Sotz’ – Tsak’ Sotz’

La band portoghese si destreggia con maestria tra le intricate ispirazioni che il death metal melodico ha prodotto in questi ultimi anni, lasciando intravedere un buon talento e confermando così il valore delle nuova generazione dei musicisti metal nati all’estremo ovest della penisola iberica.

Ci hanno messo praticamente dieci anni i portoghesi Sotz’ prima di dare alle stampe Tsak’ Sotz’, primo ep sotto l’ala della Raising Legends Records, label già apparsa sulle pagine di MetalEyes in occasione dell’uscita dell’ultimo splendido parto dei thrashers Wrath Sins.

Il quintetto proveniente da Oporto suona un metal estremo che tanto deve al death metal e al thrash moderno in parti uguali, creando un muro sonoro di notevole potenza.
Cinque brani oggi bastano ai Sotz’ per convincere gli amanti del genere, anche se così tanti anni hanno inciso negativamente su un minimo di notorietà per un gruppo meritevole d’attenzione, per l’impatto di cui si fregiano i brani, la buona alternanza di melodie e devastanti partenze di death/thrash duro come l’acciaio.
Scream e growl si danno il cambio in questo esempio di estremismo sonoro che difficilmente troverà un’etichetta adatta per spiegare i continui passaggi tra i vari generi da cui è ispirato.
La band schiaccia il piede sull’acceleratore e solo a tratti lo alza: tra le trame chitarristiche delle varie Apocalyptic Machine e The End Of Civilization troverete suoni già adottati dalle maggiori band del genere (Lamb Of God e Soilwork), quindi assolutamente nulla di nuovo ma bilanciato quel tanto che basta per ben figurare.
La band portoghese si destreggia con maestria tra le intricate ispirazioni che il death metal melodico ha fatto suo in questi ultimi anni, lasciando intravedere un buon talento e confermando così il valore delle nuova generazione dei musicisti metal nati all’estremo ovest della penisola iberica.

Tracklist
1.Apocalyptic Machine
2.Within the Evil Empire
3.The End of Civilization
4.Reborn
5.Tzak’ Sotz’

Line-up
João “Jisus” Rocha – Guitar
Pedro Magalhães – Guitar
Emanuel Ribeiro – Bass
Dan Vesca – Vocals
Tiago Silva – Drum

SOTZ’ – Facebook

Max Blam Jam – Blowup Man

Un album assolutamente da avere se siete amanti dei suoni noventiani, divenuti fondamentali per la crescita del rock dell’ultimo trentennio e che i Max Blam Jam tributarono al meglio.

La label statunitense Roxx Records ci regala l’ennesima chicca che va a rimpinguare un roster formato da band che in comune hanno solo l’appartenenza all’ala cristiana del metal, mentre per quanto riguarda il sound la parola d’ordine è varietà.

Questo è un bellissimo album di christian rock, fuori dai soliti schemi risulta, perso nel tempo e ritrovato in tempo per deliziare i palati dei rockers dai gusti funky e blues.
Blowup Man, mai pubblicato fino ad oggi, è stato creato dalla coppia Glenn Rogers e Brian Khairullah dei Deliverance nel lontano 1991, con il monicker Max Blam Jam, gruppo che vedeva all’opera, oltre ai due musicisti, l’ex bassista degli Steel Vengeance Cesar Ceregatti e il polistrumentista Dan Ceregatti alle prese con batteria e tastiere.
L’album è un bellissimo esempio della varietà di stili che le band di quegli anni usavano per creare la loro musica, senza vincoli e barriere, prima che alternative o crossover diventassero generi abituali nel rock di quel decennio.
Un album cristiano atipico ma sicuramente pregno di quel modo di fare musica che ha influenzato il rock del nuovo millennio e che nasconde ancora oggi perle come Blowup Man, nascoste nelle soffitte delle casette indipendenti lungo le vie alberate dove i giovani rockers crescevano ascoltando Red Hot Chili Peppers, Aerosmith, Primus, Metallica e Jimi Hendrix.
Un album assolutamente da avere se siete amanti dei suoni di quell’epoca, divenuti fondamentali per la crescita del rock dell’ultimo trentennio e che i Max Blam Jam tributarono con splendidi brani come l’opener I Wasn’t Ready, Desert Flower, Everybody (Needs Love) e Apathy’s Child.

Tracklist
1. I Wasn’t Ready
2. Burning Deep Inside
3. Desert Flower
4. I Love My Gun
5. Standing Alone
6. Everybody (Needs Love)
7. Wild Billy
8. Apathy’s Child
9. Rescue Me
10. Because

Line-up
Glenn Rogers – guitars
Brian Khairullah – Vocals
Cesar Ceregatti – Bass
Dan Ceregatti – Drums, Keyboards

ROXX PRODUCTIONS – Facebook

Lucky Bastardz – Be The One

I Lucky Bastardz in Be The One giocano con almeno quarant’anni di rock duro, tra richiami agli anni settanta/ottanta, sferzate di metallo graffiante e splendide melodie ai confini con l’aor, riuscendoci benissimo.

Il nuovo hard rock che qualche hanno fa ha attraversato l’Atlantico, ha trovato nel bel paese una terra ricca e florida per lasciar cadere i suoi preziosissimi semi prima di continuare la sua migrazione.

Il risultato è ben visibile nella qualità altissima delle uscite discografiche Made in Italy e nella bravura dei gruppi che da diversi anni si affacciano sul mercato, come per esempio i piemontesi Lucky Bastardz, dal 2008 a suonare hard rock in giro per lo stivale e con tre album alle spalle, prima dell’arrivo di Be The One a confermare quanto detto in precedenza.
Successore dell’ottimo Alwayz On The Run licenziato tre anni fa, l’album porta con sé un cambio nella line up, con l’entrata di Pietro “Pacio” Baggi (Anticlock Wise, Black Oceans) alla chitarra, ed il prezioso lavoro di Simone Mularoni nei suoi Domination Studio, un certificato di garanzia e qualità.
Be The One è un lavoro molto bello, che conferma il talento del singer Tiziano “Titian” Spigno alla voce (Extrema, Kings Of Broadway), arrivato nel gruppo alla viglia del precedente album, ed un songwriting scintillante, con il quartetto che gioca con almeno quarant’anni di rock duro, tra richiami agli anni settanta/ottanta, sferzate di metallo graffiante e splendide melodie ai confini con l’aor, riuscendoci benissimo.
Non c’è una sola canzone che non sia perfettamente in bilico tra queste importanti ispirazioni e neppure una nota fuori posto, e questo fa di Be The One una vera bomba hard & heavy, con il gruppo che quando spinge lo fa senza limitarsi (Shed Your Skin) alternando sfuriate metalliche, mid tempo potenti, e ballad che ci svelano la parte più melodica dell’anima dei Lucky Bastardz senza scadere mai nella banalità.
My Best Enemy, The House By The Sea, Sail Away, No One Else But Me, fanno parte di un album convincente, formato da dieci brani di valore, ed esempio fulgido di come deve suonare un album hard rock nel 2018: fatevi sotto e perdetevi neanche una nota di Be The One, sarebbe un peccato mortale.

Tracklist
1. Holy War
2. Shed Your Skin
3. My Best Enemy
4. Match My Rhyme
5. The House By The Sea
6. Not Your Idol
7. Sail Away
8. No One Else But Me
9. Tear In The Wind
10. Be The One

Line-up
Tiziano “Titian” Spigno – lead vocals
Pietro “Pacio” Baggi – guitars
Paolo Torrielli – bass guitar
Marco Lazzarini – drums

LUCKY BASTARDZ – Facebook

Vojd – The Outer Ocean

Puntualmente, come avevamo preannunciato in sede di recensione dell’ep Behind The Frame uscito pochi mesi fa, gli svedesi Vojd rilasciano il primo full length e confermano le buone impressioni suscitate.

Puntualmente, come avevamo preannunciato in sede di recensione dell’ep Behind The Frame uscito pochi mesi fa, gli svedesi Vojd rilasciano il primo full length e confermano le buone impressioni suscitate.

La band nata dalle ceneri dei Black Trip si rivolge ai vecchi rockers che hanno sugli scaffali le discografie di Kiss e Thin Lizzy, sterzando leggermente verso un approccio più vintage rispetto a quello proposto sui due brani che componevano il mini cd, lasciando le sfumature stoner per strada e facendo proprio l’hard rock classico suonato nei seventies.
The Outer Ocean risulta così un viaggio a ritroso nel tempo, di moda in questi tempi, quindi simile a molte altre uscite che saturano il mercato odierno.
Che sia un bene o un male sono dettagli, la verità è che l’album è davvero bello, una raccolta di canzoni semplice ma ben suonate, dirette e con quella vena blues che valorizza il rock ‘n’ roll duro e puro suonato dai Vojd.
I primi Kiss sono sicuramente una delle influenze maggiori del gruppo scandinavo, il sound che ha fatto la fortuna del quartetto mascherato più famoso della storia del rock è spogliato dal patinato mood anni ottanta e rivestito di jeans a zampa d’elefante e maglietta con Phil Lynott in bella mostra: ne esce una raccolta di brani che faranno lacrimare più di un rocker stagionato, strappato dalla realtà di questo tempo da brani intensi e brucianti passione come Break Out, Delusions In The Sky, il blues della title track e l’irruente Heavy Skies.
Con Dream Machine si torna a fare lento, sensuale e tragico blues rock, mentre il giradischi gratta, la vecchia puntina ormai allo stremo rilascia note di nostalgico rock ‘n’ roll, e il telefono a rotella esplode nel suo fastidiosissimo, amorevole squillo … Bentornati negli anni settanta.

Tracklist
1. Break Out
2. Delusions In The Sky
3. Secular Wire
4. The Outer Ocean
5. Vindicated Blues
6. On An Endless Day Of Everlasting Winter
7. Heavy Skies
8. On The Run
9. Dream Machine
10. Walked Me Under
11. To The Light

Line-up
Peter Stjärnvind – Lead guitar
Joseph Tholl – Bass and lead vocals
Linus Björklund – Lead guitar
Anders Bentell – Drums and percussion

VOJD – Facebook

Blut – Inside My Mind Part II

Inside My Mind Part II è una passeggiata tra le vie illuminate dalla fredda luce dei lampioni di una città oscura e decadente, trasformata da una mente malata in una città di creature bizzarre, un sorta di circo gotico presentato con estrema cura dal suo inventore e presentatore, Alessandro Schümperlin.

Questa creatura industrial/gothic chiamata Blut è il progetto del musicista Alessandro Schümperlin, che licenzia il suo secondo lavoro intitolato Inside My Mind Part II.

Quando ho letto Blut, la mia mente è andata agli Atrocity ed alla loro famosa opera dal concept vampiresco uscita nel 1994, ma di altra natura risulta questo lavoro, orchestrato su una base elettronica, campionamenti ed altre diavolerie per un risultato che tutto sommato può soddisfare gli amanti dei suoni sintetici, anche se il gruppo non manca di variare il sound e teatralizzare l’approccio.
Impreziosito dalla voce femminile della bravissima Marika Valli degli Eternal Silence, l’album si avvale di una buona alternanza di atmosfere dark, con qualche accenno alla new wave anni ottanta, (Depeche Mode) e da ombrose tinte gotiche, lasciando che il tappeto sintetico sia sempre l’assoluto protagonista.
Inside My Mind Part II risulta così una passeggiata tra le vie illuminate dalla fredda luce dei lampioni di una città tetra e decadente, trasformata da una mente malata in una città di creature freaks, un circo gotico presentato con estrema cura dal suo inventore e presentatore, Alessandro Schümperlin.
Intorno si aggirano personaggi e suoni che fanno da contorno alla voce del leader, mentre ci prende per mano e ci accompagna in un oscuro locale dove suonano dance anni ottanta ed elettronica tedesca.
L’album arriva alla fine senza grossi picchi ma neanche particolari cadute, riuscendo a non far perdere l’attenzione in chi ascolta, tra accenni ai soliti Rammstein quando la sei corde alza la voce.
Se la musica elettronica ed il gothic/dark fanno parte dei vostri abituali ascolti, Inside My Mind Part II potrebbe rivelarsi una sorpresa, altrimenti rivolgete le vostre attenzioni altrove, perchè My Naked Soul (splendida) e gli altri brani che compongono l’opera non fanno per voi.

Tracklist
1.Double Trouple
2.Reduplicative
3.Jerusalem Calls Me
4.A Matter of Choice
5.Kesswill 25-07-1875
6.Sigmun Freud ist mein Nachbar
7.Wind Ego
8.My Naked Soul
9.Folly of Two
10.Ekbom
11.Jerusalem Calls Me extended version

Line-up
Alessandro Schümperlin – voice, programming, backing voice, producer and (de)composer
Marika Vanni – Voice and backing vocals
Valentina Carlone – Dancer and performes
Fabio Attacco – Bass, backing vocals
Andrea “Ceppo” Faglia – Guitars
Alessandro Boraso – Drums

BLUT – Facebook

Ataraxy – Where All Hope Fades

La proposta di questa ottima realtà estrema chiamata Ataraxy si colloca perfettamente nel doom/death metal e risulta una lenta agonia, tra impietose ed estreme parti death old school e sofferenze senza fine tramutate in cadute negli abissi eterni del doom.

La proposta di questa ottima realtà estrema chiamata Ataraxy si colloca perfettamente nel doom/death metal e risulta una lenta agonia, tra impietose ed estreme parti death old school e sofferenze senza fine tramutate in cadute negli abissi eterni del doom.

Il gruppo spagnolo non è certo nuovo a questi deliri oscuri e macabri: nato a Saragozza dieci anni fa, ha all’attivo un demo, l’ep Curse Of The Requiem Mass, licenziato nel 2010, ed il primo full length dato alle stampe sei anni fa, dal titolo Revelations Of The Ethereal.
La band alterna così dilatate parti doom a ripartenze death, lasciando che le atmosfere horror che pervadono i brani si impossessino dell’ascoltatore, avvolto da un penetrante fetore di carni in decomposizione.
Una catacombe, un abisso senza uscita dove aspettare la fine di ogni sofferenza ed il silenzio della morte, mentre le anime si dannano per trovare una pace irraggiungibile ed i guardiani si accaniscono sui corpi ormai ridotti ad ammassi di carne maciullata.
Un purgatorio, molto vicino all’inferno, raccontato dagli Ataraxy con lunghi brani come Matter Lost In Time o As Uembras d’o Hibierno, in una cornice estrema che ricorda il genere negli anni che vedevano muovere i primi passi i gruppi che hanno fatto storia.
Asphyx, ma anche primi Tiamat nel dna di questa ottima realtà estrema che lascia ai dodici minuti di The Blackness Of Eternal Night il compito di portarci nei meandri dove regnano il male, la sofferenza e la dannazione, tra growl abissali, clean vocals teatrali e sofferte e riff che lasciano in bocca il gusto sanguigno del Gregor Mackintosh di Lost Paradise e Gothic.

Tracklist
1. The Absurdity of a Whole Cosmos
2. A Matter Lost in Time
3. One Last Certainty
4. As Uembras d’o Hibierno
5. The Mourning Path
6. The Blackness of Eternal Night

Line-up
Javi – Vocals, Guitars
Santi – Guitars
Edu – Bass
Viejo – Drums

ATARAXY – Facebook

Days Of Confusion – Yin & Out

Consigliato agli amanti del metal moderno dai gusti progressivi e core, l’album ha qualche fiammata lungo il suo svolgimento che lascia buone sensazioni per il futuro, anche se una stretta al songwriting è assolutamente d’obbligo per rendere la proposta più fluida e digeribile ai giovani fans del genere.

Ennesima band di modern metal core con tutti i cliché che ormai hanno spezzato una cinghia tirata all’inverosimile, o buona realtà che valorizza dosi massicce di metallo moderno con un’ottima tecnica esecutiva e sfumature progressive?

Come sempre la verità sta nel mezzo, così da poter affermare che Yin & Out, primo full length dei rumeni Days Of Confusion, è un lavoro discreto con pregi e difetti di una band sicuramente ambiziosa ma ancora acerba.
Il gruppo proveniente da Bucarest si forma otto anni fa, ed arriva all’esordio sulla lunga distanza tra i soliti aggiustamenti di line up, premi vari e supporto live a nomi importanti della scena metallica (Arch Enemy, Accept, Queensryche).
Yin & Out è sicuramente un’opera ambiziosa, forse troppo, ed il passo più lungo della gamba porta ad un lavoro mastodontico, prolisso, tecnicamente valido, ma con ancora molte idee da sviluppare per benino.
Il sound infatti risulta ancorato a schemi ormai abusati nel genere, con l’alternanza tra parti estreme ed altre atmosferiche, digressioni strumentali che portano a ritmiche cervellotiche ed un senso di deja vu che si ripete per ben settanta minuti.
Dalla sua la band mette sul piatto una buona tecnica, abbinata ad una voce pulita che non fa rimpiangere le parti in scream, e brani riusciti specialmente quando atmosfere intimiste ammantano di sfumature dark il sound di Yin & Out.
Consigliato agli amanti del metal moderno dai gusti progressivi e core, l’album ha qualche fiammata lungo il suo svolgimento (Killing You Killing Me, Eternal Summer, Memories From My Future Lives) che lascia buone sensazioni per il futuro, anche se una stretta al songwriting è assolutamente d’obbligo per rendere la proposta più fluida e digeribile ai giovani fans del genere.

Tracklist
1.Yin: Confession
2.War
3.Killing You Is Killing Me
4.The Guest
5.Bloodstream
6.Eternal Summer
7.Kagemusha
8.Abis
9.Turning Point
10.Dharkata
11.Above The Waves
12.Memories From My Future Lives
13.Out: The Question Is The Answer
14.The Day We D

Line-up
Cosmin Lupu – Vocals/ Guitar
Cezar Popescu – Vocals/ Guitar
Andrei Zamfir – Bass guitar
Alex Halmagean – Drums
Mihai Ardelean – Keyboards/Ambient/Guitars
Alecu – Guitar/Bass guitar

DAYS OF CONFUSION – Facebook

Demonical – Chaos Manifesto

Riff inossidabili, ritmiche forsennate, accenni melodici in solos che sono l’abc dello swedish death, colmano un gap temporale di quasi trent’anni, tornando a far risplendere nomi storici del metal estremo mondiale come Dismember, Entombed ed Unleashed.

I Demonical sono tornati con il loro death metal scandinavo che risulta una tempesta old school senza soluzione di continuità.

La band formata da ex Centinex rinnova il suo appuntamento con gli amanti del genere e si ripresenta con questo devastante e cattivo Chaos Manifesto, una furia metallica che non lascia speranze di trovare superstiti dopo il suo passaggio.
L’album è stato registrato, mixato e masterizzato da Karl Daniel Lidén (Terra Tenebrosa, Cult of Luna, Katatonia) e il suono esce potente e cristallino, le veloci cavalcate ritmiche si alternano a granitici mid tempo per quaranta minuti, sconquassate da uno dei migliori esempi di swedish death che si possa ascoltare in giro.
La band è tornata un quintetto, con il vocalist Alexander Högbom che prende il posto dietro al microfono che fu di Sverker “Widda” Widgren, e Chaos Manifesto può così far grondare sangue innocente dal lettore di ogni fan della frangia scandinava del death.
Riff inossidabili, ritmiche forsennate, accenni melodici in solos che sono l’abc dello swedish death, colmano un gap temporale di quasi trent’anni, tornando a far risplendere nomi storici del metal estremo mondiale come Dismember, Entombed ed Unleashed.
Non esiste un minuto di quest’opera che non sia perfettamente ed assolutamente legato alla tradizione, quindi aspettatevi di essere travolti da brani come A Void Most Obscure, trascinandovi negli abissi infernali che si aprono come voragini al passaggio del tellurico sound di cui sono portatrici altre spettacolari tracce come il singolo Towards Greater GodsVälkommen Undergång e From Nothing, altro pezzo da novanta di Chaos Manifesto.
Un album bellissimo, estremo ed oscuro come vuole il genere, con i Demonical a regalare l’opera più riuscita della loro carriera agli amanti di queste storiche sonorità.

Tracklist
1.A Void Most Obscure
2.Towards Greater Gods
3.Sung to Possess
4.Välkommen Undergång
5.Torture Parade
6.From Nothing
7.Unfold Thy Darkness
8.Death Unfaithful
9.Nightbringer

Line-up
Alexander Högbom – Vocals
Martin Schulman – Bass
Johan Haglund – Guitars
Eki Kumpulainen – Guitars
Kennet Englund – Drums

DEMONICAL – Facebook

Eye Of The Destroyer – Starved And Hanging

Quattro brani, quattro pallottole death/grind/hardcore sparate ad altezza d’uomo da questa macchina da guerra estrema per la quale la parola d’ordine è fare male, senza pietà.

E’ giunto anche per l’ep Starved and Hanging degli americani Eye Of The Destroyer il momento dell’uscita su supporto fisico in queste prime battute del nuovo anno.

Il gruppo proveniente dal New Jersey, nato nel 2013, ha un solo full length all’attivo (Methods Of Murder) ed un buon numero di ep di cui questo è l’ultimo arrivato: la band suona death metal, contaminato da furiose parti hardcore e grind, quindi una proposta musicale assolutamente estrema e senza compromessi.
Il mini cd in questione è composto da quattro tracce per soli dieci minuti di macello sonoro che si rifà alla scena d’oltreoceano, con echi di Dying Fetus e Cannibal Corpse che si ritrovano in un concept che unisce tradizione metal e frustate core per una pesantissima e quanto mai devastante proposta.
La durata del lavoro aiuta non poco l’ascolto, anche se la natura underground e violentissima del prodotto risulta materia solo per chi di questi suoni si nutre abitualmente.
Quattro brani, quattro pallottole death/grind/hardcore sparate ad altezza d’uomo da questa macchina da guerra estrema per la quale la parola d’ordine è fare male, senza pietà.

Tracklist
1.Obsessed with Death
2.Crushed Between Earth and Bone
3.Starved and Hanging
4.Mandatory Bludgeoning

Line-up
Joe Randazza – Drums
Chris Halpin – Guitars
Christopher Vlosky – Vocals
Dan Kaufman – Bass

EYE OF THE DESTROYER – Facebook

Xenosis – Devour and Birth

Devour And Birth è un album molto interessante, progressivo e piacevole nell’ascolto anche per chi non stravede per la tecnica fine a se stessa e questo a mio parere è il complimento più bello che si possa fare alla band.

Band dall’alto tasso tecnico, ma che mantiene al suo interno un buon bilanciamento tra l’anima progressiva e quella più tradizionalmente death metal: tornano gli statunitensi Xenosis, gruppo che, in regime di autoproduzione dà vita al terzo lavoro sulla lunga distanza, questo riuscito esempio di technical death metal album dal titolo Devour And Birth.

L’opera si presenta in tutta la sua estrema natura e ricamata da sfumature e digressioni progressive di ottima fattura, mantenendo una buona forma canzone che permette all’ascoltatore di seguire le evoluzioni strumentali senza perdere il filo di un discorso musicale lungi dall’essere noioso o troppo cervellotico.
L’opener Night Hag ci presenta un gruppo perfettamente in grado di viaggiare a ritmi considerevoli nel variegato e pericoloso mondo del death metal ultra tecnico, anche per merito di una sagacia nella scrittura che lascia spazio a parti melodiche o più dirette, mentre le mere sezioni dedicate alla tecnica sono dosate e sistemate al posto giusto nel momento giusto.
Un growl brutale accentua la vena estrema e mette in risalto la parte old school del sound dei nostri che, con audaci e devastanti brani come Concave, Ominous Opus e la title track, convincono anche l’ascoltatore più intransigente ed amante di nomi altisonanti del metal estremo come Death, Atheist e Obituary.
Devour And Birth è un album molto interessante, progressivo e piacevole nell’ascolto anche per chi non stravede per la tecnica fine a se stessa e questo a mio parere è il complimento più bello che si possa fare alla band.

Tracklist
1. Night Hag
2. Army of Darkness
3. Delirium (Death of a God)
4. Concave
5. Oxidation
6. Ominous Opus
7. Devour and Birth
8. The Projector

Line-up
Sal Bova – Vocals
Kenny Bullard – Guitar
Mark Lyon – Guitar
Dave Legenhausen – Bass
Gary Marotta – Drums

XENOSIS – Facebook

Killcode – The Answer

Nu metal, hard rock e southern metal formano una miscela esplosiva chiamata The Answer che i Killcode ci fanno esplodere nelle orecchie in questi primi mesi del nuovo anno.

Tornano con un nuovo album dopo quasi sei anni dal precedente i Killcode, band proveniente dalla scena hard rock della grande mela.

La band ha iniziato a farsi sentire ormai dieci anni fa e ora è pronta, con l’aiuto di Roy Z (Life Of Agony) alla produzione, a travolgere gli amanti dell’hard rock moderno con The Answer, nuovo e potentissimo album velato da sfumature southern metal e ritmiche che rimandano al nu metal di fine secolo scorso, con un’attitudine rock’n’roll che deflagra come un candelotto di nitroglicerina trattato con poca cura.
The Answer è un album vario, valorizzato da un lotto di brani che risultano potenziali hit e che soprattutto non mancano di piacevoli e ruffiane melodie, moderno ma ancora legato alla tradizione che esce prepotentemente nella super ballad Own It Now, con Chris Wyse (Ace Frehley band, OWL, The Cult) al basso in veste di ospite.
L’album parte forte con la title track, brano che alterna atmosfere stoppate classiche del nu metal con Tom Morrissey che accenna un rappato nel chorus, mentre Shoe Me risulta una classica hard rock song, Shot un irresistibile pezzo di granito metallico moderno e Bleed un rock’n’roll solcato da un’anima dalle sfumature che ricordano l’esordio omonimo dei Beautiful Creatures.
The Answer scorre via alternando i suoi input o inglobandoli in crescendo potenti e melodici come la rocciosa Slave, mentre una nostalgica armonica intona melodie sudiste nella conclusiva Put It Off.
Nu metal, hard rock e southern metal formano una miscela esplosiva chiamata The Answer che i Killcode ci fanno esplodere nelle orecchie in questi primi mesi del nuovo anno.

Tracklist
01. The Answer
03. Shot
02. Show Me
04. Bleed
05. Own It Now
06. Kickin’ Screamin’
07. Pick Your Side
08. The Haunting
09. Slave
10. Put It Off

Line-up
Tom Morrissey – Vocals
Chas – Guitar, Vocals
D.C. Gonzales – Guitars
Erric Bonesmith – Bass, Vocals
Rob Noxious – Drums

KILLCODE – Facebook

Strike Avenue – Human Golgotha

Human Golgotha torna a far parlare in modo estremamente positivo del death metal moderno, oltretutto per merito di una band italiana.

Dimenticatevi le solite nenie metalcore in voga negli ultimi anni e concentratevi, invece, sulla forza bruta che il death metal moderno riesce a sprigionare quando è suonato come se non ci fosse un domani.

Oltre che un domani gli Strike Avenue hanno pure un passato, con il 2018 che porta gli anni di attività della band in doppia cifra ed un quarto album che letteralmente deflagra dalle vostre casse in un mastodontico e disumano urlo estremo.
Che il gruppo avesse dalla sua l’esperienza per non fallire era sicuramente dimostrato dalla discografia di cui può vantarsi, con tre album alle spalle e diversi ep e singoli, non poco di questi tempi se non si è assolutamente sul pezzo.
La collina più famosa in ambito religioso è ben in mostra sulla copertina di questo Human Golgotha, album autoprodotto che tratta delle umane sofferenze attraverso un sound oscuro, estremo e pesantissimo.
La band calabrese è una forza della natura, il suo death metal moderno è un mostro che fagocita death metal classico e deathcore e lo espelle trasformato in un devastante ibrido color porpora.
Le ferite del Cristo sanguinano, il mondo intorno si colora di rosso e l’intro In Nomine Patris ha già lasciato posto alla rabbia che si trasforma in scudisciate di metal estremo violentissimo nella title track.
Il growl è un urlo animalesco con cui Phil racconta di un’ umanità in coma irreversibile, disfatta da sofferenze e malvagità, le ritmiche passano con disinvoltura dai classici tempi del core ad accelerazioni improvvise e devastanti (The Despised Lion); le melodie non mancano, e all’ombra di questa catastrofe sonora si fanno spazio, prima timide, poi presenti tra le trame di Dark Genesis e Cranium.
Brani al limite del brutal, feroci e coinvolgenti, lasciano spazio a riff intriganti e melodici aprendo una breccia nei cuori di chi ama il melodic death (Devourer Of Worlds), per poi tornare ad bombardamento senza soluzione di continuità,  punto di forza di un lavoro che rimane assolutamente estremo e brutale per tutta la sua durata.
Human Golgotha torna a far parlare in modo estremamente positivo del death metal moderno, oltretutto per merito di una band italiana.

Tracklist
1. In Nomine Patris
2. Human Golgotha
3. The Despised Lion
4. The Gates Of Hell
5. Dark Genesis
6. Cranium
7. Devourer Of Worlds
8. Sublimating The Black Mountain
9. Adamantius
10. Quietem

Line-up
Phil – Vocals
John Hunter – Guitars
Beengo – Guitars
Grim – Drums

STRIKE AVENUE – Facebook

Shambles – Primitive Death Trance

Primitive Death Trance è un nuovo esempio della proposta malsana e senza compromessi dei thailandesi Shambles.

Nel 2016 ci eravamo uniti al corteo funebre che tra le strade thailandesi lasciava un putrido odore di marcio e di morte.

Il suono, che accompagnava il lento incedere verso l’abisso dominato da oscuri demoni torturatori, proveniva dal primo full length degli Shambles (Realm of Darkness Shrine), storici deathsters attivi addirittura dal 1998, anche se con una pausa temporale di dieci anni tra il 2003 ed il 2014.
Il gruppo torna a distanza di un anno con questo nuovo ep, Primitive Death Trance, venticinque minuti di death/doom/grind che equivale ad una morte lenta e dolorosissima, una decomposizione del corpo che lascia l’anima in balia delle maligne forze del male.
Gli Shambles non spostano di una virgola l’atmosfera creata con l’album precedente e, come se questo Primitive Death Trance fosse una sua appendice, continuano a marciare inesorabili verso la perdizione con quattro marcissimi brani nei quali l’odore acre e putrido cancella ogni velleità di bene, lasciando a poche ma intense accelerazioni dalle sfumature grind/death il compito di lavare con i fluidi corporali l’altare eretto per il maligno.
La lenta cattiveria di Daemon, l’atmosfera oscura che varia ritmo della massiccia Dismal Pantheons, il caos infernale di Illusion Of The Void ed il tragico finale della title track, pregna tra le sue note di spunti psichedelici, fanno di Primitive Death Trance un altro esempio di quanto malsana e senza compromessi risulti la proposta di questi cinque demoni thailandesi.

Tracklist
1.Daemon
2.Dismal Pantheons
3.Illusion of the Void
4.Primitive Death Trance

Line-up
Chainarong Meeprasert – Bass, Vocals
Thinnarat Poungmanee – Drums
Issara Panyang – Guitars
Thotsaphon Ayusuk – Guitars
Kairudin – Bass

SHAMBLES – Facebook

Rec/All – Rec/All

L’heavy metal in Sudamerica parla brasiliano e la conferma viene non solo dalle band storiche che, negli anni, hanno fatto innamorare orde di defenders in cerca di sonorità heavy dalle forti radici latine, o dalle molte realtà estreme che hanno seguito la scia dei fratelli Cavalera, ma da una scena underground attivissima e lungi da qualsiasi forma di crisi qualitativa.

I Rec/All sono un progetto nato solo un anno fa e che ha tutti i crismi del super gruppo, grazie ai suoi protagonisti, musicisti storici della scena metallica e alcuni con presenze importanti nelle migliori band uscite dal grande paese sudamericano-
Angra, Di’Anno, Karma, Almah, Dark Avenger, Nordheim, Kiko Loureiro, Tony Martin, Snakeyes, sono solo i nomi più conosciuti con cui hanno collaborato i cinque musicisti che compongono una line up assolutamente di prim’ordine, dal vocalist Rod Rossi, allo storico bassista Felipe Andreoli, dalle due chitarre in mano a Davis Ramay e Marcelo Barbosa, alle pelli malmenate da Robson Pontes.
E allora sappiate che questo album omonimo, licenziato in regime di autoproduzione, è un ottimo esempio di heavy/power metal, ovviamente suonato a meraviglia, composto da ritmiche power da infarto, digressioni musicali fuori da contesti metallici e viranti verso la tradizione popolare locale e vergate heavy che mettono in luce le due chitarre, protagoniste di riff e solos scolpiti nel cielo oscurato dall’arrivo della tempesta Rec/All.
Diretto come un treno in corsa, Rio Riots apre le danze , che con il samba hanno poco a che fare, ed arriviamo veloci al terzo brano, Blind, una dei picchi di Rec/All, e Indestructible, brano power metal alla maniera brasiliana.
Rod Rossi si dimostra singer bravissimo, specialmente nel variare toni alla sua performance, grintosa e tagliente oppure melodica e dalle reminiscenze melodic hard rock.
Si torna a sbattere la testa con la power metal Running In Her Veins e a crogiolarsi nelle melodie AOR di Oh,Angel, mentre la parola fine è lasciata al crescendo power/hard rock di Set The Night On Fire.
Le ispirazioni sono ovviamente tutte da riscontrare nella scena metal brasiliana, ma i musicisti coinvolti garantiscono personalità e talento in abbondanza.

Tracklist
1.Rio Riots
2.I Hate
3.Blind
4.Broken Wings
5.5 A.M.
6.We Own the Night
7.Walk with You
8.Running in Her Veins
9.Set the Night on Fire
10.Oh, Angel
11.Set The Night On Fire

Line-up
Felipe Andreoli – Bass
Robson Pontes – Drums
Davis Ramay – Guitars
Marcelo Barbosa – Guitars
Rod Rossi – Vocals

REC/ALL – Facebook

https://youtu.be/oxf7bc1EQVE

Anialator – Rise To Supremacy

Deflagrano letteralmente questi cinque brani, formando un esplosione nucleare che annienta ogni cosa per mezzo del suo micidiale vento. Ora tocca al gruppo esordire con un full lenght dopo così tanti anni, anche se la potenza sprigionata non risulta certo quella di attempati thrashers, bensì di una truppa in assetto di guerra.

Tornano con un nuovo ep gli Anialator, una formazione storica del thrash metal d’oltreoceano la cui data di nascita è il 1986.

Infatti, il gruppo proveniente dal Texas si formò proprio a metà degli anni ottanta, ma dopo una coppia di demo ed altrettanti ep si sciolse nel 1990 all’indomani di una compilation che per anni fu l’ultimo urlo estremo del gruppo.
Il ritorno firmato Xtreem avviene lo scorso anno con un’altra compilation, la più aggiornata Mission Of Death, che funge da preludio a questo nuovo lavoro dal titolo Rise To Supremacy.
Per ora ci si deve accontentare di cinque brani ma la devastazione che ne segue non fa altro che confermare la fama del quartetto; una bomba thrash metal che esplode nelle orecchie, estrema, veloce e cattiva, assolutamente old school e potenziata da uno spirito death che ne accentua la violenza.
Alex Dominquez e Roland Torres, unici superstiti degli anni ottanta, ridanno vita, dopo anni a suonare sotto il monicker Sufferance, a questo mostro metallico che esprime tutta la sua forza estrema, slayerana sì ma dalla forza e dalla personalità che permettono agli Anialator di essere considerati un gruppo unico.
Deflagrano letteralmente questi cinque brani, formando un esplosione nucleare che annienta ogni cosa per mezzo del suo micidiale vento. Ora tocca al gruppo esordire con un full lenght dopo così tanti anni, anche se la potenza sprigionata non risulta certo quella di attempati thrashers, bensì di una truppa in assetto di guerra.

Tracklist
1.Rise Again
2.All Systems Down
3.Thick Skinned
4.Chaos
5.Black Trump

Line-up
Armando Valadez – Guitars
Alex Dominguez – Bass
Roland Torres – Guitars
O. J. Landa – Drums
Angel Gonzalez – Vocals

ANIALATOR – Facebook

Dark Ministry – The Sermon Begins

Un inizio promettente per i Dark Ministry, aspettando un lavoro sulla lunga distanza che potrebbe ottenere nuovi consensi da parte dei vecchi fans del genere ed in particolare degli Exciter.

Quando si avvicina la fine dell’anno di solito si guarda indietro per fare un sunto di quello che la scena musicale metal/rock ha regalato nei precedenti dodici mesi, prima di buttarsi nell’anno nuovo sempre a caccia di conferme e sorprese che fortunatamente non mancano mai.

The Sermon Begins fa parte di quelle uscite sfuggite in un primo momento, ma recuperate e presentate ai lettori di MetalEyes, anche perché trattasi della nuova band di un personaggio storico della scena old school canadese, l’ex batterista degli Exciter Rik Charron, picchiatore senza soluzione di continuità nella leggendaria band dal 1996 al 2014.
E l’anno dopo l’uscita dal gruppo, l’infaticabile musicista fonda i Dark Ministry, gruppo che alla base non può che rifarsi al genere che ha fatto la fortuna artistica degli Exciter, quindi thrash metal dai rimandi old school, pregno di attitudine heavy/speed, ignorantissimo ed orgogliosamente metallico.
Primo ep e tre nuovi brani che ci presentano un gruppo battagliero, che unisce al sound vecchia scuola quel tanto di groove che basta per non tradire troppo la data di nascita, arrabbiato e cattivo come la ruvida voce del singer, un Phil Anselmo in versione hardcore che urbanizza la proposta delle varie Killing Machine, Voodoo Sacrifice e Blood Driven.
Un inizio promettente per i Dark Ministry, aspettando un lavoro sulla lunga distanza che potrebbe ottenere nuovi consensi da parte dei vecchi fans del genere ed in particolare degli Exciter.

Tracklist
1. Killing Machine
2. Voodoo Sacrifice
3. Blood Driven

Line-up
Tyler Knapp – Vocals
Carlo Cote – Bass
David Tyo – Guitar
Brian Farnsworth – Guitar
Rik Charron – Drums.

DARK MINISTRY – Facebook

Love Machine – Universe Of Minds

Universe Of Minds non tradisce le attese e si presenta ricco di tutte le virtù che un album del genere si porta dietro, gratificando gli amanti dell’hard’n’heavy di stampo ottantiano, ma senza rinunciare alla potenza ed alle sollecitazioni che il genere ha assimilato negli ultimi anni.

Sicuramente il ritorno sul mercato dei Love Machine è uno degli eventi più importanti in abito underground che il metal classico può vantare in questo inizio d’anno.

Una storia trentennale iniziata sul tramonto degli anni ottanta ha dato al gruppo milanese il meritato status di cult band, nell’ambito di una carriera contrassegnata da non pochi cambi di line up, tre album in studio, un live e presenze in importanti tour di supporto a Saxon, Wasp e Gotthard.
I Love Machine tornano in pista con un nuovo lavoro intitolato Universe Of Minds ed una formazione che vede, oltre al cantante Rob Della Frera (Raising Fear) ed il bassista Yako Martini, l’entrata in pianta stabile nella line up del tastierista Lele Triton, ad accompagnare Frank e Max alle sei corde e Andrew alle pelli.
Universe Of Minds non tradisce le attese e si presenta ricco di tutte le virtù che un album del genere si porta dietro, gratificando gli amanti dell’hard’n’heavy di stampo ottantiano, ma senza rinunciare alla potenza ed alle sollecitazioni che il genere ha assimilato negli ultimi anni.
Ovviamente la tradizione è doverosamente rispettata, quindi Universe Of Minds è un lavoro che di rock duro e metallo fiammeggiante vive, lontano anni luce da qualsiasi contaminazione moderna, valorizzato da un buon songwriting e da un gran lavoro in fase di arrangiamento e produzione.
Anyway ci da il benvenuto sulla navicella Love Machine, pronta a viaggiare nell’universo musicale, tra cavalcate metalliche, ritmiche potentissime e melodie irresistibili, con Let’s Get It Rock che ci trascina sotto il palco e Star Rider che riprende il rumore dei dischi volanti della famosa serie U.F.O. di tanti anni fa.
Il comandante Striker è avvertito e il contrattacco è portato da Point Of No Return e dal mid tempo di Scared For This Time, con in mezzo la splendida heavy ballad The Scorn.
Maybe risulta un brano hard rock melodico quanto basta per finire su un’ipotetica classifica radiofonica di fine anni ottanta, mentre Journey e Now Or Never chiudono l’album, ottimamente bilanciate tra grinta heavy e melodie hard rock.
In Universe Of Minds troverete ad aspettarvi trent’anni di hard’n’heavy, non solo Maiden e Saxon, quindi, ma anche Sinner e Primal Fear, inglobati in un sound personale e 100% Love Machine.

Tracklist
01.Anyway
02.Let’s get it rock
03.Compromises
04.Star rider
05.Point of no return
06.The scorn
07.Scared for these times
08.Maybe (A second life reality)
09.Mama’s call
10.Journey
11.Now or never

Line-up
Rob – Voice
Frank – Guitar
Max – Guitar
Yako – Bass Guitar
Andrew – Drums
Lele – Keyboards

LOVE MACHINE – Facebook

Hadeon – Sunrise

La musica progressiva degli Hadeon è fortemente influenzata da una manciata di icone del genere e non potrebbe essere altrimenti, ma le ottime melodie create si sommano ad un’innata presa dei brani che, pur concedendosi cambi di tempo e tecnicismi vari, puntano tutto sulla qualità di un songwriting ispirato.

Un’altra giovane band si affaccia sul panorama progressivo tricolore con un esordio che farà la gioia degli amanti del genere vecchi e nuovi.

Loro sono gli Hadeon, si sono formati a Udine quattro anni fa e Sunrise è il loro debutto, formato da una cinquantina di minuti di rock progressivo che si rafforza di sferzate metalliche ed ispirazioni che vanno dagli anni settanta ai giorni nostri.
Sette brani, sette malattie che i protagonisti raccontano tramite la musica che si fa sempre più drammatica e cupa in una escalation emozionale che risulta il punto di forza di Sunrise.
La musica progressiva degli Hadeon è fortemente influenzata da una manciata di icone del genere e non potrebbe essere altrimenti, ma le ottime melodie create si sommano ad un’innata presa dei brani che, pur concedendosi cambi di tempo e tecnicismi vari, puntano tutto sulla qualità di un songwriting ispirato.
Parti intimiste si alternano a più grintosi momenti nei quali il metal progressivo prende il sopravvento, per poi tornare a regalarci delicate trame semiacustiche (Never Thought), in un crescendo artistico che lascia a Lightline ed alla splendida Hopeless Dance il compito di accompagnarci alla porta musicale della title track ed entrare nel mondo degli Hadeon, tra eleganti attimi di poesia, crescendo metallici e aperture melodiche sopra le righe.
Con più Threshold che Dream Theater ad ispirare la parte moderna del sound, gli Hadeon non dimenticano gli insegnamenti dei maestri settantiani e ci consegnano un piccolo gioiello progressivo, contribuendo a mantenere su altissimi livelli la nuova scena prog tricolore.

Tracklist
1.Thoughts ‘n’ Sparks
2.Chaotic Picture
3.I, Divided
4.Never Thought
5.Lightline
6.Hopeless Dance
7.Sunrise

Line-up
Federico Driutti – Vocals & keyboard
Alessandro Floreani – Guitars
Fabio Flumiani – Guitars
Gianluca Caroli – Bass
Emanuele Stefanutti – Drums

HADEON – Facebook

Trigger – Cryogenesis

Un buon esordio per il gruppo australiano che si fa preferire nei momenti in cui la furia metallica strappa le redini dalle mani del gruppo ed è cosi libera di sfogarsi, ma che non mancherà di trovare estimatori anche per le sue parti melodiche.

Gruppo australiano nato a Melbourne nel 2011 e con ep alle spalle intitolato Machina e licenziato tre anni fa, i Trigger debuttano sulla lunga distanza con Cryogenesis, album che accomuna in un unico sound soluzioni tradizionali ed imput moderni in un’alternanza di atmosfere estreme, moderne, melodiche e cool.

Siamo in territori esplorati da gruppi come In Flames e Soilwork da una parte e Trivium dall’altra, con un comune denominatore chiamato Iron Maiden e la formula funziona abbastanza bene, anche se i Trigger li preferiamo quando la loro anima estrema prende il sopravvento sulla parte melodica che, come in molti act statunitensi, risulta un pò troppo leggera.
Per il resto Tim Leopold e compagni sanno come intrattenere l’ascoltatore, passando dunque con disinvoltura da ritmiche veloci e tritaossa ad assoli melodici e dal taglio heavy e refrain fatti oer scalare classifiche rock metal nelle radio della costa australiana.
Tutto questo porta ad una varietà che, brano per brano, trova la sua massima ispirazione nel duello tra la tradizione europea e quella statunitense, un bene per la fruibilità di Cryogenesis che sicuramente non annoia nei suoi cinquanta minuti di durata.
L’album in questione è il classico esempio di lavoro che, se ben supportato, dovrebbe fare sfracelli nei giovinastri con un occhio alla storia ed uno alle sonorità più attuali, per mezzo di piccole bombe come l’opener The Forge Of Hepaestus, il power/thrash melodico di Dead Sun, l’ottima Crowned, valorizzata da suoni tastieristici ed un refrain che si piazza al centro del cervello, e Dysphoria, con il suo alternare appeal e ferocia estrema così da risultare il brano più riuscito dell’intero lavoro.
Un buon esordio per il gruppo australiano che si fa preferire nei momenti in cui la furia metallica strappa le redini dalle mani del gruppo ed è cosi libera di sfogarsi, ma che non mancherà di trovare estimatori anche per le sue parti melodiche.

Tracklist
1.The Forge Of Hepaestus.
2.Dead Sun
3.Echoes Of The Silenced
4.Crowned
5.Tethered To The Tide
6.Devide
7.Alexandria
8.Deluzion
9.Dysphoria
10.Veins Of Ambrosia

Line-up
Tim Leopold- Lead Vocals
Luke Ashley – Guitar
Sean Solley – Guitar
Matt Ambrose – Bass
Darcy Mulchay – Drums

TRIGGER – Facebook