Il video di Sick, tratto dall’album Outlier.
TWELVE FOOT NINJA
Il video di Sick, tratto dall’album Outlier.
Il video di Sick, tratto dall’album Outlier.
Il video di Sick, tratto dall’album Outlier.
Il video del singolo Violent Paranoia.
Il video del singolo Violent Paranoia.
Phoenix, Arizona. Quando ormai ci eravamo arresi alla vittoria sulla scena metallica americana del metalcore, ecco che come cavalieri indomiti del new groove metal, arrivano a mettere tutto ancora una volta in discussione i Murkocet, giovane band che assalta il fortino core con un sound violentissimo, moderno ma dall’attitudine new thrash, un treno in corsa che sbaraglia la concorrenza a colpi di metal estremo di una violenza disumana.
Si può essere brutali anche suonando generi più in voga, la lezione i Murkocet l’hanno imparata dagli Slipknot, con la differenza che gli spunti chiaramente death del gruppo di Des Moines nel sound del quartetto si trasformano in ventate atomiche di thrash/groove metal.
Basta poco più di mezzora e l’inferno è servito da bordate ritmiche supportate da una carica estrema debordante, ottime e finalmente valorizzate soluzioni nu metal, rese penetranti da un songwriting notevole, una produzione adeguata ed un’attitudine brutale che si evince dall’uso vario ed a tratti animalesco della voce da parte del singer Richie Jano.
L’album parte con l’intro The Definition ed il massacro viene perpetrato dal gruppo fino a metà album, diviso in due dall’acustica Tranquil, un minuto e mezzo di accordi che ci preparano alla seconda parte, un’altra overdose di violenza che ha nel new thrash metal di California Smile l’ apice distruttivo, in Repo Man la furia iconoclasta e nella conclusiva The Beginning la potenza devastante del groove.
Nella prima parte ci avevano pensato Strip Club Massacre e Dead World a rendere la vita dei nostri padiglioni auricolari un inferno, confermando l’alta qualità della musica prodotta dai Murkocet, che si confermano una notevole macchina da guerra.
Sarà moderno, neanche troppo originale, ma il sound di Digging Mercy’s Grave è pura violenza in musica: non è poco.
TRACKLIST
1.The Definition
2.Strip Club Massacre
3.Dust Cloud
4.Tombstones
5.Dead World
6.Tranquil
7.California Smile
8.Repo Man
9.Overdose
10.Lights Out
11.The Beginning
LINE-UP
Brandon Raeburn – Bass
Mike Mays – Drums
Nate Garrett – Guitars
Richie Jano – Vocals
VOTO
7.80
URL Facebook
http://www.facebook.com/murkocetmetal/
URL YouTube, Soundcloud, Bandcamp
DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO
Sarà moderno, neanche troppo originale, ma il sound di Digging Mercy’s Grave è pura violenza in musica, non perdetelo.
Siamo arrivati in fondo in un battito di ciglia e resta un piacevole senso di soddisfazione nell’ascoltare un album del genere firmato da una band italiana.
Che lo vogliate chiamare happy metal o nerd metal (termine forgiato dalla band) il sound dei nostrani Skeletoon è un notevole esempio di power metal teutonico, tra Helloween, Freedom Call ed Edguy, niente di più e niente di meno.
Il bello è che la band il suo mestiere lo sa fare alla grande ed anche questo Ticking Clock, secondo lavoro dopo il pur ottimo The Curse Of The Avenger, risulta un piacevole tuffo nelle melodie metalliche di estrazione power e dallo straordinario appeal.
Il gruppo del bravissimo singer Tomi Fooler (talento della scuola Sammet) continua per la sua strada e se il primo lavoro era una raccolta di brani power solari e divertenti, in Ticking Clock il tiro viene leggermente ritoccato per spostarsi verso un sound che, pur mantenendo le caratteristiche dell’album precedente, sprizza maturità e consapevolezza.
Tradotto, si scherza ma fino ad un certo punto, gli Skeletoon hanno indurito i suoni, fanno sempre divertire, ma sanno regalare sprazzi di musica più ragionata ed a tratti epica, proprio come il gruppo di Chris Bay (Chasing Time da questo lato è una bomba power devastante).
Curato nei minimi dettagli, l’album è molto vario nelle atmosfere che attraversano le diverse tracce, come se la solarità del power metal melodico fosse attraversata da nuvole oscure ed in alcuni casi, come nella splendida The Awakening, da venti progressivi.
Ottime le performance dei musicisti della band, con un accento sulle prove soliste dei due chitarristi (Andy “K” Cappellari e Davide Piletto) e di una coppia ritmica che non dà tregua quando la musica del gruppo parte come una formula allo spegnimento del semaforo rosso (Charlie Dho al basso ed Henry Sidoti alle pelli), tanto per ribadire che per suonare il genere è indispensabile il talento anche sotto l’aspetto tecnico.
Non mancano, come nel primo lavoro, ospiti che nobilitano e valorizzano alcuni dei brani presenti come Jonne Jarvela (Korpiklaani), Piet Sielck (Iron Savior) e Jens Ludwig (Edguy), mentre Guido Benedetti dei Trick Or Treat, oltre a suonare la sei corde, ha aiutato il gruppo nella fase compositiva.
Siamo arrivati in fondo in un battito di ciglia e resta un piacevole senso di soddisfazione nell’ascoltare un album del genere firmato da una band italiana.
TRACKLIST
1.Dreamland
2.Drowning Sleep
3.Night Ain’t Over
4.Watch over Me
5.Chasing Time
6.Ticking Clock
7.Mooncry
8.Falling into Darkness
9.Awakening
LINE-UP
Tomi Fooler – Vocals
Andy “K” Cappellari – Rhytm/Lead Guitar
Davide Piletto – Rhytm/Lead Guitar
Charlie Dho – Bass Guitar
Henry Sidoti – Drums
Featuring: GUIDO BENEDETTI from TRICK OR TREAT: Composer and guitars
JONNE JÄRVELÄ from KORPIKLAANI as “The Nightmare”
PIET SIELCK from IRON SAVIOR as “THE FATHER”
JENS LUDWIG from EDGUY as “THE TIME” T
OMIKA FULIDA from LUNAMANTIS as “THE LAST STAR SHINING”
Progressive death metal che si contorna di ritornelli melodici che ricordano a più riprese quelli in uso nell’abusato metalcore, anche se qui non siamo negli Stati Uniti ma in Scandinavia, ed il sound dei Damnation Plan si rivolge ai gusti degli amanti del death metal melodico.
Progressive death metal che si contorna di ritornelli melodici che ricordano a più riprese quelli in uso nell’abusato metalcore, anche se qui non siamo negli Stati Uniti ma in Scandinavia, ed il sound dei Damnation Plan si rivolge ai gusti degli amanti del death metal melodico.
In breve la descrizione di questo lavoro potrebbe concludersi così, ma fortunatamente Reality Illusion non si ferma alle apparenze e risulta nel suo complesso un buon lavoro.
Partiamo dal primo ed importantissimo tassello: il mixing dell’album è stato affidato al sapiente Dan Swanö, una garanzia di qualità per i fans del genere, l’album non si perde in facili ed abusate atmosfere alla Opeth (tanto per levare ogni dubbio) ma è caricato a pallettoni estremi con la scritta At The Gates in bella evidenza sul calcio della mitragliatrice, mentre l’uso metodico della doppia voce (scream e pulita) lascia come detto un sapore amaro di metalcore.
Il sound di brani come Beyond These Walls e Rules Of Truth è un death melodico dalle ritmiche frenetiche, tra At The Gates e Soilwork, le sfumature progressive si fanno largo tra chorus moderni, l’alternanza tra lo scream e le cleans ispira note che arrivano dalle coste statunitensi più che perse nelle nostalgiche valli innevate della Finlandia, creando un sound perennemente in bilico tra le due tradizioni che ispirano la musica del gruppo.
The Empowerment e Maze Of Despair, oltre ad essere il cuore dell’album sono le prime avvisaglie di una sterzata verso il death melodico progressivo e qui i Damnation Plan inseriscono una marcia in più, confermato dall’epico incedere di Iron Curtain Falls, mentre la title track torna a parlare americano e manda Reality Illusion verso la conclusione viaggiando su strade già percorse con le prime tracce.
Per la cronaca Don’t Talk To Strangers, cover dello storico brano di Dio, conclude un album che vive dei contrasti tra le due correnti principali che ispirano il sound del gruppo, se sia pregio o difetto giudicate voi, a mio parere una decisa sterzata verso il death metal progressivo sarebbe più consono alla musica dei Damnation Plan.
TRACKLIST
1. Intro
2. Beyond These Walls
3. Rulers Of Truth
4. Rise Of The Messenger
5. Blinded Faith
6. The Empowerment
7. Maze Of Despair
8. Iron Curtain Falls
9. Reality Illusion
10. A Chapter In Greed
11. The Final Destination
12. Don’t Talk To Strangers (Dio Cover)
LINE-UP
Tommy Tuovinen – Vocals
Asim Searah – Vocals
Kalle Niininen – Guitars
Annti Lauri – Guitars
Jukka Vehkamaa – Bass
Jarkko Lunnas – Drums
Il disco è molto ben bilanciato fra pesantezza e melodia, fra accelerazioni e parti mid tempo, ed il tutto è molto intenso e coinvolgente, cosa non è facile da trovare oggi.
Il metalcore potrà essere un genere con gruppi con poche idee, o forse in fase calante, ma ascoltando il nuovo disco dei Cry Excess non lo si direbbe proprio.
Questo gruppo di Torino confezione un disco molto potente, ben prodotto e con le cose giuste al posto giusto. Vision possiede un groove possente e marcato, poiché i Cry Excess sanno usare molti mezzi per arrivare allo scopo. Cattiveria, melodia e anche il sapiente uso di inserti elettronici al momento giusto, senza sbracare come altri gruppi. Tutto è molto naturale e si svolge senza forzature, perché il gruppo mette a proprio agio l’ascoltatore che qui troverà ciò che vuole. Questo è il terzo disco dei Cry Excess, che sono un gruppo italiano che gira molto, avendo suonato con Korn, Papa Roach, Walls Of Jericho e molti altri. Ciò lo si comprende bene ascoltandoli, Vision dà la perfetta idea di cosa siano, uno dei gruppi italiani più internazionali soprattutto nella maniera di fare le cose, senza provincialismi, in un genere molto affollato. Il disco è molto ben bilanciato fra pesantezza e melodia, fra accelerazioni e parti mid tempo, ed il tutto è molto intenso e coinvolgente, cosa non è facile da trovare oggi. Ennesimo gran disco della Bleeding Nose che si conferma etichetta di riferimento per un certo tipo di metal moderno. Non pensate al metalcore, pensate ai Cry Excess che è meglio.
TRACKLIST
Vocals : Jaxon V.
Guitar : Mark Agostini
Guitar : Andrew V.
Drum/vocals : Brian N.
Bass : Angie S.
LINE-UP
Jaxon V. : Vocals
Mark Agostini : Guitar
Andrew V. : Guitar
Brian N. : Drums, Vocals
Angie S. : Bass
E’ perfetto il connubio tra musica e testi di questo lavoro che, fin dal titolo, rievoca l’opera più nota di Sartre, e la caratteristica impronta depressive viene per un verso esasperata mentre, dall’altro, si sublima tramite splendide aperture melodiche di matrice post metal, senza tralasciare quell’aura funesta derivante dalle pulsioni doom.
Se mi chiedessero oggi quale sia il migliore tra tutti i progetti musicali che vedono coinvolto il poliedrico Déhà avrei non poche difficoltà nel rispondere, visto che almeno quattro o cinque di questi esprimono livelli qualitativi spesso irraggiungibili per molti.
Imber Luminis è, tra tutti, anche uno di quelli che riscuotono più attenzione da parte delle label maggiormente intraprendenti: in questo caso è la Naturmacht di Robert Brockmann ad assicurarsi i servizi del geniale musicista belga.
Nausea rappresenta il terzo full length per il marchio Imber Luminis in una discografia che annovera anche diverse uscite dal mjnutaggio ridotto, cime il precedente Veiled, dove Déhà si era avvalso dell’aiuto alla voce del suo storico sodale Daniel Neagoe (Eye Of Solitude, Clouds), mentre qui invece torna ad operare in perfetta solitudine, salvo contributi a livello lirico tra cui quello dello stesso musicista rumeno, di Benjamin Schmälzlein (Todesstoss) e Pim Van Dijk (Façade).
E’ perfetto il connubio tra musica e testi di questo lavoro che, fin dal titolo, rievoca l’opera più nota di Sartre, e la caratteristica impronta depressive viene per un verso esasperata mentre, dall’altro, si sublima tramite splendide aperture melodiche di matrice post metal, senza tralasciare quell’aura funesta derivante dalle pulsioni doom.
Ne scaturisce così l’opera capace di lasciare un segno indelebile, nella quale il male di vivere e il dolore si fanno quasi fisici senza però che i suoni si spingano su derive eccessivamente estreme; in qualche modo, infatti, Nausea è l’opera più accessibile tra quelle uscite a nome Imber Luminis, specialmente nelle sue fasi finali più orientate al post metal (Nothing Matters e ancor più I Resign).
Nausea si apre subito con l’irresitibile crescendo melodico di Starting with the End, il brano che senza mediazioni spalanca le porte che conducono alle voragini esistenziali scavate in un animo dalla sensibilità superiore: una traccia che porta a scuola decenni di depressive black, laddove lo screaming di Déhà è disperato ma non sgraziato, sposandosi alla perfezione con le atmosfere dolenti esaltate da una produzione che ne agevola del tutto l’assimilazione.
Ma il prodigio avviene, forse, proprio perché il genere di fatto viene trasfigurato dallo sterminato background del musicista belga, e chi ne conosce bene l’instancabile operato potrà rinvenire frammenti che riportano a ciascuno dei suoi progetti, il tutto asservito alla creazione di un monumento musicale eretto alla presa di consapevolezza della futilità dell’esistenza.
L’album scorre senza interruzioni, visto che ogni brano risulta legato all’altro e questo aumenta, se possibile, il coinvolgimento dell’ascoltatore, che in questi cinquanta minuti viene realmente immerso nell’ideale trasposizione musicale del pensiero filosofico di Sartre.
Il lavoro è un susseguirsi di momenti in cui il parossismo del black si fonde con linee melodiche struggenti (magnifici i dieci minuti di The Withering/Meningless) che rendono al perfezione il concetto di “melancolia” (non a caso questo era titolo scelto inizialmente da Sartre per il suo romanzo).
Immergersi nell’opera di Déhà è doveroso e necessario per chiunque ascolti generi che sono all’antitesi di tutto quanto venga definito divertente (nella sua accezione più futile): la costante ricerca di note profonde ed emozionanti qui trova il suoi naturale approdo, fornendo il giusto nutrimento alle anime inquiete che si aggirano fameliche tra i meandri dell’underground metal alla ricerca di qualcosa in grado di saziarle.
Del resto, questo è il tipo di musica che può esser apprezzato solo da chi possiede una profondità che, talvolta, rende la vita più difficile, spingendo a porsi quelle domande alle quali spesso non c’è una risposta o che, qualora ci sia, forse sarebbe stato meglio non conoscere.
La Nausea è l’Esistenza che si svela – e non è bella a vedersi, l’Esistenza …
Tracklist:
1. Starting with the End
2. The ‘I’ has faded
3. Introspection
4. Mensch – Stern – Asche
5. We are not Free
6. The Withering and the Wake
7. Meaninglessness
8. Migraine
9. Nothing Matters
10. I Resign
Line-up:
D – All instruments, all vocals
Il video di Gateways, tratto dal DVD/Blue Ray Forces Of The Northern Night, in nsucita a fine aprile (Nuclear Blast).
Il video di Gateways, tratto dal DVD/Blue Ray Forces Of The Northern Night, in nsucita a fine aprile (Nuclear Blast).
Il 28 aprile i sovrani norvegesi del symphonic black metal DIMMU BORGIR pubblicheranno il doppio DVD / BluRay “Forces Of The Northern Night”.
Oggi, la band svela il secondo live clip del loro memorabile show tenutosi a Oslo.
Con »Forces Of The Northern Night«, una vera e propria colonna sonora dell’apocalisse, puoi essere testimone di due differenti live show: il concerto tenutosi a Oslo, che mostra i DIMMU BORGIR sul palco con la Norwegian Radio Orchestra e un coro, e l’intera performance al Wacken Open Air con oltre 100 musicisti. Questi grandiosi rituali segnano l’inizio dell’epico ritorno della band previsto per il 2017.
In caso ti fossi perso gli ultimi clip dei DIMMU BORGIR, puoi trovarli ai seguenti link:
‘Mourning Palace (live at Wacken)’: https://youtu.be/Cg6n3ZhKwt4
Trailer 1: https://www.youtube.com/watch?v=Dflre4AOhAU&feature=youtu.be
Trailer 2: https://www.youtube.com/watch?v=JA3zNBNPZsA&feature=youtu.be
Ordina la copia fisica di »Forces Of The Northern Night« qui:
http://nblast.de/DimmuBorgirFOTNNNB
Chi pre-ordina in digitale riceverà immediatamente il download di ‘Mourning Palace (live in Oslo)’:
http://nblast.de/DIMMUBORGIRDigital
Quest’autentica combinazione di eleganza e stravaganza ha rappresentato per i fan una naturale evoluzione, ma sono stati necessari tempo, arrangiamenti e impegno per trasformare in realtà questa gigantesca produzione e offrire ogni sera 90 strabilianti minuti di set.
I concerti ripercorrono i classici della discografia del gruppo, da ‘Mourning Palace’ a ‘Puritania’, passando per ‘Gateways’… I norvegesi DIMMU BORGIR sanno come lasciarsi alle spalle nient’altro che le ceneri.
Il video di Systematic, tratto dall’ep autointitolato.
Il video di Systematic, tratto dall’ep autointitolato.
https://www.youtube.com/watch?v=E8nMR5NEi90
Il video di What the Night Brings, tratto dall’album Condolences in uscita a giugno (Nuclear Blast).
Il video di What the Night Brings, tratto dall’album Condolences in uscita a giugno (Nuclear Blast).
The Ages Will Turn è un ottimo lavoro, assolutamente consigliato in particolare ai fans di Iced Earth e Blind Guardian, da parte di una band da rivalutare e conoscere più a fondo.
Superata la decina d’anni di attività, tornano sul mercato i berlinesi Thunder And Lightning con il quarto full length della loro carriera, iniziata nel 2004 e che vede, oltre ai primi due demo ed un ep, tre album usciti tra il 2008 e il 2013 (Purity, Dimension e In Charge of the Scythe).
Il genere proposto è un power metal melodico con qualche ottimo spunto heavy, oscuro e drammatico e pregno di mid tempo e cavalcate che nel loro già sentito rivelano una buona attitudine da parte di un gruppo che, pur se nato nel cuore dell’Europa, non mancano di inserire nel sound atmosfere metalliche statunitensi.
Prodotto dal chitarrista Marc Wüstenhagen, The Ages Will Turn vive di questo connubio tra le due scuole classiche e ne esce un buon lavoro che unisce l’aggressività tutta europea con le atmosfere e le sfumature del classico metal americano.
Così, dopo l’intro The Ravaging Overture, l’album entra subito nel vivo con Welcome To The Darkside, ottimo inizio e classica power metal song, anche se l’impronta melanconica e tragica si sente già dalle prime note.
Silent Watcher e Black Eyed Child continuano a dispensare power metal di ottima fattura e si comincia a sentire la forte ispirazione Iced Earth che il gruppo si porta dietro, sia nelle soluzioni melodiche che nei chorus.
E Columbia conferma le influenze della band berlinese, con un brano perfettamente in bilico tra la band di Jon Schaffer ed i Blind Guardian, mentre nella più potente One Blood compare come ospite alla sei corde Máté Bodor (Alestorm, Wisdom).
La title track continua a dispensare metallo oscuro e si arriva alla conclusiva Mary Celeste, brano dove troviamo il secondo ospite, Der Schulz degli Unzucht, ad accompagnare l’ottimo singer Norman Dittmar, per il brano top dell’album, splendidamente teatrale, sorretto da un chorus oscuro ed epico ed attraversato da una vena statunitense tra Iced Earth, Savatage e Metal Church.
The Ages Will Turn è un ottimo lavoro, assolutamente consigliato in particolare ai fans di Iced Earth e Blind Guardian, da parte di una band da rivalutare e conoscere più a fondo.
TRACKLIST
1.The Ravaging Overture
2.Welcome to the Darkside
3.Silent Watcher
4.Black Eyed Child
5.Eternally Awake
6.Columbia
7.One Blood
8.The Ages Will Turn
9.Hysteria
10.Mary Celeste
LINE-UP
Robert Rath – Bass
Steve Mittag – Drums
Benjamin Dämmrich – Guitars
Marc Wüstenhagen – Guitars, Vocals
Norman Dittmar – Vocals
Gli Oddhums provano in questa ventina di minuti a riassumere e rielaborare diverse sfumature del doom senza tralasciare di rivestirle di una consistente patina psichedelica, e sconfinando talvolta anche in qualcosa non dissimile dal grunge più acido.
Stoner sludge doom dall’Andalusia, con quest Ep d’esordio degli Oddhums.
The Inception è il primo passo di questo trio spagnolo, composto da musicisti comunque non più di primo pelo, che prova in questa ventina di minuti a riassumere e rielaborare diverse sfumature del doom senza tralasciare di rivestirle di una consistente patina psichedelica, e sconfinando talvolta anche in qualcosa non dissimile dal grunge più acido.
Devo dire che Dimgaze, traccia d’apertura, non mi ha impressionato granché, alla luce di un approccio poco penetrante ed un’interpretazione vocale piuttosto anonima, anche se i riff dimostrano quelle doti di fondo che decisamente impressionano nel secondo brano Big Brave, nel quale gli Oddhums sfruttano a dovere i cavalli a loro disposizione proponendo un bell’ibrido stoner grunge dall’elevato effetto dopante.
Anche le restanti due canzoni si sviluppano in maniera comunque piuttosto simile, nella loro alternanza tra passaggi più rarefatti riconducibili al post metal ed esplosioni controllate ma sulfuree, spesso davvero coinvolgenti e sulle quali forse questi iberici potrebbero indulgere anche più a lungo.
Come assaggio The Inception non è affatto male, anche se tendenzialmente gli Oddhums si rivolgono maggiormente a chi predilige il lato più lisergico dei diversi generi che confluiscono nel loro sound; pur non appartenendo a questa cerchia non posso non apprezzare questa prima uscita che fa presagire sviluppi futuri senz’altro interessanti.
Tracklist:
1.Dimgaze
2.Big Brave
3.Wounds
4.Under Siege
Line-up:
Will – Bass, Vocals
Keke – Drums
Freg – Guitars
Si respira aria old school nell’album o, quanto meno, la tradizione ha la sua importanza così come la voglia rabbiosa di suonare metal, fatto bene ma con pochi fronzoli e tanta sostanza.
Una bomba questo Forgiveness Sold Out, debutto dei veneti Full Leather Jackets, che colpiscono il bersaglio con un concentrato di hard & heavy tripallico irrobustito da veloci ripartenze thrash metal, il tutto eseguito con ottima perizia tecnica e un impatto roccioso venato da atmosfere che a tratti si fanno gloriosamente epiche.
Si respira aria old school nell’album o, quanto meno, la tradizione ha la sua importanza così come la voglia rabbiosa di suonare metal, fatto bene ma con pochi fronzoli e tanta sostanza.
Ed in effetti Forgiveness Sold Out è composto da nove schiaffi metallici, tra mid tempo potentissimi come la spettacolare Steel Pirates, brani che bombardano con una serie infinita di riff scolpiti nelle tavole della legge del metal e valorizzate da un cantante, Giovanni Svaluto, con la personalità di un veterano, potente, teatrale ed epico, in poche parole un guerriero metallico.
Lo accompagnano in questa avventura targata Full Leather Jackets, Ivan Tabacchi (chitarra), Giovanni Stefani (basso) e Matteo Panciera (batteria), formando un quartetto di devastatori di padiglioni auricolari a colpi di hard rock, heavy metal e thrash.
Il bello del sound forgiato dal quartetto sta nel mantenere i piedi ben saldi nel metal classico con i riferimenti che vanno dai Judas Priest agli Iron Maiden, dai Metallica (specialmente nella ballad No Way Out), senza rinunciare ad un tocco moderno, tradotto in groove da parte di una sezione ritmica solida come l’acciaio, che dà all’album quel pizzico di originalità che ne fa un gioiellino.
Russian Roulette, Murder In The First e White Robes concludono l’album con una ventina di minuti esaltanti che hanno nel thrash alla Testament della seconda l’apice distruttivo di Forgiveness Sould Out.
Se volete della musica che vi carichi prima di andare a procurar battaglia, quest’album dei Full Leather Jackets è sicuramente una potentissima botta d’adrenalina, provare per credere.
TRACKLIST
1.Purple Mud
2.Son of Morning Star
3.The Outcast
4.Steel Pirates
5.Mr Revenge
6.No Way Out
7.Russian Roulette
8.Murder in the First
9.White Robes
LINE-UP
Giovanni Svaluto – Guitar, Vocal
Ivan Tabacchi – Guitars
Giovanni Stefani – Bass
Matteo Panciera – Drums
L’esperimento di Davide Laugelli è senz’altro convincente, nonostante il bassista scenda su un terreno normalmente non battuto, a dimostrazione di una preparazione inattaccabile ed anche di una certa ispirazione, sfuggendo agli stucchevoli tecnicismi che spesso ammorbano gli album strumentali.
Davide Laugelli è un musicista dal curriculum piuttosto ricco in ambito metal, facendo parte attualmente dei Disease Illusion e degli Heller Schein ed avendo ricoperto nel recente passato il ruolo di bassista on stage al servizio degli storici Electrocution, senza contare la passata militanza in altre band e svariate collaborazioni.
Soundtrack of a Nightmare esula formalmente da tutto questo, trattandosi di un primo esperimento di musica interamente strumentale eseguita utilizzando due bassi (uno tradizionale ed uno fretless, suonati ovviamente da Laugelli), synth (a cura di Fausto De Bellis) e batteria (Michele Panepinto): l’intenzione del musicista bergamasco (ma da tempo di stanza a Bologna) è quello insito nel titolo dell’ep, ovvero la creazione di una sorta di colonna sonora per gli incubi che, sovente, rendono piuttosto agitate le notti di ognuno.
Anche se il lavoro mostra aspetti per lo più imprevedibili, non sorprende la prima traccia visto che la Johannes Brahms Op.49 n. 4 altro non è che la ninna nanna per antonomasia, rivista con un certo gusto e senza stravolgerne l’essenza; il breve intermezzo onirico La Nave di Pietra introduce una più movimentata A Night At Stonehenge, nella quale si apprezza il lavoro dei musicisti che si snoda su coordinate progressive anche se non nell’accezione più comune del genere.
Hell With You è un altro brano piuttosto breve, nel quale il basso di Laugelli si fa minaccioso ed ossessivo, mentre Climbing The Wrong Mountain, con il suo andamento potrebbe rievocare quelle affannose rincorse a cui la nostra mente ci costringe mentre il corpo solo apparentemente riposa: anche qui va segnalato un lavoro strumentale di prim’ordine, prima che il trillo di una sveglia ci sottragga all’incubo per riportarci alla realtà, non necessariamente più rassicurante di quella elaborata dalla psiche durante il sonno.
L’esperimento di Davide Laugelli è senz’altro convincente, nonostante il bassista scenda su un terreno normalmente non battuto, a dimostrazione di una preparazione inattaccabile ed anche di una certa ispirazione, sfuggendo agli stucchevoli tecnicismi che spesso ammorbano gli album strumentali, e riuscendo infine a tenere fede alla dichiarazione d’intenti contenuta nel titolo dell’ep, grazie ad un sound cangiante che alterna passaggi più nervosi ad altri più rarefatti e vicini all’ambient.
La breve durata ne aiuta senz’altro l’assimilazione, ma l’ascolto di Soundtrack of a Nightmare offre la ragionevole certezza che Davide sia in grado, in futuro, di replicare quanto fatto in quest’occasione anche su un eventuale lavoro su lunga distanza.
Tracklist:
1. Johannes Brahms Op. 49 n. 4 (insane version)
2. La nave di pietra
3. A night at Stonehenge
4. Hell with you
5. Climbing the wrong mountain
Line up:
Davide Laugelli: bass
Michele Panepinto: drums
Fausto de Bellis: synth
Con questo nuovo ed omonimo album gli Obituary tornano al sound che ha reso famose opere come The End Complete e World Demise, apici della discografia del gruppo e manifesti del death metal statunitense.
Il death metal è tornato a colpire, prima nell’underground con il ritorno in auge dei suoni old school, poi con i nuovi lavori dei gruppi storici, di nuovo sul campo di battaglia, spronati e convinti a fare ancora una volta la voce grossa nel genere estremo per eccellenza.
Tra i molti ritorni in questo ultimo periodo si aggiunge quello degli Obituary, nome leggendario del sound made in Florida e creatura estrema dei fratelli Tardy: la loro importanza nella lunga storia del genere è talmente palese da risultare un eufemismo, anche se dopo il periodo d’oro tra il 1989 (anno di uscita del debutto Slowly We Rot) ed il 1997 (quello di Back From The Dead), il gruppo ha avuto un calo fisiologico e gli album usciti negli anni 2000 hanno mantenuto una qualità elevata ma non alla’altezza dei capolavori risalenti nel decennio precedente.
Ed infatti la band americana è diventata una sorta di icona live, il classico gruppo storico che si trasforma in una macchina da guerra sul versante live (dove ovviamente non mancano i brani dei primi album) ma meno convincente nelle prove in studio anche se sempre una spanna sopra alla media.
Con questo nuovo ed omonimo album gli Obituary tornano però al sound che ha reso famose opere come The End Complete e World Demise, apici della discografia del gruppo e manifesti del death metal statunitense.
Che sia un pregio o un difetto dipende da come la si vuol guardare, perché Obituary è un opera estrema che si rivolge al passato per tornare ai fasti che competono al gruppo: John Tardy canta come una belva ferita, rabbioso come una volta, i brani sono muri di suono estremo, cadenzate marce metalliche dove si torna a solos che squarciano cieli oscuri o martellanti episodi in cui il groove incalza a livello ritmico, rendendo avvincente la mezz’ora abbondante di musica che questi signori del death metal ci hanno inaspettatamente donato.
L’opener Brave è più di quanto violento e veloce il gruppo floridiano possa suonare nel 2017, poi si abbandona la velocità per la potenza ed il groove che in Turned To Stone diventa mortale.
Un album classico che di più non si può, con Lessons In Vengeance, End It Now e Ten Thousand Ways To Die a rinverdire i fasti dei capolavori citati non a caso.
TRACKLIST
1.Brave
2.Sentence Day
3.A Lesson in Vengeance
4.End It Now
5.Kneel Before Me
6.It Lives
7.Betrayed
8.Turned to Stone
9.Straight to Hell
10.Ten Thousand Ways to Die
11.No Hope
LINE-UP
Donald Tardy – Drums
Trevor Peres – Guitars (rhythm)
John Tardy – Vocals
Terry Butler – Bass
Kenny Andrews – Guitars (lead)
http://www.facebook.com/ObituaryBand