Enslaved – E

E è uno dei capolavori del genere musicale chiamato metal, è un avanzamento della specie, un immenso universo fatto di note, tenebre, colori e gusti, che va gustato ad occhi rigorosamente chiusi per poter viaggiare nella sua interezza.

Attesissimo ritorno degli Enslaved, uno dei più interessanti gruppi metal degli ultimi anni e non solo, un combo che sta cambiando dalle fondamenta la musica pesante: E è la migliore testimonianza di ciò.

Non sembra, ma sono già passati venticinque anni dal loro esordio Vikingligr Veldi, black metal puro e norvegese, per poi arrivare al secondo Frost, un inno all’orgoglio di essere norvegesi e pagani. Da quel momento gli Enslaved hanno cominciato ad esplorare un orizzonte musicale più vasto di quello originario, che era comunque splendido, arrivando a toccare vette molto alte, mantenendo un percorso artistico molto originale e personale. Tutti i tredici album precedenti degli Enslaved sono meritevoli di attenzione ma, dal disco del 2015, In Times, le cose sono cambiate ulteriormente, poiché per loro quello è stato uno spartiacque, nel senso che può essere considerato un punto di rottura importante, una pietra miliare che ha segnato un prima ed un dopo. In Times è un album di metal estremo progressivo, se si dovesse dare una definizione, nato dall’esigenza di dover chiudere una parte della carriera, unendo il vecchio ed il nuovo per dare poi vita a qualcosa di ancora diverso. E quel qualcosa di nuovo si intitola E: il quattordicesimo disco della più che ventennale carriera di questi musicisti di Bergen può essere considerato quello della libertà totale, nel quale si sono espressi senza aver aver nessun obbligo, se non quello di fare ciò che volevano. Si è parlato e scritto molto intorno alla genesi di questo disco, al cambio operato con In Times che ha fatto perdere parte dei propri fans, dei lunghissimi tour, ma di fronte a questo lavoro tutto viene spazzato. E è uno dei capolavori del genere musicale chiamato metal, è un avanzamento della specie, un immenso universo fatto di note, tenebre, colori e gusti, che va gustato ad occhi rigorosamente chiusi per poter viaggiare nella sua interezza. Fin dalla prima lunga suite Storm Son si rimane affascinati dalla costruzione sonora, pura psichedelia tenebrosa, sempre pienamente e fieramente nordica, come se i vichinghi avessero suonato con i Pink Floyd e Syd Barrett, perché di quest’ultimo qui c’è l’assolutezza di certe soluzioni sonore, un gusto per il surrealismo ed una grazia davvero fuori dal comune. Non volendo assolutamente fare nessuna polemica, posso affermare che avevo apprezzato il precedente In Times solo dopo un po’ di tempo, avendo bisogno di qualche indizio in più per poter assaporare ciò che vi era contenuto. Qui invece è stato amore a prima vista, folgorazione totale, si scappa da Midgard per arrivare direttamente a sentir suonare gli Enslaved in Asgard. La ricchezza strutturale di questo disco è scioccante, in sei pezzi si viene catapultati in quella che a tutti gli effetti un’opera teatrale che travalica la musica, un inno all’unione tra natura e uomo, che è un po’ il sotto testo di tutta la poetica degli Enslaved. E ha al suo interno momenti black metal, cavalcate death, tanta psichedelia, incredibili momenti di organo e sax, in una ricerca totale di un suono altro. Ogni canzone contiene un mondo di generi e sottogeneri al suo interno, tutti legati da un’opera immane di cesellatura perfettamente compiuta. Ascoltando E si apprezza la compiutezza di una visione musicale inedita, perché questo è un disco più estremo anche dei loro esordi black metal, nel quale si osa dalla prima all’ultima nota spingendo la musica estrema in un futuro ancora tutto da costruire, ma che prima non c’era. Magnificenza assoluta per un capolavoro del metal, che potrà non piacere a chi è rimasto tenacemente ancorato alla prima parte della carriera del gruppo di Bergen, e sui gusti non si può davvero discutere, anche perché uno dei motivi della grandezza degli Enslaved è che la loro discografia copre tutta la gamma del metal estremo ed oltre, per cui ognuno può scegliere ciò che gli aggrada maggiormente.
Set the controls for the heart of the sun.

Tracklist
1. Storm Son
2. The River’s Mouth
3. Sacred Horse
4. Axis Of The Worlds
5. Feathers Of Eolh
6. Hiindsiight

Line-up
Ivar Bjørnson | guitars.
Grutle Kjellson | vocals & bass.
Håkon Vinje | vocals & keys.
Cato Bekkevold |drums.
Ice Dale | lead guitar.

ENSLAVED – Facebook

Necrotted – Worldwide Warfare

Se la band voleva farci male, ci è senz’altro riuscita con un lavoro estremo, violento e senza la minima apertura melodica, ma decisamente poco vario.

Una bomba atomica estrema questo nuovo lavoro dei deathsters tedeschi Necrotted, fautori di un death metal moderno, colmo di blast beat e mid tempo dal groove pesante come un carro armato, mentre mitragliate thrash metal portano il livello di violenza al massimo consentito per il genere.

Un macello dunque, perpetuato da questi sei guerrieri che affroantno la materia con piglio e senza compromessi, mettendo sul piatto un impatto clamoroso.
Le lodi si fermano qui, mentre una leggera stanchezza si fa spazio in chi ascolta, provato da questo devastante sound che lascia qualcosa indietro per quanto riguarda la varietà risultando solo un macigno estremo.
Una lunga traccia di trentasei minuti, questo è di fatto Worldwide Warfare, una montagna che crolla, un vulcano che erutta senza soluzione di continuità mentre noi ci perdiamo tra mid tempo che avanzano come un gigante d’acciaio che tutto travolge.
Siamo al terzo album e niente è cambiato, death metal moderno che travolge senza pietà, una serie di brani che formano un unico pezzo di granito death/thrash/core che violenta i padiglioni auricolari, forte di esplosioni estreme come l’opener Worldwide, la tritaossa Hunt Down The Crown e la devastante Our Dominion.
Se la band voleva farci male, ci è senz’altro riuscita con un lavoroestremo, violento e senza la minima apertura melodica, ma decisamente poco vario … In Worldwide Warfare c’è solo distruzione e, infine, la morte.

Tracklist
1. Worldwide
2. No War But Class War
3. Hunt Down The Crown
4. Vile Vermin
5. The Lost Ones
6. My Foray, Your Decay
7. Unity Front
8. Our Dominion
9. Babylon
10. Forlorn Planet

Line-up
Fabian Fink – Vocals
Pavlos Chatzistavridis – Vocals
Philipp Fink – Guitar
Johannes Wolf – Guitar
Koray Saglam – Bass
Markus Braun – Drums

NECROTTED – Facebook

Hällas

Il video di Star Rider, dall’album Excerpts from a Future Past, in uscita a ottobre (The Sign Records).

Il video di Star Rider, dall’album Excerpts from a Future Past, in uscita a ottobre (The Sign Records).

Deaf Havana – All These Countless Nights

L’album alterna canzoni più incisive ad altre che risultano pennellate rock, un contorno di musica che riesce ad emozionare coinvolgendo l’ascoltatore in questo risorgere dalle proprie dalle ceneri di una band ripartita per donarsi una nuova chance.

Si torna a parlare di rock dalle ispirazioni mainstream con il nuovo album dei Deaf Havana, gruppo inglese arrivato al quarto lavoro sulla lunga distanza di una carriera iniziata nel 2009.

Storia colma di mille problemi quella del quintetto di Norfolk, con un passato da gruppo alternativo e dal sound che passava da post hardcore all’emo, per poi arrivare dopo alcuni cambi di line up ed un periodo buio lastricato di ostacoli di ogni genere, all’uscita di All These Countless Nights, nuovo inizio all’insegna di un rock moderno e pregno di una disperata ricerca della giusta forza per ricominciare.
Album perfetto sotto l’aspetto melodico, molto melanconico ed intenso, anche se siamo nel mondo del rock alternativo tra indie e pop, All These Countless Nights vive di queste atmosfere, ma riesce a non stancare, grazie ad un lotto di brani che gravitano tra le sensazioni descritte, ora più elettriche ora più apertamente leggere, sottolineate dall’ottima interpretazione di James Veck-Gilodi.
L’album così alterna canzoni più incisive ad altre che risultano pennellate rock, un contorno di musica che riesce ad emozionare coinvolgendo l’ascoltatore in questo risorgere dalle proprie dalle ceneri di una band ripartita per donarsi una nuova chance.
L.O.V.E., il contrasto tra le intense ballate come Seattle ed il rock dalle sei corde che lanciano note dalle ispirazioni dal sapore noise di Sing, sono il motivo conduttore di un lavoro che si assesta su livelli buoni per tutta la sua durata.
Non resta che fare gli auguri alla band per un cammino più sereno nel mondo del rock e consigliare l’ascolto di All These Countless Nights a chi si nutre di queste sonorità.

Tracklist
01.Ashes, Ashes
02.Trigger
03.L.O.V.E
04.Happiness
05.Fever
06.Like a Ghost
07.Pretty Low
08.England
09.Seattle
10.St. Paul’s
11.Sing
12.Pensacola

Line-up
James Veck-Gilodi – Vocals, Guitars
Matthew Veck-Gilodi – Guitars
Lee Wilson – Bass
Tom Ogden – Drums, Percussions
Max Britton – Piano, Keyboards

DEAF HAVANA – Facebook

Soror Dolorosa – Apollo

Apollo si rivela un’ideale riproposizione di queste sonorità che continuano ad albergare nel cuore delle anime più inquiete, nonché sensibili al richiamo dell’oscurità che si fa musica.

Terzo album per i Soror Dolorosa, i quali si propongono in maniera autorevole come portabandiera di quel modo di far musica che in molti (anche noi adepti del metal) abbiamo amato negli anni ’80 e ’90 grazie a band come The Cure e Bauhaus prima, e Sisters Of Mercy e The Mission poi.

Come tutti i generi musicali neppure quello che viene comunemente chiamato post punk appare fuori tempo massimo: ciò che realmente conta sono la bellezza della musica e l’attendibilità di chi la propone, due aspetti che la band francese rispetta in pieno, anche dal punto di vista estetico e tematico.
Apollo è un album magnifico, che ha il solo difetto d’essere eccessivamente lungo, con i suoi quattordici brani tra i quali inevitabilmente si finisce per rinvenirne qualcuno non proprio fondamentale, ma si tratta oggettivamente di un qualcosa molto vicino alla ricerca del classico pelo nell’uovo: qui abbiamo una serie di canzoni che riescono ad essere nel contempo eleganti e profonde, restituendo tutte le pulsioni del genere in una veste comunque moderna senza che ne venga snaturata l’essenza.
Pur nella sua complessiva uniformità stilistica, la tracklist offre canzoni dagli umori sfaccettati, passando da tonalità più cupe e rarefatte ad altre contaminate da una misurata componente elettronica: anche per questo l’album non perde in interesse pur nella sue robuste dimensioni, agevolato anche da diversi brani di grande spessore, a partire dall’opener e title track, “sisteriana” anche come da ragione sociale.
The End ha le classiche stimmate del singolo, trattandosi di un brano arioso, dal chorus memorizzabile pur senza essere smaccatamente ruffiano, e con quell’andamento a tratti indolente che riporta dalle parti di Disintegration, mentre A Meeting stende un velo di malinconia dalle tonalità color pastello ed Everyway è ancora lanciata su ritmi piuttosto andanti, con Andy Julia che fornisce un’interpretazione tipica del genere, tramite una voce che ai puristi potrà apparire stonata ma che in realtà possiede una notevole forza evocativa.
In effetti, il vocalist si disimpegna sempre ottimamente, mantenendo un proprio marchio ma esibendo anche una certa versatilità, rinunciando ad “eldritchiane” tonalità tenebrose ed optando, invece, per un approccio meno forzato. E lo stesso si può dire per una band che lo asseconda al meglio, nel rievocare tutti e nessuno allo stesso tempo, impresa per nulla scontata quando si approccia uno stile musicale in vita da oltre un trentennio.
Apollo si rivela quindi un’ideale riproposizione di queste sonorità che continuano ad albergare nel cuore delle anime più inquiete, nonché sensibili al richiamo dell’oscurità che si fa musica.

Tracklist:
1. Apollo
2. Locksley Hall
3. That Run
4. Everyway
5. Night Is Our Hollow
6. Another Life
7. Breezed & Blue
8. Yata
9. The End
10. Long Way Home
11. A Meeting
12. Deposit Material
13. Golden Snake
14. Epilogue

Line up:
Hervé Carles : Bass guitar
Nicolas Mons: Guitar
David-Alexandre Parquier: Guitar
Frank Ligabue : Drums
Andy Julia : Vocals

SOROR DOLOROSA – Facebook