gruppi storici, dai Testament ai Sodom, dai Death Angel ai Kreator , passando per le opere almeno dignitose di Metallica e Megadeth.

Uno dei generi storici del metal in piena ripresa non può che far piacere a chi ha nel cuore le sorti della parte più classica della nostra musica preferita, che non può sicuramente prescindere dal gruppo statunitense capitanato dalla coppia Bobby “Blitz” Ellsworth / D.D.Verni.
Una line up stabile da almeno dieci anni, sommata alla forma strepitosa dei due vecchietti terribili, contribuisce alla riuscita di The Grinding Wheel, diciottesimo e bellissimo lavoro che conferma come detto non solo lo stato di grazia del gruppo, ma di tutto un movimento.
Con un’attitudine punk che in questo lavoro esplode in tutto il suo impatto, a tratti lasciando senza fiato, l’album è fresco, assolutamente privo di riempitivi, una valanga di note, uno tsunami thrash metal che si abbatte per finire l’opera di distruzione che gli altri colleghi avevano iniziato con i propri lavori, arrivando in questo inizio 2017 a raggiungere livelli che nel genere non si ricordavano da tempo.
In effetti la band newyorkese nella sua lunga carriera ha sempre mantenuto un buon livello, con picchi clamorosi e un paio di cadute fisiologiche per un gruppo arrivato alla soglia dei quarant’anni di attività, anche se negli ultimi tempi il livello delle uscite si era stabilizzato su ottimi livelli.
L’album vive di brani irresistibili, botte di adrenalina che prendono per il collo, o come morse schiacciano testicoli, con Ellsworth in grazia divina ed una coppia di chitarristi sugli scudi (Dave Linsk e Derek “The Skull”Tailer).
The Grinding Wheel è una raccolta di canzoni che prende le melodie dal classic metal, l’irruenza dal punk e la potenza dello speed/power e crea un thrash album da antologia, prodotto benissimo, mixato alla grande dal guru Andy Sneap e valorizzato da un songwriting molto vario, che non stanca mai l’ascoltatore passando tra le sfumature dei vari generi indicati con una facilità disarmante.
Our Finest Hour, le fiammate che odorano di punk’& roll di Goddamn Trouble e Let’s All Go To Hades, le ottime The Long Road, Come Heavy e Red White And Blue, ma potrei citarvele tutte mentre l’album arriva alla fine e la sensazione di essere al cospetto di un grande album aumenta col passare degli ascolti.
Gli Overkill aggiungono il loro marchio a questo gradito ed inatteso ritorno del thrash metal al posto che gli compete nelle gerarchie dei generi metallici con un lavoro completo, curato ed esaltante, in una parola … imperdibile.

TRACKLIST
1.Mean, Green, Killing Machine
2.Goddamn Trouble
3.Our Finest Hour
4.Shine On
5.The Long Road
6.Let’s All Go to Hades
7.Come Heavy
8.Red White and Blue
9.The Wheel
10.The Grinding Wheel

LINE-UP
Bobby “Blitz” Ellsworth – Vocals
Dave Linsk – Guitars
Derek”The Skull”tailer – Guitars
D.D.Verni – Bass
Ron Lipnicki – Drums

OVERKILL – Facebook

Until Death Overtakes Me – Antemortem

Le atmosfere che troviamo in Antemortem sono plumbee ma non soffocanti e anche i momenti più vicini all’ambient mantengono un incedere più dolente che apocalittico, confacendosi al tema di fondo trattato nel lavoro.

Until Death Overtakes Me è uno dei diversi progetti che vede protagonista il musicista belga Stijn Van Cauter, e tra questi e senz’altro il più aderente alle coordinate tipiche del funeral doom.

Le atmosfere che troviamo in Antemortem sono plumbee ma non soffocanti e anche i momenti più vicini all’ambient mantengono un incedere più dolente che apocalittico, confacendosi al tema di fondo trattato nel lavoro, che mette sempre in primo piano la morte ma, questa volta, non tanto come una mostruosità incombente bensì quale naturale approdo di un percorso che conduce ad una sorta di accettazione della sua ineluttabilità.
Van Cauter, per descrivere questo, utilizza due tracce risalenti allo scorso decennio (Antemortem e Days Without Hope) e due di produzione di poco precedente all’uscita dell’album: Antemortem non risente del possibile stacco stilistico derivante dal logico evolversi del musicista belga a livello compositivo ma anzi, lo rende un punto di forza che consente all’ascoltatore di entrare maggiormente in simbiosi con l’autore ed il suo approccio alla materia.
I ventiquattro minuti di Before e gli undici di di Days Without Hope sono fondamentalmente complentari, con il loro penoso incedere, laddove sonorità avvolgenti vengono percosse dai regolari e violenti spasmi provocati dall’unisono e bradicardico palesarsi di riff e percussioni.
The Wait, altra traccia che supera i venti minuti, rappresenta con il suo crescendo il picco dello stato emotivo, evocando la tensione spasmodica che precede una consapevole rassegnazione, ben rappresentata dalla conclusiva Inevitability, nella quale le strutture tratteggiano atmosfere solennemente consolatorie.
Arrivato a sette anni di distanza dal precedente full length, sesto ed ultimo di una prima fase di carriera molto prolifica per il progetto Until Death Overtakes Me, e inframmezzato da una serie di singoli (poi raccolti nella compilation Well Of Dreams, risalente alla primavera scorsa), Antemortem è il lavoro che suggella il valore assoluto della creatura di Stijn Van Cauter, solitario cantore di quelle sensazioni che solo chi suona funeral doom ha il coraggio di affrontare ed esibire senza alcuna ritrosia.

Tracklist:
1.Before
2.Days Without Hope
3.The Wait
4.Inevitability

Line-up:
Stijn Van Cauter

UNTIL DEATH OVERTAKES ME – Facebook

Animae Silentes – Suffocated

Arriva il disco d’esordio per gli Animae Silentes, band che nasce da cinque musicisti non proprio sconosciuti, ma che ci faranno scoprire la loro idea di dark-goth metal. Un album completo e ben fatto.

Gli Animae Silentes sono una band di recente formazione ma i cui componenti hanno già alle spalle una notevole gavetta.

Per farla breve e conoscerli meglio: il cantante Alessandro Ramon Sonato, già parte dei Chrome Steel (Judas Priest Tribute) e Bad Sisters, oltre a essere ex Hollow Haze e Crying Steel, e il bassista Tomas Valentini, che molti conosceranno come membro degli Skanners, danno il “la” a questo nuovo progetto, avendo ben chiare le idee in merito a stile e genere nel giugno del 2015.
Come se non bastassero le menti geniali, ecco arrivare il chitarrista Giovanni Scardoni (Chrome Steel, ex Ground Control) e Riccardo Menini (Dirty Fingers); infine, il batterista Cristian Bonamini (Alcstones, Romero).
Tutta questa esperienza accumulata e il talento naturale vengono condensati nel loro disco d’esordio Suffocated, un lavoro pulito e intenso, ma anche a tratti cupo e dark.
Il tutto inizia con la classica breve Intro che include un temporale, con tanto di corvi e una bella chitarra a farla da padrona; Burning in Silence è il vero punto di partenza, uno dei pezzi più melodici e piacevoli, seguono Purgatorium ed Eville, le quali insieme a Madman Town, mostrano la parte un po’ più rock degli Animae Silentes.
L’aspetto più dark lo incontriamo in Nothing Else to Remind (molto intensa) e Illusion, al limite del gothic di qualche tempo fa, che mi hanno ricordato gli Amorphis dell’album Tuonela; Save, Desperation Road e Lost in My Soul riprendono note più orecchiabili, ma senza mai cadere nella banalità; per concludere, troviamo Suffocated che, paradossalmente, è quella che mi è piaciuta un po’ meno.
Uno dei punti di forza degli Animae Silentes è la bravura di Rock Ramon al microfono, il quale riesce ad interpretare con scioltezza qualsiasi stile senza perdersi e senza risultare eccessivo, cosa che può tranquillamente accadere se spingi troppo con lo screaming o il growling, e naturalmente anche gli altri non sono da meno.
Insomma, Suffocated è un disco da avere perché suonato da chi la musica la sa fare e ci mette davvero il cuore.
Potrebbe non piacere a tutti il genere in questione, ma è indubbio il fatto che si tratti di un esordio con i fiocchi.

TRACKLIST
1 Intro
2 Burning In Silence
3 Purgatorium
4 Eville
5 Nothing Else To Remind
6 Illusion
7 Save Me
8 Desperation Road
9 Madman Town
10 Lost In My Soul
11 Suffocated

LINE-UP
Rock Ramon – voice
Tomas Valentini – Bass guitar
Riccardo Menini – Guitar
Giovanni Scardoni – Guitar
Cristian Bonamini – Drum

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Electric Age – Sleep Of The Silent King

Dalla Lousiana arriva un disco di musica che solo nel sud degli States fanno in una certa maniera, tra paludi e polvere di tombe di antiche famiglie maledette.

Dalla Lousiana arriva un disco di musica che sono nel sud degli States fanno in una certa maniera, tra paludi e polvere di tombe di antiche famiglie maledette.

Gli Electric Age provengono dalla Louisiana, si sono formati nel 2013 e tutti hanno un passato in gruppi locali. Il loro suono è un doom metal fortemente contaminato dal southern, ovvero una forte impronta di quel tipo di composizione pesante ma allo stesso tempo ariosa che viene da lontano. Fin dalla seconda canzone Shepherd And Raven si può degustare questo suono fatto di solidità e melodia, con la voce che detta i tempi, chitarre non troppo distorte e che compiono sinuosità comprensibili e notevoli senza eccedere, e una sezione ritmica che non passa mai in primo piano, ma che è un fondamentale collante. Nelle canzoni degli Electric Age possiamo ritrovare un antico retrogusto doom, che si spinge quasi nel proto doom, un qualcosa di molto vicino al southern. Gli anni ottanta soprattutto, ed in minor misura gli anni settanta, trasudano da questo disco ma non è un suono derivativo, perché è una rielaborazione originale. I tempi sono dilatati ma non troppo, e tutto trova spazio, perfino tastiere suonate in maniera intelligente. Il risultato complessivo è davvero buono, le canzoni sono composte molto bene e il disco fila via fluido. Nell’avanzare del disco si può leggere una storia, quella di un viaggio nel tempo e nella conoscenza, fra tenebre e divinità, con sullo sfondo morte e redenzione. Tutte queste cose non sono novità ma non è facile raccontarle in una certa maniera, e soprattutto la musica è davvero di alto livello, con un gusto davvero unico.

TRACKLIST
1.The Threshold
2.Shepherd And The Raven
3.Robes Of Grey
4.Cold Witch
5.Priestess Pt.1
6.Black Galleons
7.Sleep Of Winter
8.Silent King
9.Elders
10.Priestess Pt. 2
11.Electric Age
12.The Dreaming

LINE-UP
Shawn Tucker – Lead Vocals,Guitar,Bass
J. Ogle – Guitar,Bass,Vocals
Kelly Davis – Drums,Vocals

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Double Experience – Unsaved Progress

Un album che cresce con gli ascolti e ci presenta una band potenzialmente da botto commerciale, tanto è il talento melodico unito alla durezza del metal/rock

Dopo alcuni passaggi in più mi sono convinto che questi tre canadesi non sono affatto male.

Trattasi della rock band dei Double Experience formata dal cantante Ian Nichols, il bassista e chitarrista Brock Tinsley e alle pelli Dafydd Cartwright, un trio niente male che ha dato i natali a questo lavoro, intitolato Unsaved Progress, illuminato da un appeal da primi posti nella classifiche di tutto il mondo, unito alla potenza del groove ed una passione per il metal rock che ne fa un piccolo spettacolo pirotecnico di suoni rock che non mancano di stupire.
Dicevo che mi ci sono voluti alcuni passaggi in più per inquadrare la proposta del trio di Ottawa, proprio perché ad un primo ascolto non si capisce se questi ci sono o ci fanno.
Melodie alternative, un cantato ruffiano che rimane tale anche nei brani più tirati, e tanto hard & heavy che arriva piano ma che, quando esplode, diventa il genere preponderante nel sound dei Double Experience, sempre sostenuto da ritmiche da groove metal band, solos metallici o all’occorrenza solcati da un’attitudine modern hard rock e la voce del singer che, nel suo essere apparentemente dai toni commerciali, smuove montagne ricco com’è di talento melodico.
Una raccolta di hit che vi farà balzare dalla sedia sempre più in alto ad ogni passaggio, anche grazie alla performance chitarristica del buon Tinsley, una macchina da guerra melodica negli assoli e una potenza nei riff di scuola hard rock.
Un album che cresce con gli ascolti e ci presenta una band potenzialmente da botto commerciale, tanto è il talento melodico unito alla durezza del metal/rock: fatevi rapire dal sound dei Double Experience che ipnotizza e colpisce quando meno ve lo aspettate come un serpente di not; la miccia si accende, ci mette quel tanto che basta e quando esplode non c’è scampo.

TRACKLIST
1.So Fine
2.AAA
3.The Glimmer Shot
4.See You Soon
5.Impasse
6.Exposure Exposure
7.Death of Lucidity
8.Godzilla” (Blue Oyster Cult cover)
9.Weakened Warriors

LINE-UP
Ian Nichols – vocals, lyrics
Brock Tinsley – guitars, bass, lyrics
Dafydd Cartwright – drums

DOUBLE EXPERIENCE – Facebook