SOUL SELLER

Il lyric video di “Get Stronger”, dall’album “Matter of Faith” (Tanzan Music).

Il lyric video di “Get Stronger”, dall’album “Matter of Faith” (Tanzan Music).

Ivan Miladinov – Soul Finder

La musica di Miladinov è una via di mezzo tra i Children Of Bodom e gli Stratovarius o, per chi segue l’underground, i brasiliani D.A.M, all’insegna di un power/death metal melodico e tastieristico.

Questa interessante proposta estrema arriva dalla Bulgaria, ed il musicista che vi presentiamo si chiama Ivan Miladinov, tastierista e cantante che, con l’aiuto di Bob Katsionis dei Firewind (chitarra basso e batteria programmata), licenzia tramite la Club Inferno Entertainment questo ep composto da due brani dal titolo Soul Finder.

La title track e I Was In Hell ci deliziano di un death metal melodico, strutturato principalmente sui suoni di tasti d’avorio, quindi dall’approccio molto pomposo e sinfonico con le ritmiche power che si scontrano con un death/pomp metal d’assalto.
Il growl del musicista bulgaro è l’unica vera concessione alla parte estrema, mentre il resto del sound viaggia piacevolmente spedito sulle ali di un power metal bombastico e melodico.
Ne escono due brani accattivanti, classici nell’impatto e dall’ottimo appeal, veloci quanto basta per accontentare sia gli amanti del metal classico di stampo power, che quelli più indirizzati verso ascolti più duri.
La musica di Miladinov è, in sintesi, una via di mezzo tra i Children Of Bodom e gli Stratovarius o, per chi segue l’underground, i brasiliani D.A.M, all’insegna di un power/death metal melodico e tastieristico.
Un full length così strutturato non sfigurerebbe certo tra le uscite targate melodic death metal, anche se qui ci si rivolge agli amanti della parte più classica del genere e non certo quella in uso oggi, colma di soluzioni core.

Tracklist
1. Soul Finder
2. I Was In Hell

Line-up
Ivan Miladinov – vocals, keyboards, composer and arrangements
Bob Katsionis (FIREWIND) – guitars, bass and drums programming

X Japan – We Are X Soundtrack

Il gruppo giapponese, proprio per la sua provenienza e la sua arte, o lo si ama o lo si odia, difficilmente si riesce a rimanere indifferenti, come accade ai suoi fans (tanti nel loro paese e nel Regno Unito) che faranno di questa raccolta il loro album targato 2017.

La più famosa e rappresentativa band heavy metal giapponese torna sul mercato con la colonna sonora dell’acclamato documentario sulla sua lunga carriera, da una delle primi gruppi heavy metal ad inventori dello stile Visual Key.

Una storia portata all’eccesso, a tratti grottesca, raccontata dall’heavy power metal melodico, velocissimo e tecnicamente invidiabile degli X Japan.
Una raccolta di brani che scorrono come fotogrammi la lunga storia del gruppo, iniziata nel 1987, fermatasi dieci anni dopo e che continua dopo la reunion del 2007, questa è in definitiva We Are X Soundtrack, quindi gli amanti degli eccessi e dell’estremo in chiave Nipponica avranno di che crogiolarsi, d’altronde la band oltre ad essere considerata un’icona della musica rock del sol levante ha regalato ai suoi fans occidentali buona musica hard & heavy, niente di clamoroso a mio parere, ma sufficiente per destare dal letargo gli amanti del metal dagli occhi a mandorla.
Maestri dell’arte del Visual Key, abbinata al metal, su disco gli X Japan perdono molto della loro carica, non supportati dall’elemento visivo fondamentale nell’economia del gruppo.
La band del polistrumentista Yoshiki è il perfetto esempio della cultura giapponese che, cercando un posto d’onore in occidente, lo trova ma è costretta a mantenere un approccio eccessivo, anche quando il tutto diventa stancante, così che i brani migliori risultano a mio avviso le ballad, che fortunatamente non mancano su questa raccolta.
Il resto è, come già scritto, heavy metal classico spinto da buone ritmiche power, ma con un songwriting elementare che, senza l’apporto video manca di un bastone su cui appoggiarsi, inciampando a più riprese, tra tecnica, velocità e poco altro.
Per la cronaca, We Are X Soundtrack raccoglie il meglio del gruppo tra brani live, versioni acustiche ed originali pescate dai dieci anni di attività tra il 1987 ed il 1997.
Il gruppo giapponese, proprio per la sua provenienza e la sua arte, o lo si ama o lo si odia, difficilmente si riesce a rimanere indifferenti, come accade ai suoi fans (tanti nel loro paese e nel Regno Unito) che faranno di questa raccolta il loro album targato 2017.

Tracklist
01.La Venus (Acoustic Version)*
02.Kurenai (from The Last Live)
03.Forever Love
04.Piano Strings of Es Dur
05.Dahlia
06.Crucify My Love
07.Xclamation
08.Standing Sex (from X Japan Returns)
09.Tears
10.Longing / Setsubo-no-yoru
11.Art of Life (3rd Movement)
12.Endless Rain (from The Last Live)
13.X (from The Last Live)
14.Without You” (Unplugged)

Line-up
Toshi – Vocals, Guitars
Sugizo – Guitars, Violin
Pata – Guitars
Heath – Bass
Yoshiki – Drums, Keyboards

X JAPAN – Facebook

Fleurety – The White Death

I Fleurety continuano bellamente a fregarsene di ogni convenzione e riversano sull’ascoltatore un groviglio di suoni che trovano una loro effettiva ragione d’essere nelle sole occasioni in cui la forma canzone prende realmente corpo.

Un disco dei Fleurety è un qualcosa destinato a produrre reazioni contraddittorie: così troveremo chi ne esalterà il coraggio e la vis sperimentale e chi, invece, lo derubricherà ad una meno nobile “cagata pazzesca” di fantozziana memoria.

Normalmente, nell’affrontare opere di questo genere, tendo a non assumere una posizione definita, in un senso o nell’altro, non tanto per rifugiarmi in un comodo cerchiobottismo, quanto perché spesso, a spunti effettivamente geniali, fanno da contraltare momenti sinceramente difficili da digerire.
The White Death è il terzo full lenght degli avanguardisti norvegesi, ed arriva ben diciassette anni dopo il precedente: uno spazio temporale che equivale ad una vita, discograficamente parlando, riempita parzialmente da diversi ep confluiti poi nella compilation Inquietum, uscita qualche mese fa.
Passati ai servizi della Peaceville, Svein Egil Hatlevik e Alexander Nordgaren continuano bellamente a fregarsene di ogni convenzione e riversano sull’ascoltatore un groviglio di suoni che trovano una loro effettiva ragione d’essere solo quando esibiscono una vena poetica vicina al migliore Tony Wakeford (stonature incluse), nelle uniche due occasioni in cui la forma canzone prende realmente corpo (The Ballad of Copernicus e Future Day, oggettivamente entrambe molto belle); il resto è un susseguirsi di dissonanze inframmezzate talvolta dalla viziosa voce di Linn Nystadnes (interessante specialmente in Ambitions of the Dead) , approdando in quella scomoda terra di nessuno nella quale è davvero difficile capire se il risultato che ne scaturisce sia frutto di un’irrefrenabile genialità o di semplice mancanza di idee e di talento.
Personalmente, pur essendo propenso ad ascolti che esulano dai normali canoni, fatico non poco ad entrare in sintonia con il duo norvegese, anche perché, come dimostrano ampiamente i brani citati, la capacità di produrre musica tutt’altro che convenzionale ma di grande impatto, anche emozionale, è senz’altro nelle corde dei Fleurety; nonostante ciò i nostri, invece, continuano pervicacemente a cercare forzature con il solo risultato di annoiare o, comunque, a rendere The White Death un ascolto tutt’altro che agevole, probabilmente anche per gli stessi propugnatori del “famolo strano”, al di là delle dichiarazioni di facciata.
Detto questo, ognuno faccia le proprie valutazioni al riguardo: la mia, semplicemente, è che questo nuovo lavoro dei dei Fleurety ripasserà di rado nel mio lettore.

Tracklist:
1. The White Death
2. The Ballad of Copernicus
3. Lament of the Optimist
4. Trauma
5. The Science of Normality
6. Future Day
7. Ambitions of the Dead
8. Ritual of Light and Taxidermy

Line-up
Svein Egil Hatlevik – Drums, Vocals (lead)
Alexander Nordgaren – Guitars

Guests:
Krizla – Flute
Flipz – Vocals (backing)
Carl-Michael Eide – Bass, Vocals
Linn Nystadnes – Vocals

FLEURETY – Facebook

Sojouner – Empires of Ash

Un lavoro valido, basato su un black metal epico e atmosferico, che non stravolge le gerarchie del genere rivelandosi, però, degno di ascolto e di attenzione per chi apprezza simili sonorità.

Empires of Ash è il full length d’esordio dei Sojourner, una band piuttosto anomala per composizione, visto che è formata da due neozelandesi, da un’inglese ed uno spagnolo, con l’aggiunta di un batterista italiano entrato in organico dopo l’uscita del disco.

È vero però che il nucleo della band è rinvenibile a Dunedine, in quell’emisfero australe dove risiedono abitualmente Mike Wilson e Mike Lamb, che assieme compongono l’interessante progetto doom Lisythea, raggiunti dalla britannica Chloe Bray che di Lamb è la consorte; probabilmente senza averlo costretto ad estenuanti trasvolate oceaniche, i tre hanno ingaggiato un vocalist piuttosto noto in ambiente doom come lo spagnolo Emilio Crespo (Nangilima) e da questo incontro è nato un lavoro davvero valido, basato su un black metal epico e atmosferico, che non stravolge le gerarchie del genere rivelandosi, però, degno di ascolto e di attenzione per chi apprezza simili sonorità.
Empires of Ash, in effetti, è uscito più di un anno fa per Avantgarde Music ed è stato rimesso in circolazione nello scorso mese di marzo, da parte della Fólkvangr Records, nel sempre più diffuso ed appetibile formato in musicassetta: viene fornita quindi una buona occasione per riascoltare brani dal notevole impatto evocativo come Heritage of the Natural Realm, Aeons of Valor e la lunghissima title track, chiusura degna di un’opera interessante e di buona fruibilità.

Tracklist:
Side A
1. Bound by Blood
2. Heritage of the Natural Realm
3. Aeons of Valor
4. The Pale Host
Side B
5. Homeward
6. Trails of the Earth
7. Empires of Ash

Line-up
Mike Wilson – Bass
Mike Lamb – Drums, Guitars, Piano, Synth
Chloe Bray – Guitars, Tin whistle, Vocals (female)
Emilio Crespo – Vocals

SOJOURNER – Facebook

Dr.Gonzo And The Cheesy Boys – The Witch

The Witch è un disco peculiare ed unico, fatto di momenti davvero belli, lo si ascolta come se fosse un sogno e riporta la psichedelia al suo naturale alveo insieme all’hard rock, in una cornice curatissima, e conferma come Piacenza e dintorni siano la culla italiana di una certa musica visionaria e bellissima.

Due lunghe suite psichedeliche divise in due lati per un uno dei migliori gruppi italiani di musica visionaria.

I Dr.Gonzo and The Cheesy Boys sono un gruppo nato nel 2006 da amanti della musica anni settanta, che è il collante di questo gruppo. The Witch è in pratica un concept album sulla nascita, la vita e la morte di una strega, il tutto narrato con una musica che prende ispirazione dalla psichedelia inglese anni sessanta e settanta, e da un hard rock anch’esso di quell’epoca. Il disco è anche un esordio poiché il gruppo avrebbe inciso anche un altro disco nel 2009, The River, che non è mai stato pubblicato. La musica di The Witch è veramente stupefacente e ci riporta prepotentemente negli anni settanta, anche grazie all’uso di moog e hammond che procurano momenti di vero viaggio all’interno delle canzoni. Le canzoni sono strutturate per non essere tali ma lunghe jam nelle quali può succedere di tutto, e in esse possiamo trovare generi diversi, improvvisi cambi di atmosfera e di registro, da un’aria più atmosferica a qualcosa di più cupo, ma il tutto è molto intrigante e bello. Forte, come nella psichedelia inglese anni sessanta e settanta, è il richiamo verso l’occulto, verso quella parte di realtà che esiste ma che non vediamo, e personaggi come le streghe possono portarci oltre i nostri limiti. The Witch è un disco peculiare ed unico, fatto di momenti davvero belli, lo si ascolta come se fosse un sogno e riporta la psichedelia al suo naturale alveo, insieme all’hard rock, in una cornice curatissima, e conferma come Piacenza e dintorni siano la culla italiana di una certa musica visionaria e bellissima.

Tracklist
01. The Witch Pt. 1
02. The Witch Pt. 2

Line-up
Mattia Montenegri: drums
Emil Quattrini: Hammond, Moog, Rhodes, Mellotron
Carlo Barabaschi: guitar
Filippo Cavalli: bass

DR.GONZO AND THE CHEESY BOYS – Facebook

OMEGA

Eve, l’opus prima degli Omega da Rimini, è un disco notevole e che ha uno scopo ben più profondo rispetto alla musica normale. Scopriamolo con loro in questa intervista

ME Il black metal può essere un mezzo per destrutturare la nostra realtà e trovare qualcosa di vero?

Vero o irreale sono concetti totalmente relativi. Per un folle le visioni sono reali quanto per chiunque altro lo è il mondo che ci circonda. La musica può aprire il velo di questa realtà, quel che si trova oltre può essere reale o intangibile, dipende tutto da chi sta da questa parte del velo e quanto è disposto ad andare oltre.

ME Che obiettivi ha Eve?

Lo scopo di Eve è quello di liberare la mente dalla dimensione materiale che ci circonda e portarla ad un livello differente dove può muoversi senza vincoli di spazio e tempo, la negazione totale dell’io materiale in favore di un io più ampio.

ME Il sovrannaturale in musica ha senso?

Per sovrannaturale in musica si intende qualcosa che va oltre l’ascolto, qualcosa che può tessere una dimensione che diventa quasi reale all’interno della mente di chi sta ascoltando. Questo è lo scopo degli Omega.

ME Perchè vi siete ispirati al libro di Voynich e cosa ne pensate di tale libro?

Il manoscritto Voynich è un enigma che è rimasto intatto per oltre 500 anni, un opera visionaria e geniale a prescindere da tutto. Sin dai tempi più antichi l’uomo è attratto dall’ignoto, da ciò che è ermetico; il manoscritto è molto più che un libro, è la rappresentazione fisica di tutto questo.

ME Ci sono artisti con il quale vi piacerebbe collaborare?

Ci sono artisti che stimiamo, altri che ci ispirano, che siano essi musicisti o artisti in senso più ampio, fino ad oggi non abbiamo mai pensato ad una collaborazione, gli Omega sono una realtà estremamente ermetica, per ora le collaborazioni non sono nei nostri progetti.

ME Cosa vi ha spinto a suonare black metal?

Cercavamo una dimensione sonora concettuale che andasse oltre alla musica, cercavamo qualcosa che potesse condurre la mente in una dimensione differente rispetta a quella alla quale siamo abituati, il Black, il Doom, l’Ambient sono la naturale inclinazione musicale di chi vuol raggiungere questo scopo.

ME Se Eve dovesse essere un libro a chi affidereste le illustrazioni?

In un certo senso Eve è un libro, è la nostra personale interpretazione del Manoscritto Voynich, non solo musicale, ma anche visiva. Se non fosse morto da almeno cinque secoli, il misterioso autore del libro stesso sarebbe l’artista più adatto a tale scopo. Attualmente abbiamo deciso di rielaborare personalmente le illustrazioni del manoscritto e trasportarle all’interno della nostra visione, sfogliando il booklet del disco si può capire di cosa sto parlando.

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Eve, the opus from Omega from Rimini, is a remarkable record and has a goal far deeper than normal music. Let’s find out with them in this interview

ME Can black metal be a means of destroying our reality and finding something real?

True or unreal are totally related concepts. For a fool the visions are as real as anyone else is the world around us. Music can open the veil of this reality, what is beyond it can be real or intangible, it depends entirely on who is on this side of the veil and how much is willing to go further.

ME What is Eve’s goal?

The purpose of Eve is to free the mind from the material dimension that surrounds us and bring it to a different level where it can move without constraints of space and time, the total negation of the material in favor of a larger ego.

ME Does the supernatural in music make sense?

For supernatural in music, something that goes beyond listening, something that can weigh a dimension that becomes almost real within the mind of those who are listening. This is the purpose of Omega.

ME Why did you inspire Voynich’s book and what do you think of that book?

The Voynich manuscript is an enigma that has remained intact for over 500 years, a visionary and ingenious work regardless of everything. From the earliest times man is attracted to the unknown, from what is hermetic; the manuscript is far more than a book, it is the physical representation of all this.

ME Are there artists with whom you would like to collaborate?

There are artists we estimate, others that inspire us, whether they are musicians or artists in the broader sense, to date we have never thought of a collaboration, Omega is an extremely hermetic reality, for now collaborations are not in our projects .

ME What made you play black metal?

We were looking for a conceptual sound dimension that went beyond music, we were looking for something that could lead our mind to a different dimension respects what we are accustomed to, Black, Doom, Ambient are the natural musical inclination of those who want to achieve this goal .

ME Should Eve be a book to whom you would like the illustrations?

In a sense, Eve is a book, it is our personal interpretation of the Voynich Manuscript, not just musical, but also visual. If he had not died for at least five centuries, the mysterious author of the book himself would be the artist most suitable for that purpose. Currently we have decided to personally rework the manuscript illustrations and carry them inside of our vision, browsing the booklet can understand what I’m talking about.

Craven Idol – The Shackles Of Mammon

I Craven Idol hanno imparato la lezione dei vecchi e blasfemi maestri in giro per l’Europa negli anni ottanta e novanta, assorbendo il più possibile dai vari generi per vomitarli in un sound demoniaco ed oscuro, legato tanto al metal tradizionale quanto a quello di ispirazione estrema.

Nel Regno Unito la scena metal classica è più incline a mantenere inalterata la tradizione, concedendo poco alle moderne soluzioni e mantenendo un approccio old school.

Se poi guardiamo al lato più estremo della nostra musica preferita la cosa si intensifica ancor di più, con i gruppi più giovani a rinverdire e mantenere l’approccio delle band storiche nel death come nel thrash e nelle varie forme che di volta in volta assume il metal.
I Craven Idol hanno imparato la lezione dei vecchi e blasfemi maestri in giro per l’Europa negli anni ottanta e novanta, assorbendo il più possibile dai vari generi per vomitarli in un sound demoniaco ed oscuro, legato tanto al metal tradizionale quanto a quello di ispirazione estrema.
Una dozzina d’anni di vita, due demo ed un primo full length uscito quattro anni fa e seguito da The Shackles of Mammon, nuovo massacro senza compromessi, epico come potrebbe esserlo il sound dei Venom fuso con quello dei Bathory.
Ne esce un vulcano di riff scolpiti nelle chiese sconsacrate di una Londra devastata da peste e dai peccati di un’umanità ormai persa tra le spire del demonio, malati terminali che si scambiano virus e bubboni in vicoli dove dominano famelici topi, divoratori di cadaveri e portatori di apocalisse.
Il cielo sopra la città che brucia non può che essere oscuro, la luce non filtra così come il sound concede poche aperture melodiche e tanto metallo che passa abilmente tra cavalcate black/thrash a tempi medi di doom/heavy metal primordiale.
Pyromancer apre questa finestra sull’inferno, mentre A Ripping Strike, epica, evocativa ed oscura ci scaraventa negli angoli più bui di vicoli putrescenti, seguita dalle ritmiche black di Black Flame Divination.
I quattro untori inglesi picchiano sugli strumenti come forsennati, mentre The Trudge torna all’epicità evocativa in un lungo viaggio verso la dannazione.
Non perde un grammo di pesantezza ed atmosfera The Shackles Of Mammon, continuando la sua panoramica sull’orrore fino alla conclusiva Tottering Cities Of Man, altro brano dove l’atmosfera cadenzata accentua la vena black doom del quartetto.
Un album affascinate nella sua impronta tradizionale, nel genere uno dei più interessanti dell’anno.

Tracklist
1. Pyromancer
2. A Ripping Strike
3. Black Flame Divination
4. The Trudge
5. Dashed To Death
6. Mammon Est
7. Hunger
8. Tottering Cities of Men

Line-up
Sadistik Vrath – Vocals, Guitar
Suspiral – Bass
Heretic Blades – Drums
Obscenitor – Guitar

CRAVEN IDOL – Facebook

Threat Signal – Disconnect

Un buon mix di generi diversi ma che, nella musica dei Threat Signal, si uniscono sotto la bandiera del tecnicismo, non esasperato come accade nelle frange più tecniche del metal estremo , ma ben in evidenza nei vari brani che compongono questo mastodontico lavoro.

Dopo sei anni dall’ultimo album omonimo tornano sul mercato tramite Agonia Records i Threat Signal, una delle band che più avevano impressionato gli addetti ai lavori una decina d’anni fa.

Il quartetto dell’Ontario arriva, con questa prova di forza intitolata Disconnect, al quarto lavoro di una discografia che vede il suo inizio nel 2006 con il debutto Under Reprisal, ed il cuore creativo dal 2009 al 2011 anni d’uscita del secondo album Vigilance e del già citato terzo lavoro omonimo.
Sei lunghi anni dunque, prima del ritorno in pompa magna con questo buon lavoro, un’ora di musica metal moderna, estrema ma piacevolmente melodica, tra metal core, death melodico e thrash moderno.
Un buon mix di generi diversi ma che, nella musica dei Threat Signal, si uniscono sotto la bandiera del tecnicismo, non esasperato come accade nelle frange più tecniche del metal estremo , ma ben in evidenza nei vari brani che compongono questo mastodontico lavoro.
Troppe volte si scrive metal moderno per definire lavori che, nei loro ormai abusati cliché, risultano freddini o troppo simili l’uno all’altro, mentre nel nuovo album del quartetto canadese tutto si incastra alla perfezione, così le tanto abusate voci pulite o i mid tempo core sono bilanciati da fughe metalliche dall’alto tasso tecnico compositivo che si veste, a tratti, di un’aurea progressiva.
Nostalgia, Exit The Matrix, la lunga e varia Aura, l’atmosferica Betrayal che svolge il compito di preludio alla seconda parte, valorizzata dai dieci minuti di progressive estremo e moderno della superba Terminal Madness, fanno da traino ad un lavoro che riconcilia con il metalcore, anche se per un album come Disconnect parlare solo di questo genere appare riduttivo.
Registrato e prodotto da Jon Howard e Travis Montgomery (cantante e chitarrista della band), mixato e masterizzato da Mark Lewis (DevilDriver, Whitechapel, Battlecross, Unearth, Coal Chamber), Disconnect è da considerarsi un bersaglio centrato per un gruppo che è tornato per dire la sua nel mondo del metal moderno.

Tracklist
1. Elimination Process
2. Nostalgia
3. Walking Alone
4. Exit The Matrix
5. Falling Apart
6. Aura
7. Betrayal
8. To Thine Own Self Be True
9.Dimensions
10. Terminal Madness

Line-up
Jon Howard – Vocals
Travis Montgomery – Guitars
Pat Kavanagh – Bass
Matt Perrin – Guitars

THREAT SIGNAL – Facebook

Jx Arket – Meet Me Abroad

Meet Me Abroad è un disco da assaporare a lungo, ci sono momenti di vero entusiasmo e di grande coinvolgimento, e non capitava da tanto di sentir coniugare in questa maniera l’emocore e l’hardcore, per delle emozioni che lasciano il segno.

Disco oltremodo entusiasmante per questa giovane band torinese. Prendete il miglior emocore anni novanta, un po’ di post hardcore e tanta urgenza pienamente hardcore e avrete un qualcosa che si avvicina a questo disco.

I Jx Arket esordiscono con molti botti, pubblicando un disco che fa cantare, puntare il dito in alto e buttarsi dal tavolo della cucina per fare stage diving con i vicini di sotto. Intensità, partecipazione, tanta rabbia e tanto amore, non è facile equilibrare questi elementi, ma i torinesi ci riescono molto bene e vanno anche oltre. Tutte le canzoni sono notevoli, il cuore della loro musica è oltreoceano, ma ci sono momenti pienamente europei, e in realtà si viene sempre stupito dalle loro soluzioni sonore. La melodia è l’asse portante della musica dei Jx Arket, e viene declinata in modi disparati con l’energia che rimane sempre molto alta. Pur essendo stato fondato solo nel 2016 il gruppo ha un disegno musicale ben preciso, ed infatti è attualmente impegnato in un tour europeo che sicuramente gli procurerà del seguito: Meet Me Abroad è un disco da assaporare a lungo, ci sono momenti di vero entusiasmo e di grande coinvolgimento, e non capitava da tanto di sentir coniugare in questa maniera l’emocore e l’hardcore, per delle emozioni che lasciano il segno. Un disco che folgora e che farà gridare moltissimo sotto al palco. Questo album è un piccolo capolavoro, ed è stato possibile anche grazie all’opera di persone come Marco Mathieu, bassista dei Negazione e tanto altro, ancora in coma dopo un grave incidente motociclistico, ma lo spirito continua anche in dischi come questo, ed è un’eredità che nessun incidente potrà mai cancellare.
L’underground è bello grazie a cose come questo disco.

Tracklist
1. I’ll be the one
2. Just another sad song
3. Aokigahara
4. Rooms
5. Day off
6. Fragments
7. Jonathan Livingstone
8. Happines is not for us
9. Last words from the broken

Line-up
Andrea Mazzocca and Bruno Consani – guitars. Davide Giaccaria – voices
Marco Mei – drums
Paolo Brondolo – bass

JX ARKET – Facebook

Displeased Disfigurement – Origin of Abhorrence

Origin Of Abhorrence risulta il classico lavoro che troverà estimatori solo nei fans accaniti del genere, mentre gli ascoltatori occasionali troveranno solo decine di riff uno sopra l’altro, growl animalesco a decantare torture e varia macelleria con poca personalità.

Attivi da più di quindici anni, i Displeased Disfigurement sono passati dal death metal classico degli esordi (anche se non ci sono opere a testimoniarlo) ad un più brutale e mastodontico brutal death, iniziando a massacrare e torturare con il debutto Extermination Process, uscito quattro anni fa.

Tornano oggi questi sudafricani con il loro secondo lavoro, un massiccio e devastante album di brutale metallo tutto squartamenti e torture intitolato Origin of Abhorrence.
Il quartetto ha dalla sua un’ottima tecnica esecutiva, le chitarre cuciono riff su riff e la sezione ritmica è un martello pneumatico che si accende nel cervello degli ascoltatoti, il problema sta nel songwriting ripetitivo fino allo sfinimento e per nulla personale.
Origin Of Abhorrence risulta il classico lavoro che troverà estimatori solo nei fans accaniti del genere, mentre gli ascoltatori occasionali troveranno solo decine di riff uno sopra l’altro, growl animalesco a decantare torture e varia macelleria con poca personalità per pensare di intaccare la reputazione dei gruppi cardine del genere.
Mezz’ora di massacro senza soluzione di continuità è dunque quello che ci offrono i quattro deathsters sudafricani, un album onesto ma nulla più.

Tracklist
1.Intro
2.Parasitic Devourment
3.Malignant Misery
4.Infernal Machine
5.Analgestic Subjection
6.Human Cattle
7.Lock Down
8.Illuminated Race
9.Injected Suffering

Line-up
Darius Wilken-Guitar /vocal
Dominic Vorster-Bass/vocal
Mitch Wilken-Guitar
Riaan Els-Drums

DISPLEASED DISFIGUREMENT – Facebook

OBSCURE DEVOTION

Il lyrics video “The Sign Of Pain”, dall’album “Ubi Certa Pax Est” (Dark Horizons/Third I Rex).

Il lyrics video “The Sign Of Pain”, dall’album “Ubi Certa Pax Est” (Dark Horizons/Third I Rex).

Bunker 66 – Chained Down In Dirt

Con un approccio che privilegia il thrash metal più ruspante, satanico e punk e, in anni nei quali regna il bello ed il patinato anche nel metal estremo, per gli amanti della vecchia scuola Chained Down In Dirt è un album da non perdere.

Ci vanno giù duro i Bunker 66, trio di origine siciliana che torna con un nuovo album tramite la High Roller Records, etichetta specializzata nei suoni metallici old school.

E di vecchia scuola si tratta , a ben ascoltare il nuovo lavoro del gruppo messinese, che ci colpisce con ferocia con otto diretti al volto potenti come il loro thrash metal pregno di black ‘n’roll, senza fronzoli, scarno e violento.
Attivo dal 2009 il trio ha già una discreta discografia alle spalle, con tre full length ed una serie di lavori minori tra split e addirittura due compilation, segno di convinzione ed entusiasmo,
Il loro sound è quanto di più old school troverete in giro per la penisola: la produzione segue infatti l’atmosfera ottantiana ed assolutamente underground del progetto, e Chained Down In Dirt risulta così una mazzata niente male per chi è ancorato al sound di gruppi come Venom e Sodom.
La copertina (bellissima) segue di pari passo l’aura vintage dello stile proposto dai Bunker 66 e, all’accensione della miccia, l’opener Satan’s Countess parte a razzo con un ipotetico one/two/three di matrice rock ‘n’ roll che dà il tempo alle sfuriate dal flavour motorheadiano di molti dei brani che compongono l’album.
Con un approccio che privilegia il thrash metal più ruspante, satanico e punk e, in anni nei quali regna il bello ed il patinato anche nel metal estremo, per gli amanti della vecchia scuola Chained Down In Dirt è un album da non perdere.

Tracklist
1. Satan’s Countess
2. Black Steel Fever
3. Chained Down In Dirt
4. Taken Under The Spell
5. Her Claws Of Death
6. Wastelands Of Grey
7. Power Of The Black Torch
8. Evil Wings

Line-up
D. Thorne – Bass & Vocals
J.J. Priestkiller – Guitars & Backing vocals
Dee Dee Altar – Drums &Backing vocals

BUNKER 66 – Facebook

Contra – Deny Everything

Nel complesso i Contra offrono una prova onesta nella quale le ruvidezze vocali, la produzione un po’ sporca ed un songwriting non troppo vario finiscono per non offrire momenti particolarmente esaltanti come neppure deprecabili.

Contra è il nome di questa band di Cleveland che ci propone il suo primo full length a base di un roccioso stoner doom.

Deny Everything si  intitola come l’ep uscito l’anno scorso, i cui brani confluiscono ovviamente nel nuovo lavoro così come quelli contenuti in Son Of Beast, esordio datato 2015.
Ne deriva un album che, di fatto, è una summa di quanto composto finora dal trio dell’Ohio, con l’aggiunta di tre inediti; nel complesso i Contra offrono una prova onesta nella quale le ruvidezze vocali, la produzione un po’ sporca ed un songwriting non troppo vario finiscono per non offrire momenti particolarmente esaltanti come neppure deprecabili.
In fondo qui stanno le chiavi di lettura necessarie per godere di gran parte dello stoner odierno, ovvero l’essere naturalmente propensi all’ascolto di un suono grezzo, dai risvolti psichedelici e discretamente tetragono nel suo incedere.
Dalla loro i Contra possiedono quell’insana attitudine tipica delle band americane, che li rende simpaticamente brutti sporchi e cattivi, ma il loro essere spontaneamente sgraziati finisce talvolta per ritorcerglisi “contro” (gioco di parole inevitabile) anche per una tracklist nella quale, forse, solo Snake Goat e Dr.Goldfoot possiedono quel quid in più per farci andare poco al di là di un effimero quanto gradevole ricordo.

Tracklist:,
1. Human Buzzsaw
2. Snake Goat
3. Altered Beast
4. The Gorgon
5. Humanoid Therapy
6. Son of Beast
7. Bottom Feeder
8. 100 Hand Slap
9. Dr Goldfoot
10. Shrimp Cocktail

Line-up
Aaron Brittain – Drums
Adam Horwatt – Bass/Guitar
Chris Chiera – Guitar
Larry Brent – Vocals

CONTRA – Facebook

VESSEL OF LIGHT

Il lyrics video di Dead Flesh and Bones, dall’ep Vessel Of Light in uscita a novembre (Argonauta Records).

Il lyrics video di Dead Flesh and Bones, dall’ep Vessel Of Light in uscita a novembre (Argonauta Records).

Jellygoat – Eat The Leech

Secondo lavoro in studio per i Jellygoat da Milano, un gruppo che riesce a fondere molto bene l’hard rock, lo stoner e forti influenze grunge.

Secondo lavoro in studio per i Jellygoat da Milano, un gruppo che riesce a fondere molto bene l’hard rock, lo stoner e forti influenze grunge.

Il loro suono è molto scorrevole e piacevole, si può apprezzare la cura dei partico0ari e la solidità delle strutture compositive. La forza del gruppo sta nel fare un rock duro e graffiante con gusto, passione e  coivolgimento; negli ultimi tempi l’hard rock è uno dei generi che riesce a stare meglio a galla, ma molte uscite sono davvero dimenticabili, mentre i Jellygoat ci regalano un ep di ottime canzoni. La voce è nello stile Vedder, ma non è pura imitazione, perché da ciò escono cose buone ed originali. Eat The Leech è la dimostrazione che uno spirito hard rock tendente al grunge vive anche nelle generazioni che non hanno vissuto direttamente il periodo delle camicie a quadri di Seattle, ma ne hanno assorbito il gusto. Questo disco avrebbe fatto un’ottima figura nel palinsesto della defunta Rock Fm, che tanta nostalgia ci ha lasciato: Eat The Leech è una buona continuazione del discorso intrapreso con il precedente ep e fa prevedere un gran futuro per questo gruppo.

Tracklist
1. Perfect
2. Hate you
3. My song
4. Morning light
5. The devil’s slice
6. Brand new start
7. Out thrown (outro)

Line-up
Alessio Corrado (voce, chitarra)
Davide Borroni (chitarra, cori)
Ramona Orsenigo (basso)
Gianluca Carioti (batteria, cori)

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Blood Inc. – Blood Inc.

Blood Inc. è un album diretto, intenso e dall’appeal micidiale, con nove brani di alternative metal ricchi di soluzioni elettroniche, campionamenti e groove.

Un sound che prende spunto dagli eroi dell’alternative metal del nuovo millennio e lo tortura con dosi letali di industrial e groove di stampo americano, una serie di brani che nei testi prendono spunto dai più efferati serial killer del secolo, veri o di fantasia, ed avrete servito il vostro drink musicale rosso sangue.

Horror metal moderno, questo risulta in sintesi la proposta dei Blood Inc., band lombarda al debutto con questa mezzora che prende titolo dal monicker e vi maltratterà prima di lasciarvi in balia dell’assassino di turno, pronto a divertirsi con le vostre paure, prima di affondare la fredda lama nella carne.
Il quartetto si aggira tra i navigli dal 2015 e il suo debutto, pur peccando leggermente in originalità, centra il cuore dei fans del genere: Blood Inc. è un album diretto, intenso e dall’appeal micidiale, con nove brani alternative ricchi di soluzioni elettroniche, campionamenti e groove, in sintesi di quel metal moderno caro a Rob Zombie.
Infatti, ispiratore del sound dei Blood Inc. è il compositore e regista americano, quindi aspettatevi una mezzora di deliri horror industrial metal dai rimandi ad Astro Creep 2000 (White Zombie) e ad Hellbilly Deluxe (suo primo lavoro solista).
La copertina molto bella, una produzione perfetta per il genere ed una manciata di brani dall’alto tasso industriale e dall’appeal elevato e pericolosissimo come il singolo Wake Up Dead, Bleed Pray Die o Rhyme Of The Dead, fanno di Blood Inc. un lavoro riuscito, consigliato ai fans dell’horror metal moderno che cominceranno ad affilare i propri coltelli.

Tracklist
1. Lucky Number 13
2. The House
3. Wake Up Dead (Virus Contamination)
4. In The Darkest Night
5. Bleed Pray Die
6. Blood Inc.
7. When Blood Drips
8. Rhyme Of The Dead
9. Spit On Your Grave

Line-up
Black Jin – Lead Vocals
Animah – Rhythm and Lead Guitar
Rick Gringo Ninekiller – Bass Guitar
Jack – Drums

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