Rage – Seasons Of The Black

Seasons Of The Black si può certamente considerare un Rage album DOC, magari non il migliore del gruppo, ma sicuramente buono per proseguire la strada nel mondo metallico nel ruolo di protagonisti, come sempre, a dispetto degli anni che passano.

I Rage vantano una discografia immensa e per una buona metà di altissima qualità, con geniali intuizioni che hanno praticamente inventato un genere, sommate ad un approccio ed una coerenza che hanno fatto della band e del suo uomo giuda Peavy Wagner un monumento ad un certo modo di intendere il metal.

Oggi una delle band più importanti nate in Germania sotto la bandiera del power torna con un nuovo album: archiviato il periodo (splendido) in cui il funambolico Victor Smolsky elargiva prove chitarristiche dal taglio progressivamente neoclassico, dal precedente The Devils Strikes Again i Rage si avvalgono del più essenziale Marcos Rodríguez.
Con l’ausilio di Vassilios Maniatopoulos, dietro ai tamburi come nel precedente lavoro, il trio non si risparmia consegnandoci a distanza di un solo anno un buon lavoro, diretto, potente e melodico come nella tradizione dei dischi più lineari offerti in tutti questi anni.
Chiariamo subito un fatto importantissimo: il periodo orchestrale è finito da un pezzo, con i Rage a suonare power sinfonico, epico ed oscuro quando gli idolatrati sovrani del symphonic power metal di oggi erano solo dei lattanti, così come, con l’allontanamento di Smolsky, il sound ha perso quel tocco progressivo che ne aveva valorizzato l’ultimo periodo; la band è tornata così a suonare puro e diretto power metal come ai tempi di Black In Mind, da molti (compreso il sottoscritto) considerato uno dei loro lavori cardine.
Quindi Seasons Of The Black, seguendo la nuova/vecchia strada intrapresa con il precedente lavoro, risulta un pezzo di granito power metal, con i Rage a picchiare come forsennati su brani che dosano potenza metallica, melodie, accelerazioni power di livello superiore e refrain che entrano in testa dopo pochi passaggi, confermando che Peavy, pur invecchiando, non perde un grammo in talento compositivo.
Il mastodontico (in tutti i sensi) bassista e cantante continua imperterrito nella sua missione, mentre, assecondato dai nuovi compari, ci porge la mano per poi scaraventarci in mezzo alla tempesta di suoni che dalla title track ci investe senza tregua, con l’album che altrerna brani top (Blackened Karma, la devastante Walk Among The Dead) a qualche passaggio più ordinario (Septic Bite).
Con il mixaggio curato da sua maestà Dan Swanö ed una produzione perfetta per il genere senza essere troppo patinata, Seasons Of The Black si può certamente considerare un Rage album DOC, ma sicuramente buono per proseguire la strada nel mondo metallico nel ruolo di protagonisti, come sempre, a dispetto degli anni che passano.

Tracklist
1. Season Of The Black
2. Serpents In Disguise
3. Blackened Karma
4. Time Will Tell
5. Septic Bite
6. Walk Among The Dead
7. All We Know Is Not
8. Gaia 1:02 9. Justify
10. Bloodshed In Paradise
11. Farewell

Line-up
Peter Peavy Wagner – Vocals, Bass
Marcos Rodriguez – Guitars, Vocals
Vassilios Lucky Maniatopoulos – Drums, Vocals

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Tchornobog – Tchornobog

La musica che Soroka riversa in questo lavoro rappresenta il suo personale calice, un contenitore al cui interno trovano spazio tutte lo forme di metal estremo avvinghiate tra loro in un mortale abbraccio e rese in maniera convulsa, dissonante, ossessiva e, in definitiva, terribilmente inquietante.

Assolutamente in linea con la non convenzionalità di tutte le uscite targate I, Voidhanger, Tchornobog è il passo d’esordio dell’omonimo progetto solista di Markov Soroka, relativamente già noto per il suo operato con altri due monicker di sua esclusiva competenza, Aureole e Slow (quest’ultimo ovviamente da non confondersi con l’omonima creatura di Déhà).

Tchornobog è una traslitterazione di Chernobog, misconosciuta divinità slava, la cui unica testimonianza va ricercata nelle Chronica Slavorum, scritte nel XII secolo dal religioso tedesco Helmold: al riguardo pare che le popolazioni “devote” a tale culto fossero solite mettersi in cerchio e passarsi una sorta di calice, all’interno del quale venivano scagliate le maledizioni che sarebbe state appunto convogliate ed indirizzate nella giusta direzione da questo misterioso “dio nero”.
La musica che Soroka riversa in questo lavoro rappresenta il suo personale calice, un contenitore al cui interno trovano spazio tutte lo forme di metal estremo avvinghiate tra loro in un mortale abbraccio e rese in maniera convulsa, dissonante, ossessiva e, in definitiva, terribilmente inquietante.
In quattro brani che superano abbondantemente l’ora di durata come fatturato complessivo il giovane musicista di origine ucraine, ma di stanza negli Stati Uniti, esibisce senza troppe mediazioni una forma di doom che poggia su basi funeral, sferzata da brusche accelerazioni di stampo black death, e quasi del tutto priva di qualsiasi parvenza melodica, stante l’ossessivo incedere della strumentazione, in gran parte ad opera di Soroka che, saggiamente, si fa aiutare da diversi ospiti tra i quali spiccano l’ottimo Magnús Skúlason alla batteria ed il guru del doom più oscuro e temibile Greg Chandeler, alla voce in The Vomiting Tchornobog e Non-existence’s Warmth. Proprio quest’ultima traccia pare offrire un minimo di tregua all’incessante evocazione del dolore e del male che gli strumenti e le voci minacciose paiono lanciare senza soluzione di continuità, e ciò è appunto il cardine del lavoro: un’inesorabile opera di erosione psichica che, mai come in questo caso, vive in simbiosi con uno stile musicale difficilmente definibile.
Tchornobog è un’opera di intensità spasmodica, che annichilisce e percuote, attraendo fatalmente quando con la mente si cerca invece, razionalmente, di sottrarsi al suo letale abbraccio: un ascolto complesso e che chiaramente non riscuoterà favori in maniera univoca, ma non c’è dubbio che il bravo Markov abbia messo sul piatto un lavoro che non potrà lasciare indifferenti.

Tracklist:
1.I: The Vomiting Tchornobog (Slithering Gods of Cognitive Dissonance)
2.II: Hallucinatory Black Breath of Possession (Mountain-Eye Amalgamation) 12:32
3.III: Non-existence’s Warmth (Infinite Natality Psychosis)
4.IIII: Here, At The Disposition of Time (Inverting A Solar Giant)

Line-up:
Markov Soroka – all instruments, concepts and vocals
Magnús Skúlason – percussion & acoustic drums

With:
Greg Chandler – additional vocals on I & III
Sofia Hedman – saxophone on III
Hannar Gretarson – trumpet and cello
Lillian Liu – grand piano on III
Elizabeth Barreca & Markov Soroka – the Vomiting Choir

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Neverending Winter – Хиус

Le canzoni sono composte molto bene, ogni traccia fa storia a sé e si sentono chiaramente le stimmate dell’ottimo gruppo folk metal, ma definire tali i Neverending Winter è alquanto riduttivo, poiché sono molto di più.

L’inverno ultimamente va di moda grazie alla serie tv Trono di Spade e anche alla maledetta voglia del suo ritorno indotto da questo caldo.

Dalla Siberia, e più precisamente da Tomsk, arriva questo ottimo gruppo di folk metal e molto altro. Dopo l’esordio con titolo omonimo del 2013. il gruppo quasi ogni due anni sforna un nuovo disco, e sono tutti molto buoni e disponibili in download libero sul loro bandcamp, come il presente disco. I Neverending Winter fanno folk metal declinato in molte e diverse accezioni, ma soprattutto hanno una grandissima energia, attraverso la quale riescono a rendere benissimo alcune atmosfere. Il cantato in russo si addice benissimo a questa musica forte come gli alberi della Siberia, cattiva come gli animali che la popolano, e misteriosa come gli spiriti che la popolano. Tutto scorre molto bene, tra aperture melodiche di gran valore, anche con strumenti tradizionali, e sfuriate black, anche se il substrato delle loro composizioni è death metal. Le canzoni sono composte molto bene, ogni traccia fa storia a sé e si sentono chiaramente le stimmate dell’ottimo gruppo folk metal, ma definire tali i Neverending Winter è alquanto riduttivo, poiché sono molto di più.
Ascoltando Хиус si entra nell’enciclopedica conoscenza del metal che hanno questi siberiani, che trovano sempre la soluzione più adeguata al momento e al pathos dello stesso. Dischi come questo decretano la grande forza del movimento folk metal russo, che stra sfornando prodotti sorprendenti. Basti pensare che questo gruppo è senza contratto, si auto produce e si auto promuove, e raggiunge questi risultati. Certamente sono molto bravi, e spero si facciano conoscere il più possibile, perché questo disco è un legame con un qualcosa di ancestrale che tutti possediamo, ed è una qualità che stiamo perdendo. L’inverno senza fine è anche dentro di noi oltre che all’esterno, e bisogna essere molto forti per affrontarlo, e questa musica può dare molto in tal senso.

Tracklist
1.Intro
2.By snowridges (По застругам)
3.Neverending winter (Бесконечная зима)
4.Heeus (Хиус)
5.Sib Ir

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Tommy Stewart’s Dyerwulf – Tommy Stewart’s Dyerwulf

Non mancano attimi di affascinante musica del destino, ma la sensazione all’ascolto è quella di un lavoro che decolla solo a sprazzi, per poi tornare in picchiata verso il compitino.

Una lunga e agonizzante marcia verso l’abisso più profondo, una jam doom metal che affonda le radici negli anni settanta, con un a musica del destino dal sapore old school.

Tommy Stewart, storico bassista dei thrashers Hollows Eve, continua la sua carriera solista, dopo un primo album incentrato sul doom licenziato a suo nome due anni fa (Clef Doom): Tommy Stewart’s Dyerwulf lo vede accompagnato da Eric Vogt alle pelli in questo viaggio nella classicità del genere, di matrice Black Sabbath.
Si scende verso l’ oscurità con questi sette brani che non danno tregua, cadenzati, allucinati, vere e proprie nenie liturgiche e danze macabre che non concedono tregua.
Non mancano attimi di affascinante musica del destino (Horror Show, Through A Dead Man’s Eye), ma la sensazione all’ascolto è un lavoro che decolla solo a sprazzi, per poi tornare in picchiata verso il compitino.
Sono infatti pochi i momenti davvero intensi, e i due musicisti si accontentano di portare l’album alla fine tra il già sentito così che Tommy Stewart’s Dyerwulf risulta un album di genere consigliabile solo a chi del classic doom è un ascoltatore accanito.

TRACKLIST
1.Lilith Crimson Deep
2.Behold! Your World Now Burns
3.Through A Dead Man’s Eye
4.Porpoise Song
5.Horrorshow
6.The Man Who Sold Rope To The Gnoles
7.Prince Of Fools
8.With Darkened Eyes

LINE-UP
Tommy Stewart – Bass, vocals
Eric Vogt – Drums

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