DECAPITATED

Il video di ‘Earth Scar’, dall’album Anticult in uscita a luglio (Nuclear Blast).

La band extreme metal polacca DECAPITATED uscirà con il settimo album, “Anticult”, il 7 Luglio su Nuclear Blast. La band offre un nuovo assaggio dell’album pubblicando il video di ‘Earth Scar’.
Guardalo qui:

“Siamo molto eccitati all’idea di pubblicare il secondo singolo ‘Earth Scar’, tratto dal nuovo album ‘Anticult'” dice Vogg, “Sono sempre stato influenzato da tutti i generi del metal, e questo brano e il nuovo album riflettono davvero queste influenze.”

“Come per ‘Never’, questa canzone è stata pensata per spaccare sul palco, non vediamo l’ora di aggiungerla nella nostra set list. Rasta ha scritto i testi con diversi contenuti metaforici relativi alla vita in tour, l’opposizione tra la ‘normale’ quotidianità di casa e l’essere on the road e vedere la tua ‘tribù’ interagire con la musica! Speriamo vi possa piacere e speriamo di verderci molto presto!”

Pre-ordina “Anticult” ora: http://nblast.de/DecapitatedAnticultNB

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Ascoltala sulla NB Novelties Playlist: http://sptfy.com/2zZF

Altro su “Anticult”:

‘Never’ OFFICIAL VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=Dzsnunj-5gg

‘Never’ GUITAR PLAYTHROUGH: https://www.youtube.com/watch?v=KgFLomLApWU

‘Never’ DRUM PLAYTHROUGH: https://www.youtube.com/watch?v=X24bcfTLD7k

“Anticult” – Track Listing:
01. Impulse
02. Deathvaluation
03. Kill The Cult
04. One Eyed Nation
05. Anger Line
06. Earth Scar
07. Never
08. Amen

I DECAPITATED sono:

Rafał Piotrowski | voce
Waclaw “Vogg” Kieltyka | chitarra
Hubert Wiecek | basso
Michal Lysejko | batteria

Essenza – Blind Gods And Revolution

Ennesimo ottimo lavoro per la band pugliese che, fuori dai comuni schemi, regala musica per chi sa ascoltare.

Tornano con un nuovo lavoro (il quarto di una storia nata nel lontano 1993) i leccesi Essenza dei fratelli fratelli Rizzello (Carlo, voce e chitarra, ed Alessandro, basso, accompagnati da Paolo Colazzo alla batteria), che danno un seguito al precedente “Devil’s Breath” del 2009.

Il nuovo album propone una mezzora abbondante di hard rock adulto, oscillante tra l’heavy ottantiano, uno spirito rock anni settanta, squisite divagazioni prog ed ottime parti ritmiche: tecnicamente impeccabile, mai ordinario, Blind Gods And Revolution accentua la peculiarità del trio nel non fornire all’ascoltatore troppi punti di riferimento, grazie a suoni ed atmosfere che mutano ad ogni passaggio inglobando il meglio di questi generi in un unico lavoro.
Rimane preponderante, a mio parere, una forte impronta settantiana, iniziando dalla produzione e dal cantato di Carlo Rizzello, il che ne fa un album imperdibile per gli amanti del rock più attempati; originale ed imprevedibile, il sound della band acquista valore col passare degli ascolti, permettendo all’ascoltatore di assimilarne le mille sfaccettature.
Album di non facilissimo ascolto, dunque, e sicuramente non un lavoro usa e getta come ormai siamo abituati a consumare in questi anni in cui tutto corre, bensì ottima musica che va curata, lavorata e fatta propria, lasciando che la moltitudine di note racchiuse nei brani del cd entrino dentro di noi, assaporandone ogni sfumatura, che sia essa rivolta all’heavy o al prog, o addirittura al folk come nella meravigliosa Seagulls In The Night.
I brani si susseguono tra ritmiche martellanti e trame complicate e avvincenti, i generi che di volta in volta ci appaiono tra le pieghe del disco rendono l’ascolto vario, anche se la concentrazione è d’uopo per seguire le molteplici strade prese dalla band e non perdersi all’ennesimo incrocio: i tre musicisti ci stupiscono per la scelta di vie talvolta a noi sconosciute ma affascinanti, giocando pericolosamente con la musica, come un incantatore di serpenti davanti ad un velenosissimo rettile.
Ennesimo ottimo lavoro per la band pugliese che, fuori dai comuni schemi, regala musica per chi sa ascoltare, confermandosi come realtà rock di altissima qualità.

Tracklist:
1. Plastic God (An Autumn Dream)
2. Bloody Spring
3. The Song Inside
4. The Fury of the Ancient Witch
5. Lost and Blind
6. Fight for Change
7. Seagulls in the Night
8. Time (Keep My Memories Alive)

Line-up:
Alessandro S. Rizzello – Bass
Paolo Colazzo – Drums
Carlo G. Rizzello – Vocals, Guitars

ESSENZA – Facebook

Evadne – A Mother Named Death

Una delle espressioni più alte del death doom melodico, collocabile alla pari delle migliori produzioni di Saturnus e Swallow The Sun.

Le doom band, salvo rare eccezioni, hanno dei tempi compositivi lenti e diluiti che corrispondono in fondo ai ritmi del genere suonato.

L’ultimo full length degli Evadne risale ormai al 2012, quando con The Shortest Way si segnalarono come una delle migliori band in circolazione dedite al death doom melodico; il successivo ep Dethroned Of Light, uscito due anni dopo, pareva essere propedeutico ad un’imminente replica di quel lavoro, mentre invece abbiamo dovuto attendere fino ad oggi prima di tornare a godere di nuova musica composta dal gruppo spagnolo.
Per fortuna, come molto spesso accade, la lunga attesa è stata ampiamente ripagata dal livello stupefacente di un album come A Mother Named Death, che non è solo una conferma bensì la vera e propria consacrazione degli Evadne ai vertici della scena.
In poco più di un’ora il gruppo valenciano regala brividi senza soluzione di continuità, mantenendo lo stesso elevato livello di tensione dalla prima all’ultima nota, lasciandolo scemare solo per dare il tempo all’ascoltatore di riprendere il controllo delle proprie emozioni con il breve strumentale 88.6, prima di rituffarsi senza possibilità di riemergere dalle acque plumbee che, metaforicamente, giacciono nel fondo del nostro animo.
La voce di Albert ci scaraventa in abissi di disperazione che solo la bellezza delle melodie riesce a stemperare, assieme a clean vocals, talvolta accompagnate da voci femminili, che paiono offrire un’illusoria ancora di salvezza prima che sia nuovamente l’incedere tragico dei brani a riprendere il sopravvento.
Già detto della traccia strumentale, una leggiadra pennellata di atmosferica malinconia, l’album consta di altre sette autentiche gemme sonore, capaci di sconvolgere emotivamente le menti più sensibili, tra le quali si fatica non poco a scegliere quali ergere ad emblemi dell’opera, anche se Abode Of Distress, Heirs Of Sorrow e Colossal riescono a stupirmi e commuovermi ogni volta, più dei restanti e ugualmente magnifici episodi; in particolare, la seconda delle due beneficia di un afflato melodico che eleva all’ennesima potenza la percezione del valore dell’album, mentre la terza già la si conosceva, trattandosi dell’opener di Dethroned Of Light, eppure in tale contesto il suo cristallino splendore finisce ancor più per risplendere.
In definitiva, qui ci si trova al cospetto di una delle espressioni più alte del death doom melodico, collocabile alla pari delle migliori produzioni di Saturnus e Swallow The Sun.
E proprio a questi ultimi pare ricondurre più di una volta il sound degli Evadne, che già in passato avevano dimostrato di prendere come ideale punto di riferimento, per poi sviluppare una cifra stilistica propria, una delle pietre miliari del genere quale è The Morning Never Came.
Detto questo, a chi avesse da obiettare sull’originalità dell’operato della band iberica, rispondo solo che l’appassionato di doom è diverso da tutti gli altri, in quanto necessita di vedere gratificata la propria sensibilità da una forma d’arte che narri il male di vivere, più o meno latente, presente in ogni essere umano, trovando requie, infine, nel suo smisurato potenziale catartico e lasciando ad altri l’eterna (e per lo più vana) ricerca della pietra filosofale costituita da un qualcosa di totalmente innovativo.
Quindi, il fatto di rinvenire collegamenti più o meno espliciti con la produzione passata di Raivio e soci appare semmai un valore aggiunto (raggiungere quelle stesse vette evocative non può che essere un merito) piuttosto che un aspetto in grado di offuscare il valore di un lavoro che, salvo auspicabili sorprese, difficilmente a fine anno non si troverà sul podio della mia personale classifica.
Per una volta faccio mia una frase contenuta nelle note di presentazione dell’album a cura della Solitude Productions: “l’ascolto di A Mother Named Death vi costringe ogni volta a mostrare le vostre emozioni” e, aggiungo io, non abbiate paura di commuovervi fino alle lacrime, compenetrati dalla musica degli Evadne.

Tracklist:
1. Abode Of Distress
2. Scars That Bleed Again
3. Morningstar Song
4. Heirs Of Sorrow
5. Colossal
6. 88.6
7. Black Womb Of Light
8. The Mourn Of The Oceans

Line up:
Albert Conejero – vocals
Josan Martin – guitars
Jose Quilis – bass
Juan Esmel – drums, vocals
Marc Chulia – guitars

EVADNE – Facebook

Broken Hope – Mutilated and Assimilated

I Broken Hope tornano in un momento prolifico e di ottimo livello per il genere, e un altro pezzo di storia si riprende il suo posto nella scena estrema attuale.

Mancavano i Broken Hope in questo inizio estate all’insegna del death metal, magari non una band di prima fascia, ma comunque una presenza storica nei primi anni del decennio d’oro per il metal estremo dai rimandi classici, gli anni novanta.

Swamped In Gore, il debutto licenziato nel 1991 e poi i quattro monoliti death metal usciti tra il 1993 ed il 1999, avevano consegnato la band alla storia del death metal statunitense, pregno di un’attitudine brutal che li poneva perfettamente a metà strada  tra l’accoppiata Obituary/ Macabre e Cannibal Corpse.
Poi come spesso accade, è arrivato un lungo stop durato tredici anni, durante il quale i Broken Hope hanno perso quel briciolo di notorietà nonché il singer Joe Ptacek, venuto a mancare nel 2010.
Il ritorno nel 2013 con il buon Omen of Disease segnava la riscoperta da parte dei fans del combo di Chicago, confermato da questo nuovo lavoro, che vede saldamente dietro al microfono Damian “Tom” Leski, già a ruggire sul precedente lavoro.
Mutilated and Assimilated esce per Century Media, sarà distribuito in diverse versioni ed inizierà la sua opera di distruzione nella seconda metà di giugno dell’anno di grazia 2017.
Non ci vuole molto per capire di che pasta è fatto il sound del gruppo americano, semplicemente perfetto nell’assecondare tutti i cliché della scuola d’oltreoceano: death e brutal si rincorrono per conquistare il trono su cui verrà sacrificato quest’opera, un vero massacro old school, puro e devastante metal estremo, oscuro, maligno e cattivo come un serial killer in pieno trip da tortura.
I Broken Hope sono musicisti tripallici e lo dimostrano con una forza ed un impeto fuori misura, il muro sonoro innalzato con The Bunker, o la terrificante title track viene abbattuto da una serie di blast beat ed esplosioni ritmiche terribili e poi subito dopo ricostruito con l’arrivo di potente metallo brutale (The Necropants).
Si chiude alla grande con i cambi di ritmo e la varietà di Swamped In Gorehog, mix letale di due brani presi da Swamped In Gore, progressivo e brutale death metal ed ottima conclusione di un album fiero e potente.
I Broken Hope tornano in un momento prolifico e di ottimo livello per il genere, e un altro pezzo di storia si riprende il suo posto nella scena estrema attuale.

TRACKLIST
1. The Meek Shall Inherit Shit
2. The Bunker
3. Mutilated and Assimilated
4. Outback Incest Clan
5. Malicious Meatholes
6. Blast Frozen
7. The Necropants
8. The Carrion Eaters
9. Russian Sleep Experiment
10. Hell’s Handpuppets
11. Beneath Antarctic Ice
12. Swamped-In Gorehog

LINE UP
Jeremy Wagner – guitars
Mike Miczek – drums
Damian Leski – vocals
Diego Soria – bass
Matt Szlachta – guitars

BROKEN HOPE – Facebook

Sektarism – La Mort de l’Infidèle

Pur non essendo e non volendo essere facile, La Mort De L’Infidele è un disco che colpirà al cuore gli amanti del funeral doom e della musica rituale, quindi chi segue i Dark Buddha Rising, i nostri Nibiru, perché la linea è quella, usare la musica come era utilizzata nell’antichità, ad esempio nei riti orfici.

I Sektarism non sono solo un gruppo musicale, ma usano la musica come tramite per celebrare il Signore, facendo dei veri e propri riti sia su disco che dal vivo.

Questi estremisti francesi provengono dalle fila della fratellanza chiamata Apostles of Ignominy, una setta assai misteriosa. Nel 2012 dopo tre ep demo arriva il primo disco Le Son Des Stigmates, che è paradigmatico di cosa vogliono fare. La loto intenzione è di indurre il pubblico e loro stessi in una trance, per portare ad un livello ancora più alto il loro messaggio. Per fare ciò usano un doom molto funeral, ma questa è soprattutto musica rituale, poiché sono molti i passaggi che sono declamati con una jam sotto a spaziare. Come detto poc’anzi qui la musica è un mezzo per produrre qualcosa di superiore ad essa, e in maniera ancora più importante i Sektarism non fanno intrattenimento ma anzi vogliono dare una vera esperienza a chi li si avvicina. Il disco quindi è molto particolare ed affascinante, ed è di per stesso un rito, come lo sarà il concerto, dato che la produzione fonografica è appunto il punto di partenza del rito. Pur non essendo e non volendo essere facile, La Mort de l’Infidèle è un disco che colpirà al cuore gli amanti del funeral doom e della musica rituale, quindi chi segue i Dark Buddha Rising, i nostri Nibiru, perché la linea è quella, usare la musica come era utilizzata nell’antichità, ad esempio nei riti orfici. I pezzi sono lunghissimi e ci si deve immergere dentro e ovviamente non è musica per tutti, ma chi riconosce cosa è questo lavoro lo apprezzerà moltissimo.

TRACKLIST
1.Ô Seigneur
2.Brûle L’Hérétique
3.Conscience, Révolte, Perte de Moi

SEKTARISM – Facebook

Oranjeboom – Here Comes The Boom

Cinque musicisti con il rock americano nel sangue, che loro trasformano in un hard groove moderno, devastante quando vuole far male, sognante e ricco di quella poesia sudista che non lascia scampo.

L’hard rock si impregna di sudore e polvere, la strada brucia sotto le gomme della propria amante a due ruote: Sidewalk, con il suo sound  ci schiaccia la testa ormai spappolata dal sole e lacerata dal groove irresistibile di T.K.O. e delle altre tracce che compongono questo debutto tutto impatto ed attitudine dal titolo Here Comes The Boom.

Colpevoli di tante rotture di crani e ritiri di patente (se provate ad ascoltare l’album mentre guidate) sono gli umbri Oranjeboom, attivi dal 2015 come trio southern acustico ma trasformati in una hard rock band dopo l’entrata degli ultimi due elementi.
La firma con la label napoletana Volcano Records & Promotions e l’uscita dell’album in questa infuocata estate 2017, sono per la band lo scatto bruciante, la partenza a razzo, il diretto nello stomaco che ci voleva per iniziare al meglio la propria storia discografica.
E Here Comes The Boom è quello che gli amanti dell’hard rock moderno, dal groove micidiale, dalle atmosfere e dalle sfumature alternative stoner vogliono sentire, mentre la tradizione sudista è sempre li a farci godere di rimandi ai Lynyrd Skynyrd (Once Again), ai Black Label Society e ai Black Stone Cherry (Stolen Goods) e ai nostri Hangarvain (Bleeding Out).
Cinque musicisti con il rock americano nel sangue, che loro trasformano in un hard groove moderno, devastante quando vuole far male, sognante e ricco di quella poesia sudista che non lascia scampo e ci fa accostare la moto al lato della strada,  ad assaporare l’odore dell’asfalto bollente, segno di un viaggio che è lungi dal terminare.
Detto di una bellissima cover del classico di Stevie Wonder, Higher Ground, in versione stoner, vi consiglio di non perdervi questo bellissimo debutto, stando attenti agli effetti collaterali: un bisogno irrefrenabile di spingere sull’acceleratore e la voglia di mollare tutto ed avventurarsi per un viaggio ai margini della frontiera, accompagnati dalla musica degli Oranjeboom.

TRACKLIST
1. Sidewalk
2. T.K.O.
3. Stolen goods
4. Bleeding out
5. Higher ground
6. Once again
7. Anechoic chamber

LINE UP
Alessio (Smoke) Covarelli – Voice-Guitar
Mauro (Sgrat) Alocchi – Bass Guitar
Claudio (Pit) Patalini – Guitar
Riccardo (Rikki) Baldassarri – Guitar
Francesco (Kendy) Montalto – Drums

ORANJEBOOM – Facebook