Il lyric video di Quimbanda, dall’album The Sad Wonder Of The Sun in uscita a luglio (My Kingdom Music).
“Quimbanda”: a lyric video to enter ECNEPHIAS’ new album
ECNEPHIAS’ mastermind Mancan said: “The Sad Wonder Of The Sun” is Mediterranean Dark Metal at 101%, and you must wait for something really gothic, murky and darker than ever”.
Well, now it’s time to let you enter their world with the first track off new album. It is “Quimbanda” and you’ll discover it with a great lyric video created by ADHIIRA ART. Be prepared to an upsetting lascivous embrace!
ECNEPHIAS will release their sixth studio album, “The Sad Wonder Of The Sun”, on July 7 via My Kingdom Music.
The CD was recorded with the important Federico Falasca’s help as producer who worked at the mixing too, and mastered by Mauro Andreolli at Das Ende Der Dinge (Extrema, Vision Divine, Flash Terrorist, Negrita).
ECNEPHIAS’ new album will confirm them as one of the darkest Metal band around. It will surprise you all for the obscure and mystic power of its music and themes.
“The Sad Wonder Of The Sun” track listing: 1. Gitana – 2. Povo De Santo – 3. Sad Summer Night – 4. The Lamp – 5. Nouvelle Orleans – 6. A Stranger – 7. Quimbanda – 8. Maldiluna – 9. You
and cover
Tornano gli agitatori sonori Heathen Beast, voce musicale del dissenso anti governativo in un paese come l’India, nel quale il livello della corruzione e dell’asservimento dei politici ai ai poteri forti e a quelli religiosi riesce persino a superare quello della nostra povera Italia.
L’urgenza compositiva che ha fatto scaturire questo nuovo ep da parte del misterioso trio, sempre alle prese con la propria rischiosa missione di denuncia, nasce dalla delirante decisione presa dal primo ministro Modi quando, nello scorso autunno, senza alcun preavviso, ha comunicato alla popolazione che sarebbero state messe fuori corso da subito tutte le banconote da 500 e da 1000 rupie (l’85% dei tagli in circolazione) allo scopo di stanare gli evasori fiscali. Non era necessario essere dei grandi economisti per capire che tali misure avrebbero avuto il solo effetto immediato di ridurre alla fame le fasce più deboli della popolazione, costrette a file oceaniche per le operazioni di cambio delle banconote/carta straccia presso banche incapaci di fare fronte alla situazione. Così i più ricchi continuano a prosperare, visto che i grandi evasori, per lo più, non detengono i loro beni in contanti, mentre la low-middle class si ritrova depauperata di gran parte dei propri beni, causa l’impossibilità di cambiare nei termini previsti il proprio denaro per finire, nella migliore delle ipotesi, nella rete del mercato nero.
Di fronte a tutto questo resta solo rabbia, da parte di chi almeno riesce a svincolarsi dall’ideologia religiosa, che rende gran parte degli indiani convinti che anche la misura più impopolare faccia parte di un «bisogno collettivo di sofferenza per la nazione, sicuri che la sofferenza li renda liberi, e che sia la strada per la salvezza personale e collettiva»
Gli Heathen Beast interpretano il rifiuto nei confronti di questo stato delle cose con tutta la furia e la convinzione che in questi anni hanno messo nella loro musica, stavolta utilizzando uno stile ancora più estremo del solito, sostituendo il black death relativamente più accessibile e contaminato dalla musica tradizionale indiana con nove granate di grind/black inframmezzate da numerosi voci campionate, mantenendo qualche sfumatura etnica per lo più nel particolare uso delle percussioni.
Ancor più che nelle precedenti occasioni, l’operato musicale degli Heathen Beast corre il rischio di passare in secondo piano rispetto al potente impatto della denuncia sociale che ritengo sia, comunque, il loro obiettivo primario. Ma è da sempre questo il destino di chi ritiene la musica non solo una forma d’arte ma anche lo strumento ideale per scuotere le coscienze, specialmente in paesi in cui le forme di dissenso vengono sopite da un controllo pressoché totale degli organi di informazione da parte delle classi dominanti (ci siamo di mezzo anche noi, non crediate, andare a vedere dove è collocata l’Italia nella graduatoria mondiale relativa al livello di libertà di stampa).
Resta il fatto che il trio indiano è una delle realtà più fresche e, a suo modo, innovative della scena metal mondiale, peccato solo che si manifesti con poca frequenza e con lavori per lo più dal minutaggio ridotto, ma si tratta ovviamente di un fatto contingente alla condizione di una band non convenzionale ed ad una vita artistica irta di ostacoli.
Tracklist:
1. Surgical Strike (De-modi-tisation)
2. It’s Only A Minor Inconvenience
3. Fuck Poor People, I Have Paytm
4. Reliance Is The Secret Of My Energy, Jio Mere Lal!
5. If The Army Can Do It, So Can You
6. Bailing Out The Banks
7. If You Disagree You Are Anti-national, Go To Pakistan
8. My Note Has GPS
9. Chutiya Banaya Bada Maza Aaya
E’ un ritorno importante questo dei Ten, per riprendere le redini della scena hard rock internazionale con un album che lascia sprigionare emozioni come non succedeva dai tempi di The Robe e Spellbound.
I Ten sono uno dei gruppi più importanti dell’hard rock melodico di matrice britannica che gli ultimi vent’anni abbiano visto all’opera: a braccetto con i connazionali Dare hanno saputo nobilitare un genere caduto in disgrazia all’inizio degli anni novanta e tornato di recente prepotentemente in auge.
Il gruppo, guidato dal talento del cantante e compositore Gary Hughes, ebbe tra il 1996 ed il 2000 il suo momento magico con almeno quattro album che fanno parte della storia del rock duro europeo, dal secondo e bellissimo The Name Of The Rose a Babylon, passando per i due capolavori The Robe e Spellbound.
Il leader, che passava da lavori solisti a collaborazioni illustri (Bob Catley), ed una popolarità che cresceva tra gli amanti del genere, portò i Ten sulle copertine delle riviste di settore, mentre la discografia si ampliava con album sempre molto belli ma a cui mancava la scintilla che infiammava le opere precedenti.
Qualche cambio in formazione ed un leggero calo, del tutto naturale anche per una band come i Ten, non hanno inficiato la voglia di scrivere del mastermind inglese, tornato da alcuni anni a riempire di pelle d’oca le braccia dei suoi ammiratori con almeno due lavori eccellenti, Albion e l’ultimo Isla de Muerta ,usciti rispettivamente nel 2014 e due anni fa.
Siamo arrivati nel 2017 e tocca a Gothica, il nuovo album prodotto da Hughes, masterizzato e mixato da Dennis Ward e suonato da un gruppo che raccoglie la crema dell’hard rock, ben sette musicisti che, con l’ospite Karen Fell, diventano otto anime che danno all’album quel particolare tocco alla Ten che non lascia scampo.
Ancora grande musica rock, dunque, ultra melodica, anche se Hughes ha dichiarato (per i temi trattati più che altro) di aver puntato su qualcosa di più sinistro ed oscuro, ma sempre straordinariamente melodico come solo la band di Arcadia, The Name Of The Rose o We Rule The Night sa suonare. Gothica è un album bellissimo, pregno di melodie fuori dal comune, avvolto in alcuni brani da una vena ombrosa che conferisce al sound sfumature melanconiche mai toccate dal gruppo, con almeno la metà dei brani che risplendono del talento non solo del suo leader ma di tutti i musicisti del gruppo, con una menzione particolare per il raffinato ed elegante lavoro ai tasti d’avorio di Darrel Treece-Birch.
La magia di The Grail apre l’album, facendo capire subito che con Gothica il gruppo conferma il ritorno ad una forma eccellente, melodica, oscura ed epica, seguita dal singolo Travellers, dalla grintosa The Wild King Of Winter, dalla moderna Welcome To The Freak Show e dalle trame aor di La Luna Dra-cu-la.
E’ un ritorno importante questo dei Ten, per riprendere le redini della scena hard rock internazionale con un album che lascia sprigionare emozioni come non succedeva dai tempi di The Robe e Spellbound; inutile dirvi, quindi, che l’album risulta impedibile per tutti gli amanti dell’hard rock melodico.
Tracklist
1. The Grail
2. Jekyll And Hyde
3. Travellers
4. Man For All Seasons
5. In My Dreams
6. The Wild King Of Winter
7. Paragon
8. Welcome To The Freak Show
9. La Luna Dra-cu-la
10. Into Darkness
Line-up
Gary Hughes – Vocals, Backing Vocals, Guitar, Bass and Programming
Dann Rosingana – Guitar
Steve Grocott – Guitar
John Halliwell – Guitar
Steve McKenna – Bass Guitar
Darrel Treece-Birch – Keyboards
Max Yates – Drums and Percussion
Hansel, Gretel e la Strega Cannibale è un disco di umane vicende raccontate per simboli e con un tappeto musicale veramente progressivo, nel senso di continua progressione, per poter uscire dal labirinto.
I Viridanse sono un’entità musicale che ha avuto molte vite, molte morti e altrettanti nuovi inizi.
Hansel, Gretel e la Strega Cannibale è il loro nuovo lavoro, ancora più profondo e ricercato del precedente Viridanse del 2015, che aveva segnato il ritorno alla produzione di musica inedita del gruppo, dopo l’antologia nel 2012 che era stato il meccanismo che aveva fatto rinascere qualcosa per la mutazione del gruppo. Infatti i Viridanse nacquero ad Alessandria nel 1983, e subito stupirono per la loro dark wave di ottima fattura, tanto che saranno sempre ricordati per l’essere stato un gruppo seminale e molto importante in quella scena e non solo. In due anni, dal 1983 al 1985, pubblicarono due ottimi album, Benvenuto Cellini e Mediterranea, ma i Viridanse di oggi sono altra cosa rispetto a quei suoni, essi ricercano una qualcosa nella musica ma soprattutto nei testi, con tentativi di capire e descrivere dall’interno la parabola umana. Il suono, molto cambiato, è un post psych metal, strutturato molto bene e di grande effetto. Molto importante nel loro suono è anche la parte prog, sicuramente più sbilanciata verso il metal, ma comunque legata a quell’immenso momento che è stato il prog italiano, forse il punto più alto nella musica della nostra penisola. La musica in Hansel, Gretel e La Strega Cannibale è davvero magnifica ed immaginifica, all’altezza dei testi particolari ed iniziatici. I Viridanse sono un gruppo che vuole far nascere qualcosa nella testa dell’ascoltatore, facendogli compiere un viaggio di iniziazione, un sentire le difficoltà come in un labirinto, e attraverso la sua musica e i testi riuscire a liberare la forza del vero io/dio che è dentro di noi. Mille sfaccettature, angoli, piazze e sentieri diversi, fatti di potenza, ora di gusto barocco, ora di inseguimenti tra note evocative di un nostro antico gusto. Il disco è stupefacente, con molti stili fusi nella ricerca e nella psichedelia più totale e slegata dal significato classico che ha. La voce di Gianluca Piscitello è quella di uno psicopompo che ci guida nel culto misterico, mentre il resto del gruppo è eccellente. Hansel, Gretel e la Strega Cannibale è un disco di umane vicende raccontate per simboli e con un tappeto musicale veramente progressivo, nel senso di continua progressione, per poter uscire dal labirinto.
Tracklist
1 Hansel, Gretel E La Strega Cannibale
2 Arkham
3 Alle Montagne Della Follia
4 Scomunica
5 Aria
6 Il Grande Freddo
7 Madre Terra
Prendete quattro musicisti calabresi, già protagonisti con altri progetti più o meno conosciuti nella scena nazionale, lasciateli per un po’ a jammare in un delirio stonerizzato e psichedelico, pesante come una meteora in caduta libera sulla Sila, ed avrete i Deep Valley Blues.
Prendete quattro musicisti calabresi, già protagonisti con altri progetti più o meno conosciuti nella scena nazionale, lasciateli per un po’ a jammare in un delirio psichedelico, pesante come una meteora in caduta libera sulla Sila, ed avrete i Deep Valley Blues, che negli studi della Black Horse ha dato vita in presa diretta a questo mostro stoner/blues.
La band di Catanzaro ha messo la propria esperienza ed attitudine al servizio di questo progetto, rigorosamente in autoproduzione, giusto per alzare di molti gradi la colonnina di mercurio e raggiungendo così temperature vulcaniche. Deep Valley Blues, ovvero tornare da una drammatica settimana persi nel deserto, dissetarsi il giusto per non lasciare questo mondo, prendere in mano il proprio strumento e tuffarsi in quello parallelo delle visioni e dei trip hard rock, tra una neanche troppo velata attitudine southern, accenni allo psych-hard rock settantiano e lo stoner della famosa valle che ha fatto da parco giochi e maestra ai vari Kyuss e compagnia.
L’urgenza rock del quartetto però è farina del suo sacco, con una vena punk che attraversa i vari capitoli di questa odissea, tra la terra che brucia sotto i piedi ed il sole nemico della ragione, mentre in mezz’ora veniamo travolti da questo sabba desertico, schiaffeggiati dai vari capitoli che si susseguono e formano questa lunga jam. Space Orgasm è la parte del viaggio che più preferisco, ma Deep Valley Bluesrimane un lavoro da mandare giù tutto d’un fiato, altrimenti si rischia di perdere molto della magia drogata del sound di questi sacerdoti dell’hard rock stoner.
1. Death Valley Blues
2. Prey
3. Struggle of Interest
4. Hell of a Month
5. Space Orgasm
6. Banzai
7. Ashes in the Wind
Line-up
Umberto Arena – Guitars and Backing Vocals
Alessandro Morrone – Guitars
Giando Sestito – Bass and Vocals
Giorgio Faini – Drums