THEBUCKLE

Il video della canzone Hey You, tratta dal loro nuovo album Labbrador.

Gli Stoner Hard Rockers italiani THEBUCKLE svelano oggi il loro nuovo video ufficiale. La canzone “Hey You” è tratta dal loro nuovo album “Labbrador”.

“Labbrador” è stato pubblicato da Argonauta Records ed è disponibile qui

ITCHY

Il video del nuovo singolo ‘Nothing’

ITCHY firmano per Arising Empire e pubblicano il nuovo singolo ‘Nothing’!

Il loro vecchio nome Itchy Poopzkid abbreviato in ITCHY, un nuovo album in arrivo e tanti piani per il 2017: Sibbi, Panzer, e Max sottolineano che – anche dopo 15 anni di storia della band, sei album e più di 900 show in oltre 20 paesi differenti – c’è ancora molto da dire. Ora!

Con il nuovo singolo ‘Nothing’, la band offre un primo assaggio del nuovo disco. Per enfatizzare i testi di critica sociale delle canzoni, gli ITCHY hanno realizzato un video forte e decisamente arrabbiato. Se c’è un modo per i vecchi musicisti della scena punk rock di “passare alla maggiore età” è sicuramente questo.

Acquista la traccia in digitale: https://Itchy.lnk.to/Nothing

Gli ITCHY sono:
Sibbi – voce, chitarra
Panzer – voce, basso
Max – batteria

Homepage: www.itchyofficial.de
Facebook: www.facebook.com/itchyofficial1
Instagram: https://www.instagram.com/itchyofficial1/
Twitter: https://twitter.com/itchyofficial1

Space Witch – Arcanum

Un sound che è più di quanto disturbato si possa trovare in giro se si parla di doom metal, una musica che rispecchia jam drogate e pesantissime, un labirinto sonoro dove ragione e pazzia vivono divise da una linea sottile.

Gli Space Witch, realtà doom psichedelica nata Stoke On Trent, in Gran Bretagna, sono attivi da circa un decennio.

Una manciata di lavori minori ed un debutto omonimo compongono la discografia del quartetto, che con questo nuovo album attacca direttamente la labile mente di chi, ignaro, si avvicina senza le dovute precauzioni alla sua musica.
Un sound che è più di quanto disturbato si possa trovare in giro se si parla di doom metal, una musica che rispecchia jam drogate e pesantissime, un labirinto sonoro dove ragione e pazzia vivono divise da una linea sottile, mentre il viaggio intrapreso dalla mente si fa subito irto di insidie già dalle prime note dell’opener Astro Genocide.
Quattro brani per quaranta minuti di musica assuefatta da allucinate parti psych rock, doom ancestrale e dosi micidiali di stoner desertico, ma non di questa terra.
Su Battle Hag ci si perde in deserti spaziali, mentre il lungo incedere della nociva Cosmonoid si ripercuote sull’integrità mentale di chi ascolta, tratteggiata da armonie orientaleggianti che si affacciano sul vuoto cosmico, in un black hole di luci e ombre, claustrofobici giochi nel nero eterno dell spazio profondo.
Hex conclude l’album, si rifà vivo il canto declamatorio di chi ci mette in guardia sul perdersi in questo viaggio mentale che richiama Ufomammut, Electric Wizard, Hawkwind e Sleep, drogati e persi nel sound degli Space Witch.
Album da maneggiare con molta cura, le controindicazioni sono  fatali, così che Arcanum è consigliato ai soli fans di questo micidiale genere.

TRACKLIST
1.Astro Genocide
2.Battle Hag
3.Cosmonoid
4.Hex

LINE-UP
Daz Rowlands – Guitar/FX
Dan Mansfield – Drums
Peter Callaghan – Electronics
Tomas Cairn – Bass

SPACE WITCH – Facebook

None – None

Al di là del ridotto potenziale innovativo, un album di questo tipo lo si ascolta sempre volentieri, specialmente quando viene suonato e composto con tutti i crismi e con la dovuta intensità, e senza che ci si perda in troppi passaggi interlocutori.

Interessante lavoro da parte di questa band americana dedita ad un black metal atmosferico e dalle forti sfumature depressive.

Tre brani per circa una mezz’ora di buona musica sono il fatturato di quest’album autointitolato, pubblicato dalla Hypnotic Dirge: anche se il monicker None non è certo di quelli che si ricordano in maniera imperitura ed il genere suonato è discretamente inflazionato, il lavoro regala con buona continuità quelle sonorità oscillanti tra malinconia e disperazione, pescando con un certo equilibrio tra le due anime che confluiscono nelle composizioni.
Il depressive black prende campo specialmente quando è lo screaming straziante ad occupare la scena, mentre la componente atmosferica prevale nei momenti prettamente strumentali; peraltro, la copertina è piuttosto indicativa di quanto ci si possa attendere dalla musica della misteriosa band di Portland, per cui gli scenari esibiti corrispondono al senso di freddo e desolazione che prima o poi ognuno percepisce provando a scavare in profondità dentro sé stesso.
Al di là del ridotto potenziale innovativo, un album di questo tipo lo si ascolta sempre volentieri, specialmente quando viene suonato e composto con tutti i crismi e con la dovuta intensità, e senza che ci si perda in troppi passaggi interlocutori.
None non rappresenta nulla che possa stravolgere le gerarchie del metal underground ma è sicuramente un ascolto che non deluderà chi ama questo tipo di sonorità.

Tracklist:
1 – Cold
2 – Wither
3- Suffer

Revenge – Metal Is: Addiction and Obsession

Più tradizionalmente speed rispetto all’ultimo album, Metal Is: Addiction And Obsession ci travolge con il suo tsunami di note suonate a velocità improbabili: le ritmiche funzionano, i brani si fanno apprezzare coinvolgendo e i Revenge ne escono benissimo.

Imperdibile ristampa a cura della EBM records dedicata agli amanti dello speed/thrash old school.

Dalla Colombia tornano i Revenge con uno dei loro lavori più riusciti, il devastante Metal Is: Addiction and Obsession, album uscito originariamente nel 2011.
La storica band di Medellin, può vantare una discografia infinita composta da sei album ed una marea di ep e lavori minori.
A suo tempo il sottoscritto si era occupato dell’ultimo full length del gruppo, uscito ormai tre anni fa ed intitolato Harder Than Steel, un vulcano di suoni heavy metal tra speed e thrash, una velocissima discesa senza freni nel mondo del metal più puro e tradizionale.
Harder Than Steel risultava una gran bella mazzata così come questo precedente lavoro, ancora più violento e velocissimo, fatto di otto brani più quattro bonus track che presentano il gruppo in sede live.
Si va sparati verso l’inferno con questo manifesto metallico composto da mitragliate senza tregua, a partire dall’inno Steel Metal To The Bone, passando per i vati titoli che sono delle dichiarazioni d’intenti come Metal Rules My Life (esagerata), No Speed Limit For Destruction e Fire Attack.
Potrà piacere o meno, ma il genere, oltre ad essere uno dei più puri e storici tra quelli metallici, lo si deve anche saper suonare ed i Revenge non mancano certo di tecnica, conquistando con ritmiche al limite dell’umano e solos che lasciano a terra striature infuocate come il passaggio del Ghost Rider.
Più tradizionalmente speed rispetto all’ultimo album, Metal Is: Addiction And Obsession ci travolge con il suo tsunami di note suonate a velocità improbabili: le ritmiche funzionano, i brani si fanno apprezzare coinvolgendo e la band ne esce benissimo.
Aspettiamo il nuovo lavoro di questi re dello speed metal sudamericano, le premesse sono ottime … stay (speed) metal!

TRACKLIST
1.Intro – Hell Avenger (Let’s Go to Hell and There Hail to Satan)
2.Speed Metal to the Bone
3.Plague of Death
4.Metal Rules My Life
5.No Speed Limit for Destruction
6.Addiction and Obsession
7.Satan’s Warriors
8.Fire Attack
9.Motorider
10.Fire Attack
11.Hell Avenger
12.Metal Warriors

LINE-UP
Jorge “Seth” Rojas – Bass
Esteban “Hellfire” Mejía – Vocals, Guitars
Daniel “Hell Avenger” Hernandez – Drums
Night Crawler – Guitars (lead)

REVENGE – Facebook

Frailty – Ways Of The Dead

Questo ritorno dei Frailty mostra una decisa sterzata verso un indurimento sonoro che, comunque, non snatura l’indole doom della band, ma ne sposta con più decisione le coordinate sonore verso il death.

Terzo full lenght per il lettoni Frailty, band che in oltre un decennio decennio di attività non ha certo brillato per prolificità, contrariamente alla qualità sonora esibita, sempre all’insegna di un death doom di prima qualità.

Melpomene, uscito nel 2012, era un album che in parte risentiva di una tracklist nella quale convergevano brani composti in fasi diverse della storia del gruppo, per cui a tratti affiorava una certa discontinuità che veniva comunque compensata al meglio dalla bontà complessiva di ogni singolo episodio.
Ways Of The Dead si nutre di tematiche lovecraftiane e la band di Riga inasprisce non poco il proprio approccio, ripartendo in qualche modo dal brano che apriva il precedente lavoro, Wendigo: i riferimenti naturali cessano così d’essere i maestri del death doom melodico nordeuropeo, lasciando invece che l’ispirazione veleggi oltreoceano, assimilando e rielaborando spunti prossimi ai Novembers Doom .
Tale scelta, se inizialmente spiazza, in corso d’opera si rivela convincente anche se le atmosfere dolenti e malinoniche del passato divengono un ricordo e senz’altro mancheranno a chi predilige maggiormente questo aspetto nel death doom: i nostri scaricano così’ una bella gragnuola di colpi, senza perdere del tutto di vista le proprie radici doom ma rendendole davvero granitiche e aspre in diversi passaggi.
Un impatto più fisico che emotivo, di matrice essenzialmente death, pare essere quindi il filo conduttore di un lavoro che, tutto sommato, va in senso contrario alle abitudini consolidate, che vedono le band semmai ammorbidire il proprio sound con il passare del tempo.
Anche quando il doom, nella sua forma più consueta, prende finalmente campo nel finale con la notevole Alhazred (nome ben noto ai lovecraftiani incalliti), ciò avviene comunque in maniera molto più densa ed oscura che non cristallina ed emotiva.
Un inquietante ronzare di insetti (meglio non sapere attorno a cosa, ma è facile immaginarlo) chiude un album che potrà lasciare qualche perplessità ai primi ascolti, per poi risultare sempre più incisivo man mano che si familiarizza con mazzate quali l’opener And The Desert Calls My Name, Cthulhu, Ia Shub Niggurrath e Scorpion’s Gift, anche se il finale, come detto, riporta ad un approccio più vicino allo stile del passato con la traccia di chiusura. Fa abbastanza storia a sé la a tratti orientaleggiante The House In The Lane Of Scholars, con accenni che si spingono fino ai migliori Iced Earth.
In definitiva, questo ritorno dei Frailty mostra una decisa sterzata verso un indurimento sonoro che, comunque, non snatura l’indole doom della band, ma ne sposta con più decisione le coordinate sonore verso il death, perdendo qualcosa in fascino ed acquistando altrettanto in concretezza: tra il dare e l’avere preferisco sempre tenermi Melpomene, ma Ways Of The Dead resta comunque una buonissima prova.

Tracklist:
1. And The Desert Calls My Name
2. Daemon Sultan
3. Cthulhu
4. Whit The Deep Ones I Descend
5. Tombs Of Wizards
6. Ia Shub Niggurrath
7. The Beast Of Baylon
8. Scoropion’s Gift
9. The House In The Lane Of Scholars
10. Alhazred

Line up:
Mārtiņš Lazdāns – Vocals
Edmunds Vizla – Guitars & Vocals
Jēkabs Vilkārsis – Guitars
Andris Začs – Bass
Lauris Polinskis – Drums & Percussions

FRAILTY – Facebook

Rainbow Bridge – Dirty Sunday

I Rainbow Bridge sono un trio di bluesmen pugliesi che, per anni, ha portato in giro la musica del grande Jimi Hendrix e oggi sono pronti a conquistarvi con il loro rock strumentale.

Un giorno tre musicisti si persero tra le strade arse dal sole nel bel mezzo della loro terra natia, la Puglia.

Il caldo soffocante, la terra che bruciava sotto i piedi e la loro predisposizione per l’immaginario rock blues li fece fermare davanti ad un crocicchio, che agli occhi dei tre apparve come uno dei famosi incroci nelle terre del sud del nuovo continente ,dove i bluesman incontrano il loro signore, un omino diabolico che in cambio dell’anima offre le chiavi del successo per molti, ma per altri il segreto di suonare la sua musica.
Davanti ai loro occhi, Robert Johnson, Jimi Hendrix ed Alvin Lee, come i fantasmi dei cavalieri Jedi nella famosa saga di Star Wars, si presentarono e posarono le loro mani sui tre musicisti che si risvegliarono al tramonto con nella testa le note che compongono Dirty Sunday il loro nuovo lavoro, una fantastica jam strumentale, divisa in cinque capitoli di blues rock, stonerizzato, ipnotico e coinvolgente.
Loro sono i Rainbow Bridge, un trio di bluesmen pugliesi che, per anni, ha portato in giro la musica del grande Jimi Hendrix e oggi sono pronti a conquistarvi con il loro rock strumentale.
Attenzione però, perché in Dirty Sunday troverete sicuramente un po’ di ispirazioni dal musicista di Seattle, ma non solo, perché appunto, Giuseppe Jimi Ray Piazzolla (chitarra), Fabio Chiarazzo (basso) e Paolo Ormas (batteria), in quel crocicchio vennero effettivamente toccati dalla sacra triade e cosi la loro jam di trasforma in un notevole tributo ad un pezzo importantissimo della storia della musica moderna tra hard rock, blues e stoner della Sky Valley, che tra una trentina d’anni, quando ormai il sottoscritto lo troverete a fumarsi qualcosa con Jimi, sarà considerato il genere più influente dei decenni tra il 1990 ed i primi sussulti del nuovo millennio, ovviamente parlando di rock.
L’opener Dusty, la stupenda Hot Wheels e la zeppeliniana Rainbow Bridge ( ah, ci sono anche loro ovviamente) le componi solo se i tuoi angeli custodi rappresentano la storia dei chitarristi blues rock.
Bellissimo

TRACKLIST
1. Dusty
2. Dirty Sunday
3. Maharishi suite
4. Hot Wheels
5. Rainbow Bridge

LINE-UP
Giuseppe Jimi Ray Piazzolla – guitar
Fabio Chiarazzo – bass, guitar
Paolo Ormas – drums

RAINBOW BRIDGE -Facebook