SIKTH

Il lyric video di “Vivid”

I SIKTH PRESENTANO I DETTAGLI DEL LORO NUOVO ALBUM THE FUTURE IN WHOSE EYES?

I Re sono tornati! I Sikth, sestetto di Watford che ha portato alla creazione del djent metal, e che ha ispirato band come i Protest The Hero, TesseracT, Animals As Leaders e Periphery, è tornato con quello che sarà uno dei migliori album del 2017 – The Future In Whose Eyes?

L’uscita del disco è prevista per il 2 Giugno 2017 su Millennium Night, la nuova etichetta di proprietà di Snapper Music, già creatrice di Peaceville Records & Kscope, distribuita in Italia da Audioglobe.

Le voci sono state registrate nello studio del cantante Mikee W Goodman e nei R&R Studios (www.rnrstudios.co.uk) di Adrian Smith (Iron Maiden). Il disco segna anche il debutto del nuovo co-vocalist Joe Rosser, “Joe ha fatto un grande lavoro sul disco, ha una voce davvero potente e versatile” dice di lui Mikee. Chitarre e batteria sono stati registrati ai Monkey Puzzle House studios (www.monkeypuzzlehouse.com ). Dan Weller ha prodotto il disco e Adam “Nolly” Getgood (Periphery) lo ha mixato.

La copertina è spettacolare ed è stata creata da Meats Meier (www.3dartspace.com ), che conosce la band da molti anni, ed è considerato un genio assoluto e un visionario. Meats Meier racconta che “Questa immagine rappresenta il futuro e la dannazione della razza umana, che viene rovinata nella sua perfezione dalla sua necessità di continue innovazioni. Ma un piccolo errore rompe il macchinario e veniamo rispediti agli inizi.”

Il primo singolo “Vivid” è ora in vendita in digitale e in Instant download al pre-ordine dell’album. Guarda qui il lyric video di “Vivid”

L’album sarà disponibile in differenti versioni:

Deluxe 12” hardbook:
Libro di di 44 pagine, e contiene altri lavori di Meats Meier e i testi di Mikee Goodman
CD The Future In Whose Eyes? 12 Canzoni originali
CD The Future In Whose Eyes? 5 rivisitazioni delle canzoni realizzate da Dan Weller – “Ride The Illusion”, “Golden Cufflinks”, “Cracks Of Light”, “Century Of The Narcissist” e “Vivid”
CD The Future In Whose Eyes? 12 canzoni versioni strumentali.
10 copie della edizione deluxe scelte a caso che conterranno una canzone scritta a mano e firmata da Mikee W Goodman

CD:
The Future In Whose Eyes? 12 Canzoni originali

Gatefold LP di 180g
The Future In Whose Eyes? 12 Canzoni originali su vinile nero (con MP3 download code)
Edizione limitata su vinile color Viola Splatter e Arancione Splatter (con MP3 download code)

Digital download featuring:
The Future In Whose Eyes? 12 canzoni originali e download code di “Vivid” e “No Wishbones” scaricabili immediatamente per chi effettua il pre-ordine.
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(Photo credit: Gobinder Jhitta www.gobinderjhitta.co.uk )

SikTh are:
Mikee W Goodman – Voci
Dan Weller – Chitarra
Dan Foord – Batteria
James Leach – Bassi
Pin – Chitarra
Joe Rosser – Voci

www.sikth.band

WORDS THAT BURN

Il secondo video ufficiale degli irlandesi Words That Burn!

Il secondo video ufficiale degli irlandesi Words That Burn!

Il video ufficiale dei Words That Burn per la canzone “Mirror Perfect Mannequin”, tratta dall’album “Regret is for the Dead”, esce oggi sul canale Youtube/Vevo della band.

Choreography By: Amy Ford
Performed By: Amy Ford & Emma Larney
Director: Andrew Browne

WORDS THAT BURN
www.facebook.com/wordsthatburn
twitter.com/words_that_burn

Infernäl Mäjesty – No God

No God si presenta a noi come un mastodontico lavoro dalla durata di un’ora in cui il gruppo di Toronto ci travolge con il suo thrash/death violentissimo.

Qui si ripercorre la storia del thrash più estremo e senza compromessi sviluppatosi nella scena underground Canadese.

Gli Infernäl Mäjesty possono essere sicuramente considerati un gruppo storico nella fredda terra a nord degli Stati Uniti, il loro metal estremo distruttivo e maligno porta morte e pestilenze dalla metà degli anni ottanta, dunque la band si porta dietro un’aura leggendaria, ha attraversato trent’anni di musica metallica ed arriva più in forma che mai al traguardo del quarto album di una discografia che ha visto lunghe pause ma anche molti lavori minori.
No God si presenta a noi come un mastodontico lavoro dalla durata di un’ora dove senza compromessi il gruppo di Toronto ci travolge con il suo thrash/death violentissimo, pregno di attitudine evil e valorizzato da un lotto di brani dall’impatto devastante.
Il thrash metal degli Infernäl Mäjesty strizza l’occhio alla scena europea (Kreator), arricchito da molti elementi death e qualche spunto black, tra ritmiche furiose e cattiveria dispensata senza freni.
Licenziato dalla High Roller, l’album è curato nei minimi dettagli, prodotto e registrato benissimo, deflagrando in tutta la sua carica sin dall’opener Enter The World Of The Undead.
La produzione secca e metallica gli conferisce un tocco moderno, così pur vivendo di attitudine old school, il sound risulta una bomba nera scagliata sul mondo, mentre la violenza tout court di In God You Trust ci investe micidiale e senza pietà.
La title track ci ricorda di un mondo senza Dio, mentre la band di Mille Petrozza danza sui cadaveri con gli Slayer, e i fratelli death e black metal intonano canti di morte.
Questo ricorda la musica contenuta in un album in cui Nation Of Assassins é un inferno ritmico, e la coppia conclusiva formata da Systematical Extermination e Extinction Level Event produce una devastante propulsione atta alla più fantomatica distruzione.
Ottime le prove dei musicisti e perfetto l’inserimento di importantissimi elementi melodici che offrono riusciti spunti classici con l’egregio lavoro negli assoli e nei rari momenti atmosferici.
Uun lavoro curatissimo e sorprendete da un gruppo magari poco conosciuto dalle nostre parti ma che, nell’underground, può vantare un prezioso curriculum.

TRACKLIST
1.Enter The World Of The Undead
2. In God You Trust
3. Signs Of Evil
4. Another Day In Hell
5. Kingdom Of Heaven
6. No God
7. False Flag
8. Nation Of Assassins
9. House Of War
10. Systematical Extermination
11. Extinction Level Event

LINE-UP
Christopher Bailey – vocals
Kenny Hallman – guitar
Steve Terror – guitar
Daniel Nargang – bass
Kiel Wilson – drums

INFERNAL MAJESTY – Facebook

AlNamrood – Enkar

Enkar si mantiene sulla linea dei lavori precedenti degli AlNamrood, lasciando pressoché immutate le coordinate e, conseguentemente, le buone impressioni che ne derivano.

A chi è convinto (un gran numero di persone, purtroppo) che tutti gli arabi, indistintamente, siano dei fanatici devoti ad Allah e pronti a farsi saltare per aria accecati dalla fede per il proprio dio, consiglierei, se non di ascoltare questo disco, quanto meno di prendere atto che esiste chi alla tirannia religiosa prova a ribellarsi anche nei paesi più strettamente connessi con la jihad islamica, quale è appunto l’Arabia Saudita.

Uno strumento di dissenso magari non consueto, e forse anche per questo più efficace, può essere suonare musica metal, un genere che sappiamo non essere visto di buon occhio neppure in paesi teoricamente a minore rischio di integralismo; se poi il tutto si trasforma in un black death dai testi chiaramente antireligiosi, si può ben capire come mai degli AlNamrood si conoscano solo gli pseudonimi, vista la necessità di mantenere l’anonimato per salvare essenzialmente la pelle (pur avendo base i nostri, probabilmente, nel ben più accogliente Canada).
Non si creda peraltro che questo sia un problema esclusivamente islamico: in India, per esempio, gli Heathen Beast, con la loro feroce critica nei confronti della tirannia di matrice induista, corrono esattamente gli stessi rischi. Alla fine il messaggio di tutti questi musicisti coraggiosi è finalizzato a far capire, anche a chi segue culti oggi un po’ più “annacquati” e di convenienza, quanto la religione sia in assoluto il vero cancro del pianeta, il male capace di obnubilare le menti costituendo una delle leve principali manovrate dai dai potenti per controllare le masse.
Venendo all’aspetto prettamente musicale, degli AlNamrood avevamo già parlato in occasione del loro precedente lavoro, apprezzandone il tentativo di fondere le sonorità estreme con quelle tradizionali della propria terra; Enkar si mantiene su questa linea lasciando pressoché immutate le coordinate e, conseguentemente, le impressioni derivanti dall’ascolto: la musica degli AlNamrood gode di una notevole intensità, è suonata e prodotta in maniera soddisfacente e risulta coinvolgente il giusto, anche se proprio per come è strutturata non sempre scorre in maniera fluida come dovrebbe.
In effetti, il black proposto dal trio arabo ha un andamento piuttosto simile per tutta la durata del lavoro, con rade accelerazioni rispetto alle quali viene privilegiato un mid tempo la cui ritmica si adegua, necessariamente alla particolare metrica della lingua araba: in definitiva, la condizione essenziale per apprezzare Enkar e tutta la precedente produzione degli AlNamrood è quella d’essere appassionati non solo di metal estremo ma anche di sonorità etniche, e mediorientali in particolare.
Non so quante persone rispondano effettivamente a tali requisiti, per cui l’album potrebbe essere anche un buon pretesto, da parte di chi predilige uno dei due aspetti, per fare un full immersion nell’altro. Per quanto mi riguarda, ascolto sempre con piacere soluzioni sonore di questo genere, provando a non farmi influenzare dalla naturale empatia nei confronti di questi ragazzi, anche se mi rendo conto di quanto questi quaranta minuti possano rivelarsi di complessa digestione per molti.
A tutti consiglio di ascoltare una traccia come Ensaf, quella in cui la commistione tra gli strumenti tradizionali ed il metal estremo funziona decisamente meglio: fatto questo passo e presa familiarità con il sound degli AlNamrood, Enkar  potrebbe rivelarsi molto più di una semplice anomalia geo-musicale.

Tracklist:
1. Nabth
2. Halak
3. Xenophobia
4. Estibdad
5. Efsad
6. Estinzaf
7. Ensaf
8. Egwaa
9. Ezdraa
10. Entiqam

Line-up:
Mephisto: Guitars/Bass
Ostron: Middle Eastern Instruments
Humbaba: Vocal

ALNAMROOD – Facebook

Valgrind – Seal Of Phobos

Un ep che riprende la storia del death e la trasporta nel nuovo millennio, un modo per conoscere questa ennesima ottima realtà nostrana ed andarsi a cercare i due precedenti lavori sulla lunga distanza.

All’interno del death metal dalle sembianze più pure ed old school, i Valgrind li possiamo sicuramente definire una band storica, visto che l’anno di inizio delle ostilità segna il 1993; dopo una lunga serie di demo ed un silenzio di una decina d’anni tra il 2002 ed il 2012, il gruppo ha sfornato due full length, Morning Will Come No More e Speech of the Flame, uscito lo scorso anno.

La band emiliana torna a distanza di pochissimo tempo con questo nuovo ep di cinque brani, intitolato Seal Of Phobos, che ribadisce la totale radice old school del sound del gruppo dell’ex Raw Power Gianmarco Agosti e la sua devozione per i Morbid Angel e il death metal floridiano.
Un terremoto sonoro di soffocante bellezza estrema lo sono anche questi cinque brani, che riportano al death suonato nei primi anni novanta, un’infernale parentesi musicale dove lo storico gruppo floridiano viene tributato, non andando oltre all’era Altar Of Madness/Blessed Are The Sick.
In questi tempi di rivalutazione delle sonorità del passato, i Valgrind non mancheranno di stupire chi ancora non li conoscesse, e fin dall’opener The Endless Circle ci investono con la loro diabolica furia estrema senza compromessi.
Seal Of Phobos è un ep che riprende la storia del genere e la trasporta nel nuovo millennio, un modo per conoscere questa ennesima ottima realtà nostrana ed andarsi a cercare i due precedenti lavori sulla lunga distanza, almeno per chi si ritiene amante del genere.

TRACKLIST
01. The Endless Circle
02. New Born Deceit
03. Prelude To Downfall (Interlude)
04. Traitors Will Bleed
05. Ekphora’s Day

LINE-UP
Daniele Lupidi – Vocals, bass
Massimiliano Elia – Guitas, keys
Umberto Poncina – Guitars, keys
Gianmarco Agosti – Drums

VALGRIND – Facebook

Jesters Of Destiny – The Sorrows That Refuse to Drown

I Jester Of Destiny hanno preso un contenitore e lo hanno riempito della musica rock a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, agitandolo per bene e creando un mix delle scene musicali che sono diventate storia.

Se si parla di rock vintage penso che un album come The Sorrows That Refuse to Drown sia un manifesto più che esauriente del ritorno dei suoni old school, anche se in questo lavoro non si può certamente parlare di hard rock o heavy metal, ma appunto rock come si faceva tra gli anni sessanta e settanta.

I Jesters Of Destiny sono un gruppo nato a Los Angeles nella prima metà degli anni ottanta, anche se dell’air metal suonato nel Sunset Boulevard nella loro musica non se ne trova neanche un po’.
Il loro sound si è sviluppato (purtroppo) in soli due lavori; il primo album uscito nel 1986, intitolato Fun At The Funeral e l’ep dell’anno dopo, In A Nostalgic Mood, poi un silenzio lungo trent’anni, ed il ritorno assolutamente inaspettato, tramite Ektro Records, con The Sorrows That Refuse to Drown, ovvero un album di rock psichedelico, glam, punk e progressive nato sul finire degli anni sessanta ed uscito nel 2017.
Ovviamente la loro proposta non mancherà di far storcere il naso a più di un purista, vista l’alternanza di atmosfere e sfumature che vanno dal glam patinato dei T.Rex e David Bowie a quello proto punk di Iggy Pop, dagli MC5 alla psichedelia dei Beatles, dal blues sporco e drogato degli Stones ad accenni progressivi dove un sax allucinato porta il sound verso corti dove regnano i King Crimson, mentre un sentore di Rocky Horror Picture Show si fa spazio tra lo spartito dell’opera.
Tra i brani, Sunset Boulevard, dedicata alla famosa strada del rock’ n’ roll, inaspettatamente risulta un brano elettro glam, mentre si continua a viaggiare nel tempo, salti anche rischiosi tra un genere e l’altro che potrebbero portare molte critiche alla proposta del gruppo, specialmente se non si ha dimestichezza con la musica rock di qualche decennio fa.
I Jesters Of Destiny hanno preso un contenitore e lo hanno riempito della musica rock a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, agitandolo per bene e creando un mix delle scene musicali che sono diventate storia, così che l’album risulta un oldies but goldies, ed ogni brano è una sorpresa.

TRACKLIST
1.Fire in the Six Foot Hole
2.The Flesh Parade
3.Ladies of Runyon Canyon
4.My Card, Sir
5.Chalk Outline
6.The Misunderstood
7.’Til the Following Night
8.Sunset Boulevard
9.Peace, Blood and Charlie Cocaine
10.Another Fire Six Feet Deep
11.Happy Ending

LINE-UP
Bruce Duff ~ Bass, Vocals
Dave Kuzma ~ Drums
Michael Montano ~ Guitars
Ray Violet ~ Guitars, Keyboards

JESTERS OF DESTINY – Facebook

Diĝir Gidim – I Thought There Was the Sun Awaiting My Awakening

Da un luogo “sconosciuto” notevole esordio di incompromissorio e magmatico black metal.

Entità aliene provenienti da lontani mondi, demoni sputati fuori da innominabili profondità, questo il quesito che mi sono posto ascoltando i Diĝir Gidim, duo proveniente da un luogo ignoto, che esordisce dal nulla con un opus misterioso, affascinante, per nulla di facile ascolto.

L’unica notizia è che uno dei due musicisti, Lalartu, ha esordito nel 2016 con il suo progetto black ambient Titaan, mentre Utanapistim Ziusudra, che suona tutti gli strumenti, è del tutto sconosciuto. La label italiana ATMF, sempre attenta nella ricerca di nuove emozioni black metal, li fa esordire con un full di quattro lunghe composizioni all’insegna di un black metal intenso, magmatico, cangiante, ritualistico, devoto al fascino di antichi mondi, in questo caso la Mesopotamia; il Diĝir è un simbolo cuneiforme che rappresenta la suprema divinità Anu deus otiosus, mentre Gidim rappresenta l’ombra o lo spirito della persone morte; già altre band hanno subito il fascino delle Civiltà Egizie, vedi Nile e Melechesch, ma con i Diĝir Gidim il tutto, sia a livello concettuale che a livello musicale, si spinge maggiormente in profondità scavando a fondo e generando gelide emozioni in chi si vorrà far trasportare in questo flusso infinito di note e vocals straziate.
I quattro lunghi brani costituiscono un flusso costante e continuo in cui ritualistici cori, scream feroci e incompromissori, note dissonanti di chitarre si inseguono, si confondono per creare un massa incandescente dove alcune linee melodiche sono talmente oscure da atterrire l’ascoltatore; il termine estremo in questo caso assume, per chi vi si avventura, un effetto assolutamente catartico. Le spire gelide di vortici impazziti nell’oscurità infernale del primo magnifico brano si collegano, si amalgamano con cori di dei ancestrali, adorati ma non capiti, in un continuum senza luce né speranza, in abissi infiniti dove non vi è alcun filtro ma solo nichilismo assoluto: la presenza di un dio autoritario e vendicativo nega a menti schiave qualunque forma di ribellione e affrancamento. Il sound, che trova la sua genesi nei Deathspell Omega, nei Blut Aus Nord, è ribollente, non conosce pause liberatorie, tutto si stratifica, si attorciglia, si fonde e lascia alla fine dell’ascolto una sensazione di spossante purificazione. Da assimilare a piccole dosi, ma assolutamente da sentire!

TRACKLIST
1. The Revelation of the Wandering
2. Conversing with the Ethereal
3. The Glow Inside the Shell
4. The Eye Looks Through the Veils of Unconsciousness

LINE-UP
Utanapištim Ziusudra – All instruments and Music
Lalartu – Vocals and lyrics

DIGIR GIDIM – Facebook

src=”https://bandcamp.com/EmbeddedPlayer/album=2322564852/size=small/bgcol=ffffff/linkcol=0687f5/transparent=true/” seamless>I Thought There Was the Sun Awaiting My Awakening by DIGIR GIDIM