Exiled On Earth – Forces Of Denial

Ritorno importante per un gruppo che, con un po’ di costanza in più nelle uscite, potrebbe ritagliarsi uno spazio importante nella scena nostrana.

Con gli Exiled On Earth si viaggia spediti su territori power/thrash progressivi tra tradizione e soluzioni più moderne, così che questo nuovo album non si può certo considerare old school, pur mantenendo le coordinate delle band che hanno fatto la storia del genere.

Il gruppo romano è in attività da parecchi anni, anche se dall’anno di fondazione (2000) ad oggi la sua discografia conta solo un paio di demo e due full length, compreso questo buon lavoro dal titolo Forces Of Denial.
Registrato ai 16th Cellar Studios e licenziato dalla Punishment 18, l’album non manca di infiammare per più di mezz’ora i thrashers dai gusti raffinati: l’opera si mantiene dura nell’approccio, ma elegante nei dettagli e nelle soluzioni di matrice progressive e, complice la durata, si fa ascoltare mantenendo alta l’attenzione dell’ascoltatore;
per niente prolisso dunque, difetto facile da riscontrare nel genere, essendo composto da otto brani che rivelano buone idee espresse con il giusto piglio e senza troppi ghirigori compositivi.
Impatto e tecnica, si potrebbe riassumere con queste due parole la musica degli Exiled On Earth, band capitanata dall’ottimo chitarrista e cantante Tiziano Marcozzi, unico superstite della formazione originale, oggi a guida di una squadra (Gino Palombi al basso, Piero Arioni alle pelli e Alfredo Gargaro alla chitarra) che si ritrova a meraviglia tra le cavalcate metalliche dei brani, perfetta nel cambiare tempi di gioco, mantenendo una forma canzone ed un equilibrio tra potenza thrash metal, tecnica e melodie.
Forces Of Denial è un lavoro di thrash moderno e progressivo, melodico e dalla potenza metallica che si rifà alla scena statunitense, così come nei momenti più ragionati e tecnici la mente corre ai gruppi autori di un certo modo di suonare il genere come i Control Denied ma anche i Coroner, che si fanno spazio tra le note di brani notevoli come Hypnotic Persecutions, Underground Intelligence e la splendida Into The Serpent’s Nest brano in cui Marcozzi dà prova della bravura al microfono anche su linee vocali meno aspre.
In conclusione, Forces Of Denial è un album riuscito, nonchè il ritorno importante per un gruppo che, con un po’ di costanza in più nelle uscite, potrebbe ritagliarsi uno spazio importante nella scena nostrana.

TRACKLIST
01. Forces Of Denial
02. The Glory And The Lie
03. Hypnotic Persecution
04. The Mangler
05. Vortex Of Deception
06. Underground Intelligence
07. Into The Serpent’s Nest
08. Lifting The Veil

LINE-UP
Tiziano Marcozzi – Vocals, Guitar
Gino Palombi – Bass
Piero Arioni – Drums
Alfredo Gargaro – Guitar

EXILED ON EARTH – Facebook

Author – Lopun Alku

Album che lascia poco all’ascoltatore se non la fatica di arrivare in fondo, Lopun Alku potrebbe trovare qualche estimatore solo tra gli appassionati più oltranzisti del black metal underground.

La terra dei mille laghi, tra i paesi nordici è quella che meno viene accostata al black metal, eppure nella storia della musica estrema la Finlandia non è certo meno importante delle vicine Svezia e Norvegia.

La tradizione vede la scena di questa terra più orientata verso il death metal o il viking ma non sono mai mancate le oscure realtà che mantengono alto il fuoco della fiamma nera della musica; in questi anni che ha visto il genere perdere popolarità, la scena underground è venuta in soccorso dei fans, supportando nuove band ed opere altrimenti perse negli oscuri inferi che si aprono come abissi su al nord.
Author è una one man band (il mastermind del gruppo è il polistrumentista J.V , aiutato dal vivo da una manciata di musicisti della scena) al primo full length, dopo un’ ep uscito sempre per Naturmacht Productions lo scorso anno del quale troviamo presenti due tracce, l’opener Kuolevaisen kirous e Olemme nähneet päivän päättyvän.
Lopun alku, dai testi rigorosamente in lingua madre, è un lavoro di black metal canonico, con scream maligno d’ordinanza ed un’atmosfera glaciale che pervade tutti i brani che compongono quest’ opera estrema, con il difetto non trascurabile di una piattezza di fondo che non dà modo ai brani di sollevarsi, con il ripetersi dello stesso riff per oltre mezz’ora di black metal scontato come il freddo dei mesi invernali nella città di Pori, città di prvenienza degli Author.
Album che lascia poco all’ascoltatore se non la fatica di arrivare in fondo, Lopun Alku potrebbe trovare qualche estimatore solo tra gli appassionati più oltranzisti del black metal underground.

TRACKLIST
1. Kuolevaisen kirous
2. Lopun alku
3. Olemme nähneet päivän päättyvän
4. Kadotus
5. Ei ikinä enää
6. Uusi aamunkoi

LINE-UP
J.V – Vocals, lyrics, guitars, bass, keyboards, all music :
J.W. – Studio Session drumming :

Live line up:
J.V. – Vocals
Chronos – Lead guitar
L.H. – Rhythm Guitar
J.H. – Bass
Enceladus – Drums

AUTHOR – Facebook

daRKRam – Stone And Death

Il tessuto sonoro si trasforma in una spessa ragnatela dalla quale si viene irrimediabilmente avvolti e che rende incapaci di reagire, anche quando la ragione consiglierebbe una disperata ricerca di vie di fuga.

Sono sempre più numerosi gli album definibili, più o meno a buon titolo, di musica ambient che ci vengono sottoposti, sia direttamente dai loro autori sia da etichette lungimiranti come, in questo caso, la Club Inferno, sub label della più metallica My Kingdom.

daRKRam è il progetto solista di Ramon Moro, musicista torinese le cui radici vanno ricercate nel jazz e già questo, in partenza, costituisce per forza di cose un elemento distintivo: in Stone And Death infatti, troviamo più di un passaggio in cui a prendere la scena è la tromba, strumento d’elezione del nostro, che va a creare un inconsueto connubio con il sottofondo dronico di fondo.
Inutile dire che l’ambient di daRKRam è quanto di meno rassicurante sia dato ascoltare: dimentichiamo quindi le soluzioni cristalline e magari sorrette da valide intuizioni melodiche ed andiamo invece ad immergerci senza timore, ma con il doveroso rispetto, in questo caliginoso e terrificante territorio musicale.
Un approccio, quello di Moro, che si spinge lontano dalla music for “something” di Eno, per approdare ad un qualcosa di più avvicinabile alle uscite della Cold Meat Industry del secolo scorso: il tessuto sonoro si trasforma in una spessa ragnatela dalla quale si viene irrimediabilmente avvolti e che rende incapaci di reagire, anche quando la ragione consiglierebbe una disperata ricerca di vie di fuga. Senza neppure rendersene conto, infatti, dopo una decina di minuti ci si trova inermi e privi di difese nei confronti del flusso ronzante che scava incessantemente la nostra psiche e che, alla lunga produce danni meno visibili ma più profondi di qualsiasi espressione musicale che definiremmo convenzionalmente “pesante”.
Per oltre un’ora si viene annichiliti dall’ossessivo sgocciolio di suoni resi in maniera perfetta, solo sporadicamente screziati da improvvisi soprassalti prodotti dagli strumenti a fiato (in Connection, soprattutto), un altro elemento che innalza Stone And Death ad un livello superiore alla media degli ascolti ricadenti in quest’ambito: la speranza è che tale mirabile esempio di dark ambient riesca a raggiungere non solo chi si ritrova “obbligato” ad ascoltarlo (per fortuna aggiungerei, nel mio caso), trovando invece un’audience adeguata e, inutile dirlo, più che mai open minded.
In buona sostanza, trattasi di un lavoro a suo modo magnifico, che necessita ovviamente dell’ausilio di una ricettività all’ascolto superiore alla media o, quanto meno, della ferrea volontà di provare a farne propria la reale essenza.

Tracklist:
1. VIII [Inner Need]
2. XXII [Equilibrium]
3. VI [Male Role]
4. II [Reaction to Conflict]
5. X [Connection]
6. XII [Conflict]
7. III [Evolution]
8. XVI [Work]
9. V [Inner Essence]

Line up:
daRKRam: trumpet, flugelhorn, music, ambience

daRKRam – Facebook

Scalpture – Panzerdoktrin

Stirate la divisa e tirate fuori l’elmetto, si parte per la guerra e la colonna sonora che vi porterà alla gloria o alla morte non può che essere Panzerdoktrin.

Torniamo nei marci meandri del death metal old school con questa band tedesca, al secolo Scalpture, quintetto proveniente da Bielefeld, nato otto anni fa e con un paio di lavori alle spalle (un demo ed un ep) prima dell’avvento di questo belligerante Panzerdoktrin.

Un sound che molto deve al death metal scandinavo anche se, per l’atmosfera guerresca che si respira a pieni polmoni tra le polveri delle macerie, la mente torna ai Bolt Thrower, signori e padroni del death metal a sfondo bellico.
Ed oltre all’odore di morte, quello che si sente tra i solchi di Panzerdoktrin è un’ insana epicità, mentre il carro armato impazzito fa scempio di corpi schiacciati dalla potenza estrema del sound del gruppo tedesco, che risulta una macchina ben oliata.
Un bel lavoro, concepito per far male, servo del death metal old school, ed impreziosito da un songwriting ottimo che non lascia spazio a cedimenti ma va dritto per la sua strada, tra devastanti cavalcate alla Dismember, mid tempo dai rimandi al già citato storico gruppo inglese e rallentamenti alla Asphyx, il tutto in poco più di mezz’ora che passa veloce come un vento atomico, sotto il bombardamento causato dalle devastanti ...Panzer Hooray!, No Rest, No Sleep, No Peace e Not a Single Step Back, tre esempi dello stato di grazia del gruppo tedesco.
Una bella sorpresa, un album imperdibile per gli amanti del death metal old school, stirate la divisa e tirate fuori l’elmetto si parte per la guerra e la colonna sonora che vi porterà alla gloria o alla morte non può che essere Panzerdoktrin.

TRACKLIST
01. Forward March…
02. …Panzer Hooray!
03. Lead From Ahead
04. Dam Busters
05. Flattened Horizons (Pounding Howitzers)
06. No Rest, No Sleep, No Peace
07. Incursion
08. Not a Single Step Back
09. Embrace the Afterglow

LINE-UP
Thorsten – Vocals
Felix – Guitar
Tobias – Guitar
Anselm – Bass

SCALPTURE – Facebook

Duel – Witchbanger

Ascoltando Witchbanger si potrà tornare integralmente tornare indietro nel tempo, o anche solo vivere una grande esperienza sonora, degustando un hard rock puro, con melodie incredibili.

Tornano i texani Duel, uno dei migliori gruppi di rock doom occulto che ci siano in circolazione.

Il loro suono è un affascinante rielaborazione di quel suono anni settanta tra hard rock e doom, aggiungendoci molto di personale. I Duel catturano l’ascoltatore con un impasto sonoro ben composto, con la giusta miscela di durezza e melodia. Nella composizione del disco i texani non fanno giustamente eccedere nessuna componente, anzi lasciano il giusto spazio a tutto, lavorando come un vero collettivo sonoro, ed il risultato è eccellente. Il gruppo può annoverare un fedele e numeroso seguito, coltivato sia grazie ai dischi che con i loro concerti. Certamente gli anni settanta fanno la parte del leone in questo suono, ma vi sono anche apprezzabili elementi moderni. I Duel vi avvicinano con il loro suono sinuoso e sensuale, per portarvi in una dimensione magica e occulta, perché qui si parla anche di questo, e siamo in un universo ben diverso dal nostro. Qui il piacere scorre benigno, attraverso riff di chitarra ed accelerazioni sinceramente seventies che sembravano essere ormai perdute nell’orgia musicale odierna. Ascoltando Witchbanger si potrà tornare integralmente tornare indietro nel tempo, o anche solo vivere una grande esperienza sonora, degustando un hard rock puro, con melodie incredibili. Rimane notevole il fatto che questo sia solo il secondo disco del gruppo, anche se non si tratta certo di musicisti esordienti, dato che due membri erano negli Scorpion Child. Occultismo, sangue, e tanto hard rock puro e senza compromessi. Gran disco.

TRACKLIST
1.Devil
2.Witchbanger
3.The Snake Queen
4.Astro Gypsy
5.Heart Of The Sun
6.Bed Of Nails
7.Cat’s Eye
8.Tigers And Rainbows

LINE-UP
Tom Frank – guitar,vocals
Shaun Avants – bass, vocals
JD Shadowz – drums
Jeff Henson – guitar

DUEL – Facebook

Bellathrix – Orion

Orion farà battere all’impazzata cuori metallici di vecchia data e sorprenderà i giovani più legati al power e poco avvezzi alle cavalcate heavy metal, tipiche degli anni d’oro del genere.

Con ancora nelle orecchie le splendide note dell’ultimo album degli Athlantis, mi ritrovo con in mano un’altra opera che coinvolge un gruppo di talenti musicali proveniente dalla provincia di Genova.

Pier Gonella e Steve Vawamas, chitarra e basso di Mastercastle e Athlantis, e poi separatamente in altre importanti realtà metalliche quali i Necrodeath per il primo e i Ruxt per il secondo, si ritrovano ancora una volta insieme in un ennesimo progetto, questa volta più orientato all’heavy metal tradizionale, ma non per questo meno riuscito.
I due, non contenti degli applausi a scena aperta conquistati nell’ultimo periodo, tornano con i Bellathrix, gruppo formato appena due anni fa e dal nucleo portante a trazione femminile (Lally Cretella alla chitarra, Stefy Prian alla voce ed Elisa Pilotti alla batteria), al primo passo discografico con questo ottimo esempio di heavy metal, al giorno d’oggi definito old school, ma che poi altro non è che hard & heavy di stampo classico e dai buoni spunti progressivi e folk.
Licenziato dalla storica label genovese Black Widow, Orion non mancherà di far battere all’impazzata cuori metallici di vecchia data, o di sorprendere giovani metallari legati al power e poco avvezzi alle cavalcate caratteristiche degli anni ruggenti.
Ogni volta che ho a che fare con Pier Gonella, mi ritrovo a lodare le gesta di questo numero uno della sei corde, sempre perfettamente a suo agio in ogni contesto: nei Bellathrix, assieme all’ottima Lally Cretella, va a costituire il fulcro del sound di Orion, con il sostegno della potente e precisa sezione ritmica e della voce assolutamente perfetta per il genere di Stefy Prian (dimenticatevi gorgheggi di stampo operistico, qui si fa heavy metal), personale e convincente.
Non poteva certo mancare una manciata di graditi ospiti e allora i Bellathrix lasciano a Tommy Massara il solo su The Ritual, cover della Strana Officina, e si avvalgono delle tastiere di Dave Garbarino, del violino di Federica Pelizzetti e del flauto del sempreverde Martin Grice, storico componente dei Delirium.
E come ormai ci hanno abituato questi bravissimi stakanovisti del metal nostrano, l’album convince a più riprese, risultando perfetto nel dosaggio tra l’irruenza tipica dell’heavy metal, le melodie di un hard rock evocato spesso dalle linee vocali della Prian (Fly In The Sky e le ritmiche funkizzate di My Revenge) e con l’asso calato a pulire il tavolo rappresentato dalle parti progressive e folk nella semiballad I Don’t Believe A Word; le reminiscenze space rock della pur grintosa title track ed il tuffo nel rock progressivo della bellissima King Of Camelot chiudono come meglio non si potrebbe questa prima uscita targata Bellathrix.
In attesa che (sicuramente tra non molto) si ripresenti l’opportunità di ascoltare altra musica prodotta o suonata da questi inesauribili musicisti, non rimane che consigliare caldamente di fare proprio quest’album.

TRACKLIST
1. The Road in the Night
2. Before the Storm
3. Fly in the Sky
4. My Revenge
5. I Don’t Believe a Word
6. The Ritual (Strana Officina cover)
7. Orion
8. King of Camelot

LINE-UP
Stefy Prian – Vocals
Elisa Pilotti – Drums
Steve Vawamas – Bass Guitar
Lally Cretella – Guitar
Pier Gonella – Guitar

BELLATHRIX – Facebook

Norunda – Irruption

Irruption mette in luce una passione sconfinata per il genere da parte dei musicisti pari a quella dei fans di un genere lontano da regalare clamorose novità, ma sempre ben accetto.

Bastano davvero poche parole per descrivere un album come Irruption, esordio sulla lunga distanza per i thrashers spagnoli Norunda, d’altronde dell’anima old school del genere si tratta, così che musica ed ispirazioni sono sicuramente conosciute ai lettori di MetalEyes.

Il trio è una neonata realtà (2016) nata per volere di Rubén Cuerdo chitarrista e cantante, accompagnato dalla sezione ritmica composta da Pedro Mendes al basso e Marcelo Aires alle pelli: Irruption non brilla certo per originalità ma sa essere convincente, specialmente quando tra i solchi dei brani spicca la sua anima progressiva, molto voivodiana.
Per il resto con Irruption si ascolta del buon thrash metal di ispirazione americana, melodico, dai riferimenti heavy negli assoli e tranquillamente accostabile alle storiche band della Bay Area.
Con una devozione per i quattro cavalieri di Frisco quasi commovente, il trio si impegna a non annoiare l’ascoltatore lungo i cinquanta minuti di durata dell’album, che vive di veloci cavalcate, mid tempo potenti e chorus da fiammeggianti live, mentre come scritto, è quando l’anima progressiva spunta timida dallo spartito che questo lavoro si merita qualche applauso più convincente.
Forse leggermente più prolisso di quello che, scremando un paio di brani, il gruppo poteva dare in pasto agli amanti del genere, Irruption mette in luce una passione sconfinata per il genere da parte dei musicisti pari a quella dei fans di un genere lontano da regalare clamorose novità, ma sempre ben accetto.
Grazie alle ottime Dynamite, Infoxication e Sultan Killer l’album si porta a casa la sua abbondante sufficienza: come inizio per i Norunda non è affatto male.

TRACKLIST
1. Asshole in your Way
2. Dynamite
3. Face to Face
4. Hit You
5. Infoxication 6
6. Pushing to the Limit
7. Sultan Killer
8. The Only Truth
9. Violent Street
10. Into my Game

LINE-UP
Rubén Cuerdo – Vocals, guitars
Pedro Mendes – Bass
Marcelo Aires – Drums

NORUNDA – Facebook

Ibyss – Hate Speech

Questi sei brani forse non cambieranno la storia del genere ma hanno la caratura per consentire agli Ibyss di ritagliarsi un meritato spazio; e chissà che, come spesso accade, una forma di censura non provochi un effetto diametralmente opposto a quello desiderato da chi l’ha imposta …

Tra le molte mail inviate quotidianamente a MetalEyes ne è arrivata una molto particolare qualche settimana fa: chi scriveva lamentava il fatto d’aver subito in patria (la Germania) una sorta di ostracismo dovuto, sostanzialmente, al titolo dell’album, Hate Speech, ritrovandosi costretto a cercare di ottenere la giusta attenzione al di fuori dei patri confini.

Francamente non avevo idea di quanto l’attenzione al politicamente corretto avesse raggiunto un livello prossimo alla censura preventiva da quelle parti, dove ritenevo invece ci fosse maggiore apertura rispetto ad un paese come il nostro, dove una piaga come quella costituita dagli ultracattolici vorrebbe mettere il becco anche su quanto e quando si dovrebbe andare al cesso ogni giorno …
Ma, evidentemente, anche in terra teutonica ci sono dei nervi scoperti che dopo oltre settant’anni devono dolere ancora parecchio. Detto ciò, al netto di chi inneggia in maniera esplicita al totalitarismo ed al razzismo, chiunque può trovare spazio sulla nostra webzine, a maggior ragione se l’operato si rivela meritevole del giusto rilievo, come nel caso degli Ibyss.
La band, dopo un avvio di carriera in formazione più tradizionale è ora ridotta ad un duo formato da Jens e Nihil, riproponendo la formula, almeno da punto di vista numerico, di alcune tra le principali fonti di ispirazione dei nostri come Godflesh e Scorn.
Oltre al sound di questi due giganti dell’industrial degli anni ’90, gli Ibyss immettono la lezione del versante più metallico del genere come Ministry o Prong, ed Hate Speech si rivela così un buonissimo lavoro nel quale tutte le intuizioni dei nomi citati vengono elaborate con competenza e personalità.
Trattandosi di un ep, l’opera è relativamente breve e si assimila quindi con più agio, facilitati in questo da una scrittura se non varia, comunque abbastanza attenta a conferire ad ogni brano una sua fisionomia ben definita.
Chi apprezza il genere, quindi, non potrà fare a meno di gradire i riff squadrati che conferiscono rara efficacia a tracce come Face Off, Frontlines e Like Drones e la buona orecchiabilità di Home Is Where The Graves Are, che vede il contributo vocale dell’ospite Rüdiger Schuster (ex Garden Of Delight); al riguardo va detto che il titolare del ruolo, ovvero Jens, offre una prestazione in linea con i dettami del genere, grazie ad uno scream/growl senz’altro convincente, mentre l’unico possibile appunto che si può fare ai due ragazzi tedeschi è forse la scelta (o la necessità) di ricorrere ad una drum machine piuttosto che ad un batterista in carne ed ossa, facendo risaltare le differenze rispetto alle band di riferimento che potevano annoverare tra le loro fila fenomeni come Mick Harris o Bill Rieflin.
Questi sei brani forse non cambieranno la storia del genere ma hanno la caratura per consentire agli Ibyss di ritagliarsi un meritato spazio; e chissà che, come spesso accade, una forma di censura non provochi un effetto diametralmente opposto a quello desiderato da chi l’ha imposta …

Tracklist:
01. Bois Ton Sang
02. Face Off
03. Home Is Where The Graves Are
04. Like Drones
05. Frontlines
06. Senseless Ordeal

Line-up:
Jens – Vocals / Guitars
Nihil – Guitars / Programming

IBYSS – Facebook

Freakings – Toxic End

Un lavoro incendiario, che narra la fine di un mondo intossicato dai veleni e dalle guerre, qui riprodotto dal vento atomico di uno speed/thrash devastante ed assolutamente old school.

Una botta di adrenalina thrash metal direttamente dalla patria degli orologi, la Svizzera.

Precisi come i migliori meccanismi creati aldilà delle Alpi lo sono pure i Freakings, trio metallico, che della velocità e devastante furia ne fa una religione.
Attivi da quasi dieci anni, e con altri due album alle spalle (No Way Out del 2011 e Gladiator di ormai tre anni fa), Toby Straumann (basso), Simon Straumann (batteria) e Jonathan Brutschin (voce e chitarra) tornano con un lavoro incendiario, che narra la fine di un mondo intossicato dai veleni e dalle guerre, qui riprodotto dal vento atomico di uno speed/thrash devastante ed assolutamente old school, una dichiarazione di guerra contro il maltrattamento del nostro pianeta, ormai alla deriva ed al collasso.
Toxic End esplode, e come uno tsunami atomico non si ferma più, investendo con accelerazioni di una forza impressionante: la voce è al limite, le ritmiche mantengono velocità inumane e la mezz’ora a disposizione del gruppo passa veloce come il lampo.
L’opearato dei Freakings è connotato da una velocità assurda, contornata una tempesta di suoni speed che non trova barriere, continuando nella sua missione tra solos al fulmicotone, ritmiche da massacro ed un approccio live che immagino incarni il macello di cui questo trio può essere capace on stage.
Potrei nominare tutte o nessuna traccia, mi limito a consigliare quindi questo tornado sonoro agli amanti dello speed/thrash di matrice assolutamente old school che non temono di farsi intimidire dalle mitragliate riversate dai Freakings.

TRACKLIST
1.Hell On Earth
2.Future Vision
3.Violent Disaster
4.TxWxNxD
5.Toxic End
6.Friendly Fire
7.Brain Dead
8.Price Of Freedom
9.Wave Of Pain
10.Beer Attack
11.No More Excuses

LINE-UP
Toby Straumann – Bass
Simon Straumann – Drums
Jonathan Brutschin – Guitars, Vocals

FREAKINGS – Facebook

Crawler – Hell Sweet Hell

Hell Sweet Hell è un lavoro mastodontico e bellissimo, consigliato a tutti gli amanti del genere e principalmente degli Edguy/Avantasia, principali fonti di ispirazione del gruppo.

Quindici anni di storia, un passato da cover band dei gruppi storici dell’heavy metal mondiale ed un secondo album di inediti pronto per conquistare i cuori del metallari duri e puri.

Tornano i Crawler, band di Cremona, a distanza di sei anni dal debutto sulla lunga distanza, quel Knight Of The Word che ha ottenuto ottimi riscontri.
Per Valery Records esce questo nuovo lavoro intitolato Hell Sweet Hell, un’ora abbondante su e giù per il metal classico degli ultimi venticinque anni, tra spunti progressivi, piglio epico orchestrale e più di uno sguardo sulla musica scritta da Tobias Sammet (Claudio Cesari, vocalist del gruppo lo si può senz’altro considerare il Sammet nostrano) sia con gli Avantasia che con gli Edguy, oltre ad un cordone ombelicale difficile da tagliare con Iron Maiden e Judas Priest.
Hell Sweet Hell è un album curato, prodotto molto bene con un lotto di brani trascinanti e dal taglio internazionale, assolutamente in grado di tenere botta con le opere provenienti da fuori confine grazie ad un songwriting sopra la media, un cantante davvero bravo e una varietà di atmosfere che offre ad ogni brano una sua identità.
Si passa così dal power metal melodico all’heavy metal tradizionale, dal symphonic power a canzoni dagli ottimi spunti progressivi, con un’altro richiamo importante come quello dei Symphony X.
Ricco di cambi di tempo ed atmosfere, Hell Sweet Hell si fa apprezzare nella sua interezza, non scendendo mai da un elevato ottimo e facendo focalizzare l’attenzione dell’ascoltatore sulla bontà della musica più ancora che sull’ottima tecnica strumentale dei bravissimi musicisti che formano il gruppo.
L’aggressiva e tagliente Dhampyre, la progressiva ed orchestrale The Power Of Magic, il power metal di Neverland e le chitarre hard rock di No Pain, che ricorda i brani più divertenti e pazzi degli Edguy, fanno risplendere la prima parte dell’album, mentre si torna alle atmosfere epiche con The Lair of the Smoking Dragon che precede l’heavy metal classico ed aggressivo della title track.
Drammatica, oscura e progressiva si rivela Akhenaton, degna conclusione dell’album, una traccia metallica e magniloquente che mette la parola fine si di un lavoro mastodontico e bellissimo, consigliato a tutti gli amanti del genere e principalmente degli Edguy/Avantasia, principali fonti di ispirazione del gruppo.
Niente di nuovo? Vero, ma che musica ragazzi!

TRACKLIST
1.Dracarys! (intro)
2.Winter is Coming
3.Dhampyre
4.The Power of Magic
5.Neverland
6.I wait for my Siren
7.No Pain
8.The Eyes and the Dark
9.The Lair of the Smoking Dragon
10.Hell sweet Hell
11.7 Days
12.Akhenaton

LINE-UP
Claudio Cesari – Vocals
Matteo Cattaneo – Guitars
Filippo Severgnini – Guitars
Daniele Mulatieri – Bass
Nicola Martiniello – Drums

CRAWLER – Facebook

Tormentor – Morbid Realization

Il songwriting di buon livello permette all’album di non perdere mai l’attenzione da parte dell’ascoltatore, con un lotto di canzoni che arrivano subito al sodo, pesanti come incudini, violente, morbose e valorizzate da ritmiche vincenti.

Bella sorpresa questi Tormentor, gruppo tedesco che fa del thrash metal di ottima fattura e che arriva al secondo lavoro sulla lunga distanza tramite la Iron Shield.

Passati i dieci anni di attività il quartetto aveva già dato modo in passato di non passare inosservato, con il primo demo ….Lesson In Aggression sponsorizzato nientemeno che Mille Petrozza, sommo sacerdote del teutonic thrash metal.
Se il primo album (Violent World) aveva accontentato tutti, la furia che non si placa neanche in questo Morbid Realization, un fulgido esempio di thrash metal sulla scia dei Kreator.
Il bello di questo lavoro è il songwriting di buon livello che permette all’album di non perdere mai l’attenzione dell’ascoltatore, con un lotto di canzoni che arrivano subito al sodo, pesanti come incudini, violente e morbose (come da titolo) e valorizzate da ritmiche vincenti.
Certo, la devozione ai Kreator è totale, con il singer che praticamente è la copia carbone del buon Mille, ma ritengo che sia l’unico difetto dei Tormentor, perché nel complesso il Morbid Realization risulta un album ben fatto, adeguato alle attese degli amanti del genere.
Del cantante, Max Seipke (anche chitarrista) abbiamo praticamente detto tutto, non rimane che ricordare l’ottimo lavoro del suo compare Kevin Hauch e della coppia ritmica, formata dal basso di Christian Schomber e dalle pelli distrutte sotto i colpi di Thomas Wedemeyer.
L’album non ha cedimenti, con un thrash metal aggressivo che presenta ottime melodie chitarristiche, cavalcate ritmiche trascinanti (Walk Past Myself) e tanto metallo tedesco, duro come l’acciaio, perfettamente in bilico tra velocità e mid tempo pesantissimi, con una serie di brani a tratti esaltanti (la title track, Burning Empire e Forgotten) ed in grado di lasciare un’espressione maligna sul viso dei fans del thrash metal di scuola Kreator.
In conclusione, un album ben fatto, assolutamente non originale, ma con tutte le caratteristiche per piacere agli amanti del genere, a cui va il mio consiglio all’ascolto.

TRACKLIST
1. Hope
2. Kill with no Excuse
3. Morbid Realization
4. Comprehension Failed
5. Burning Empire
6. Endless Emptiness
7. Forgotten
8. Lurks in the Dark
9. Walk past myself
10. Path to the dark Side

LINE-UP
Thomas Wedemeyer – drums
Christian Schomber – bass
Kevin Hauch – guitar
Max Seipke – voc/ guitar

TORMENTOR – Facebook

Dool – Here Now, There Then

La proposta dei Dool risulta profonda senza sconfinare in soluzioni cervellotiche, e il tutto viene eseguito in maniera esemplare: la spiccata varietà sonora non diviene sinonimo di dispersività, ma si rivela l’elemento decisivo per rendere Here Now, There Then un lavoro adatto ad ascoltatori dal differente background.

Dopo aver fatto conoscenza con i Dool l’anno scorso, in occasione dell’uscita del singolo Oweynagat non era difficile presagire che il loro primo lull length avrebbe potuto lasciato il segno.

La band olandese mantiene le promesse e rafforza l’impressione, avuta allora, di trovarsi al cospetto di un gruppo di musicisti di livello superiore: se poteva esserci un minimo dubbio in considerazione del fatto che azzeccare un singolo brano capita a molti, poi incapaci di mantenere uno stesso standard su lunga distanza, era stata la versione acustica del brano a farmela considerare una vera e propria epifania di un nuovo talento.
Oweynagat è presente in Here Now, There Then solo nella sua versione canonica ed il lavoro è, appunto, del tutto all’altezza del suo brano trainante: come detto all’epoca, non deve destare stupore neppure il fatto che tale opera sia pubblicata da una band all’esordio, visto che la line up vede all’opera protagonisti piuttosto conosciuti della scena underground olandese, tra cui membri di band come The Devil’s Blood e Gold, oltre alla più nota Ryanne van Dorst.
Non c’è dubbio che una vocalist cosi versatile e dalla spiccata personalità sia un vero valore aggiunto, ma non va sottovalutato l’operato dei suoi degnissimi compagni di viaggio, musicisti davvero sopraffini.
Anche i Dool, come altri gruppi trattati di recente, sono difficili da catalogare, ma affermare che il loro sound, a grandi linee, si snoda lungo coordinate doom, dark e psichedeliche non sarebbe un peccato, per quanto comunque non del tutto appropriato.
La bellezza di Here Now, There Then sta anche nel suo cambiare toni da una traccia all’altra, con episodi trascinanti e dallo sviluppo in progressivo crescendo, come l’opener Vantablack e la già citata Oweynagat, altri magari più ariosi e dal chorus incisivo (Golden Serpents e In Her Darkest Hour), per giungere a canzoni che rimandano in maniera più decisa al gothic dark (She Goat) o alle atmosfere cupe del doom (The Alpha).
La proposta dei Dool risulta profonda senza sconfinare in soluzioni cervellotiche, e il tutto viene eseguito in maniera esemplare: la spiccata varietà sonora non diviene sinonimo di dispersività, ma si rivela l’elemento decisivo per rendere Here Now, There Then un lavoro adatto ad ascoltatori dal differente background.
I Dool, pur a fronte di una storia ancora breve, stanno già ottenendo riscontri importanti ed un’attenzione che li porterà senz’altro ad occupare posizioni di prestigio in diversi festival estivi, in primis al Prophecy Fest di fine luglio: non c’è davvero nulla di fortuito in tutto questo …

Tracklist:
1.Vantablack
2.Golden Serpents
3.Words On Paper
4.In Her Darkest Hour
5.Oweynagat
6.The Alpha
7.The Death Of Love
8.She Goat

Line-up:
Ryanne van Dorst – Vocals/Guitar
Micha Haring – Drums
Job van de Zande – Bass
Reinier Vermeulen – Guitar
Nick Polak – Guitar

DOOL – Facebook

Bolesno Grinje – Grd

I titoli esprimono ovviamente la scelta di utilizzare testi in lingua croata, ma sinceramente è consigliato schiacciare il tasto play e farsi travolgere da questa mezz’ora di carneficina ininterrotta.

Tornano sul mercato i Bolesno Grinje, una vecchia conoscenza della scena estrema croata e nome storico se si parla di grind core.

Nato infatti con l’avvento del nuovo millennio, il gruppo di Pula ha dato alle stampe un buon numero di lavori tra cui otto full length, di cui Grd è l’ultimo devastante parto a base di un grindcore che regala ottimi passaggi vicini al classico death metal e all’hardcore, rendendo il lavoro vario e dalla presa immediata, cosa non facile se si suona questo genere.
Troviamo così doppia voce, testi in lingua madre, una carica violentissima ma con in mano il segreto per fare di questa raccolta di esplosioni e mitragliate estreme un album godibilissimo, non solo per  i fans del grind.
Orecchiabile e composto da un lotto di brani illuminati da un songwriting che nel genere è da considerarsi di livello superiore, Grd è un bombardamento a cui è difficile rinunciare: i Bolesno Grinje modellano la materia con una padronanza fuori dal comune e i brani, pur formando un massacro sonoro di notevole potenza, hanno nella varietà di stili ed influenze (si parla di generi ovviamente) l’arma per vincere la sfida con molte altre realtà dell’underground estremo.
I titoli esprimono ovviamente la scelta di utilizzare testi in lingua croata, ma sinceramente è consigliato schiacciare il tasto play e farsi travolgere da questa mezz’ora di carneficina ininterrotta, con un effetto deflagrante assolutamente garantito.

TRACKLIST
1.Rstrgn
2.Ne vjerujem nikome
3.Autobiografija propasti
4.Genijalci
5.Asimilacija
6.Abortus SS
7.Reakcija
8.Vratite mi mozak
9.Kurve establišmenta
10.Pseudo-grobar
11.Umjetnost je goli kurac
12.Dodimi mi ruku

LINE-UP
Hoc – bass
Jule – guitar
Luze – drums
Angeri – vocal

BOLESNO GRINJE – Facebook