EXPERIMENT N°Q

Il nuovo video Dust I Am, tratto dall’ultimo Album “Right After The Experiment no.Q” (Aenima Recordings).

“The Experiment no.Q”, progetto nato a Torino nel 2012 dalla collaborazione di artisti italiani e stranieri sotto la direzione musicale di Paolo Vallerga, rilascia il nuovo Video “Dust I Am”. Tratto dall’ultimo Album “Right After The Experiment no.Q” (Aenima Recordings) il video mischia tecniche di animazione 2D e 3D del tutto particolari. Buon ascolto e visione!

Featuring:

Thomas Vikström (Vocals);
Nalle Påhlsson (Bass & Vocals);
Jacopo Garimanno (Lead Guitar);
Andrea Falaschi (Drums);
Andrea Palazzo, Paolo Vallerga (Rhythm Guitar);
Marco Signore (Piano);
Oxy Hart, Kevin Zwierzchaczewski, Fabio Privitera (Chorus).
Music by Paolo Vallerga & Roberto Grassi
Lyrics by Paolo Vallerga

For any information: press@numberq.net

Sun Of The Sleepless – To The Elements

Echi di Empyrium e The Vision Black si inseguono e si fondono in una nuova ed ancora più oscura veste, dando vita ad una forma di black metal che va a toccare vette difficilmente superabili.

Quando ci si approccia all’ascolto dell’album di una band poco conosciuta penso che tutti, istintivamente, provino a raccogliere qualche notizia sui musicisti che ne fanno parte e sulla sua discografia passata: questo, inevitabilmente, rischia di creare un pregiudizio (nel senso letterale di giudizio preventivo) nel bene o nel male, quando invece i nomi coinvolti nell’opera sono ben noti.

Confesso che, quando è partito To The Elements nel mio lettore stracolmo di album in mp3 da ascoltare per poi provare a descriverne il contenuto nel migliore dei modi, dei Sun Of The Sleepless ricordavo solo che mi erano arrivati via Prophecy Productions ma, aiutato anche da quest’ultimo indizio, ho impiegato ben poco per capire che il musicista coinvolto in questo progetto era Markus Stock, alias Ulf Thodor Schwadorf: per chi ha amato fin dalla prima ora gli Empyrium ed ha apprezzato non poco l’operato del nostro anche con i The Vision Bleak, non è difficile riconoscere l’impronta di uno degli autori maggiormente peculiari tra quelli dediti al lato più oscuro del metal.
Ed ecco scattare il pregiudizio: da quel momento in poi ti attendi di ascoltare qualcosa di speciale, capace di costringerti ad un’attenzione superiore alla media per cogliere al meglio ogni sfumatura, cosa che, per carità, si prova sempre a fare ma con risultati altalenanti, trovandosi spesso di fronte a lavori anche buoni a livello esecutivo e compositivo ma non sempre stimolanti.
Però uno come Markus Stock non può deludere, perché troppo è il talento che madre natura gli ha concesso, regalandoci  con questo suo progetto solista nato alla fine dello scorso secolo la sua personale interpretazione di un black metal che, se già di solito in terra germanica viene interpretata in maniera ben diversa e più ricercata rispetto al resto del mondo, in questo caso tocca vette difficilmente superabili; ovviamente il musicista bavarese non si dimentica d’essere il padre degli Empyrium e certi episodi più rarefatti o acustici lo stanno a dimostrare (The Burden, il cui testo è tratto dall’opera shakespeariana la Tempesta, e Forest Crown), ma nei restanti cinque brani fa sciogliere il face painting a una moltitudine di ragazzotti di buona volontà, esibendo qualcosa che rasenta lo stato dell’arte del genere, almeno per quanto riguarda il suo aspetto più atmosferico ed evocativo.
Bastano pochi secondi di Motions per immergersi nell’atmosfera austera che il marchio Sun Of The Sleepless regalerà lungo lo spartito creato per To The Elements: questo brano è uno dei più belli ascoltati nel genere negli ultimi anni, e il piede batte ai ritmi parossistici dei blast beat mentre mentre lo spirito si lascia trasportare da un crescendo melodico che si vorrebbe interminabile.
Echi di Empyrium e The Vision Black si inseguono e si fondono in una nuova ed ancora più oscura veste, passando per la superba The Owl dedicata al meraviglioso rapace notturno, per arrivare alla conclusiva Phoenix Rise, che si ammanta di una più malinconica melodia per poi chiudersi con una citazione tolkeniana tratta da La Compagnia dell’Anello.
Da un musicista di questo spessore non ci poteva attendere nulla di meno, ma ogni volta che si palesa un album di simile livello qualitativo si rinnova quel momento magico che è il piacere della scoperta e la voglia di riascoltare queste note non appena se ne avrà l’occasione …
Là fuori c’è davvero tanta grande musica, gran parte della quale il popolo degli appassionati è destinato ad ignorare stante l’impossibilità fisica di ascoltarla tutta: uno dei nostri compiti è anche far emergere ciò che davvero non può e non deve essere ignorato, come appunto questo primo full length dei Sun Of The Sleepless del  bravissimo Markus Stock.

Tracklist:
1. The Burden
2. Motions
3. The Owl
4. Where in My Childhood Lived a Witch
5. Forest Crown
6. The Realm of the Bark
7. Phoenix Rise

Line up:
Ulf Theodor Schwadorf – Everything

SUN OF THE SLEEPLESS – Facebook

Cunning Mantrap – Hazmat

It’s only rock’ n’ roll, niente di più, niente di meno, ma robusto, graffiante, totalmente stonato, con un sound che penetra sotto una pelle bruciata dalla troppa esposizione al sole.

Ecco un’altra ottima band dai suoni hard rock in arrivo dal centro Europa, da quelle terre germaniche dove il genere ed i suoi derivati splendono di tradizione ed il metal/rock trova la sua patria ideale.

I Cunning Mantrap sono un terzetto di rockers con un solo ep alle spalle (Dull Days), ora seguito da Hazmat, nuovo e notevole lavoro che spazia tra hard rock, grunge e stoner metal, sguaiato, bluesy e psichedelico quanto basta per lasciarlo nel lettore a far danni nelle vostre serate alcoliche.
Licenziato dalla Fastball Music lo scorso anno, MetalEyes IYE lo ripropone ai suoi lettori, che di deserto arso da una palla infuocata e vulcanici riff se ne intendono.
In verità non siamo al cospetto di chissà quale novità: il sound del gruppo tedesco segue le strade polverose di molte hard rock band del momento, ma sfido chiunque a non muovere il fondo schiena e sbattere la capoccia al ritmo di questa dozzina di brani anfetaminici, mentre gli anni settanta ed i suoi eroi ammiccano soddisfatti alle gesta di Phry McDunstan, Tobias Schmidt e Lukas Bönschen da Colonia.
It’s only rock’ n’ roll, niente di più, niente di meno, ma robusto, graffiante, totalmente stonato, con un sound che penetra sotto una pelle bruciata dalla troppa esposizione a un sole che illumina brani come l’opener Red, dal sound creato a Seattle e portato in terra teutonica da Weary, mentre la varia raccolta di tracce porta l’ascoltatore ad assaporare diverse atmosfere tra i cieli dove vola il dirigibile zeppeliniano, il deserto dove corre la macchina Kyuss e le pozzanghere di una piovosa città americana dove bazzicavano Alice In Chains e Soundgarden.
Hazmat è dunque un ottimo lavoro , diretto, senza fronzoli ma ricco di buone canzoni: cercatelo, non ve ne pentirete.

Tracklist
1.Red
2.Company
3.Play The Prophet
4.Uncanny Volley
5.A Light Have Should Have Shined
6.Detox
7.Weary
8.The Past
9.The Future II
10.Orange
11.Straight Outta Hand
12.The Course Of The Leaden Tongue

Line-up
Phry McDunstan – Lead guitars, bass
Tobias Schmidt – Bass
Lukas Bönschen – Drums

CUNNING MANTRAP – Facebook

Thy Art Is Murder – Dear Desolation

Più death metal che core, Dear Desolation è da considerare un buon ritorno per il quintetto australiano, una macchina estrema moderna legata da un filo neanche troppo sottile alla tradizione.

Ormai, con l’uscita di questo ultimo lavoro, la definizione deathcore per descrivere la musica degli australiani Thy Art Is Murder risulta sicuramente forzata, ma andiamo con ordine.

La band di Sydney torna con Dear Desolation quarto album in studio licenziato in Europa dalla Nuclear Blast che segna il ritorno dell’orco CJ McMahon, allontanatosi all’indomani dell’uscita di The Depression Session, split album in compagnia di The Acacia Strain e Fit for an Autopsy, ma rientrato dopo pochi mesi.
Accompagnato da un’inquietante copertina che vede ritratto un famelico lupo allattare un agnellino con l’intenzione di sbranarlo subito dopo, Dear Desolation è un buon esempio di brutal death metal ispirato da soluzioni moderne, efferato e terribile come le fauci del grande predatore.
A tratti l’oscurità pressante ed il continuo massacro vengono stemperate da soluzioni melodiche che rimangono tragiche ed infauste, mentre il vorace lupo prende le sembianze del singer, animalesco e cattivo come pochi.
Nella sua interezza l’album risulta un macigno estremo di death metal brutale e moderno, accentuato da devastanti sfuriate e mid tempo che sono muri di arrembante metallo oscuro, mentre le sei corde questa volta risultano più varie e melodiche nel gestire il proprio lavoro e l’elemento elettronico/atmosferico è presente, senza però mettere in discussione la natura brutal dell’opera.
L’ultimo lavoro dei deathsters australiani non è sicuramente di facile assimilazione, anche se la durata è nella media (una quarantina di minuti), grazie ad una tragica ed oscura anima che aleggia sui brani così da soffocare la title track, Death Dealer, Into Chaos We Climb e le altre tracce in un buio perenne di dannazione e violenza.
Più death metal che core, Dear Desolation è da considerare un buon ritorno per il quintetto australiano, una macchina estrema moderna legata da un filo neanche troppo sottile alla tradizione.

Tracklist
1. Slaves Beyond Death
2. The Son Of Misery
3. Puppet Master
4. Dear Desolation
5. Death Dealer
6. Man Is The Enemy
7. The Skin Of The Serpent
8. Fire In The Sky
9. Into Chaos We Climb
10. The Final Curtain

Line-up
CJ McMahon – vocals
Andy Marsh –
Sean Delander – guitars
Kevin Butler – bass
Lee Stanton – drums

THY ART IS MURDER – Facebook

BVDK – Architecture of Future Tribes

Un lavoro davvero particolare, ma meritevole di grande attenzione, che rappresenta l’ennesima manipolazione audace e fantasiosa della materia black metal.

Tanto per cambiare è dalla vicina Francia che arriva l’ennesima manipolazione audace e fantasiosa della materia black metal, questa volta ad opera del trio denominato BVDK.

Una tantum il termine black non va associato solo al metal ma anche alla musica proveniente dall’Africa: in Architecture of Future Tribes avviene infatti l’audace tentativo di fondere i furiosi blast beat con elementi tribali ed elettronici, andando a formare un ibrido tanto improbabile quanto efficace; inutile specificare pertanto che qui siamo molto lontani dalle dissonanze sperimentali in quota Blut Aus Nord o Deathspell Omega, per lasciare sfogare piuttosto un’indole industrial sulla quale va ad aderire una sorprendente e melodica capace di catturare l’attenzione ogni singolo brano.
L’unico elemento riconducibile alla normalità è la voce, che strepita in maniera esasperata ed in lingua madre liriche sopraffatte, a livello di produzione, dalla furia organizzata della strumentazione; se Snatcher esibisce un volto ballabile, Nana Buluku parrebbe sfogare all’infinito un rabbioso black atmosferico, prima che il break centrale ci faccia piombare nel bel mezzo del continente nero e delle sue affascinanti nenie tribali, e se La Langue Sanglante è un notevole strumentale che mette in luce anche un buon lavoro chitarristico all’interno di un’inquietante atmosfera cinematografica, Jericho’s Pride è un crescendo emotivo che quando sembra pronto per esplodere si suddivide in velenosi rigagnoli elettro-tribali.
Psalm 32 chiude l’album risultando inferiore per suffisso numerico del brano dei Ministry, ma eguagliandolo o quasi in quanto a penetrazione ed ossessività, a suggello di un lavoro davvero particolare ma meritevole di grande attenzione, soprattutto da parte di chi ama farsi sorprendere dalle soluzioni originali che non difettano certo ai nostri cugini d’oltralpe.

Tracklist:
1. Snatcher
2. Surreptitious Cluster
3. Nana Buluku
4. La Langue Sanglante
5. Bahir Dar
6. Jericho’s Pride
7. Dar es Salaam
8. Psalm 32

Line-up:
Scree – Guitars
A-152 – Guitars, bass, electronics
Lvx – Vocals, electronics

BVDK – Facebook