NYN – Entropy: Of Chaos And Salt

Un album indirizzato ai soli musicisti i quali, probabilmente, più di chi anche nella musica cerca emozioni, sapranno apprezzare l’abilità di questi virtuosi dello strumento.

Ci risiamo, ecco un altro lavoro dove la tecnica spropositata dei musicisti travalica forma canzone e un minimo di musicalità per lasciare tutto in mano ad un tecnico “caos organizzato”.

La band si chiama NYN, è stata fondata negli States dal polistrumentista Noyan Tokgozoglu ormai dieci anni fa, e arriva quest’anno al secondo full length dopo aver inciso un ep, una manciata di singoli ed il debutto sulla lunga distanza intitolato Eventuality tre anni fa.
Raggiunto da Tom “Fountainhead” Geldschlager (ex Obscura) alla sei corde e da Jimmy Pitts alle tastiere, Tokgozoglu licenzia un monumento alla fredda tecnica dal titolo Entropy: Of Chaos And Salt, un’ ora di scale a velocità assurda, blast beat devastanti, urla belluine, qualche attimo di quiete prima che (appunto) il caos torni signore e padrone del sound.
Se gli ultimi album dei Rings Of Saturn e Next To None (tanto per fare degli esempi) vi sono apparsi un tantino esagerati, sappiate che i NYN vanno anche oltre, non lasciando un briciolo di spazio alla melodia e aggredendo con solos vomitati uno dietro l’altro, una batteria programmata che non aiuta di certo a scaldare l’ambiente che rimane asettico e freddo come una distesa di ghiaccio.
Difficile nominare un brano più o meno riuscito, il fragore sonoro regna e trionfa mentre la tecnica dei protagonisti è l’unica nota positiva che emerge dall’ascolto di Entropy: Of Chaos And Salt.
Un album indirizzato ai soli musicisti i quali, probabilmente, più di chi anche nella musica cerca emozioni, sapranno apprezzare l’abilità di questi virtuosi dello strumento.

Tracklist
1. The Mind Inverted
2. The Apory of Existence
2. Omnipotence Paradox
4. Dissimulating Apologia
5. Rebirth: Rebuild, Advance, Redo
6. Embrace Entropy
7. The Hallway
8. Maelstrom
9.Taken Away By The Tides

Line-up
Noyan Tokgozoglu – Vocals, guitars, Bass, Programming
Tom “Fountainhead” Geldschlager – Guitars
Jimmy Pitts – Keyboards

NYN – Facebook

MINDFEELS

Il video di “Soul Has Gone Away”, dall’album “XXenty”, in uscita a novembre (Art Of Melody Music/Burning Minds Music Group).

Il video di “Soul Has Gone Away”, dall’album “XXenty”, in uscita a novembre (Art Of Melody Music/Burning Minds Music Group).

Procession – Doom Decimation

Doom Decimation costituisce un piccolo passo indietro a livello di ispirazione, ma non va dimenticato che ciò dipende più dalla bellezza degli album precedenti che non dall’effettivo valore di quello attuale, che resta ugualmente, comunque la si voglia mettere, una tra le migliori espressioni del classic doom uscite quest’anno.

Partiamo dal presupposto che c’è doom e doom; troviamo quello classico, che prende le mosse dai Black Sabbath per poi sublimarsi in band come Candlemass e St.Vitus, oppure la sua successiva derivazione più estrema e funebre che tre linfa da Thergothon e subito dopo Skepticism, per poi diramarsi in rivoli catacombali oppure dolorosamente melodici.

Personalmente, quando mi autodefinisco appassionato di doom faccio riferimento a questa seconda frangia, ma non posso ovviamente negare la mia devozione verso quelle storiche band che hanno ammantato di epica oscurità l’heavy metal ottantiano.
Tra i degni eredi dei maestri svedesi e americani sicuramente tra i più credibili apparsi nel nuovo secolo troviamo i cileni Procession, autori di due magnifici album come Destroyers Of The Faith e To Reap Heavens Apart: guidati da Felipe Plaza, chitarrista dotato di un timbro vocale evocativo e personale, i nostri, pur essendosi trasferiti da tempo in Svezia ci tengono a ribadire con forza quanto risiedano in Sudamerica le radici del loro doom, tanto che hanno deciso di registrare questo nuovo album, intitolato Doom Decimation, proprio a Santiago Del Cile.
Come sono solito ripetere, non è certo in questo genere che si devono ricercare spinte innovative, visto che il focus per l’ascoltatore è rappresentato dalla capacita dei musicisti di toccare le giuste corde emotive: la consolidata coppia Plaza/Botarro (assieme anche negli ottimi è più epici Capilla Ardiente) ha ampiamente dimostrato in passato d’essere in grado di raggiungere tale obiettivo, centrandolo anche in quest’occasione benché vada detto, in tutta onestà, che Doom Decimation appare leggermente più opaco rispetto ai due predecessori non fosse altro per la mancanza del brano capolavoro che segnava, invece, Destroyers Of The Faith (Chant Of The Nameless) e To Reap Heavens Apart (Far From Heart).
Grazie anche al fatto che l’interpretazione di Plaza è in grado di esaltare qualsiasi brano, il lavoro scorre ottimamente non scendendo mai sotto il livello medio al quale la band cilena ci ha piacevolmente abituato, con i suoi picchi  rinvenibili in All Descending Suns, tipica traccia che cresce di pari passo con l’enfasi delle parti vocali, nel singolo Lonely Are The Ways Of Stranger e nella conclusiva One By One They Died, dalla struggente melodia chitarristica, non a caso i brani più doom nel senso classico del termine all’interno di una scaletta che vede diversi episodi maggiormente orientati ad un robusto heavy metal (When Doomsday Has Come, As They Reached The Womb).
Come detto, Doom Decimation costituisce un piccolo passo indietro a livello di ispirazione, ma non va dimenticato che ciò dipende più dalla bellezza degli album precedenti che non dall’effettivo valore di quello attuale, che resta ugualmente, comunque la si voglia mettere, una tra le migliori espressioni del classic doom uscite quest’anno.

Tracklist:
1. The Warning
2. When Doomsday Has Come
3. Lonely Are The Ways Of Stranger
4. Amidst The Bowels Of Earth
5. Democide
6. All Descending Suns
7. As They Reached The Womb
8. One By One They Died

Line-up:
Felipe Plaza – guitars, vocals
Jonas Pedersen – guitars
Claudio Botarro – bass
Uno Bruniusson – drums

PROCESSION – Facebook

Fireforce – Annihilate The Evil

Annihilate The Evil non è un brutto lavoro, ma soffre di una staticità di fondo che alla lunga disperde energie e concentrazione in chi ascolta e per questo non va oltre una semplice sufficienza.

Power metal battagliero ed epico il giusto per tornare a sfoderare le spade e buttarsi a capofitto sul campo di battaglia, cercando di tagliuzzare più nemici possibili sotto la bandiera dei Fireforce, giovane combo belga attivo dal 2008 e con altri due full length alle spalle (March On e Deathbringer, rispettivamente usciti nel 2011 e tre anni fa).

Nazionalità belga ma cittadinanza tedesca, almeno per quanto riguarda la propria proposta incentrata su un heavy power che, senza infamia e senza lode, segue le caratteristiche peculiari della tradizione teutonica.
Annihilate The Evil è composto da una dozzina di brani che affrontano la materia senza orpelli e fronzoli, una ventata di power metal nella sua forma più pura, veloce e semplice, con un songwriting che spinge sulla potenza delle ritmiche, cercando di trovare le giuste melodie e concentrandosi su un approccio per cui vale la frase “palla lunga e pedalare”.
Parte bene l’album, l’opener The Boys From Down Under è il classico brano su cui mille altre bands del genere hanno costruito le loro fortune, diretto, pesante e melodico, e i Fireforce ci hanno tratto giustamente un video, seguito da Revenge In Flames, altro muro metallico su cui i belgi combattono la loro battaglia.
I problemi arrivano dalla terza traccia, che non cambia di una virgola il mood dei primi due brani, seguendo perfettamente la struttura già evidenziata, partenza più o meno potente, strofa, ritornello, solo e via verso la conclusione.
Il power metal è un genere meno facile di quello che si possa credere, il già sentito è dietro l’angolo e finire nell’indifferenza è un attimo se non si hanno le idee necessarie per valorizzare un sound che, altrimenti, è destinato ristagnare nei soliti cliché.
Annihilate The Evil non è un brutto lavoro, ma soffre di una staticità di fondo che alla lunga disperde energie e concentrazione in chi ascolta e per questo non va oltre una semplice sufficienza.

Tracklist
01. The Boys From Down Under
02. Revenge In Flames
03. Fake Hero
04. Dog Soldiers
05. Oxi Day
06. Thyra’s Wall
07. Defector
08. The Iron Brigade
09. White Lily (Okhotnik)
10. Iron, Steel, Concrete, Granite
11. Herkus Mantas
12. Gimme Shelter (CD only Bonustrack)

Line-up
Filip “Flype” Lemmens – vocals
Serge Bastaens – bass
Thierry Van der Zanden – guitar
Erwin Suetens – guitar
Jonas Sanders – drums

FIREFORCE –
Facebook

Krepuskul – Hybrid

As Long As You See the Sky è puro godimento sonoro, grazie ad una band che martella con una precisione chirurgica toccando i nervi più sensibili con un base ritmica impressionante, per poi addolcire la pillola con magnifiche linee chitarristiche.

Davvero notevole questo ritorno dopo una pausa piuttosto lunga dei rumeni Krepuskul, band i cui esordi risalgono allo scorso decennio nel corso del quale hanno pubblicato due full length, Umbre De Vise e Game Over, riconducibili come genere, a quanto è dato sapere, dalle parti del black death melodico.

Niente a che vedere con tali coordinate , se non per il mantenimento solido di una componente estrema, è il contenuto di Hybrid, nuovo parto della band di Cluj Napoca, trattandosi di un’interpretazione di grande efficacia di quello che viene definito modern metal ma che, in questo caso, è fondamentalmente un feroce metalcore, nel quale si rifuggono lodevolmente i lassativi piagnistei melodici di buona parte delle band dedite al genere.
I Krepuskul non tradiscono le loro radici musicali, facendo proprie le ritmiche forsennate del black, l’articolazione più tecnica del death e la virulenza del thrash, e risputano fuori il tutto con sembianze del tutto al passo con i tempi, non disdegnando rallentamenti con i quali dimostrano d’essere una band di qualità anche dal punto di vista tecnico.
Chiaramente la melodia in quest’album non è affatto bandita, ma viene ricondotta nei giusti alvei di una proposta metal, senza mai rinunciare, per esempio, ad un’efferata interpretazione vocale, con la sola eccezione della conclusiva Awake 17, che in compenso è una traccia bomba davvero in grado di risvegliare anche gli spiriti più intorpiditi.
Hybrid non lascia scampo né respiro, è brutale ma nel contempo carico di groove, l’headbanging è garantito come lo è la soddisfazione dell’ascoltatore che ha bisogno di sfogare un po’ di rabbia repressa: As Long As You See the Sky è puro godimento sonoro, grazie ad una band che martella con una precisione chirurgica toccando i nervi più sensibili con un base ritmica impressionante, per poi addolcire la pillola con magnifiche linee chitarristiche, mentre con la folle Psychotherapy i nostri si permettono di scherzare col fuoco senza neppure scottarsi.
Notevole scoperta questi Krepuskul, autori di un album da sentire a volume illegale; peraltro i nostri sono molto attivi dal vivo in patria e non stento ad immaginare che ad un loro concerto sia ben difficile annoiarsi.

Tracklist:
1. OCD (Let’s Start a War)
2. Hybrid High Breed
3. As Long As You See the Sky
4. The Disciples
5. The Limits of Hate
6. Under the Black Flag
7. Psychotherapy
8. They Will Fall
9. Awake 17

Line up:
Andu Anches – Bass, Vocals
Alex Tarocco – Drums
Marcel Rusu – Guitar, Vocals
Mario Ioanici – Guitar

KREPUSKUL – Facebook

File Not Found – Firewall

Firewall è un album bello e vario, composto da una serie di brani maturi ed in gran parte emozionanti, virtù non così scontata nel genere.

Thrash ed alternative rock, potenti iniezioni di hard rock moderno su una struttura che rimane fortemente legata al metal tradizionale.

Potremmo anche archiviare Firewall, secondo lavoro dei romani File Not Found, con queste righe, ma la band ed la sua nuova opera meritano sicuramente di essere conosciute più a fondo; l’album è uscito da qualche mese e il gruppo ha già cambiato diverse volte il chitarrista e mentre dietro alla sei corde oggi troviamo Andrei Tanasa, sul disco il gran lavoro eseguito alla chitarra è di Christian Di Bartolomeo.
Firewall è un disco moderno, il metal di cui è composto si accompagna con i suoni rock del nuovo millennio e ne esce valorizzato, e l’alternanza tra thrash, alternative e rock contribuisce a rendere l’ascolto vario ed interessantissimo, seguendo le evoluzioni stilistiche del quartetto che non si accontenta di strofa-ritornello-strofa; con la personalità da band navigata i File Not Found sanno come trovare quel tocco originale per cui i brani sarebbero tutti da menzionare, dalla bomba thrash Legacy a Foreign Edge, alternative rock che avvicina il gruppo romano agli Alter Bridge.
Firewall continua a sciorinare ottimi brani, il groove lascia tracce di Black Label Society in qualche passaggio (Leave The Hit Behind) e i quaranta minuti abbondanti del disco passano veloci tra rock duro, solos metallici e brani dal forte appeal.
I sorprendenti File Not Found (monicker dedicato al mondo del web) picchiano sugli strumenti da par loro; The Song Of Concrete Leaves Tree si rivela una bordata di moderno thrash metal da capocciate contro il muro, Crisis è una drammatica ballad in crescendo, atmosfericamente perfetta e sempre in bilico tra modernità e tradizione, mentre la conclusiva Born ritorna su territori più consoni all’alternative rock.
Firewall è un album bello e vario, composto da una serie di brani maturi ed in gran parte emozionanti, virtù non così scontata nel genere.

Tracklist
1- Switch On
2- Legacy
3- My Agony
4- Words Bite
5- Foreign Edge
6- Leave The Shit Behind
7- The Song Of Concrete Leaves Tree
8- Crisis
9- Insomnia
10- Born

Line-up
Leonardo Meko – vocals/rhythm guitar
Andrei Tanasa – lead guitar
Claudio Buricchi – bass
Marco Cinti – drums/vocals

FILE NOT FOUND – Facebook

SERENADE

Il video di Hold me Back, dall’album Onirica in uscita a novembre (Revalve Records).

Il video di Hold me Back, dall’album Onirica in uscita a novembre (Revalve Records).

Raventale – Planetarium

Planetarium contiene quattro tracce splendide, nelle quali la componente estrema è brillantemente stemperata da un’ispirazione melodico/atmosferica spinta al suo massimo livello.

Quello dei Raventale non è certo un nome sconosciuto per gli osservatori più attenti della scena estrema dell’est europeo.

La one man band ucraina, il cui titolare è Astaroth Merc, con Planetarium arriva all’ottavo full length in una dozzina d’anni di attività contraddistinta da una qualità media elevatissima, offrendo una personale interpretazione del black metal che, a mio avviso, con questo ultimo album trova la sua sublimazione.
Planetarium contiene quattro tracce splendide, nelle quali la componente estrema è brillantemente stemperata da un’ispirazione melodica spinta al suo massimo livello, come si può facilmente evincere dall’ascolto dell’iniziale Gemini – Behind Two Black Moons, traccia talmente ariosa che talvolta finisce per lambire il post black e persino il progressive, nel momento in cui si palesa uno struggente assolo di chitarra.
Del resto non si scopre oggi il fatto che Astaroth Merc sia un musicista di classe cristallina ed ogni strumento che passa per le sue mani è trattato con maestria, lasciando come di consueto ad un ospite (in questo caso l’ottimo Atahamas, suo compagno anche nei Balfor e nei Deferum Sacrum) il compito di interpretare le linee vocali.
Dopo la splendida prima traccia, il sound si fa ancor più solenne e maestoso con il capolavoro Bringer Of Celestial Anomalies, brano più aspro e ritmato ma trascinante come di rado accade ascoltare: un furioso blast beat viene per lo più sovrastato da pennellate tastieristiche che conferiscono al tutto una magica aura cosmica capace in questi casi di fare la differenza.
Dopo tanta bellezza è oggettivamente difficile fare meglio, e At The Halls Of The Pleiades offre un volto più arcigno, con il suo riffing profondo che non penalizza però una componente atmosferica la quale, anzi, si riprende ampio spazio nelle fase centrale del brano; la chiusura è invece affidata a New World Planetarium, altro episodio che supera i dieci minuti, complessivamente più compassato senza che venga meno il mood che ha contraddistinto l’album lungo la precedente mezz’ora.
Volendo fare un parallelismo magari audace, Planetarium potrebbe rappresentare l’ideale prosecuzione del discorso che gli Arcturus portarono avanti inizialmente con Constellation e poi con Aspera Hiems Simfonia, prima di abbandonare tale vena prog/atmosferica per virare su sonorità avanguardiste, visto che di quelle pietre miliari l’opera targata Raventale possiede lo stesso suggestivo respiro cosmico. A questo quadro va aggiunto che il black metal proposto da Astaroth Merc è anche contraddistinto da una componente doom, forse oggi più attitudinale che non espressa con particolari rallentamenti: ma non è un caso, però, il fatto che il musicista ucraino sia stato chiamato ad esibire le doti della sua creatura al recente Doom Over Kiev, festival che ha visto all’opera la massima espressione del doom death atmosferico europeo con Saturnus, Swallow the Sun, Clouds e Eye Of Solitude. Tutto ciò rende l’idea di quale considerazione godano i Raventale in patria e, alla luce di questo, non sarebbe male che gran parte degli estimatori del black/doom al di fuori di quei confini desse il giusto risalto ad un progetto guidato da un musicista che, come pochi altri, è riuscito a produrre con una tale continuità album di assoluto valore.

Tracklist:
1 Gemini – Behind Two Black Moons
2 Bringer Of Celestial Anomalies
3 At The Halls Of The Pleiades
4 New World Planetarium

Line-up:
Astaroth Merc – All Isntruments
Athamas – Vocals

RAVENTALE – Facebook

Thyrgrim -Vermächtnis

L’ascolto di Vermächtnis si rivela una piacevole passeggiata su sentieri già percorsi più volte, ma sempre forieri di belle sensazioni, ammirando paesaggi ben conosciuti ma ogni volta in grado di arricchire lo spirito.

Dei Thyrgrim, blacksters di lungo corso tedeschi, avevo già parlato due anni fa in occasione dell’uscita di Dekaden, che avevo collocato nella categoria degli album che non cambiano né peggiorano la vita di chi li ascolta.

Direi che lo stesso si può tranquillamente affermare per questa nuova fatica intitolata Vermächtnis, la sesta su lunga distanza per la band fondata nel 2005 dal vocalist Kain, anche se a mio avviso i brani appaiono ancora più intrisi nel loro complesso di un’aura solenne e gradevolmente epica.
I Thyrgrim, in fondo, appartengono a quello zoccolo duro di band che comunque non deludono mai, e pur senza strabiliare, offrono un’interpretazione del black metal talmente competente e devota alle sue linee guida che non si può non apprezzare se si è autentici amanti del genere.
Kain e soci non propongono solo una serie di piacevoli brani contraddistinti da ritmi stabilizzati sul mid tempo, ma dimostrano anche di saper rallentare ed infiorettare il loro operato come dimostrano nella splendida Die Ewige Suche, che non a caso è una delle tracce più assimilabili ai dettami della scuola tedesca, oppure centrando malinconiche linee melodiche come in Gefangen im Wandel.
In buona sostanza, il black metal nell’interpretazione dei Thyrgim conserva e rinforza la sua funzione primaria di genere il cui substrato misantropico non impedisce l’emergere di una componente emotiva, che diviene poi decisiva per la sua fruibilità.
Quello che ne consegue è che l’ascolto di Vermächtnis si rivela una piacevole passeggiata su sentieri già percorsi più volte, ma sempre forieri di belle sensazioni, ammirando paesaggi ben conosciuti ma ogni volta in grado di arricchire lo spirito.

Tracklist:
1. Die Heilung dieser Welt
2. Frühlingsdämmerung
3. Die Ewige Suche
4. Das Dunkel meiner Seele
5. Ich sehe euch brennen
6. Sklaven eines toten Gottes
7. Pfade der Vergänglichkeit
8. Gefangen im Wandel
9. Sterbend 3
10. Das Ende einer

Line-up:
Kain – Vocals
Berath – Bass
Irrsinn – Guitar
Morbus – Session Guitar
Non Serviam – Session Drums

THYRGRIM – Facebook

Tony Mills – Streets Of Chance

Un ottimo album, intenso, raffinato ed elegantemente melodico, suonato e cantato da un nugolo di musicisti che fanno parte della crema del genere, e soprattutto composto da belle canzoni.

Cantante di livello assoluto e protagonista fin dal lontano 1983 nella scena hard & heavy internazionale Tony Mills torna con un nuovo lavoro, il quinto della sua carriera solista iniziata all’alba del nuovo millennio con l’album Cruiser.

Parlare della vita artistica di Tony Mills vuol dire ripercorrere almeno una trentina d’anni di hard rock di altissima qualità, prima con gli Shy, poi con i TNT e con altre realtà più o meno importanti della scena come China Blue e Serpentine.
Il suo nuovo album intitolato Streets Of Chance è stato prodotto e mixato da Pete Newdeck (Tainted Nation, Blood Red Saints, The Shock) e masterizzato da Harry Hess.
Ma il bello di questo splendido lavoro sono gli ospiti che sono stai invitati e si sono seduti alla tavola rotonda di questo vecchio cavaliere britannico dell’ hard rock, formando una line up che, nel genere. è difficilmente eguagliabile.
Al microfono, insieme a Tony, troviamo Pete Newdeck (Tainted Nation, Blood Red Saints, The Shock), anche dietro ai tamburi, mentre a dispensare note melodiche prodotte da magiche sei corde si alternano chitarristi del calibro di Joel Hoekstra (Whitesnake, Night Ranger), Tommy Denander (Radioactive, Alice Cooper, Paul Stanley), Robby Boebel (Frontline, Evidence One, State of Rock), Neil Frazer (Rage of Angels, Ten), Tommy Denander, Robby Boebel e Pete Fry (FarCry).
La lista dei bassisti si ferma a Toine Vanderlinden (Martyr, Rebelstar Rock) e Linda Mills (Dolls of Disaster) e quella dei tastieristi a Eric Ragno (The Babys, Joe Lynne Turner, China Blue),Tommy Denander and Robby Boebel.
Con una line up del genere mancava solo un songwriting degno di questo ritrovo di talenti e gli amanti del rock melodico sono stati accontentati, con un lotto di brani davvero belli che mettono in risalto la splendida voce di Mills, a suo agio tra brani raffinati ed altri più graffianti, mentre gli strumenti valorizzano il talento del leone britannico senza risultare invadenti.
Ma d’altronde si parla di hard rock melodico, da sempre ricco di emozioni e su Streets Of Chance i brividi non si fanno attendere già dall’opener Scars, mentre la seguente When The Lights Go Down accende le luci intense di un’arena rock in balia di splendidi chorus direttamente dagli anni ottanta.
Legacy accentua le ritmiche mentre il refrain ci conquista al primo passaggio e l’album continua a dispensare grande musica mentre i toni si attenuano con Battleground e Dream On.
C’è ancora tempo per tornare su livelli altissimi con le ultime due tracce (Storm Warning, Seventh Wonder), fulgidi esempi di hard rock grintoso ma elegante e raffinato, con un Mills sugli scudi malgrado il tempo che avanza inesorabile.
Un ottimo album, intenso, raffinato ed elegantemente melodico, suonato e cantato da un nugolo di musicisti che fanno parte della crema del genere, e soprattutto composto da belle canzoni.

Tracklist
1. Scars
2. When The Lights Go Down
3. Legacy
4. Battleground
5. Dream On
6. Weighing Me Down
7. When We Were Young
8. The Art Of Letting Go
9. Storm Warning
10. Seventh Wonder

Line-up
Tony Mills – Vocals

Pete Newdeck – Vocals, Drums
Joel Hoekstra – Lead Guitars
Tommy Denander – Lead Guitars, Rhythm Guitars, Keyboards
Robby Boebel – Lead Guitars, Rhythm Guitars, Keyboards
Neil Frazer – Lead Guitars
Pete Fry – Rhythm Guitars
Toine Vanderlinden – Bass
Linda Mills – Bass
Eric Ragno – Keyboards

TONY MILLS – Facebook

Lostair – Ad Jubilaeum

Ad Jubilaeum è un album davvero bello e sorprendente, dalle atmosfere drammatiche ed oscure e attraversato da una sacralità che accompagna il thrash metal classico di ispirazione statunitense del gruppo.

La Revalve Records licenzia il secondo full length dei thrashers vicentini Lostair, band attiva dal 2004, condizionata da un continuo via vai di musicisti per quasi tutta la sua carriera che ha rallentato ma non fermato il gruppo veneto.

Dunque un ep e l’album di debutto uscito ormai cinque anni fa (Anguane) e tanta esperienza live, acquisita di supporto a band storiche del metal, tricolore e non, hanno rappresentato fin qui la carriera del gruppo in questi tredici anni: ora, dopo la firma con l’ottima label nostrana, ecco l’uscita di Ad Jubilaeum, concept album incentrato sull’immenso potere acquisito nei secoli dalla cristianità al di là dell’aspetto puramente spirituale, come ben raffigurato dall’artwork.
Religione e thrash metal, due mondi lontani ma che vengono ben rappresentati dalla musica dei Lostair, potente e pesante, veloce ed attraversata da mid tempo epici , oscuri e tragici.
Molte atmosfere di Ad Jubilaeum mi hanno ricordato gli Iced Earth ed il loro bellissimo Something Wicked This Way Comes, specialmente quando sfumature solenni rivestono di sacralità le devastanti cavalcate metalliche che la band concede senza tregua, nobilitandole con un lavoro tecnico che mette in risalto le performance di Andrea Girardello e Teo Lost (anche al microfono) alle chitarre e quella della sezione ritmica, composta da Gorgi al basso e Stizza alla batteria.
Un violento pugno nello stomaco, potente e diretto, drammatico ed oscuro come le tante guerre e le atrocità che si sono consumate ed ancora si consumano a causa della religione, curato nei minimi dettagli, a tratti molto diretto e valorizzato da parti in cui la melodia è padrona, a partire dal bombardamento sonoro intitolato At the Hands of Black Inquisition, preceduto dall’intro Exodus, dove lupi e corvi banchettano sui cadaveri lasciati dalla furente battaglia in Terra Santa.
Non c’è tregua, Rise e Where The Angels Die sono esplosioni di violento thrash metal americano e solo i cori liturgici di Vaticanum fermano il massacro solo per poco, prima che l’atmosfera sacrale si trasformi in un’altra bordata metallica.
E’ notevole anche l’atmosfera orientaleggiante di Trinity, uno dei picchi del lavoro, così come i cori operistici della conclusiva Finis Dierum, brano dal flavour orchestrale che ribadisce l’ottima vena compositiva dei Lostair.
Ad Jubilaeum è un album davvero bello e sorprendente, dalle atmosfere drammatiche ed oscure e attraversato da una sacralità che accompagna il thrash metal classico di ispirazione statunitense del gruppo.

Tracklist
1.Exodus
2.At the Hands of Black Inquisition
3.Rise
4.Where the Angels Die
5.Vaticanum
6.The Bible Code
7.Trinity
8.The Fall of Any Gods
9.Finis Dierum

Line-up
Teo Lost – Guitars, Vocals
Stizza – Drums
Gorgi – Bass
Andrea “Spin” Girardello – Guitars

LOSTAIR – Facebook

NUDIST

Il video di “Bury My Innocence”, dall’album omonimo in uscita a novembre (Argonauta Records).

Il video di “Bury My Innocence”, dall’album omonimo in uscita a novembre (Argonauta Records).

Ancient VVisdom – 33

Il suono è un qualcosa che non troverete da nessuna altra parte, bisogna completamente abbandonasi a questo piccolo grande capolavoro di musica occulta americana, che si sviluppa su più livelli e che potrebbe farvi vedere le cose in una prospettiva diversa, derivando direttamente dall’oscurità dei figli dei fiori, dalle pazze ore di Aleister Crowley e che continua a fluire tra le ere, non domata da duemila anni di cristianesimo.

Gli Ancient Vvisdom sono dei cantori dell’occulto, seguaci di Lucifero e del percorso della mano sinistra, adoratori della carnalità umana, ma soprattutto un grandissimo gruppo musicale.

Nato nel 2009 in quel di Austin in Texas, il trio si compone di Nathan Opposition, anche nei Vessel Of Light con Dan Lorenzo, suo fratello Michael e Connor Metsker. Nel 2010 incidono un dodici pollici split intitolato Inner Earth Inferno su Withdrawl Records con un certo Charles Manson, non so se lo conoscete. In seguito hanno pubblicato altri tre dischi dopo quel dodici pollici. La loro traiettoria musicale è un rock neo folk con innesti doom e gotici, dal forte retrogusto metal, e fortemente ispirato dalla tradizione del folk americano. In alcuni momenti ci si avvicina anche al death rock, ma è davvero difficile non privilegiare la matrice folk per definire il gruppo. 33 è un disco esoterico ed occulto, che parla di luce e tenebra molto diversamente dai soliti termini, e già dal titolo ha dei riferimenti ben precisi in tal senso. Qui, sia nella musica che nei testi c’è la carnalità umana, l’eterna lotta dell’umano per uscire fuori dai binari già determinati di un’esistenza priva di libero arbitrio. La musica è dolce e molto melanconica, ti culla nell’oscurità, adoratori di Lucifero ti sussurrano parole di conoscenza proibita e tutto il disco ha un sapore difficilmente dimenticabile. In 33 ci sono momenti di assoluto entusiasmo grazie ad un gruppo che è in stato di grazia, e che va ben oltre la musica. Il suono è un qualcosa che non troverete da nessuna altra parte, bisogna completamente abbandonasi a questo piccolo grande capolavoro di musica occulta americana, che si sviluppa su più livelli e che potrebbe farvi vedere le cose in una prospettiva diversa, derivando direttamente dall’oscurità dei figli dei fiori, dalle pazze ore di Aleister Crowley e che continua a fluire tra le ere, non domata da duemila anni di cristianesimo.

Tracklist
1. Ascending Eternally
2. Light of Lucifer
3. In the Name of Satan
4. True Will
5. The Infernal One
6. Summoning Eternal Light
7. Rise Fallen Angel
8. 33
9. The Great Beast
10. Lux
11. Dispelling Darkness

Line-up
Nathan “Opposition” Jochum – vocals, acoustic guitar, kick drum
Michael Jochum – guitar, back up vocals
Connor Metsker – bass

ANCIENT VVISDOM – Facebook

TarantisT – Not A Crime

Not A Crime è destinato a divenire a suo modo un cult così come i TarantisT, una band da seguire fregandosene del fatto che pochi ne capiranno la genialità.

Quella dei TarantisT, band dai natali fuori dai consueti circuiti rock (Teheran) ma trasferitasi in seguito a Los Angeles, è una proposta musicale che definire fuori dagli schemi è un eufemismo.

Attivo da ormai diciassette anni e arrivato al quarto album, il gruppo iraniano stravolge a modo suo il metal/rock alternativo, lo violenta con influenze industriali alla Rammstein e ce lo serve condito da ispirazioni che travalicano i consueti generi (almeno quelli in uso ad una band industrial), per trovare strade mai solcate o quasi.
Not A Crime risulta così un lavoro talmente originale da diventare di difficile catalogazione e ancora di più da recensire e questo è un bene, il male è che diventa ostico se non si appartiene a quella categoria di ascoltatori aperti a qualsiasi esperienza pur mantenendo i propri gusti.
Il carico da undici (come si dice dalle mie parti) il gruppo lo cala con la lingua madre, usata su un tappeto elettronico, dai rimandi metal industriali, valorizzati da sfumature musicali tra tradizione popolare e rock d’avanguardia, in un caleidoscopio di variopinte note estreme.
Unico problema di questo lavoro è la mancanza di un singolo, un brano che traini i deliri del gruppo iraniano, mentre un’anima psichedelica ci sfiora tra industrial e musica alternativa.
Not A Crime è destinato a divenire a suo modo un cult così come i TarantisT, una band da seguire fregandosene del fatto che pochi ne capiranno la genialità.

Tracklist
1.Silence Before Storm (Intro)
2.HeyYou
3.Not a Crime
4.Your Dance
5.Disappointment
6.Summer
7.I Become God
8.Reflection
9.Rain, Pour Down
10.Burnt City
11.You Were Not
12.Pills
13.Vaay Az to (Drunk Version)
14.Soldiers

Line-up
Arash – Bass, Vocals
Reza – Drums
Arsalan – Guitars
Bahman – Guitars

TARANTIST – Facebook

Appice – Sinister

Sinister si può certamente considerare un buon lavoro, dedicato a chi con i due fratelli americani di origine italiana è cresciuto e giusto tributo ad una carriera nel mondo del rock e del metal di altissimo livello.

E fu così che anche i fratelli Appice, signori della batteria, si ritrovarono a scrivere un album assieme dopo tanti anni di musica heavy rock alle spalle, con Vanilla Fudge, Cactus e Ozzy Osbourne (Carmine) e Dio, Black Sabbath e Heaven And Hell (Vinny), tanto per nominare i nomi più importanti di due carriere invidiabili che, a distanza di una decina d’anni (Vinny è più giovane di undici anni), hanno dato lustro ad un cognome da paisà facendogli calcare i palchi di mezzo mondo.

Sinister è il risultato di questo album scritto in famiglia e suonato dai numerosi ospiti che hanno tributato i due martelli americani con le loro performance, e il risultato non può che essere buono, specialmente per chi ama l’hard & heavy di stampo ottantiano.
Prodotto benissimo, Sinister vive di questi notevoli contributi che vedono alternarsi tra gli altri Paul Shortino (Quiet Riot) e Chas West (Linch Mob) al microfono, Joel Hoekstra (Whitesnake), Craig Goldy (Dio, Giuffria) ed Eric Turner (warrant) alla sei corde, Tony Franklin (Blue Murder, The Firm), Phil Soussan (Ozzy) e Johnny Rod (Wasp, King Cobra) al basso.
E la musica se ne giova di conseguenza, grazie ad un songwriting che mette in evidenza l’esperienza dei musicisti in azione, calati nell’opera e a disposizione dei fratelli Appice per far risplendere di grintoso hard & heavy molti dei brani dell’album.
Rock duro di origine controllata, in alcuni casi riuscito alla grande, in pochi altri sui generis, ma suonato ed interpretato come meglio non si può: in Sinister, troviamo richiami ai migliori Whitesnake e Black Sabbath a comporre un quadro completo della carriera dei due batteristi nella loro versione metallica, con lo spirito di Dio che sorride ai tanti tributi offertigli.
L’album si sviluppa in più di un’ora ma ha il pregio di non annoiare, anche se i brani migliori come Monsters And Heroes, con Shortino alla voce, Killing Floor, lasciata tra le corde vocali di un Chas West debordante, e il mid tempo sporcato di blues di Suddenly sono tutti nella prima metà del cd, che si conclude con un mix di brani storici dei Black Sabbath intitolato Sabbath Mash.
Sinister si può certamente considerare un buon lavoro, dedicato a chi con i due fratelli americani di origine italiana è cresciuto, nonché giusto tributo ad una carriera nel mondo del rock e del metal di altissimo livello.

Tracklist
01. Sinister
02. Monsters And Heroes
03. Killing Floor
04. Danger
05. Drum Wars
06. Riot
07. Suddenly
08. In The Night
09. Future Past
10. You Got Me Running
11. Bros In Drums
12. War Cry
13. Sabbath Mash

Line-up
Carmine Appice – drums & vocals
Vinny Appice – drums

Jim Crean – vocals
Paul Shortino – vocals
Robin McAuley – vocals
Chas West – vocals
Scotty Bruce – vocals
Craig Goldy – guitar
Bumblefoot – guitar
Joel Hoekstra – guitar
Mike Sweda – guitar
Erik Turner – guitar
David Michael Phillips – guitar
Tony Franklin – bass
Phil Soussan – bass
Johnny Rod – bass
Jorgen Carlson – bass
Erik Norlander – keyboards

Sanguine Pluit – There Is a Goddess in the Forest

Nell’insieme, il tutto acquista un suo esecrabile fascino purché l’ascoltatore non anteponga la resa sonora di un lavoro ai suoi contenuti, visto che There Is a Goddess in the Forest soffre di una produzione che ne preserva una certa purezza di intenti ma, d’altra parte, finisce per inficiarne non poco la fruizione.

There Is a Goddess in the Forest è la riedizione, a cura della This Winter Will Last Forever, del demo pubblicato dalla one man band italiana Sanguine Pluit, contenente per l’occasione anche le sei tracce presenti nell’ep Never Ending Winter, uscito quello stesso anno.

Il tutto viene presentato come un ambient raw black metal e direi che la definizione non fa una piega: infatti, le frequenti aperture atmosferiche si alternano ad un’interpretazione del black quanto mai minimale, mostrando due volti decisamente differenti dell’approccio alla materia da parte di Polus, musicista pavese alle prese con questo progetto da circa in decennio nel corso del quale ha prodotto diverse uscite di minutaggio ridotto.
L’immersione in un lavoro di questo tipo non è affatto semplice, perché i primi tentativi di ascolto sono fallimentari a causa di un espressione così ruvida ed integralista da apparire quasi irritante: un drumming dai ritmi pressoché immutabili punteggia sovente un rumorismo al quale si mescolano degli inquietanti rantoli, un insieme che viene stemperato a tratti da spunti di ambient “cosmica” (Nature Rising, Transcendent Forest, Magnetic Pathways), questo almeno per quanto riguarda i brani appartenenti al demo dal quale il lavoro prende il titolo. Le tracce provenienti da Never Eding Winter aumentano, se possibile, il livello dell’incomunicabilità manifestata da Polus, andando talvolta a valicare i confini della cacofonia.
Detto questo potrebbe sembrare che tale operazione sia assolutamente fallimentare o comunque da evitare accuratamente, ma in fondo così non è perché, nell’insieme, il tutto acquista un suo esecrabile fascino purché l’ascoltatore non anteponga la resa sonora di un lavoro ai suoi contenuti, visto che There Is a Goddess in the Forest soffre di una produzione che ne preserva una certa purezza di intenti ma, d’altra parte, finisce per inficiarne non poco la fruizione.
Probabilmente, smussando qualche asperità e migliorando sensibilmente la resa sonora, il progetto Sanguine Pluit potrebbe fare un buon balzo in avanti, ma francamente non so se questo sia poi l’intento di Polus, anche alla luce del fatto che un sound di questo tipo, per quanto lo si possa tirare a lucido, non è che possa divenire appetibile alle masse. Per cui, questo è There Is a Goddess in the Forest, e chi apprezza il black/ambient lo ascolti e faccia le proprie opportune valutazioni.

Tracklist:
1. Nature Rising
2. In Silent Astonishment
3. Vibrant Mist
4. Aural Enchantment
5. Transcendent Forest
6. Aural Enchantment 2
7. Magnetic Pathways
8. Elements In Sync
9. Fields
10. Never Ending Winter
11. The Secret Oath
12. Fall
13. Winter Passage 2
14. Astral Sorrow
15. Raw Darkness

Line up:
Polus

SANGUINE PLUIT – Facebook

Savage Messiah – Hands Of Fate

I Savage Messiah ci ricordano che per fare un buon album metal, in fondo, basta la classica regola di riff portante, strofa, assoli e chorus dal buon appeal, ovviamente supportati da un buon lavoro in fase di produzione, e Hands Of Fate rispecchia queste caratteristiche.

I thrashers inglesi Savage Messiah si accasano alla Century Media ed escono con il loro lavoro migliore, Hands Of Fate, successore del pur buono The Fateful Dark e di altri due full length in dieci anni di attività.

La band londinese, capitanata dal chitarrista e cantante David Silver, non risparmia cascate di melodie all’inteno di un power thrash potente e dall’approccio heavy, rispettoso della tradizione, ma assolutamente in grado di giocarsela alla pari con i gruppi più moderni grazie ad arrangiamenti e produzione al passo coi tempi.
Ma il bello dell’album sono appunto le melodie, incastonate in brani metallici, fatti di quel thrash statunitense che ricorda non poco i Testament dei primi album e, a tratti, i The Almighty di Ricky Warwick.
Gran bella voce, soluzioni ritmiche mai banali per il genere ed un lavoro accurato sul songwriting fanno di Hands Of Fate un album ispirato dove tutto è nel posto giusto, dai ritornelli da cantare a gran voce, ai solos che dall’heavy metal prendono le caratteristiche peculiari.
I Savage Messiah ci ricordano che per fare un buon album metal, in fondo, basta la classica regola di riff portante, strofa, assoli e chorus dal buon appeal, ovviamente supportati da un buon lavoro in fase di produzione, e Hands Of Fate rispecchia queste caratteristiche.
La title track apre l’album e veniamo travolti da questa tempesta di potenza e melodia: Silver si dimostra un vocalist dalla personalità debordante, le asce tagliano spartiti come tronchi di quercia con solos ispirati e la sezione ritmica fa il suo sporco lavoro, travolgendo con potenti mid tempo su cui il gruppo piazza melodie su melodie (Wing And Prayer, Solar Corona).
Un album che si fa ascoltare, con una manciata di altri brani notevoli, tra tutti Last Confession, e si piazza come outsider tra le migliori opere del genere.

Tracklist
1. Hands of Fate
2. Wing And A Prayer
3. Blood Red Road
4. Lay Down Your Arms
5. Solar Corona
6. Eat your Heart Out
7. Fearless
8. The Last Confession
9. The Crucible
10. Out Of Time

Line-up
David Silver – Lead Guitar, Vocals
Sam S Junior – Lead Guitar, Backing Vocals
Mira Slama – Bass Guitar
Andrea Gorio – Drums

SAVAGE MESSIAH – Facebook