Gravebreaker – Sacrifice

Il lotto di brani presentati convince a più riprese, specialmente quando l’heavy metal più diretto viene attraversato da riusciti interventi tastieristici dal piglio horror.

Se la missione delle tante webzine metal sparse per il mondo è quello di supportare quei gruppi che non troveranno mai spazio nelle pagine delle riviste più cool o sui canali satellitari, non si può prescindere dalla ormai consolidata (almeno nell’underground) corrente old school che, come un fiume in piena, sta attraversando questo ultimo periodo della storia metallica.

In tutti i generi, dal metal estremo a quello classico, sono sempre di più i gruppi che portano avanti un discorso musicale per pochi, ma appassionati cultori di queste storiche sonorità.
I risultati sono altalenanti, è giusto dirlo, ma non mancano le sorprese come questo Sacrifice, album di debutto degli svedesi Gravebreaker, trio di Goteborg che, in barba alla tradizione estrema della loro città, debuttano con questo gioiellino di heavy metal old school, oscuro, consolidato nella trazione ottantiana ma molto affascinante.
Sacrifice è un lavoro che non lascia dubbi sulla volontà del gruppo di riportare un certo tipo di suoni alle orecchie dei true metallers e, chi tra di voi ha superato abbondantemente gli anta, ritroverà tutte le caratteristiche che li hanno fatti innamorare del metal.
Troviamo quindi una produzione perfetta per assaporare le atmosfere horror che si fanno spazio tra l’heavy metal tradizionale, a metà strada tra Accept e Motorhead, un pizzico di sound sassone e sfumature Mercyful Fate/King Diamond, impreziosite da poche ma riuscite escursioni nel sound sabbathiano degli anni ottanta.
Il tutto va a comporre un’opera molto affascinante e il lotto di brani presentati convince a più riprese, specialmente quando l’heavy metal più diretto viene attraversato da riusciti interventi tastieristici dal piglio horror.
Bellissima per esempio la title track, dai toni che ricordano i Death SS, altra importantissima ispirazione per la band, e la conclusiva Messenger Of Death, picco creativo dei Gravebreaker che si lasciano impossessare dal demone del Re Diamante e sfornano una song eccellente.
Un album del quale nel nostro paese probabilmente se ne troveranno pochissime tracce, un motivo in più per seguirci in questa ricerca delle più nascoste perle dell’underground metallico.

TRACKLIST
1. Overdrive
2. Sacrifice
3. Gravebreaker
4. At The Gates Of Hell
5. Violent City
6. Kill And Kill Again
7. Road War 2000
8. Pray For Death
9. Spellbound
10. Messenger Of Death

LINE-UP
Nightmare – vocals
Fury – guitar , bass
Devastation – drums

GRAVEBREAKER – Facebook

The Picturebooks – Home Is A Heartache

I titoli sono solo un proforma, un modo per dare un senso di inizio e di fine ai deliri contenuti i questo Home Is A Heartache, che non lascia scampo e si insinua come un serpente sotto la coperta.

Se volete ascoltare qualcosa di davvero intenso ed affascinate, un rock capace di contenere nelle sue note diverse anime ed atmosfere come la psichedelia, il blues, lo stoner e l’ alternative, ma scarno ed essenziale, crudo e diretto anche perché suonato solo con chitarra e percussioni, allora Home is a Heartache, nuovo album del duo tedesco dei The Picturebooks, dovrebbe essere il vostro prossimo acquisto.

Il duo tedesco è formato da Fynn Claus Grabke (voce e chitarra) e Philipp Mirtschink (batteria), suona un rock alternativo influenzato dal blues acido e come già detto ingloba varie atmosfere per un viaggio tra il deserto americano tra la polvere lasciata dalle gomme delle moto (altra passione del duo) ed il sole che accieca, stordisce alla pari di sostanze di dubbia provenienza e legalità e ci scaraventa in un mondo di streghe, tra pozioni ricavate dalle sacche velenifere di mortali crotali ed incantesimi sabbatici.
Una lunga jam dove i colpi mortali delle percussioni danno il tempo alla sei corde di torturarci con riff ora dai rimandi alternative, ora ultra heavy, avvolti in un atmosfera southern stoner metal a tratti disturbante.
I The Picturebooks, che voleranno a Londra, dove faranno compagnia ai grandi Samsara Blues Experiment nel Desert Fest in programma ad Aprile, sono arrivati già al quarto lavoro e il trip non accenna a diminuire, scandito dalle ritmiche che fecero da contorno ai riti tribali di vecchi stregoni pellerossa e lunghe marce bluesy, in cui la psichedelia è signora e padrona del sound di questo duo sciamanico.
I titoli sono solo un proforma, un modo per dare un senso di inizio e di fine ai deliri contenuti i questo Home Is A Heartache, che non lascia scampo e si insinua come un serpente sotto la coperta.

TRACKLIST
01. Seen Those Days
02. Wardance
03. Home Is A Heartache
04. Fire Keeps Burning
05. On These Roads I’ll Die
06. I Need That Oooh
07. The Murderer
08. Zero Fucks Given
09. Cactus
10. I Came A Long Way For You
11. Get Gone
12. Bad Habits Die Hard
13. Heathen Love
14. Inner Demons

LINE-UP
Fynn Claus Grabke – Vocals, guitars
Philipp Mirtschink – Drums

THE PICTUREBOOKS – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=U_6tc9vkh1

Acrimonious – Eleven Dragons

Questi greci sanno molto bene come si fa a rendere interessante un disco e passano di registro in registro con molta facilità: il lavoro è davvero piacevole, libero da tanti vincoli che a volte appesantiscono troppo i dischi di black death

Un diluvio satanico di black metal classico con inserzioni notevoli di death metal.

Terzo album per gli oscuri Acrimonious, attivi fin dal 2002, con molti cambi di formazione che non hanno impedito loro di produrre ottimi album, ed Eleven Dragons si rivela il loro disco più riuscito. Il tiro è del black metal classico, con chitarre veloci e non troppo distorte, la voce trova la sua giusta collocazione tra il growl ed il clean, e la sezione ritmica è molto pulsante. L’ispirazione gli Acrimonious la trovano nella prima ondata black metal, quando il suono era debitore all’hardcore punk, ma gli ellenici ci aggiungono molto di loro, con la voce epica di Cain Latifer che narra di nere storie, e le melodie sono messe in primo piano, senza essere sovrastrutturate da un impianto sonoro troppo pesante per poterle cogliere. Eleven Dragons è un disco di grande sostanza, un tributo molto efficace al nero signore, ed è un disco che segna il grande ritorno del gruppo, che si spera essere stabile. Questi greci sanno molto bene come si fa a rendere interessante un disco e passano di registro in registro con molta facilità: il lavoro è davvero piacevole, libero da tanti vincoli che a volte appesantiscono troppo i dischi di black death, primo fra tutti l’essere ridondanti. Qui tutto fluisce da e verso l’abisso, forse l’unica e vera salvezza che ci viene concessa. Una delle particolarità maggiori del disco è la grande epicità delle canzoni che sembrano allestimenti teatrali, poiché sono piene di drammaticità e pathos. Una grande prova.

TRACKLIST
1. Incineration Initiator
2. The Northern Portal
3. Damnation’s Bells
4. Satariel’s Grail
5. Elder of the Nashiym
6. Kaivalya
7. Qayin Rex Mortis
8. Ominous Visions of Nod
9. Stirring the Ancient Waters
10. Litany of Moloch’s Feast
11. Thaumitan Crown

LINE-UP
Cain Letifer – guitars, vocals
Semjaza – guitars, bass
C.Docre – drums

ACRIMONIOUS – Facebook

Havok – Conformicide

Conformicide è una mastodontica opera estrema da più di un’ora di durata, ma che sa tenere per il collo l’ascoltatore, strapazzato dall’ottovolante su cui gli Havok lo hanno legato ed imbavagliato.

Non solo i nomi storici del genere ma, ora, anche le cosiddette seconde linee (in termini di popolarità , non certo di qualità), si mettono in testa di fare la voce grossa, ed allora veramente non c’è ne per nessuno.

E’ un dato di fatto che le band più importanti abbiano ultimamente pescato dal cilindro lavori notevoli, mentre nell’underground le nuove leve escono dall’ombra e vanno a rimpolpare le brigate in stato di guerra con sulle mostrine la scritta thrash.
Con gli Havok non si può certo parlare di nuove leve, ma l’anno di nascita (2004) ed il loro saper prendere il meglio della scena ottantiana dandolo in pasto ai fans del nuovo millennio, porta a valutarli come una delle più efficaci proposte del secolo appena iniziato.
Conformicide è il quarto full length di una discografia che si allarga come una macchia nera di adrenalinico combustibile,  composta pure da lavori minori, ed una popolarità che nel genere comincia a risultare importante.
Il nuovo album porterà altre lodi al quartetto del Colorado, una macchina da guerra dal sound ottantiano ma ben focalizzata sul presente come cura dei dettagli e dei suoni: con loro ritornano in auge ritmiche veloci ed intricate, violentissime ripartenze, voce cartavetrata e maligna come quella di un folletto metropolitano e la tecnica indispensabile per fare di un bell’album di genere un grande album metal.
E di tecnica i musicisti americani ne hanno da vendere, dalle intricate bordate ritmiche della coppia Pete Webber/Nick Schendzielos (rispettivamente basso e batteria) alle due chitarre torturate da David Sanchez (anche al microfono) e Reece Scruggs.
Conformicide è una mastodontica opera estrema da più di un’ora di durata, ma che sa tenere per il collo l’ascoltatore, strapazzato dall’ottovolante su cui gli Havok lo hanno legato ed imbavagliato, prima di partire con il thrash a tratti progressivo di F.P.C., la clamorosa Ingsoc e Circling The Drain, mentre le altre canzoni si assestano su uno stile americano d’assalto, tra Death Angel ed Exodus.
Il thrash metal sta tornando più forte e violento di prima, abbandonando le troppe influenze moderne degli ultimi anni per riabbracciare la tradizione.

TRACKLIST
1. F.P.C.
2. Hang ‘Em High
3. Dogmaniacal
4. Intention To Deceive
5. Ingsoc
6. Masterplan
7. Peace Is In Pieces
8. Claiming Certainty
9. Wake Up
10. Circling The Drain

LINE-UP
David Sanchez – Guitar, Vocals
Reece Scruggs – Guitar
Nick Schendzielos – Bass
Pete Webber – Drums

HAVOK – Facebook