Secret Sight – Shared Loneliness

Un album intenso, melodico e tragicamente vitale, privo di intoppi come il fluido scorrere dell’acqua in un torrente.

Quando la new wave ed il post punk si uniscono al dark progressivo tanto in voga negli ultimi tempi, ecco che prende forma un rock emozionale nel quale trame malinconiche accompagnano l’ incedere di brani in cui si respira un epicità scovata nella vita di tutti i giorni.

Parlando di new wave non ci si può dimenticare degli anni ottanta e dei gruppi cardine del genere, ma senza fare nomi e cognomi ci crogioliamo nelle linee melodiche della voce o degli arpeggi elettrici di una chitarra vestita di nero e truccata con il mascara, leggero ma presente.
I Secret Sight da Ancona, nati dalle ceneri del progetto Coldwave e subito in pista con il debutto Day.Night.Life, tornano con questo bellissimo album , maturo, coinvolgente e armonicamente sopra le righe, una raccolta di tracce che dei generi descritti prendono il meglio e lo riassumono in un rock che vive di una grande malinconia ma che si apre anche alla speranza, mentre i più vecchi tra voi gusteranno passaggi che risulteranno familiari, ma perfettamente incastonati in un sound personale e coinvolgente.
Shared Loneliness vi ipnotizzerà, seducente e bello mentre le sue spire si avvolgeranno sempre più ad ogni brano, dall’opener Lowest Point per arrivare all’ultima nota della conclusiva Sometimes, passando tra le note che si fanno diaboliche e pregne di lucide melodie decadenti in Blindmind o nella bellissima Over, senza perdere un solo attimo dell’urgenza post punk (Stage Lights).
Un album intenso, melodico e tragicamente vitale, privo di intoppi come il fluido scorrere dell’acqua in un torrente.

Tracklist
1.Lowest Point
2.Stage Lights
3.Blindmind
4.Fallen
5.Flowers
6.Swan’s Smile
7.Over
8.Surprising Lord
9.Sometimes

Line-up
Cristiano Poli – vocals, guitar
Lucio Cristino – vocals, bass
Enrico Bartolini – drums

SECRET SIGHT – Facebook

One Eyed Jack – What’m I Getting High On?

Il trio lombardo non si nasconde certo dietro ad un dito, ti sbatte in faccia le proprie influenze e come se fossimo tutti trasportati in un locale della Seattle sfatta di rock ed eroina, ci consegna un valido tributo ad una delle scene musicali più importanti del secolo scorso.

Echi di Bleach e Nevermind, lasciati al caldo sole del deserto della Sky Valley, formano un sound massiccio e profondo, mentre il tempo si ferma e con una brusca inversione a U ci riporta ai primi anni novanta e alle perturbazioni musicali che, come la pioggia, fanno di Seattle una delle città più cupe del mondo.

Ma siamo nel 2017 e nel Nord Italia, precisamente nel bresciano dove si aggirano da qualche anno gli One Eyed Jack, tornati dopo un primo album autoprodotto con questo macigno di hard rock americano dalle ispirazioni grunge/stoner intitolato What’m I Getting High On?, licenziato dalla Fontana Indie Label 1933.
Il trio lombardo non si nasconde certo dietro ad un dito, ti sbatte in faccia le proprie influenze e come se fossimo tutti trasportati in un locale della Seattle sfatta di rock ed eroina, ci consegna un valido tributo ad una delle scene musicali più importanti del secolo scorso.
Ovviamente gli One Eyed Jack ci mettono del loro, che consiste nello stonerizzare il tutto con un basso grasso che al calore cola di liquido vischioso, presente come i riff potenti della sei corde ed il cantato malato, nervoso ma a tratti rilassato prima di esplodere in rabbiosi chorus di scuola Cobain.
Primetime, The Edge Of The Soul, l’atmosfera tirata dal basso che pulsa di Washyall, l’urgenza punk di Shitting Blood, e una presa live che non mancherà di fare vittime dall’alto di un palco fanno di What’m I Getting High On? un lavoro diretto e che ben fotografa l’influenza dei gruppi di Seattle sul rock del nuovo millennio.
L’album potrà risultare magari poco originale ma non ci sono certamente dubbi sul suo impatto.

Tracklist
1. Primetime
2. Little Junior Finally Grew A Beard
3. Soon Back Home
4. Shitting Blood
5. Sgrunt
6. The Edge of the Soul
7. Daily Abuse
8. Drama Shit
9. Washyall
10. Dog Fight

Line-up
Daniele – chitarre e voci
Giampietro – bassi
Dariored – batterie

ONE EYED JACK – Facebook

Drug Honkey – Cloak Of Skies

Un disco senz’altro interessante ma decisamente ostico, ad opera di musicisti ai quali, fondamentalmente, interessa rappresentare la realtà che si annida al di sotto dei trucchi e dei belletti, riuscendoci piuttosto bene.

Gli statunitensi Drug Honkey sono in circolazione da oltre quindici anni, nel corso dei quali hanno dato alle stampe cinque full length, ultimo dei quali è questo Cloak Of Skies, ma per assurdo sono più noti per aver annoverato tra le loro fila un nome pesante dell’underground americano come quello di Blake Judd.

Questo dimostra quanto spesso ci si fermi alle apparenze o ai semplici nomi senza provare ad andare oltre, un’operazione invece di fondamentale importanza per provare a penetrare nella spessa coltre di fango che i nostri continuano periodicamente a riversare sul’audience.
Cinque anni dopo Ghost in the Fire, la band di Paul Gillis ritorna con un lavoro all’insegna della sperimentazione psichedelica e dissonante, inserita su un’impalcatura death doom che, complice la sempre ottima copertina di Paolo Girardi, risulta un portale spalancato su un mondo parallelo per nulla rassicurante od accogliente.
Cloak Of Skies si può approssimativamente suddividere in due parti, con la prima metà che offre brani assolutamente devastanti ma non del tutto privi di barlumi di accessibilità (soprattutto nei finali delle ottime Pool of Failure ed Outlet of Hatred) e la seconda che vede il suono ripiegarsi del tutto o quasi su sé stesso, per confluire nel delirio di una title track attraversata anche dal sax dell’ospite Bruce Lamont degli Yazuka.
C’è poco da descrivere e molto da ascoltare, a patto di mantenere occhi e soprattutto orecchi ben aperti, anche se probabilmente in molti casi ciò non sarà sufficiente, visto che il tasso di incomunicabilità trasmesso dai Drug Honkey con questo lavoro si spinge ben oltre il livello di guardia, nonostante la decisione di chiudere con il remix dell’opener Pool of Failure affidato a Justin Broadrick, capace di applicare la sua geometricità al fragore della versione originale, vada a costituire un ulteriore elemento in grado di attirare l’attenzione.
Un disco senz’altro interessante ma decisamente ostico, ad opera di musicisti ai quali, fondamentalmente, interessa rappresentare la realtà che si annida al di sotto dei trucchi e dei belletti, riuscendoci piuttosto bene.

Tracklist:
1. Pool of Failure
2. Sickening Wasteoid
3. Outlet of Hatred
4. (It’s Not) The Way
5. The Oblivion of an Opiate Nod
6. Cloak of Skies
7. Pool of Failure (JK Broadrick remix)

Line-up:
Paul Gillis (Honkey Head) – Vocals, synths, samples, fx
Adam Smith (BH Honkey) – Drums
Gabe Grosso (Hobbs) – Guitar
Ian Brown (Brown Honkey) – Bass

DRUG HONKEY – Facebook

THE STEEL

Il video di “Take me Away”, tratto dall’album “The Evolution of Love”.

Nuovo video per i napoletani THE STEEL (ex-WIZARD): il brano scelto è “Take me Away”, tratto dall’album “The Evolution of Love”, uscito lo scorso anno con il vecchio monicker. Il lavoro è stato pubblicato dalla label statunitense Perris Records, che curerà la distribuzione dell’album per i prossimi due anni.