Forgotten Tomb – We Owe You Nothing

I Forgotten Tomb hanno raggiunto uno status invidiabile, che è quello di una band che può seguire una strada propria infischiandosene delle tendenze o delle convenienze commerciali, senza che questo vada minimamente ad inficiare il risultato finale.

I Forgotten Tomb sono una delle eccellenze italiane del nostro metal estremo fin dagli esordi, quando scuotevano l’audience con un black metal dalla forte impronta depressive sia musicalmente sia a livelli di tematiche.

Il tempo ha parzialmente smussato questo aspetto, anche se una certa disincantata negatività permane a livello lirico, mentre il sound si evoluto in una forma di black death con ampie venature doom, sempre in grado di offrire notevoli spunti melodici e soprattutto, mantenendo una cifra stilistica unica, che è poi il vero e proprio segno distintivo delle band di livelli superiore.
We Owe You Nothing è il nono full length del gruppo di Ferdinando Marchisio (alias Herr Morbid) e ad ogni nuova uscita di band provviste di un simile status è sempre grande il timore di riscontrare un appannamento irrimediabile della freschezza compositiva ma, a giudicare da questi sei brani, si può tranquillamente affermare che tale pericolo sia stato scongiurato.
Certo, bisogna partcire forzatamente dall’assunto che i Forgotten Tomb di oggi non sono più gli stessi di Love’s Burial Ground e nemmeno quelli di Negative Megalomania, il che appare tutt’altro che scontato vista la tendenza di molti a soffermarsi sul passato invece di focalizzarsi sul presente; detto questo We Owe You Nothing mantiene impresso a fuoco il marchio della band e ciò accade sia quando nella title track si palesano quelle sfumature southern che Marchisio ha sfogato nel recente passato con i Tombstone Highway, sia in Second Chances, allorchè il brano si stempera in un magnifico rallentamento di pura matrice doom.
L’ormao storica base ritmica, formata da Alessandro “Algol” Comerio al basso e da Kyoo Nam “Asher” Rossi alla batteria), che accompagna il leader fin da Love’s Burial Ground è un sinonimo di garanzia e coesione che valorizza ulteriormente il lavoro, anche quando prendono piede le caratteristiche progressioni chitarristiche come in Saboteur e, soprattutto, nel tellurico finale di Abandon Everything.
Longing For Decay è un buon brano dalle pesanti sfumature stoner sludge che però scorre via senza fornire particolari scossoni emotivi, che giungono invece con Black Overture (che contraddicendo il titolo in realtà chiude il lavoro) , splendido strumentale contraddistinto da un black doom atmosferico e melodico.
I Forgotten Tomb hanno raggiunto uno status invidiabile, che è quello di una band che può seguire una strada propria infischiandosene delle tendenze o delle convenienze commerciali, senza che questo vada minimamente ad inficiare il risultato finale; per quanto mi riguarda, ritengo che We Owe You Nothing sia il miglior album sfornato dalla band piacentina in questo nuovo decennio, rivelandosi molto più incisivo e ricco di sfumature rispetto ai pur buoni Under Saturn Retrograde, …and Don’t Deliver Us from Evil e Hurt Yourself and the Ones You Love, e questo non affatto cosa da poco …

Tracklist:
1. We Owe You Nothing
2. Second Chances
3. Saboteur
4. Abandon Everything
5. Longing For Decay
6. Black Overture

Line-up:
Ferdinando “Herr Morbid” Marchisio – guitars, vocals
Alessandro “Algol” Comerio – bass
Kyoo Nam “Asher” Rossi – drums

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Right To The Void – Lūnātĭo

Sempre furiosi nelle ritmiche, che in certi casi rasentano la frangia melodica del black metal, i Right To The Void mettono sul tavolo un gustoso antipasto di quello che potrebbe essere il prossimo lavoro su lunga distanza.

E’ tempo per nuova musica targata Right To The Void, la band francese che avevamo lasciato all’indomani dell’uscita del secondo lavoro, Light Of The Fallen Gods, esattamente tre anni fa.

Qualche assestamento nella line up, la collaborazione con la nostrana Wormholedeath ben salda e questi nuovi tre brani che vanno a formare l’ep in questione dal titolo Lūnātĭo, composto da una tempesta di suoni metallici con le melodie sempre in primo piano ed ancora una volta un buon songwriting che valorizza queste nuove bordate melodic death metal.
Perché ci si può girare attorno quanto si vuole, ma il sound prodotto dal gruppo transalpino è da annoverare nell’immensa famiglia del death melodico mondiale, sicuramente irrobustito da sferzate thrash, da un uso moderno delle clean vocals, ma pur sempre debitore nei confronti della scena nord europea.
Rispetto ai lavori precedenti (il primo album, Kingdom Of Vanity uscì nel 2013) la band francese si è spostata leggermente verso un sound che, pur conservando la sua natura nordica, risulta più in linea con le uscite che invadono il mercato degli States lasciando quell’aura old school per un approccio moderno.
Sempre furiosi nelle ritmiche, che in certi casi rasentano la frangia melodica del black metal, i Right To The Void mettono sul tavolo un gustoso antipasto di quello che potrebbe essere il prossimo lavoro su lunga distanza, con tre brani che dall’opener Lines, passando per 3.747 e Let The Ruins Fall, confermano la furiosa battaglia a colpi di metal estremo insita nel proprio sound, tra il classico swedish death ed il moderno thrash metal melodico di scuola statunitense.

Tracklist
1. Lines
2. 3.474
3. Let The Ruins Fall

Line-up
Guillaume – Vocals
Paul – Guitars
Romain – Bass
Alex – Drums

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Rudhen – Di(o)scuro

Le chitarre ribassate raccontano di una psichedelia altra, un percorso di sabba che cominciò a Birmingham molto tempo fa ed arriva anche a Treviso, dove viene rielaborato in maniera inedita dai Rudhen, un gruppo che macina musica e tanto altro.

I trevigiani Rudhen arrivano al debutto sulla lunga distanza dopo due buoni ep, ed è davvero un gran disco.

Musicalmente siamo in territori stoner, con molte influenze, anche post metal in certi momenti. La cosa che spicca maggiormente è la creazione di questo groove continuo, un magma non velocissimo ma inesorabile che erode ogni cosa che incontra. Come detto già nella recensione di un loro ep su queste pagine, i Rudhen sono un gruppo che non si disperde nella nebbia di un genere abbastanza abusato, ma risaltano grazie alla loro potenza e alla varietà sonora. Inoltre come argomenti questo disco non si fa mancare nulla e spazia dalla presa della Bastiglia alla vicenda mai abbastanza narrata di Cartagine. Si spazia con la musica e con la mente, non si rimane mai fermi per più di qualche secondo, o perché spazzati via dai Rudhen, o perché loro stessi ti portano lontano. Più che essere sopra la media come qualità, è un lavoro fatto bene e con canoni personali. Certamente le loro coordinate sono conosciute, ma non è mai una musica scontata, e le chitarre ribassate raccontano di una psichedelia altra, un percorso di sabba che cominciò a Birmingham molto tempo fa ed arriva anche a Treviso, dove viene rielaborato in maniera inedita dai Rudhen, un gruppo che macina musica e tanto altro.

Tracklist
1.Castore
2.Magnetic Hole
3.Fragile Moon
4.14-07-1789 (Prise de la Bastille)
5.Carthago Delenda Est
6.My Girls are like Hallucinogenic Frogs
7.Polluce

Line-up
Alessandro Groppo: Voice
Fabio Torresan: Guitar
Davide Lucato: Bass
Luca De Gaspari: Drums

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No Self – Human​-​Cyborg Relations Episode 1

Aiutato dal mastermind della label Noah “Shark” Robertson (Motograter), il quartetto floridiano aggiunge una buona tacca sulla cintura del nu metal con questi sette brani duri, moderni e diretti, un concentrato di metal pesante, dalle ritmiche groove, con l’impatto di un carro armato e chitarroni che fanno male tra mid tempo e tappeti elettronici.

Nu metal che ormai si può definire classico, quindi nessuna deviazione core ma moderno come si usava a cavallo tra i due millenni, è quello che ci propongono i No Self, band in arrivo dalla Florida, in pista da quindici anni ma con solo due ep ed un album omonimo rilasciato nel 2014.

Molti problemi di line up ed un ritorno che si preannuncia in ritardo di un bel po’ di anni su rullino di marcia del genere, ma poco importa visto il buon risultato ottenuto, riscontrabile su Human​-​Cyborg Relations Episode 1, album licenziato dalla Zombie Shark Records e registrato da Matt Johnson ai Revelation Studios.
Aiutato dal mastermind della label Noah “Shark” Robertson (Motograter), il quartetto floridiano aggiunge una buona tacca sulla cintura del nu metal con questi sette brani duri, moderni e diretti, un concentrato di metal pesante, dalle ritmiche groove, con l’impatto di un carro armato e chitarroni che fanno male tra mid tempo e tappeti elettronici;
Human​-​Cyborg Relations Episode 1, dalle chiare ispirazioni sci-fi e una prossima seconda parte suggerita dal titolo, non fa prigionieri e nei suoi espliciti riferimenti a gruppi come Deftones, Spineshank, Adema e Nothingface farà solleticare i palati di più di un appassionato di metal moderno, ormai abituato a farsi sconvolgere i padiglioni auricolari dal metalcore e dall’alternative metal: sette brani, sette pugni nello stomaco guidati dal singolo Frisco e dall’opener Casting Stone per un ritorno ad un sound che a suo modo ha fatto epoca.

Tracklist
1.Casting Stones
2.Save Me
3.Nudisease
4.Through Your Eyes
5.Outatime
6.Frisco
7.Ctrl-Z

Line-up
Dylan Hart Kleinhans – Vocals
Justin Dabney – Guitars
Drew Miller – Drums
Joey Bivo – Bass

NO SELF – Facebook