Warfist / Excidium – Laws of Perversion & Filth

La Godz Ov War licenzia questo split che vede impegnati due gruppi polacchi, Warfist ed Excidium, dediti ad un thrash metal old school pregno di attitudine black come da tradizione nelle terre dell’est europeo.

La Godz Ov War licenzia questo split che vede impegnati due gruppi polacchi, Warfist ed Excidium, dediti ad un thrash metal old school pregno di attitudine black come da tradizione nelle terre dell’est europeo.

I primi a presentarsi con il loro battagliero thrash metal vecchia scuola dal,l’anima blasfema sono gli Warfist, band proveniente da Zielona Gòra attiva dal 2004, con una serie interminabile di split all’attivo e due full length, The Devil Lives in Grünberg del 2014, e Metal To The Bone, uscito un paio di anni dopo.
Qui il genere viene restituito senza compromessi, rozzo ed ignorante, potenziato da una dedizione per l’estremo che porta il gruppo ad essere considerato una blackened metal band, anche se il sound di brani come The Tomb Of Desire o Sadistick Whorefuck si beano di tanto thrash metal old school di scuola tedesca.
Identico discorso per la seconda band in programma: gli Excidium da Rzeszów, quartetto di thrashers con il black metal nel motore: dal 2006 a devastare padiglioni auricolari con ep e split, la band non ha ancora licenziato un solo full length, e il loro approccio al metal estremo risulta più classico dei colleghi, con sfuriate thrash che si valorizzano tramite solos di stampo classico in un contesto che rimane corrosivo in tutto il suo svolgimento.
L’approccio tradizionalmente metal e melodico fa risultare gli Excidium più accattivanti degli Warfist, anche se la partita virtuale tra il due gruppi finisce a reti inviolate.
L’ottima heavy metal song Veil Of Stagnation e la cover degli storici Impaled Nazarene, Karmageddon Warriors, alzano di molto il giudizio di uno split comunque interessante al fine di conoscere due realtà thrash black della scena polacca, nido di velenosissime vipere al servizio del maligno.

Tracklist
1.Warfist – The Tomb of Desire
2.Warfist – Debauchery (Dirty Little Bitch)
3.Warfist – Sadistic Whorefuck
4.Warfist – Angel Death (Dodheimsgard cover)
5.Excidium – Suicidal Perspectives
6.Excidium – Denial
7.Excidium – Veil of Stagnation
8.Excidium – Karmageddon Warriors (Impaled Nazarene cover)

Line-up
Warfist :
Wrath – Bass, Vocals
Infernal Deflorator – Drums
HellVomit – Guitars, Vocals

Excidium :
Cuntreaper – Vocals
Thot – Drums
Hans Gruber – Guitars
Golem – Bass

WARFIST – Facebook

EXCIDIUM – Facebook

Mind Enemies – Revenge

Revenge è un album che, con una produzione più cristallina ed un cantante adatto a valorizzarne le trame, avrebbe avuto sicuramente più chance di far breccia nei cuori degli appassionati sparsi per lo stivale.

I Mind Enemies sono la creatura del polistrumentista pugliese Giuseppe Caruso, nata nel 2011 e con una storia fatta di cambi di line up, viaggi verso Genova e gli studi della Nadir (dove è stato inciso l’ep Darkest Way nel 2013) ed un album di cover intitolato Hard Rock Tribute, licenziato pochi mesi prima l’uscita di Revenge, primo full length nel quale Caruso ha fatto tutto da solo.

Revenge parla la lingua del metal classico, anche se intricate parti progressive ed atmosfere più legate all’hard rock fanno capolino in alcuni brani; Caruso varia molto l’atmosfera di ogni brano e questo è forse il maggior pregio dell’album che ha nella varietà della proposta il suo punto di forza, con momenti ora più diretti, ora più vicino al prog metal, ora potenziati da un groove di ispirazione statunitense che avvicina il sound all’alternative metal.
Purtroppo l’impatto dei brani perde leggermente la sua forza per una produzione molto underground, il che fa suonare Revenge come se fosse stato inciso vent’anni fa, e per un uso della voce non sempre all’altezza della situazione, specialmente sui toni alti.
Diciamo che il buon Caruso risulta bravissimo con gli strumenti (anche se qualche assolo dalle reminiscenze shred stona nell’economia di qualche brano), ma lascia a desiderare come cantante, facendo sì che canzoni dal buon tiro come Goya, My World, la sabbathiana The Dark Life, o la conclusiva title track fatichino a decollare.
Revenge risulta così un album che, con una produzione più cristallina ed un cantante adatto a valorizzarne le trame, avrebbe avuto sicuramente più chance di far breccia nei cuori degli appassionati sparsi per lo stivale.

Tracklist
1.The Black Warrior
2.Goya
3.Wild Existence
4.My World
5.Dream Time
6.The Dark Life
7.Angel Of Consciousness
8.The (Rock) Rite
9.Revenge

Line-up
Giuseppe Caruso – All instruments, Vocals

MIND ENEMIES – Facebook

Phil Campbell And The Bastard Sons – The Age Of Absurdity

Quello che poteva frettolosamente essere archiviato come il capriccio di una rock star sta prendendo una piega importante, quindi chi suona il genere d’ora in poi dovrà fare i conti con Phil Campbell, la sua famiglia e questo bellissimo The Age Of Absurdity.

Phil Campbell torna con la sua band, fondata tra le mura domestiche ( come ben saprete fanno parte del combo i tre figli dell’ex chitarrista dei Motorhead più il singer Neil Starr) con il primo full length, successore dell’ottimo mini cd dello scorso anno e un’intensa attività live che ha visto la famiglia Campbell aprire per i redivivi Guns’n’Roses e fare da spalla ai leggendari Saxon.

Phil Campbell And The Bastard Sons per il gruppo non poteva essere un monicker migliore, accompagnando un sound ancora una volta figlio del leggendario trio capitanano da San Lemmy, ma che ne prende le distanze soprattutto per un suono più pulito e un’attitudine rock’ n ‘ roll che ripropone gli stilemi del sound motorheadiano accompagnato da molte ispirazioni che vanno dall’America dei Buckcherry al Nord Europa dei primi Backyard Babies.
Ovviamente il tutto è accompagnato da una vena street rock blues che alza di molto il coinvolgimento dell’ascoltatore, dettato da un songwriting ispirato e dalla performance di un singer nato per cantare rock’n’roll.
E infatti Neil Starr si dimostra, come sul precedente lavoro, la punta di diamante del gruppo, una tigre addomesticata dal blues, viscerale e sanguigno come il genere comanda, maggiore protagonista dell’atmosfera sporca e selvaggia di The Age Of Absurdity.
L’album risulta un muro sonoro innalzato al rock duro, le influenze si alternano da una traccia all’altra e Starr e Campbell, sostenuti dalla sezione ritmica, fanno fuoco e fiamme, instancabili macchine da guerra che non riposano neanche quando la tensione si trasforma in note blues da vita vissuta pericolosamente.
L’opener Ringleader dà il via alle danze con un brano Motorhead fino al midollo, con il fantasma del leggendario trio che torna in Gipsy Kiss e Get On Your Knees, mentre il blues posa la sua mano sullo spartito della splendida Dark Days e della conclusiva Into The Dark.
Il resto è un susseguirsi di ottimi brani che guardano al passato recente del genere, trovando una loro precisa identità e regalando perle hard rock come Skin And Bones, Welcome To Hell e Step Into The Fire.
Quello che poteva frettolosamente essere archiviato come il capriccio di una rock star sta prendendo una piega importante, quindi chi suona il genere d’ora in poi dovrà fare i conti con Phil Campbell, la sua famiglia e questo bellissimo The Age Of Absurdity.

Tracklist
1. Ringleader
2. Freak Show
3. Skin and Bones
4. Gypsy Kiss
5. Welcome To Hell
6. Dark Days
7. Dropping The Needle
8. Step Into The Fire
9. Get On Your Knees
10. High Rule
11. Into The Dark

Line-up
Phil Campbell – Guitars
Todd Campbell – Guitars
Dane Campbell – Drums
Tyla Campbell – Bass
Neil Starr – Vocals

PHIL CAMPBELL AND THE BASTARD SONS – Facebook

Autopsy – Puncturing The Grotesque

Puncturing The Grotesque è il lavoro con cui gli Autopsy, vecchie volpi del metal estremo dalle tinte horror/gore, entrano in questo nuovo anno sempre con quella insana goliardia insita nei testi di putride tracce brutali e dall’atmosfera velenosa.

E’ arrivato anche per gli storici Autopsy il tempo di festeggiare i trent’anni di attività di una carriera lungo la quale il gruppo di Chris Reifert è stato uno dei punti fermi per i fans del death metal più brutale, con la parentesi dello stop di alcuni anni e la reunion del 2009 che ha ridato motivazioni ed un ritrovato entusiasmo al combo californiano.

Una discografia che non ha mai concesso passi falsi ha spinto la band verso quell’aura da cult band che, se non ha reso quanto poteva in termini di popolarità, ha sicuramente costruito intorno agli Autopsy un’intoccabilità che si evince dall’amore dei fans per il gruppo.
Puncturing The Grotesque è il lavoro con cui gli statunitensi, vecchie volpi del metal estremo dalle tinte horror/gore, entrano in questo nuovo anno sempre con quella insana goliardia insita nei testi di putride tracce brutali e dall’atmosfera velenosa.
Ovviamente gli Autopsy targati 2018 esibiscono quello che sanno fare meglio, death metal solcato da rallentamenti doom soffocanti, abissali e marcissimi.
Si passa così in poco tempo, da capolavori death metal old school come The Sick Get Sicker a lente discese negli antri puzzolenti del brutal/doom con Gas Mask Lust e Gorecrow, per poi lasciare al death/thrash & roll di Fuck You!!! il compito di dare il “la” ai festeggiamenti tra fuochi d’artificio estremi.
Una band come gli Autopsy non lascia scampo e non tradisce anche dopo così tanti anni, risultando una sicurezza per i fans del death metal.

Tracklist
1.Depths of Dehumanization
2.Puncturing the Grotesque
3.The Sick Get Sicker
4.Gas Mask Lust
5.Corpses at War
6.Gorecrow
7.Fuck You!!! (Bloodbath cover)

Line-up
Chris Reifert – Vocals, Drums
Eric Cutler – Vocals, Guitars
Danny Coralles – Guitars
Joe Allen – Bass

AUTOPSY – Facebook

Bark – Like Humans Do

Like Humans Do si salva per un’attitudine rock’n’roll che tiene viva (almeno per un po’) l’attenzione dell’ascoltatore, grazie alle devastanti prime sette tracce che formano una prima parte abbastanza esplosiva.

Attivi da appena due anni, tornano con il secondo lavoro sulla lunga distanza i furiosi Bark, entità metallica in quel Antwerp, Belgio.

Il quintetto quindi regala un successore all’ep omonimo uscito nell’anno di inizio attività e del primo full length, Voice Of Dog, licenziato lo scorso anno.
Il loro sound è un groove thrash metal, potenziato dal iniezioni di hard rock ‘n’ roll come San Lemmy ha insegnato con i suoi Motorhead, reso ancora più potente e mastodontico da ritmiche grasse e furia che si avvicina in alcuni casi all’hardcore.
Con il cantante che urla nel microfono come se non ci fosse un domani e nessun accenno al minimo rallentamento se non per fare ancora più male, la musica del combo belga si potrebbe descrivere come un incrocio tra Pantera, Motorhead e Down in versione hardcore e dalle molte ripartenze che sfiorano il thrash moderno: un muro sonoro che alla lunga stanca un po’, per una monotonia di fondo che fa di quest’opera un lavoro ad uso e consumo degli amanti del groove metal portato all’estremo.
Like Humans Do si salva per un’attitudine rock’n’roll che tiene viva (almeno per un po’) l’attenzione dell’ascoltatore, grazie alle devastanti prime sette tracce che formano una prima parte abbastanza esplosiva.
Col passare del tempo cala la tensione e l’album si trascina fino alla fine lasciando qualche perplessità ed un giudizio che non va oltre una abbondante piena sufficienza.

Tracklist
1. It’s All In Your Head
2. Aftermath
3. Last Man Standing
4. Hollow Words
5. Cannibal Law
6. My Heart Is A Bone
7. Like Humans Do
8. A Tribute To San La Muerte
9. Freedom To Hate
10. Wild Thing
11. Dog Life
12. No Shelter
13. Speak To The Dead

Line-up
Ron Bruynseels – vocals
Martin Furia – guitars
Rui da Silva – guitars
Jorn Van der Straeten – bass
Ward Van der Straeten – drums

BARK – Facebook

Machine Head – Catharsis

Catharsis è un lavoro che ancora più che in passato farà discutere: Flynn alza le spalle e va per la sua strada, sta a voi seguirla o meno.

I Machine Head sono tornati sul luogo del delitto: Robb Flynn, dopo aver passato quasi vent’anni cercando di recuperare credibilità nei confronti dei metallari duri e puri, manda tutto e tutti a quel paese e licenzia insieme ai suoi compagni l’album più melodico della discografia del gruppo di Oakland dai tempi, appunto, di quel The Burning Red che si era attirato l’ira di quelli che erano diventati fans del gruppo dopo i primi due album (Burn My Eyes e The More Things Change).

Ma, mentre il bellissimo (per il sottoscritto, almeno) album uscito sul finire del secolo scorso, univa almeno un po’ di quel thrash che caratterizzava le prime prove del gruppo con le sonorità regine del mercato di quei tempi (nu metal e rap), oggi Robb Flynn ha trasformato il sound dei Machine Head in un metal moderno, melodico, dalle molte ispirazioni semplicemente rock e dagli accattivanti camei orchestrali, una peste bubbonica per chi considera la band una creatura metallica tout court.
Il vocione di Flynn si scaglia su brani che vivono di pulsioni mainstream, inutile negare che non solo sono spariti i Machine Head targati 1994, ma pure quelli che avevano devastato padiglioni auricolari con The Blackening e Unto The Locust.
Catharsis è un album studiato e creato per non fare prigionieri in un mercato che non concede possibilità a chi rimane ancorato ai soliti cliché metallici, in un ambito dove ormai solo pochissime band hanno un appeal commerciale, e Flynn questo lo sa bene, quindi ecco che nel mastodontico ultimo album si possono ascoltare tutti i generi dai quali i Machine Head hanno preso spunto in questi anni, dal thrash al metalcore, dal nu metal al crossover, fino al groove, sfidando l’ascoltatore con una durata davvero proibitiva (settantaquattro minuti per il genere equivalgono ad un’era geologica), ma addolcendolo con una cascata di melodie.
Potrà non piacere, ma Catharsis alla fine vince la sua sfida risultando un album per cui l’aggettivo commerciale ha in fondo una sua reale valenza, almeno a sentire brani come Triple Beam, Bastards o Beyond The Pale; ovviamente non mancano le bordate thrash/groove metal, come l’iniziale Volatile o Razorblade Smile a rappresentare lo zuccherino per addolcire l’arrabbiatura dei fans più conservatori.
Catharsis è un lavoro che ancora più che in passato farà discutere: Flynn alza le spalle e va per la sua strada, sta a voi seguirla o meno.

Tracklist
1. Volatile
2. Catharsis
3. Beyond the Pale
4. California Bleeding
5. Triple Beam
6. Kaleidoscope
7. Bastards
8. Hope Begets Hope
9. Screaming at the Sun
10. Behind a Mask
11. Heavy Lies the Crown
12. Psychotic
13. Grind You Down
14. Razorblade Smile
15. Eulogy

Line-up
Robb Flynn – Vocals, Guitars
Dave McClain – Drums
Phil Demmel – Guitars
Jared MacEachern – Bass

MACHINE HEAD – Facebook

Death Keepers – Rock This World

L’album non ha grossi picchi ma si ascolta con quel piacere riservato ai ricordi più belli e a quella musica che ha fatto da colonna sonora a molti di noi, specialmente se il conteggio degli finisce per anta.

Rock This World è il classico album del quale forse non avevamo bisogno, colmo fino all’orlo di cliché già sentiti migliaia di volte, eppure mentre ci si mostra perplessi di fronte all’ennesimo coro pacchiano, il piede va per proprio conto e comincia a battere il tempo, la testa si muove in sincronia con i mid tempo che si passano il testimone e al secondo giro i ritornelli sono cantati all’unisono dalla band e da chi ascolta.

I Death Keepers non fanno sicuramente mistero della loro devozione per l’heavy metal classico vecchia scuola e ci sbattono in faccia undici brani che ripercorrono in lungo ed in largo il decennio ottantiano, tra molteplici tributi alle leggende del metal che troverete sparsi in ogni angolo musicale di questo lavoro; eccoci quindi al cospetto di una sorta di Helloween prima maniera (il loro monicker parla chiaro), meno power e più orientati verso la NWOBHM, melodici e dai refrain che vi entrano in testa come parassiti in un film di fantascienza per trasformarvi nel più ignorante e scatenato fans del metallo pesante.
La band, nata a Barcellona ormai sette anni fa, arriva dunque al primo album dopo un ep uscito ormai quattro anni fa, firma per Fighter records e piazza un bel calcio nel fondoschiena con Rock This World, un manifesto all’heavy metal fin dal titolo, supportato da una copertina che raffigura la massima espressione del genere, il concerto, con i suoi sacri riti, mentre il sound passa da canzoni che ricordano, come detto, le zucche di Amburgo era Kiske, spogliate dalla potenza del power e con invece più di un accenno al rock stradaiolo suonato aldilà dell’oceano (la title track in questo senso sembra uscita da una jam in qualche locale del Sunset Boulevard).
L’album non ha grossi picchi ma si ascolta con quel piacere riservato ai ricordi più belli e a quella musica che ha fatto da colonna sonora a molti di noi, specialmente se il conteggio degli finisce per anta.
Tra le note di Rock This World non cercate nulla che sia diverso da un’ ora scarsa di hard & heavy o heavy metal (come preferite) senza troppe pretese ma assolutamente piacevole.

Tracklist
1.Rock & Roll City
2.Fire Angel
3.Death Keepers
4.Haven’s Heaven
5.Rock This World
6.Thriving Forcast
7.Love’s Within (Yourself)
8.Wildfire
9.Invention IV
10.Metallia
11.Smooth Hit Love

Line-up
Dey Rus – Lead vocals.
Eddy Gary – Lead & rhythm guitar.
Antonio Maties – Lead & rhythm guitar.
Gorka Alegre – Bassist
Miki Hunter – Drums

DEATH KEEPERS – Facebook

Ectoplasma – Cavern Of Foul Unbeings

In Cavern Of Foul Unbeings troverete strumenti che gridano dolore, accelerazioni ed improvvise frenate, un growl in arrivo dal centro dell’inferno per quasi cinquanta minuti di metal estremo tripallico, assolutamente poco originale ma ben fatto, soprattutto per chi ama il genere.

Nuovo lavoro per gli Ectoplasma, realtà estrema proveniente dalla penisola ellenica nata tre anni fa ma già al secondo full length, successore di Spitting Coffins uscito lo scorso anno, accompagnato da due ep ed uno split in compagnia dei colleghi Hatevomit.

La band suona death metal old school, duro e puro, brutale, senza compromessi e come vuole la tradizione appesantito da mastodontici rallentamenti di scuola doom e con attitudine anticristiana, impatto monolitico e ispirazioni che richiamano i nomi storici del death metal: la band greca non si smuove, con tutti gli annessi e connessi dai cliché che animano il genere, quindi l’album risulta la classica opera appannaggio dei fans del genere.
In Cavern Of Foul Unbeings troverete strumenti che gridano dolore, accelerazioni ed improvvise frenate, un growl in arrivo dal centro dell’inferno per quasi cinquanta minuti di metal estremo tripallico, assolutamente poco originale ma ben fatto, soprattutto per chi ama il genere.
L’album è facile da leggere, tutto è dove immaginiamo debba stare, ci si muove bendati in un mondo che conosciamo a menadito, tra blast beat ed atmosfere catacombali e con una track list che dà l’impressione di provenire dal secolo scorso.
Tra le varie Entranced In Blood, Seized In Cimmerian Darkness e quel mostro musicale a titolo Ghoulspawn troverete echi di Bolt Thrower, Morgoth, Asphyx e qualche accenno alla scena scandinava (Unleashed, tributati dal gruppo con la conclusiva cover del brano The Immortals), una  parte del meglio che la vecchia Europa ha partorito nel periodo d’oro del death metal.
Cavern of Foul Unbeings è un lavoro che troverà estimatori negli amanti del death metal classico e old school, forte di una sua precisa appartenenza al filone.

Tracklist
1.Amorphous Atrocity (Intro)
2.Entranced in Blood
3.Mortified and Despised
4.Seized in Cimmerian Darkness
5.Cavern of Foul Unbeings
6.Primeval Haunting
7.Reanimated in Trioxin
8.The Unspeakable One
9.GhoulSpawn
10.Disembodied Voice
11.The Immortals (Unleashed cover)

Line-up
Dion K. Alastor – Guitars (lead)
George Wolf – Guitars (rhythm)
Giannis Grim – Vocals, Bass
Maelstrom – Drums

ECTOPLASMA – Facebook

Humanity Is A Curse – Raging For A Lighthouse

Alzano le barricate gli Humanity Is A Curse e su queste combattono la loro guerra, mitragliando e bombardando senza pietà per venticinque minuti di metal estremo dall’impatto brutale.

Nel mondo del metal le sorprese sono piacevoli ed inaspettate, ancor di più se si scava nell’underground estremo, universo mai totalmente esplorato anche per una webzine attenta come la nostra.

In arrivo dalle umide notti berlinesi gli Humanity Is A Curse sono un trio italo/tedesco composto da M alla sei corde ed alla voce, xGx al basso e G, che i lettori di MetalEyes conoscono sotto altro nome quale picchiatore instancabile nei grindsters palermitani Cavernicular.
Con un simile monicker la band va esplicitamente contro un’umanità ormai allo sbando, devastata moralmente e distruttrice del mondo che le sta intorno, il tutto a colpi di grind/crust core, ricco di rallentamenti sludge e con un mai domo spirito hardcore, formando un sound violentissimo.
Alzano le barricate gli Humanity Is A Curse e su queste combattono la loro guerra mitragliando e bombardando senza pietà per venticinque minuti di metal estremo dall’impatto brutale, una furia che parte pesantissima con le prime mastodontiche note di Photic, per poi riversare sull’ascoltatore tutta la sua rabbiosa denuncia.
Un muro sonoro avanza e travolge senza fermarsi e si presenta nella sua parte più sludge, prima di mollare le briglie (Pelagic, Abyss, Hadal) ed abbattersi senza freni sull’audience.
I generi che compongono il sound di Raging For A Lighthouse sono i più estremi e senza compromessi del vasto mondo del metal, le ispirazioni pertanto vanno ricercate di conseguenza, alimentando una proposta inevitabilmente  indirizzata agli appassionati dalla consolidata familiarità con questi suoni.

Tracklist
1.Photic
2.Pelagic
3.Aphotic
4.Bathyal
5.Abyss
6.Demersal
7.Hadal
8.Benthic

Line-up
M – Guitar, vocals
xGx – Bass
G – Drums

HUMANITY IS A CURSE – Facebook

Walk In Darkness – Welcome To The New World

Gli Walk In Darkness mantengono un approccio solenne al genere proposto, il concept sulla descrizione della condizione umana, vista dal mondo parallelo creato dal gruppo, conferisce all’opera una sorta di funzione di denuncia delle miserie umane, mentre il sound a tratti guarda al passato, ricordando ad un orecchio allenato le band gothic metal che muovevano i primi passi all’inizio degli anni novanta tra il Regno Unito e i Paesi Bassi.

Arrivano al secondo full lenght i misteriosi Walk In Darkness, band nostrana che lascia alle luci dei riflettori solo la bravissima cantante Nicoletta Rosellini, già splendida interprete del symphonic power metal dei Kalidia.

Nascosti nell’ombra, i musicisti di cui non si conoscono le generalità danno vita a questo ottimo lavoro intitolato Welcome To The New World, che segue di un solo anno il debutto In The Shadows Of Things.
E, come l’album precedente, questa fantomatica quanto enigmatica realtà nostrana ci delizia con un gothic metal dall’anima sinfonica, oscuro ed epico, estremo nella sua natura ma assolutamente godibile, anche per le straordinarie melodie epico-melanconiche di cui è composto.
Nicoletta Rosellini è protagonista di un’interpretazione intensa ed emozionale, dando non solo un volto al gruppo, ma diventando il centro su cui la musica si sviluppa, sempre in bilico tra melodie gotiche e rudezza estrema ben sottolineata dalla splendida Persephone’s Dance.
Gli Walk In Darkness mantengono un approccio solenne al genere proposto, il concept sulla descrizione della condizione umana, vista dal mondo parallelo creato dal gruppo, conferisce all’opera una sorta di funzione di denuncia delle miserie umane, mentre il sound a tratti guarda al passato, ricordando ad un orecchio allenato le band gothic metal che muovevano i primi passi all’inizio degli anni novanta tra il Regno Unito e i Paesi Bassi.
Welcome To The New World è un lavoro a tratti monumentale, composto da almeno una manciata di perle gotiche come l’opener Crossing The Final Gate, seguita dalla malinconica Sailing Far Away, l’epica Rome e Flame On Flame, sempre in bilico tra la raffinatezza del gothic/dark e l’irruenza del metal estremo.
Album imperdibile per gli amanti dei suoni oscuri e sinfonici, Welcome To The New World conferma il valore assoluto di questa misteriosa band nonché della scena gotica tricolore.

Tracklist
1. Crossing the Final Gate
2. Sailing Far Away
3. Welcome to the New World
4. Rome
5. I’m the Loneliness
6. Persephone’s Dance
7. Flame on Flame
8. A Way to the Stars

Line-up
Nicoletta Rosellini – Vocals

WALK IN DARKNESS – Facebook

Torture Squad – Far Beyond Existence

Metal estremo crudele, cattivo e senza compromessi, partendo dall’opener Don’t Cross My path e lasciando che aggressività, ripartenze e rallentamenti si incastrino in un sound che non concede tregua:questo è Far Beyond Existence, ultimo lavoro dei Torture Squad.

Nuovo lavoro per gli storici brasiliani Torture Squad, quartetto di San paolo attivo dalla prima metà degli anni novanta e protagonista di una discografia che raccoglie, oltre ad una manciata di lavori minori, otto full length dei quali l’ultimo è questo Far Beyond Existence.

L’album è composto da dieci massacri sonori a base di death/thrash vecchia scuola, ma valorizzato da una buona produzione, dove la voce di May “Undead” Puertas lascia esterrefatti per impatto e cattiveria, la sezione ritmica è un treno in corsa (Amilcar Christófaro alla batteria e Castor al basso) e le chitarra di Renê Simionato sputa sangue metallico old school.
Va da sé che la cantante sia il fulcro, non solo d’immagine, del gruppo sudamericano: la ragazza di un orco che cerca vendetta con la rabbiosa grinta di un branco di tigri, questa è in pratica la prova della bella vocalist dei Torture Squad, sostenuta dai tre colleghi, mentre in un attimo passa la furiosa tempesta abbattutasi su di noi e portata dai venti maligni delle notevoli No Fate e Blood Sacrifice.
Kreator, Slayer e primi Sepultura si ritrtovano tra le note dell’album, ma parlare di influenze per una band nata ormai quasi venticinque anni fa è oltremodo riduttivo, quindi Far Beyond Existence va fatto proprio senza indugi, perché la squadra di tortura è tornata al lavoro e vi farà soffrire.

Tracklist
1. Don’t Cross My Path
2. No Fate
3. Blood Sacrifice
4. Steady Hands
5. Hate
6. Hero for the Ages
7. Far Beyond Existence
8. Cursed by Disease
9. You Must Proclaim
10. Just Got Paid
11. Torture in Progress
12. Unknown Abyss

Line-up
Castor – Bass, Backing Vocals
Amílcar Christófaro – Drums
Renê Simionato – Guitars
Mayara “Undead” Puertas – Vocals

TORTURE SQUAD – Facebook

Steve Remnant “Metal Remnants” – Night Of The Wolves

Veloci cavalcate, solos graffianti ed heavy, ritmiche telluriche e sfumature progressive sono le parti più importanti di questo nuovo progetto presentato dalla Volcano Records, non ci resta quindi che aspettare di sapere qualcosa di più, magari con l’arrivo di un primo lavoro sulla lunga distanza.

Ricoperto da un velo di oscuro mistero, esce per l’attivissima label campana Volcano Records il progetto del mastermind Steve Remnant, Metal Remnants, dal titolo Night Of The Wolves, ep composto da quattro brani di heavy metal melodico dalle reminiscenze old school e dagli ottimi inserti power/prog, che formano un sound classico ma allo stesso tempo al passo coi tempi.

Il progetto viene presentato come il tentativo da parte del misterioso musicista di riassumere l’essenza di un genere musicale controcorrente e profondamente antimassificato nel “suburbano”, nel “dimesso”, nel cacofonico “non farsi notare”, rispetto alla moda dell’esser sempre presenti e partecipi, protagonisti della cosiddetta civiltà moderna.
Fates Warning e primi Queensryche le band che più si sono fatte spazio nella mente del sottoscritto all’ascolto dei due singoli, (la splendida Night Of The Wolves e la graffiante The Abandon), con l’uso nel refrain del cantato in falsetto nella seconda traccia, mentre l’opener risulta un crescendo epico melodico, dalle tinte oscure e dalla raffinata eleganza progressiva.
I due brani restanti (Randome e Lydia), spostano il tiro verso un heavy/power più diretto e d’impatto aggiungendo quali fonti di ispirazione ai due già importanti nomi fatti in precedenza Iron Maiden e Judas Priest.
Veloci cavalcate, solos graffianti ed heavy, ritmiche telluriche e sfumature progressive sono le parti più importanti di questo nuovo progetto presentato dalla Volcano Records, non ci resta quindi che aspettare di sapere qualcosa di più, magari con l’arrivo di un primo lavoro sulla lunga distanza.

Tracklist
1. Night of the wolves
2. The Abandon
3. Randome
4. Lydia

Line-up
Steve Remnant

VOLCANO PRMOTION – Facebook

Exalter – Persecution Automated

Con dieci brani più intro per trentacinque minuti su e giù per la Bay Area, gli Exalter confermano la loro totale devozione per il thrash statunitense e ci costringono alla difensiva con il loro esplosivo sound old school.

Fa piacere notare come i gruppi provenienti dall’Asia e di cui ci siamo occupati in passato tornino puntualmente con nuovi lavori, segno di una convinzione nei propri mezzi ed una grande passione che permette a quest ottimi musicisti di portare avanti la loro missione musicale in terre sicuramente non facili per la musica rock e metal.

Degli Exalter, per esempio, ci eravamo occupati un paio di anni fa in occasione dell’uscita del secondo ep (Obituary For The Living), all’epoca la band risultava un duo, con Tanim (voce e chitarra) e Afif (batteria) ora raggiunti in pianta stabile dal bassista Jamil.
Sotto l’ala della Transcending Obscurity il gruppo aveva licenziato due ep, il primo Democrasodomy nel 2015 e di seguito Obituary For The Living, ora raggiunti dal debutto sulla lunga distanza, questa notevole mazzata intitolata Persecution Automated.
Con dieci brani più intro per trentacinque minuti su e giù per la Bay Area, gli Exalter confermano la loro totale devozione per il thrash statunitense e ci costringono alla difensiva con il loro esplosivo sound old school.
L’album parte dalla terza traccia, Reign Of The Mafia State, il pulsante rosso dell’ottovolante metallico si inceppa e l’album non scende più da una velocità ritmica importante su cui vengono rovesciati valanghe di riff e solos di scuola Exodus, Death Angel.
Prodotto discretamente, Persecution Automated non farà sicuramente gridare al miracolo i predatori dell’arca dell’originalità, ma la straordinaria The Dreaded End, Incarceration e Pathology Of Domination vi attaccheranno e vi distruggeranno sotto una pioggia di pugni, fino a quando il vostro corpo sarà solo una massa di poltiglia sanguinante.

Tracklist
1.Intro
2.Holocaust Ahead
3.Reign of the Mafia State
4.World Under Curfew
5.The Dreaded End
6.Slaughter Cleanse Repeat
7.Incarceration
8.Grip of Fear
9.Pathology of Domination
10.Clandestine Drone Warfare

Line-up
Tanim – Guitars, Vocals
Afif – Drums, Vocals
Jamil Khan – Bass

EXALTER – Facebook

Embryo – A Step Beyond Divinity

A Step Beyond Divinity è un’opera dal taglio internazionale che incolla l’ascoltatore alle cuffie, un dirompente fiume metallico che straripa tra debordanti e possenti passaggi estremi, orchestrazioni epiche ed apocalittiche e chitarre che sanguinano melodie.

Il nuovo lavoro dei deathsters nostrani Embryo è il classico album con il quale supportare la scena metal tricolore (non solo quella estrema, ovviamente) diventa non solo un dovere ma un grande piacere.

Al quarto album la band di Cremona estrae dal cilindro l’opera perfetta, quella che prendendo il meglio dal precedente omonimo lavoro, lo porta ad un livello ancora più alto regalando cinquanta minuti di death metal moderno, in un susseguirsi di emozionanti saliscendi tra tradizione melodica e moderno death metal dal piglio apocalittico.
Le orchestrazioni questa volta raggiungono vette altissime, la parte americana del sound del gruppo è ancora più potente, un macigno estremo che dai Fear Factory prende l’atmosfera epica da fine del mondo, mentre la cascata di solos guardano sempre verso nord e al melodic death metal.
Il concept si ispira alla figura di un genio come Leonardo Da Vinci, quindi anche in questo caso la band cerca una via intellettuale ai testi per valorizzare un songwriting sopra le righe.
Il bellissimo artwork è stato lasciato nelle mani dell’artista e musicista Spiros Antoniou alias Seth Siro Anton (Septic Flesh) mentre masterizzazione, registrazione e mix sono stati eseguiti da Simone Mularoni ai Domination Studio, con la band ad affiancarsi al noto produttore e musicista italiano (DGM) in fase di produzione.
Tutto questo rende A Step Beyond Divinity un’opera dal taglio internazionale che incolla l’ascoltatore alle cuffie, un dirompente fiume metallico che straripa tra debordanti e possenti passaggi estremi, orchestrazioni epiche ed apocalittiche e chitarre che sanguinano melodie.
Vanguard For The Blind, The Greatest Plan e la devastante Leonardo spiccano sulle altre tracce, ma vi consiglio di fermarvi per un’oretta scarsa e lasciare che gli Embryo vi raccontino del Da Vinci a modo loro.

Tracklist
1. The Same Difference
2. Overwhelming your Disgust
3. Vanguard for the Blind
4. Painting Death
5. Looking for the Divine
6. Solitaria 1519
7. Leonardo
8. The Greatest Plan
9. Bastard of the Brood
10. Mouth of Shame
11. Witness of your Life
12. The Horror Carved

Line-up
Roberto Pasolini – Vocals
Eugenio Sambasile – Guitars
Simone Solla – Keyboards
Danilo Arisi – Bass
Enea Passarella – Drums

EMBRYO – Facebook

Chronic Xorn – For These Sins Who Must Die

Secondo devastante full length per gli indiani Chronic Xorn, realtà estrema proveniente da Kolkata alle prese con un death metal moderno e dai rimandi core.

Secondo devastante full length per gli indiani Chronic Xorn, realtà estrema proveniente da Kolkata alle prese con un death metal moderno e dai rimandi core.

Attivo da dieci anni, il gruppo ha partorito un ep ed il primo album, From Mercy, licenziato ormai cinque anni fa.
Non molto prolifica quindi la band indiana che arriva al decennale della sua fondazione con un full length che, in realtà, si può considerare un ep vista la durata che non supera i venticinque minuti.
Meglio corto ma buono, direte voi, e al netto dell’ascolto For These Sins Who Must Die risulta un lavoro valido; il sound del quintetto si presenta come un devastante deathcore, tecnicamente ben suonato, dalle melodie chitarristiche sugli scudi e l’uso dello scream che non lascia spazio a clean vocals come di moda nel genere ultimamente.
I Chronic Xorn alzano un muro estremo invalicabile, le ritmiche lasciano spazio alla tecnica in cambio di una marzialità saggiamente poco usata, e l’ascolto se ne giova, le varie For These Sins Who Must Die, Necropoli III e Vox Populi esplodono dagli altoparlanti come atomiche dall’impatto distruttivo e devastante.
Qualche accenno melodico nei solos dal taglio classico e tanto metal estremo di buona fattura per questo combo asiatico, peccato solo per la durata, perché con almeno altri dieci minuti di musica la band avrebbe meritato sicuramente un mezzo voto in più.

Tracklist
1.Intro – Doctrine of Hate
2.For These Sins Who Must Die
3.Necropolis III
4.Justice by the Act of Violence
5.Vox populi
6.The Last Stand

Line-up
Saptadip “Sunny” Chakraborty – Vocals
Angshuman Majumdar – Bass
Suvam Moitra – Guitars, Vocals
Biswarup Bardhan – Guitars
Dipayan Chakraborty – Drums

CHRONIC XORN – Facebook

Funeral Nation – Molded From Sin

Molded From Sin soddisferà gli amanti del genere, in attesa che dopo il ritorno i Funeral Nation decidano di dare un seguito allo storico debutto.

La Vic Records licenzia questa compilation di un gruppo storico dell’underground estremo statunitense, i Funeral Nation da Chicago.

Il trio di thrashers iniziò a diffondere il verbo di Satana fin dal lontano 1989 a colpi di death/thrash metal vecchia scuola, e questa esaustiva raccolta tocca le varie fasi del gruppo in quasi trent’anni dalla fondazione.
In verità la band ha avuto dal 1995 al 2012 un lungo periodo di stop e solo in questi ultimi anni ha dato un seguito al primo full length (After The Battle) e al paio di lavori minori che caratterizzarono i primi passi del bassista e cantante Mike Pahl e compagni.
Molded From Sin è la quarta compilation in pochi anni, ma i Funeral Nation risultano attivi e l’ep omonimo uscito quest’anno fa ben sperare un secondo album che gli appassionati del genere aspettano ormai da molti anni.
La proposta è assolutamente underground, il thrash metal satanista e dalle ovvie tematiche anticristiane del gruppo sposa la storia del genere, quindi si parte in quarta e veloci, rabbiosi e sadici e si corre tra le buie strade dell’inferno con un occhio allo speed/thrash europeo del decennio ottantiano (Venom e Slayer su tutti) con qualche sfumatura vicino al death.
La raccolta alterna brani diretti e senza soluzione di continuità ad altri leggermente più elaborati (Encased In Glass) e dal taglio classicamente heavy metal, ma in gran parte dell’album si continua a correre con una mano sull’acceleratore e l’altra che impugna una croce rovesciata.
Molded From Sin soddisferà gli amanti del genere, in attesa che dopo il ritorno i Funeral Nation decidano di dare un seguito allo storico debutto.

Tracklist
1.Your Time Has Come
2.State of Insanity
3.Reign of Death
4.Midnight Hour
5.Sign of Baphomet
6.Visions of Hypocrisy
7.Encased in Glass
8.Benediction of Faith
9.The Apocalypse
10.Maniac
11.Laceration
12.Before the Dawn
13.Funeral Nation

Line-up
Mike Pahl – Bass, Vocals
Chaz Baker – Guitars, Vocals
Dean Olson – Drums

FUNERAL NATION – Facebook

The Raz – The Raz

The Ratz centrano il bersaglio al primo colpo , uscendosene con un album hard blues da incorniciare.

La Rockshots  fa il botto con l’esordio di questa straordinaria band statunitense chiamata The Ratz.

I quattro rockers di Columbia centrano il bersaglio al primo colpo , uscendosene con un album hard blues da incorniciare, sanguigno, magico, pregno di quell’attitudine blues che ti avvolge tra le sue spire e come un serpente ti incanta prima di darti l’ultima stretta mortale.
Adam Shealy (batteria), David Scott Mcbee (voce), Nick “Kuma” Meehan (chitarra), Dale “Raz” Raszewski (basso), non inventano nulla, semplicemente prendono in mano gli strumenti e fanno rock come nella migliore tradizione settantiana, ineducato, cattivo, sensuale e sporcato dal blues che fa sanguinare il lettore mentre il dischetto ottico gira impazzito e Black Garden dà inizio alle danze.
Vintage, sicuramente adatta a chi di blues e di hard rock vive già da un po’, è da maneggiare con cura perché questa è la musica del diavolo, quell’insieme di note che fa spogliare fanciulle, svuotare bottiglie di whiskey, lasciare tutto e partire per il mondo accompagnati dalla splendida Different Colored Leaves, o dal riff colmodi groove di Since I Lost You.
Il blues scorre nel corpo di  David Scott Mcbeeed ed esce dalle corde vocal trasformato in urlo animalesco, un ruggito che diventa una tragica e sentita interpretazione nel blues che richiama il miglior Bonamassa di 13 Years, mentre riff zeppeliniani nascono dalla sei corde di Nick “Kuma” Meehan ed il groove si impossessa della sezione ritmica.
My Woman vi tiene per il colletto fino a che Mystery non travolga con una cascata di riff da fare invidia a Led Zeppelin, Bad Company e ai più giovani Black Country Communion.
Il blues in crescendo di What’s Real conclude un album perfetto, nel genere un’autentica sorpresa, suonato e prodotto benissimo, ma cosa molto più importante caratterizzato da una serie di canzoni di livello superiore.

Tracklist
1.Black Garden
2.No One to Blame
3.Different Colored Leaves
4.Since I Lost You
5.13 Years
6.My Woman
7.Mystery
8.No Surprise
9.What’s Real

Line-up
Raz – Bass & Vocals
Nick Meehan – Guitar & Vocals
Adam Shealy – Drums & Vocals
David Scott McBee – Lead Vocals

THE RAZ – Facebook

Black Space Riders – Amoretum Vol.1

Tornano i rockers psichedelici Black Space Riders con il quinto album della loro carriera, la prima parte di un concept che vede la seconda già pronta ed in uscita entro l’anno.

Tornano i rockers psichedelici Black Space Riders con il quinto album della loro carriera, prima parte di un concept che vede la seconda già pronta ed in uscita entro l’anno.

Amorentum Vol.1 tratta il tema dell’amore come cura per l’odio che imperversa nel mondo, ed esso è descritto tramite una musica rock che amalgama psichedelia vintage, rock moderno e trame heavy sotto la bandiera della New Wave of Heavy Psychedelic Spacerock, termine forgiato dal gruppo tedesco.
In definitiva questa prima parte ed i suoi capitoli continuano la tradizione musicale del gruppo che abbandona le digressioni elettroniche sperimentate sull’ultimo lavoro (l’Ep Beyond Refugeeum che seguiva di un anno il full lenght Refugeeum uscito nel 2015), per un approccio più vintage e rock.
Atmosferico e dalle forti sfumature space rock, l’album ha momenti molto intensi come in Movements, capolavoro e cuore dell’album, alternati a brani più lineari e meno forti sia come interpretazione che come sviluppo (Another Sort Of Homecoming, Friends Are Falling) piccole cadute che non inficiano il giudizio positivo sull’intero album.
Meno heavy di quello che ci si possa aspettare e molto più incentrato su chiaroscuri tra il post rock sviluppatosi negli ultimi anni ed i suoni old school, Amoretum Vol.1 si può considerare un lavoro riuscito in parte e che ci presenta un gruppo dedito a trasformare i suoni psych rock di Beatles, Pink Floyd e David Bowie, in un sound al passo coi tempi, attraversato da spunti moderni che traspongono il tutto in un epoca in cui la battaglia tra odio ed estremismi assortiti da una parte ed amore e accoglienza dall’altra,  fanno parte del vivere quotidiano di ognuno di noi.

Tracklist
1. Lovely lovelie
2. Another sort of homecoming
3. Soul shelter (Inside of me)
4. Movements
5. Come and follow
6. Friends are falling
7. Fire! Fire! (death of a giant)
8. Fellow peacemakers

Line-up
JE – Vocals, Guitars
SLI – Guitars
SAQ – Bass
CRIP – Drums
SEB – Vocals

BLACK SPACE RIDERS – Facebook

Kantica – Reborn In Aesthetics

Una produzione da top band, una cantante che incanta ed ammalia e cinque musicisti che formano una squadra compatta ed assolutamente vincente, sono le prime avvisaglie di un’opera ottima in ogni dettaglio, creata per far innamorare gli (ancora tanti) estimatori del power metal sinfonico.

Questa volta a regalarci cinquanta minuti di metal sinfonico, tra power e gothic in un deliro orchestrale e maestoso, sono i savonesi Kantica, band ligure al debutto su Revalve con Reborn In Aeshtetics.

Mettetevi il cuore in pace cari cacciatori dell’arca dell’originalità, perché qui si cavalca il genere giocando con tutti i suoi cliché, ma il bello è che i Kantica il gioco lo conducono con maestria lasciando l’impressione di essere al cospetto di un gruppo con molta più esperienza di quella che suggerisce l’anagrafe.
Sonorità piene e cinematografiche si specchiano sul golfo ligure prima che lo scirocco si alzi e la mareggiata porti con sé cavalcate power metal dalle ritmiche potentissime, alternandosi con pacate atmosfere gothic ed impreziosite da orchestrazioni dal piglio moderno, come negli ultimi lavori di quella che il sottoscritto considera la band regina del genere, gli Epica.
Una produzione da top band, una cantante che incanta ed ammalia e cinque musicisti che formano una squadra compatta ed assolutamente vincente, sono le prime avvisaglie di un’opera ottima in ogni dettaglio, creata per far innamorare gli (ancora tanti) estimatori del power metal sinfonico.
Dopo l’intro i primi botti portano il titolo di Fascination Of The Elements, un brano in crescendo che prepara l’ascoltatore alla maestosa atmosfera che regna nel resto dell’album con brani carichi di nobile e sinfonico metallo come And There Then Was Pain, che tanto sa di primi Temperance.
Tutto gira a meraviglia in Reborn In Aeshtetics, decine di cambi di tempo spezzano il respiro, come affrontare un mare in tempesta sulla prua di un vascello, mentre Hellborn Lust, Lovecide e Psychological Vampire confermano il mood epico sinfonico dell’album.
Un debutto per certi versi sorprendente, che conferma la sempre crescente qualità della scena tricolore in un genere dove si è ormai detto tutto e nel quale la differenza la si può fare solo in termini di songwriting e di un talento che iKantica hanno da vendere.

Tracklist
01.(Re)Born Unto Aestheticism
02.Fascination of the Elements
03.And Then There Was Pain
04.Hellborn Lust
05.Albatross
06.R.E.M. State
07.From Decay to Ascension
08.Illegitimate Son
09.Psychological Vampire

Line-up
Chiara Manese – Vocals
Matteo ‘Vevo’ Venzano – Rythm guitar
Andy ‘K’ Cappellari – Lead guitar
Fulvio DeCastelli – Bass guitar
Enrico Borro – Keyboards
Tiziana ‘Titti’ Cotella – Drums

KANTICA – Facebook

Deeper Down – The Last Dream Arms

Tra le trame di The Last Dream Arms si torna a respirare l’eleganza tragica e poetica del gothic/doom, con brani che si colorano di un arcobaleno dalle tinte scure che dal nero portano al grigio, creando una spessa coltre di nebbia che nasconde romantici giochi di luci ed ombre.

E’ un piacere notare come, dopo anni di predominio della parte più sinfonica e power del gothic metal, ultimamente si tornino a percorrere le strade tracciate dai gruppi storici che, nei primi anni novanta, presero a spallate il mercato con una serie di oscuri e melanconici lavori che univano atmosfere dark/gothic con la pesantezza del doom/death metal.

Dal Regno Unito ai Paesi Bassi, con qualche passaggio ancora più a nord, ma ancora lontani dal boom dei gruppi scandinavi trainati dal successo dei Nightwish, la scena di allora ha influenzato una moltitudine di band in ogni parte del mondo, tornando in questo periodo con nuove realtà e lavori bellissimi come The Last Dream Arms, debutto dei nostrani Deeper Down (monicker che ricorda l’ep dei My Dying Bride uscito nel 2006).
Il quartetto proveniente da Campobasso arriva a pubblicare il suo primo lavoro dopo qualche anno dalla nascita, alcuni assestamenti nella line up e la firma per Hellbones Records, che licenzia questo intenso tributo alla sposa morente: non c’è niente di male se il gruppo molisano guarda alla band britannica come sua primaria fonte di ispirazione, aggiungendovi l’eterea voce di Elisa e proponendoci sei brani di malinconico gothic metal, mantenendo la presenza della voce maschile, del piano ed del violino che rimembrano le trame dark di Stainthorpe e soci così come, in parte, dei primi Katatonia.
Tra le note di The Last Dream Arms si torna a respirare l’eleganza tragica e poetica del gothic/doom, con brani che si colorano di un arcobaleno dalle tinte scure che dal nero portano al grigio, creando una spessa coltre di nebbia che nasconde romantici giochi di luci ed ombre, mentre The Night Descends ci accompagna sulle vie disseminate atmosfere  soffuse, oppure tormentate dalla potenza sofferta del doom metal in The Time Road e nella title track.
The Persistence Of Memory, strumentale che avvolge l’ascoltatore nelle ombre di Anathema e Katatonia, chiude questo ottimo lavoro consigliato ai fans dei gruppi citati e agli amanti del gothic meno sinfonico e molto più raffinato e sofferto.

Tracklist
1.The Night Descends
2.The Time Road
3.The Last Dream Arms
4.Silence Kills
5.The Game of Shadows
6.The Persistence of Memory

Line-up
Giuseppe – Vocals, electric and acoustic guitar, piano, synt, drums, all music and lyrics
Luca – Rhythm & clean guitar
Alessandro – Violin
Elisa – Vocals
Roberto – Bass

DEEPER DOWN – Facebook