Degial – Predator Reign

Un sound infernale creato per destabilizzare e rubare anime da portare all’oscuro signore in un’atmosfera di indicibile caos.

Se verrete risucchiati nel vorticoso maelstrom creato dai Degial, difficilmente riuscirete a tornare indietro restando imprigionati in un oscuro e personale inferno.

I Degial sono un quartetto svedese attivo da ormai più di dieci anni, hanno dato alle stampe un ep e due full length (Death’s Striking Wings uscito nel 2012 e Svage Mutiny licenziato un paio di anni fa), e tornano con il terzo album sotto Sepulchral Voice Records, questo massacro sonoro dal titolo Predator Reign, fatto di corse lungo i binari del black metal e cavalcate sul destriero death, in un’atmosfera apocalittica e rigorosamente old school.
Riff che creano vortici di male in musica, ritmiche devastanti, scream/growl da orco ferito e dunque (come un animale) ancora più rabbioso e crudele, vanno a comporre un sound infernale creato per destabilizzare e rubare anime da portare all’oscuro signore.
La title track, posta in apertura, e la successiva Thousand Spears Impale, vi danno il benvenuto nel regno della violenza e del caos primordiale, dove non ci sono rallentamenti o aperture a qualsivoglia melodia, solo terrore e rabbia, un massacro che continua imperterrito con Devil Spawn Hellstorm, cuore nero dell’album che pulsa al ritmo inumano di un sound bestiale e senza compromessi.
Clangor Of Subjugation mette la parola fine al massacro con sei minuti di black death epico ed oscuro che trascina a forza verso il fondo dell’inesorabile gorgo.

Tracklist
1.Predator Reign
2.Thousand Spears Impale
3.The Savage Covenant
4.Crown Of Fire
5.Devil Spawn
6.Hellstorm
7.Heretical Repugnance
8.Annihilation Banner
9.Triumphant Extinction
10.Clangor Of Subjugation

Line-up
H. Death – Vocals/Guitar
R. Meresin – Guitar
E. Forcas – Drums
P.J. Vorum – Bass

DEGIAL – Facebook

The Sleeplings – Elusive Lights of the Long-forgotten

Con una sorpresa dopo l’altra, Elusive Lights of the Long-forgotten ci mostra una band che a spallate butta giù barriere e fortini in cui si barricano i generi musicali per fornirci una panoramica musicale il più ampia possibile.

Non è così semplice descrivere la musica creata da questo trio danese chiamato The Sleeplings, attivo da una decina d’anni e con un primo album targato 2008.

La band di Århus torna tramite la Marrowphone Recordings con Elusive Lights of the Long-forgotten, album di rock alternativo che tra il suo spartito accoglie e coccola molte sfumature ed ispirazioni da generi diversi, creando un sound originale, magari leggermente dispersivo ma oltremodo affascinate.
Con una sorpresa dopo l’altra, Elusive Lights of the Long-forgotten ci mostra una band che a spallate butta giù barriere e fortini in cui si barricano i generi musicali per fornirci una panoramica musicale il più ampia possibile.
Rock, alternative, progressive, indie e pop, con tutte le loro aperture e varianti, fanno da infinita cornice a questa raccolta di brani creata da Steen Lauridsen (batteria), Peter Just Rasmussen (piano, basso e tastiere) e Jesper Kragh (chitarra, basso voce) aiutati da una manciata di ospiti e tanto anticonformismo musicale che li porta a viaggiare tra la musica degli ultimi cinquant’anni.
L’opener Dead Horse, scelta come singolo, è probabilmente la più lineare tra le tracce proposte, essendo una canzone progressivamente alternative che ci da il benvenuto nel mondo del gruppo danese.
Apothecary, Mary The Quiet, la splendida Broken Light Spectre e via tutte le altre saltano tra un genere e l’altro e con abilità ci deliziano, con citazioni che vanno dai Beatles agli Smashing Pumpkins, dai Gentle Giant e Pink Floyd agli Waterboys, in un quadro ad acquarello dove le note sono come i colori usati da un pittore un po’ pazzo ma assolutamente geniale.
E i The Sleeplings di genialità ne hanno da vendere e come per i veri geni la loro opera va assimilata e compresa.

Tracklist
1. Dead Horse
2. Apothecary
3. Faye Valley Skeleton
4. Mary the Quiet
5. Fog Walkers
6. Broken Light Spectre
7. James
8. Long-forgotten

Line-up
Steen Lauridsen – drums
Peter Just Rasmussen – pianos, keys, double bass
Jesper Kragh – guitars, basses, vocals

THE SLEEPLINGS – Facebook

Darrel Treece-Birch – Healing Touch

Tradizione e soluzioni moderne conferiscono al sound una buona alternativa alle note liquide di molti passaggi, rendendo l’ascolto rilassato ma non troppo, con le strade si alternano tra lunghi rettilinei ed impervie salite sullo spartito che Treece-Birch ha riempito di note a tratti sfuggenti.

Dopo le fatiche sull’ultimo splendido album dei Ten (Gothica), il tastierista e polistrumentista Darrel Treece-Birch torna con un nuovo album solista dal titolo Healing Touch.

Il successore dell’ottimo One More Time, uscito lo scorso anno, è un’opera interamente strumentale, con il musicista britannico che questa volta fa tutto da solo.
Improntato chiaramente su suoni tastieristici, Healing Touch è un album dall’impatto atmosferico molto accentuato, con l’anima dei Pink Floyd che aleggia sulle composizioni con ancora più forza rispetto alle passate release.
Treece-Birch passa dunque agevolmente dall’hard rock dei Ten alle sue opere che sono assolutamente da annoverare nel progressive rock, quadri dai tenui colori autunnali come questo nuovo lavoro licenziato proprio nella stagione che prepara l’anima e la natura alle ristrettezze invernali.
L’album parte con la lunga opener God’s Prescription, una sorta di preparazione atmosferica al viaggio che l’ascoltatore intraprende insieme al musicista e che porta inevitabilmente ad una sorta di sound contemplativo dalle sfumature rock.
Tradizione e soluzioni moderne conferiscono al sound una buona alternativa alle note liquide di molti passaggi, rendendo l’ascolto rilassato ma non troppo, con le strade si alternano tra lunghi rettilinei ed impervie salite sullo spartito che Darrel ha riempito di note a tratti sfuggenti.
Cast It Out, le pulsazioni elettroniche di Re-Boot e tutta la seconda parte dell’album che si posiziona sul “lato oscuro della Luna”, fanno ormai parte del sound in cui il musicista britannico si trova più a suo agio con una menzione particolare per le suggestive sfumature dai rimandi sci-fi di The Release.
Healing Touch è un lavoro per chi ama il rock progressivo strumentale, i Pink Floyd e quel rock atmosferico figlio di tempi nei quali un’opera del genere trovava tutto il tempo per essere assimilata.

Tracklist
1.God’s Prescription
2.From The Mouth
3.Cast it Out
4.Re-Boot
5.The Fruits Of The Spirit
6.The Stand
7.The Release
8.The Expanse
9.No Fear Here
10.God’s Medicine

Line-up
Darrel Treece-Birch – All Instruments

DARREL TREECE-BIRCH – Facebook

Persecutory – Towards The Ultimate Extinction

Towards The Ultimate Extinction è un lavoro che definire estremo è un eufemismo: gli amanti del true black metal probabilmente sono i più indicati all’ascolto ma, pane per i loro denti, lo troveranno pure i fans del thrash metal old school.

Una tempesta musicale senza compromessi, black metal feroce che si allea con il thrash ed il death per tormentarvi fino a che le vostre già deboli resistenze crolleranno sotto i colpi dei quattro demoni turchi chiamati Persecutory.

Towards The Ultimate Extinction è un attacco delle forze del male contro il mondo, le urla delle anime dannate trasformate in guerrieri oscuri arrivano direttamente dall’inferno, mentre accelerazioni pazzesche, mid tempo distruttivi ed impatto devastante sono solo alcune delle armi usate dalla band proveniente da Istanbul.
I Persecutory non conoscono pietà, ma solo la crudele e sadica rabbia con cui travolgono già dall’opener Pillars Of Dismay, seguita dagli undici minuti in pieno inferno descritti dalla title track un brano lunghissimo che passa da litanie black/doom a ripartenze true black metal e devastanti e potentissime iniezioni thrash old school.
Quattro loschi demoni al servizio del metal estremo, un’efferata prova di forza che non lascia scampo e non fa prigionieri con Awakening The Depraved Era e la conclusiva Maelstroms Of Antireligious Chaos che, come un vento oscuro ed atomico, spazza via gli ultimi sopravvissuti, anime che vengono spazzate via dalla forza dei Persecutory.
Towards The Ultimate Extinction è un lavoro che definire estremo è eufemismo: gli amanti del true black metal probabilmente sono i più indicati all’ascolto ma, pane per i loro denti, lo troveranno pure i fans del thrash metal old school.

Tracklist
1.Pillars Of Dismay
2.Towards The Ultimate Extinction
3.Till Relentless Salvation Comes
4.Along The Infernal Hallways
5.Awakening The Depraved Era
6.Hegemony Of The Ruinous Impurity
7.Maelstroms Of Antireligious Chaos

Line-up
Tyrannic Profanator – Vocals
Infectious Torment – Guitars, Bass
Vulgargoat – Guitars, Vocals
A.D.B – Drums

PERSECUTORY – Facebook

Professor Emeritus – Take Me To The Gallows

Take Me To The Gallows è un buon lavoro incentrato su un heavy/doom classico tra Dio, Black Sabbath e Candlemass, un album dallo spirito underground ma sicuramente da non perdere per gli amanti del genere.

Sicuramente avari di informazioni ma non di buona musica, i Professor Emeritus sono una band di Chicago che, tramite la No Remorse Records, licenzia questo esempio riuscito di heavy metal classico dalle forte tinte epic doom, sulla falsariga di superstar del genere come Dio e Candlemass.

Ed in effetti queste sono le maggiori influenze del gruppo statunitense, ovviamente con i sempre presenti Black Sabbath nella versione con al microfono il grande e compianto Ronnie James, al quale il bravissimo singer MP Papai fa riferimento.
Così tra brani più classicamente heavy come l’opener Burning Grave o Chaos Bearer, ed altri rallentati e nobilitati da un’epicità tradizionalmente doom metal come le bellissime He Will Be Undone e la conclusiva Decius, davvero ispirata, Take Me To The Gallows risulta un ottimo prodotto per gli amanti del doom classico degli anni ottanta, arricchito dal tocco epico del Dio d’annata, il cui spirito rivive grazie ad un vocalist che con bravura ne segue il percorso artistico.
L’album, che arriva dall’underground e da esso trova vigore, è assolutamente consigliato a chi non si ferma ai soliti storici nomi.

Tracklist
1. Burning Grave
2. He Will Be Undone
3. Chaos Bearer
4. Take Me to the Gallows
5. Rats in the Walls
6. Rosamund
7. Decius

Line-up
MP Papai – Vocals
Lee Smith – Guitar, Bass
Tyler Herring – Guitar
Rüsty Glöckle – Drums

PROFESSOR EMERITUS – Facebook

Lost Moon – Through The Gates Of Light

La band sforna un lavoro intenso ed originale, perché le influenze ben presenti vengono rimodellate dal trio creando una gettata hard rock/stoner a tratti pesantissima.

A dispetto dei detrattori e dei metallari duri e puri che hanno visto gli anni novanta come la morte dei suoni classici in favore di approcci più moderni e cool, questo decennio rimane il più importante per lo sviluppo della musica rock insieme agli anni settanta, un periodo di rinascita che ha portato all’attenzione degli ascoltatori una manciata di scene diventate, con il tempo, ispirazioni primarie per i gruppi del nuovo millennio.

Dall’hard rock al metal estremo, passando per il grunge, lo stoner ed il metal moderno, l’ultimo decennio del ‘900 per chi ha avuto la fortuna di viverlo musicalmente rimarrà il fulcro di quello che, in seguito, si è sviluppato.
I Lost Moon sono nati verso il finire di quel periodo e da lì hanno sviluppato il loro sound per mezzo di tre album (Lost Moon del 2001, King Of Dogs del 2007 e Tales Form The Sun licenziato tre anni fa) e ora tornano con questo nuovo lavoro, Through The Gates Of Light ottimo esempio di hard stoner rock che da quel prende lo spirito e qualche ispirazione e, grazie ad un songwriting vario, ci regalano trentacinque minuti di musica di grande livello.
I due fratelli Paolucci (Stefano – chitarra e voce – e Pierluigi – batteria),  con il fido Adolfo Calandro (basso), prendono in ostaggio lo stoner rock e lo lasciano tra le mani dell’hard rock settantiano, la psichedelia ed il southern rock e, con la guida dell’alternative metal, lo torturano fino trasformarlo in un’entità anomala ed impossibile da descrivere in senso assoluto.
La band sforna un lavoro intenso ed originale, perché le influenze ben presenti vengono rimodellate dal trio creando una gettata hard rock/stoner a tratti pesantissima.
Si passa così dalle digressioni tooliane della strumentale Through The Gates Of Light, ai Black Label Society e Kyuss della successiva Dawn, dalle sferzate metalliche di Prayer a Pilgrimage, brano che rispecchia il credo musicale dei Lost Moon esibendo una panoramica esaustiva su tutte le sfumature della loro musica.
Sempre Black Label Society ed Alice In Chains li ritroviamo in I Got A Drink e in Light Inside, mentre un sitar beatlesiano apre la conclusiva Visions, canzone che ricorda le armonie acustiche degli Zeppelin.
Album davvero bello, Through The Gates Of Light è l’imperdibile ultimo sussulto dell’anno per quanto riguarda il genere.

Tracklist
1.Through the Gates of Light
2.Dawn
3.Prayer
4.Pilgrimage
5.I Got Drunk Again
6.Light Inside
7.The Day we Broke the Spell
8.Visions

Line-up
Stefano Paolucci – Guitars .Vocals
Pierluigi Paolucci – Drums
Adolfo Calandro – Bass

LODT MOON – Facebook

Modern Day Outlaw – Day Of Reckoning

Sorprende che un gruppo del genere non sia ancora stato catturato da una label, ma poco importa, questi sono dei veri adepti del southern metal, quindi assolutamente da supportare.

Il southern metal è quella esplosiva che sta facendo, a discapito dei detrattori, la storia del rock in questo inizio di millennio.

Insomma, chiamatelo come volete, ma il sound di questi fenomenali Modern Day Outlaw è quanto di più perfetto il fan dell’ hard rock moderno possa chiedere alla sua band preferita: Southern State Of Mind è il loro primo full length (assolutamente da recuperare) uscito cinque anni fa, a cui fa seguito questo ep che, spero faccia da apripista ad un eventuale lavoro su lunga distanza, visti i risultati che ne scaturiscono, ovvero quattro bombe southern metal, più la cover di The Ride del grande Mysterious Rhinestone Cowboy alias David Allan Coe, un’icona country southern blues, che gli amanti del genere conoscono bene e che collaborò con i tre quarti dei Pantera all’album Rebel Meets Rebel.
Sparatevi senza ritegno queste cinque adrenaliniche tracce e per quasi venti minuti sarete rivoltati come calzini dalla forza dirompente dei Modern Day Outlaw e delle loro Revved Up! (Alter Bridge meets Black Label Society), Good Day Too Die ( i Lynyrd Skynyrd metallici di God & Guns), Headwake e Movin’ On che portano le atmosfere nella grigia Seattle violentata dai Pantera e spettacolarizzata dal meglio di Soundgarden ed Alice In Chains.
Sorprende che un gruppo del genere non sia ancora stato catturato da una label, ma poco importa, questi sono dei veri adepti del southern metal, quindi assolutamente da supportare.

Tracklist
1.Reved Up!
2.Good Day to Die
3.Headwake
4.Movin’ On
5.The Ride

Line-up
Kirk Sarmento – Drums
Jake Nicholson – Guitars
Sergio Cesario – Guitars
Ron Brown – Vocals
Rob Palladino – Bass

MODERN DAY OUTLAW – Facebook

Defeated Sanity – Prelude To The Tragedy

I brani di Prelude To The Tragedy sono delle mazzate notevoli, a tratti valorizzate da intricate parti tecniche, per poi perdere il filo quando i musicisti tedeschi elaborano intricate e cervellotiche parti tecniche su un tappeto estremo da fine del mondo.

Ristampa in vinile curata dalla Xenokorp di Prelude To The Tragedy, devastante lavoro brutal death metal uscito nel 2004 dalle menti dei tedeschi Defeated Sanity.

Band, quella berlinese, che all’assalto brutale aggiunge una tecnica invidiabile, e l’album si inserisce di prepotenza tra le opere di genere che molti avvicinano al death metal progressivo ma che poco hanno a che spartire con il genere.
I Defeated Sanity sono attivi già dai primi anni novanta ed hanno una discografia di tutto rispetto, con cinque album pubblicati tra cui questo Prelude To The Tragedy, un buon numero di lavori minori e l’ultimo Disposal of the Dead/Dharmata uscito lo scorso anno.
L’album è il primo full length del gruppo, ben accolto dalla scena underground estrema per il suo martellamento senza soluzione di continuità, tecnicamente di alto livello anche se, come quasi sempre in queste opere, la voglia di strafare finisce per condizionare un songwriting che sarebbe già stato notevole.
Prelude To The Tragedy infatti è un massacro sonoro niente male, la band svolge il suo compito in modo feroce e brutale e i brani sono delle mazzate notevoli, a tratti valorizzate da intricate parti tecniche, per poi perdere il filo quando i musicisti tedeschi elaborano intricate e cervellotiche parti tecniche su un tappeto estremo da fine del mondo.
Origin e Cryptopsy, un briciolo di Suffocation e l’album parte e non si ferma più, tra infernali blast beat, arzigogolate trame chitarristiche e growl bestiale: in questa versione troviamo, come contenuti extra, il brano Expectoration Of Fear, Drifting Further nella versione demo del 2002 e Apocalypse Of Filth/Collapsing Human Failures, traccia tratta dallo split del 2003 con gli Imperious Malevolence.
Se siete amanti del brutal tecnico e vi siete persi l’uscita originale, questa versione in vinile potrebbe farvi gola, la tecnica c’è, la violenza pure.

Tracklist
1.Liquifying Cerebral Hemispheres
2.Drifting Further
3.The Parasite
4.Horrid Decomposition
5.Tortured Existence
6.Apocalypse Of Filth Collapsing Human Failures
7.Remnants Of The Dead
8.Prelude To The Tragedy
9.Expectoration Of Fear (bonus)
10.Drifting Further (bonus)
11.Apocalypse Of Filth/Collapsing Human Failures (bonus)

Line-up
Lille Gruber – Drums
Jacob Schmidt – Bass
Christian Kühn – Guitar
Josh Welshman – Vocals

DEFEATED SANITY – Facebook

Virgil & Steve Howe – Nexus

Nexus è un album carezzevole, dolcemente triste per gli avvenimenti che lo hanno preceduto, ma meritevole di essere apprezzato per quello che è, ovvero un bellissimo quadro musicale dai tenui colori.

Quello che doveva essere il primo frutto di unacollaborazione in famiglia, a lungo attesa, si è purtroppo trasformato in un album postumo.

Il figlio di Steve Howe (chitarrista degli storici Yes), Virgil, è mancato subito dopo la fine delle registrazioni di Nexus, album strumentale che il padre ha voluto comunque licenziare in accordo con la InsideOut; a due mesi dalla morte del polistrumentista e figlio d’arte, Nexus vede la luce e si porta con sé tutte le emozioni scaturite da questo tragico evento.
Virgil Howe, che ha lasciato questo mondo nel mese di settembre, ultimamente era impegnato come batterista nei Little Barrie: l’album, interamente strumentale, è un elegante viaggio nel mondo musicale di Virgil, anche valido tastierista e bassista nonché brillante compositore, aiutato dal genio chitarristico del padre, splendido interprete nel ruolo di una delle più grandi band che il mondo del rock abbia regalato ai suoi fedeli ascoltatori.
Nexus si anima di un arcobaleno di suoni delicati (progressive, space rock, digressioni jazz) nati con l’ausilio di piano e tastiere, protagonisti in tutto il suo svolgimento e valorizzato dagli interventi di Steve (Hight Hawk in questo senso è il picco del lavoro).
Ovviamente non mancano attimi in cui rivivono le sognanti trame progressive dello storico gruppo britannico, ma la personalità compositiva di Virgil porta il sound ad avvicinarsi maggiormente alla psichedelia , viaggiando delicata su nuvole composte da note di raffinato rock strumentale dove la bravura tecnica dei due Howe è al servizio delle emozioni.
Nexus è un album carezzevole, dolcemente triste per gli avvenimenti che lo hanno preceduto, ma meritevole di essere apprezzato per quello che è, ovvero un bellissimo quadro musicale dai tenui colori.

Tracklist
1. Nexus
2. Hidden Planet
3. Leaving Aurura
4. Nick’s Star
5. Night Hawk
6. Moon Rising
7. Passing Titan
8. Dawn Mission
9. Astral Plane
10. Infinite Space
11. Freefall

Line-up
Virgil – Keyboards, piano, synths, bass & drums
Steve – Acoustic, electric, & steel guitars

STEVE HOWE – Facebook

Morphosys – The Saw Is Family

La band convince nei mid tempo pesanti come carri armati, alzando un muro estremo invalicabile e così The Saw Is Family può così allietare le serate tutte sangue e violenza dei deathsters duri e puri.

La Witches Brew licenzia questo monolite di death metal brutale ed assolutamente old school intitolato The Saw Is Family, ultimo massacro sonoro dei serial killers tedeschi Morphosys, quartetto attivo dal 2002, con due precedenti full length già editi ed un ep.

Al limite del brutal nel sound, The Saw Is Family entra di diritto nel genere almeno per quanto riguarda attitudine e testi che vanno da deliri gore a violenza tout court.
I Morphosys sono la classica band outsider, gente che martella i padiglioni auricolari con il loro oscuro e pesantissimo metal estremo che varia leggermente tra mastodontici mid tempo ed improvvise e devastanti accelerate, creando il classico muro sonoro senza compromessi ma nulla più.
Non mi si fraintenda: The Saw Is Family risulta un sufficiente album di genere, potente, asfissiante ed oppressivo, tra Morbid Angel, Morgoth e in parte Bolt Thrower, quindi aperture melodiche non registrate, tensione a mille, un’atmosfera che non si scosta da un clima da inferno sulla Terra e buoni spunti nei solos che, in qualche circostanza, riprendono le sfumature classiche con l’azzeccata scelta di alternare mid tempo e velocità parossistiche per non annoiare troppo l’ascoltatore.
La band convince nei mid tempo pesanti come carri armati (The Walking Dead, Fleischeslust), alzando un muro estremo invalicabile e così The Saw Is Family può così allietare le serate tutte sangue e violenza dei deathsters duri e puri.

Tracklist
1. Carniwar
2. The Saw Is Family
3. Torture Chamber
4. The Walking Dead
5. Storm Of Blood
6. Memory Of The Insane
7. Fleischeslust
8. You Shall Bleed
9. Todesengel
10. Corpse Grinder

Line-up
Chris – Vocals/Chainsaw
Marko – Guitar
Jazz – Bass
Alex – Drums

MORPHOSYS – Facebook

Hellish God – The Evil Emanations

The Evil Emanations è un armageddon sonoro che si snoda senza soluzione di continuità, nel suo essere estremo ma perfettamente godibile anche grazie al corto minutaggio, all’ottima produzione che valorizza l’ascolto e ovviamente la buona vena compositiva del gruppo.

Nell’underground nazionale vive un mostro demoniaco che avvelena le menti, si contorce ammaliando come un serpente e porta con se il male che i musicisti posseduti dopo il contatto trasformano in satanico e putrido metal estremo.

Non sono poche le realtà estreme che nel genere offrono una qualità molto alta, protagoniste di opere dannate che pur rifacendosi ovviamente al passato godono di una personalità da gruppi di primo piano a livello mondiale: ottimi artisti e musicisti che, da un po’ di anni cominciano a collaborare tra di loro, sorprendendo e lasciando a noi fedeli consumatori di metallo estremo una serie di opere davvero interessanti.
Gli Hellish God, per esempio, sono la creatura diabolica nata dalle menti di due musicisti della scena nostrana come il chitarrista e bassista Michele Di Ioia (tra gli altri, componente dei Burst Bowel), il batterista Luigi Contenti, il vocalist Tya (ex-Antropofagus, Mindful of Pripyat) ed il bassista Stefano Malgaretti.
The Evil Emanations è il loro secondo lavoro, il primo sulla lunga distanza dopo Impure Spiritual Forces licenziato due anni fa, che si presenta come una mezzora di devastante death metal old school di scuola fine millennio.
Troverete di che farvi torturare dal sound proposto in questo album da un gruppo che non ne vuol sapere di melodie o soluzioni più vicine al trend odierno, ma che scarica dieci tremende bordate senza compromessi di puro male in musica.
Il growl di Tya, assistito dalle tremende urla in scream dei suoi compagni, incontra una serie di sferzate estreme, una tempesta di note dal taglio death che si abbatte sulla Terra, mentre i venti che soffiano dall’inferno portano morte e distruzione, a partire dall’intro Kelim Shattering Illumination alla marzialità della conclusiva e terrificante Marching With The Accuser.
In mezzo c’è un armageddon sonoro che si snoda senza soluzione di continuità, nel suo essere estremo ma perfettamente godibile anche grazie al corto minutaggio, all’ottima produzione che valorizza l’ascolto e ovviamente la buona vena compositiva del gruppo.

Tracklist
1. Kelim Shattering Illumination
2. Qlipoth
3. Anti-Cosmic Decree
4. The Hindering Ones
5. Tagimron Is Summoned
6. Burning the Infidel
7. Choronzonic Hellfire
8. Agitator Shall Be Triumphant!
9. I Am Belial
10. Marching with the Accuser

Line-up
Tya – Vocals
Michele Di Ioia – Guitars, Vocals
Luigi Contenti – Drums, Vocals
Stefano Malgaretti – Bass

HELLISH GOD – Facebook

Spirit Adrift – Curse Of Conception

Non mancano buoni spunti che fanno dell’album un ascolto da consigliare agli amanti del doom metal tradizionale, che verranno ipnotizzati dal piglio evocativo della voce, un classico nel genere.

Nati due anni fa come one man band del polistrumentista Nate Garret, poi raggiunto da altri tre musicisti (Jeff Owens, Chase Mason, Marcus Bryant), gli statunitensi Spirit Adrift licenziano il loro secondo lavoro sulla lunga distanza e completano una discografia che vedono la band protagonista anche di un ep ed uno split in appena due anni.

Tanta carne al fuoco non inficia una sufficiente qualità e Curse Of Conception si rivela un altro album di doom metal tradizionale ispirato in parti uguali agli anni settanta come ai sacerdoti metallici emersi nei successivi decenni.
Quindi, oltre ad un’aura a tratti epica, troverete ottimi solos heavy, ritmiche grasse e un andamento mai troppo lento, pesante ma regolato su mid tempo alla Cathedral di Carnival Bizarre.
I Black Sabbath sono assolutamente la fonte di ispirazione del sound del gruppo, così come appunto la band di Lee Dorrian e quelle americane con a capo il duo Pentagram/Trouble, questo in poche parole è quello che ci offre il polistrumentista di Phoenix.
Piuttosto derivativo, dunque, anche se non mancano buoni spunti che fanno dell’album un ascolto da consigliare agli amanti del doom metal tradizionale, che verranno ipnotizzati dal piglio evocativo della voce, un classico nel genere.
L’opener Earthbound e la title track sono le tracce rappresentative di questo album che, con il passare del tempo, perde un po’ d’interesse per una certa ripetitività, forse il difetto più grande che si porta dietro.
Un album di genere per gli amanti del genere niente di più, niente di meno.

Tracklist
1. Earthbound
2. Curse Of Conception
3. To Fly On Broken Wings
4. Starless Age (Enshrined)
5. Graveside Invocation
6. Spectral Savior
7. Wakien
8. Onward, Inward

Line-up
Nate Garrett
Jeff Owens
Chase Mason
Marcus Bryant

SPIRIT ADRIFT – Facebook

Battlesword – Banners Of Destructions

Banners Of Destruction risulta una gradita sorpresa, tenendo incollati alle cuffie gli ascoltatori dalla prima all’ultima nota senza stancare, meritando la giusta attenzione di chi ama queste sonorità.

Arrivano con po’ di ritardo all’attenzione di MetalEyes i guerrieri tedeschi Battlesword, band di stanza a Viersen attiva da quasi vent’anni ma poco prolifica.

Questo ottimo lavoro risale appunto a qualche tempo fa, ma merita sicuramente l’attenzione delle epiche truppe di nuovi defenders pronti alla battaglia  a colpi di power/death metal epico e guerresco, un riuscito mix tra il death metal melodico degli Amon Amarth e il power/heavy metal dei gruppi storici della scena classica.
Si diceva della poca prolificità dei Battlesword ed infatti la discografia del gruppo si completa con un paio di demo ed il primo full length, Failing In Triumph, licenziato nell’ormai lontano 2003, poi un silenzio discografico durato quattordici anni, con il solo demo del 2008 a mantenere viva la fiamma per arrivare ad un anno fa e all’uscita di Banners Of Destructions.
Il quintetto tedesco rompe il silenzio Spirit To The Flesh, un mid tempo epicissimo dove il growl è padrone assoluto del campo di battaglia dove il sangue scorre a fiumi: le ritmiche che alternano accelerazioni power a potentissime cavalcate in tempi medi, un gran lavoro delle due asce, imponenti ma dai solos melodici e dal taglio heavy, sono le caratteristiche principali del sound del gruppo, che non fa prigionieri e risulta più che mai diretto.
La title track, Tongues Of Hatred e la devastante Bloodlust Symphony fanno tremare la terra, possenti spallate metalliche e fiere portatrici della bandiera dei Battlesword sul campo, diventato un cimitero al passaggio dei musicisti tedeschi.
Inutile girarci intorno, sono gli Amon Amarth il gruppo che più si avvicina alla proposta dei Battlesword, anche se la band tedesca è più improntata alll’heavy power epico rispetto al death metal melodico dei guerrieri sevedesi.
Banners Of Destruction risulta una gradita sorpresa, tenendo incollati alle cuffie gli ascoltatori dalla prima all’ultima nota senza stancare e meritando la giusta attenzione di chi ama queste sonorità.

Tracklist
1.Spirit to the Flesh
2.The Unnamed Magic
3.Banners of Destruction
4.Grave New World
5.The Silence of Victory
6.Tongues of Hatred
7.Circle of Witches
8.Bloodlust Symphony
9.Left for the Vultures
10.There Will Be Blood
11.Where Demons Awake
12.Enemy Divine

Line-up
Axel Müller – Vocals
Andreas Klingen – Drums
Björn Kunze – Guitars
Ben Bays – Bass
Jürgen Lousberg – Guitars

BATTLESWORD – Facebook

Terror Empire – Obscurity Rising

Una quarantina di minuti scarsi bastano al gruppo portoghese per ribadire la propria forza, ringraziando Sepultura e Machine Head, così come i primi Metallica, in qualche passaggio chitarristico, ma il sound è tutto farina del sacco dei Terror Empire e non potrebbe essere altrimenti.

Prima o poi tutti tornano, chi deludendo le aspettative, chi cambiando registro musicale e chi confermando le buone impressioni suscitate dal precedente lavoro, come per esempio i thrashers portoghesi Terror Empire, di nuovo in pista con il successore dell’ottimo The Empire Strikes Black.

Obscurity Rising comincia il suo inevitabile massacro da dove aveva lasciato il suo predecessore, quindi per chi conosce la band poco o nulla è cambiato: ottima produzione, grande impatto, potenza e velocità al servizio di un thrash metal debordante tra tradizione e sfumature moderne.
L’album non delude, pur nella sua staticità compositiva rispetto al primo lavoro, ma i Terror Empire questo sanno suonare e lo fanno maledettamente bene, quindi, perché cambiare?
Non vale la pena di perdersi in troppi sofismi in questo senso ed è meglio allora lasciarsi travolgere dalla disarmante potenza delle varie Burn The Flags, Holy Greed e le due bombe atomiche Death Wish e Feast Of The Wretched.
Una quarantina di minuti scarsi bastano al gruppo portoghese per ribadire la propria forza, ringraziando Sepultura e Machine Head, così come i primi Metallica, in qualche passaggio chitarristico, ma il sound è tutto farina del sacco dei Terror Empire e non potrebbe essere altrimenti.

Tracklist
1.Obscurity Rising
2.You’ll Never See Us Coming
3.Burn the Flags
4.Times of War
5.Meaning in Darkness
6.Holy Greed
7.Lust
8.Death Wish
9.Feast of the Wretched
10.Soldiers of Nothing
11.New Dictators

Line-up
Ricardo Martins – vocals
Rui Alexandre – guitar
Nuno Oliveira – guitar
João Dourado – drums
Rui Puga – bass

TERROR EMPIRE – Facebook

Mecalimb – XIII

Pantera, Machine Head, The Haunted e Soilwork confluiscono nel sound dei Mecalimb a creare un cocktail altamente esplosivo e dotato di una forza notevole.

In Norvegia non si suona solo black metal, lo sa bene la Wormholedeath che licenzia XIII, terzo full length dei Mecalimb.

Groove e ritmiche marziali fanno da tappeto sonoro al thrash moderno del quintetto nordico che ci inserisce una serie di riff melodici di stampo death ed il gioco è fatto, o quasi.
XIII è una mezzora abbondante di metal possente e moderno, un album dal sound che opprime con le sue potenti ritmiche ed avvolge con un freddo riffing melodic death.
I Mecalimb giungono a questo lavoro dopo un paio di album ed un ep, precedentemente anticipati dai primi passi in formato demo nel 2006 e 2007; una dozzina d’anni sul mercato portano a questo buon esempio di metal moderno ed estremo, melodico e potente che ci ricorda non pochi eroi passati nei nostri lettori cd da i primi anni novanta in poi.
Il sound che sorride all’America ma suona scandinavo ribadisce la notevole forza che groove metal e death thrash sanno infondere se si alleano come in XIII, non è un caso che nell’album i momenti più intensi sono proprio quelli più ibridi.
Marziali e freddi come una macchina che inesorabile si avvicina senza cambiare velocità, i Mecalimb accelerano improvvisamente per fare scempio dei nostri corpi, questa è la percezione all’ascolto delle varie Forgotten, Headless Existence e della potentissima Leave The Bones.
Pantera, Machine Head, The Haunted e Soilwork confluiscono nel sound dei Mecalimb a creare un cocktail altamente esplosivo e dotato di una forza notevole: XIII vi attacca al muro, vi sbatte al suolo e vi schiaccia senza pietà, provare per credere.

Tracklist
Robert Arntsen – Lead vocals
Ole Olsen – Guitar & backing vocals
Tom Angel – Guitar
Dag Kopperud – Bass & backing vocals
Marius Vedal – Drums

Line-up
1.Headless Existence
2.Blind Men Rules The Earth
3.Forgotten
4.No End
5.Infection
6.Leave The Bones
7.Goodbye To Sanity
8.I See Dead People
9.Jokers & Liars
10.Nothing

MECALIMB – Facebook

Insurrection – Extraction

Extraction continua la missione degli Insurrection: regalare una quarantina di minuti di musica estrema senza fronzoli, diretta, aggressiva e dannatamente coinvolgente, anche se un leggero senso di ripetitività alla lunga si fa spazio nell’ascolto, ma senza creare grossi problemi nel digerire in un colpo solo tutto l’album.

Orde di devastanti truppe battenti bandiera death metal si muovono nell’ underground estremo, che siano dai rimandi old school o delineati da un sound moderno.

I figli e i nipoti dei gruppi, che massacravano senza pietà negli anni d’oro del genere sovrano del metal estremo, continuano la guerra musicale iniziata dai loro predecessori, magari raccogliendo meno rispetto a questi ultimi, ma mantenendo un approccio ed attitudine che di quei tempi sono figli.
Death metal tradizionale o moderno sono due facce di una stessa medaglia unite per non concedere scampo a suon bombardamenti massacranti e violentissimi come Extraction, quarto album dei canadesi Insurrection.
Assolutamente di genere, poco originale, ma ben fatto, il nuovo album del gruppo proveniente dal Quebec si fa ascoltare risultando estremo e violento, melodico e moderno quel tanto che basta per non considerarlo propriamente un lavoro vecchia scuola.
Prodotto benissimo, Extraction continua la missione degli Insurrection: regalare una quarantina di minuti di musica estrema senza fronzoli, diretta, aggressiva e dannatamente coinvolgente, anche se un leggero senso di ripetitività alla lunga si fa spazio nell’ascolto, ma senza creare grossi problemi nel digerire in un colpo solo tutto l’album.

Tracklist
1.System Failure
2.Onward to Extinction
3.Pull the Plug
4.Le Prix à Payer
5.The Eulogy of Hatred
6.Parasite
7.Le pesant d’or
8.Misère Noire
9.Assassins
10.Data Extracted … End Transmission

Line-up
Stef Jomphe – lead vocals
Vince Laprade S. – rythm guitar
Antonin Fuzz – lead guitar
Martin Samson – Bass
Stéphane Desilets – drums

INSURRECTION – Facebook

The Blacktones – The Day We Shut Down The Sun

I The Blackstones tornano con un nuovo album e confermano tutto il bene che si era scritto in passato con questo mastodontico The Day We Shut Down The Sun.

Un paio di anni fa mi presentarono questa band proveniente da Cagliari, un quintetto attivo dal 2011 al debutto con l’album omonimo, roccioso esempio di stoner/hard rock oscuro ed emozionale che, a tratti, veniva attraversato da uno spirito doom che ne faceva un piccolo gioiellino di musica fuori dai soliti schemi.

E’ bastato aspettare il giusto ed ecco che i The Blacktones tornano con un nuovo album e confermano tutto il bene che si era scritto al tempo con questo mastodontico (in tutti i sensi) The Day We Shut Down The Sun.
Qualcosa è inevitabilmente cambiato nel sound del gruppo, che sposta le coordinate verso lo sludge lasciandosi alle spalle la città di Seattle e trasferendosi a New Orleans.
L’album è un viaggio nel quale, ad ogni passo rappresentato dalle carte dei tarocchi, l’uomo perde una delle sue prerogative per arrivare alla fine del percorso ed essere inghiottito dal caos primordiale: tematiche per nulla scontate, dunque, ma anzi dannatamente reali, almeno guardando quello che succede nel mondo ai nostri giorni.
Registrato al V-Studio, mixato da James Pinder al Treehouse Studio e masterizzato da Brad Boatright all’Audiosiege Studio, The Day We Shut Down The Sun è distribuito dall’attivissima Sliptrick Records e ci presenta un macigno doom/sludge metal, con ancora qualche venatura stoner ma intriso di uno stordente rock psichedelico che accompagna questo tragico viaggio a ritroso nella nostra anima.
L’album parte mettendo in evidenza le novità di cui vi abbiamo accennato, The Upside Down e Ghosts sono violenti e rabbiosi brani dove le chitarre sature e la voce colma di rabbia e disperazione portano il sound verso le paludi dove sguazzano Down e Crowbar.
La title track è un capolavoro doom metal così come dovrebbe suonare nel nuovo millennio, dove riemergono in parte gli input che avevano caratterizzato il primo album, mentre Alone Together ha nel break psichedelico il suo valore aggiunto prima di lasciare alle frustate alternative southern metal di I.D.I.O.T.S. il compito di aprirci definitivamente la testa in due.
I The Blackstones sparano le ultime due bombe sludge/alternative metal con Nowhere Man e Broken Dove prima che The Magician e The Fool chiudano un album arrembante e pesantissimo come The Day We Shut Down The Sun, grande prova di questa ottima realtà proveniente da una scena sarda brulicante di talenti.

Tracklist
1.V – The Pope
2.The Upside Down
3.Ghosts
4.IV – The Emperor
5.The Day We Shut Down the Sun
6.Not the End
7.III – The Empress
8.Alone Together
9.I.D.I.O.T.S.
10.II – The Popess
11.Nowhere Man
12.Broken Dove
13.I – The Magician
14.0 – The Fool

Line-up
Aaron Tolu – Voice
Gianni Farci – Bass
Sergio Boi – Guitar
Paolo Mulas – Guitar
Maurizio Mura – Drums

THE BLACKSTONES – Facebook

In Twilight’s Embrace – Vanitas

Gli In Twilight’s Embrace hanno lasciato in parte la strada che li portava verso la Scandinavia per rimanere nel loro paese (la Polonia) e scovare sentieri ancora più estremi ed oscuri, una piccola svolta per il gruppo che non deluderà i loro ascoltatori.

The Grim Muse, licenziato un paio d’anni fa, mi aveva piacevolmente impressionato, dandomi la possibilità di conoscere gli In Twilight’s Embrace, gruppo polacco dal sound a metà strada tra il death metal scandinavo e il black metal suonato dalle loro parti.

Il quintetto di Poznań torna con un nuovo lavoro, questo oscuro esempio di death/black metal dalle melodie che accentuano la parte melanconica dell’anima del gruppo, intitolato Vanitas.
Un altro centro dopo l’ottimo album precedente, a mio parere più pesante e oscuro rispetto al death metal melodico dalle sfuriate black di The Grim Muse, in poche parole più estremo ed incentrato sul black death metal alla Behemoth.
Vanitas non mancherà di soddisfare chi già aveva apprezzato il lavoro precedente: la componente black si è fatta più presente, lasciando nell’ombra quella più melodica e mettendo l’ascoltatore al cospetto di un’opera dove l’oscurità è accentuata in maniera più decisa, mentre le melodie incorniciano brani pressanti come As Future Evaporates o Flesh Falls No Ghost Lift.
In conclusione, gli In Twilight’s Embrace hanno lasciato in parte la strada che li portava verso la Scandinavia per rimanere nel loro paese (la Polonia) e scovare sentieri ancora più estremi ed oscuri, una piccola svolta per il gruppo che non deluderà i loro ascoltatori.

Tracklist
1.The Hell of Mediocrity
2.Fan the Flame
3.As Future Evaporates
4.Trembling
5.Flesh Falls, No Ghost Lifts
6.Futility
7.The Rift
8.The Great Leveller

Line-up
Leszek Szlenk – Guitars (lead)
Cyprian Łakomy – Vocals
Marcin Rybicki – Bass
Dawid Bytnar – Drums

URL Facebook
IN TWILIGHT’S EMBRACE – Facebook

Rise Of The Wood – First Seed

Il sound di First Seed è tutto meno che una sorpresa per gli ascoltatori del genere, il gruppo orange spacca i timpani con una serie di riff scavati nella roccia sabbathiana, passati a fil di spada sopra dirigibili persi nei cieli degli anni settanta e strafatti con radici trovate sotto la sabbia nella Sky Valley.

Pesante come il mammouth raffigurato in copertina, arriva sul mercato First Seed, primo lavoro degli olandesi Rise Of The Wood, quintetto dedito ad uno stoner ispirato dall’hard rock settantiano e dalla musica desertica statunitense.

Niente di nuovo sotto il sole a picco sulle pianure sotto il livello del mare, trasformate dalla band in un meno confortevole deserto aldilà dell’oceano.
Il sound di First Seed è tutto meno che una sorpresa per gli ascoltatori del genere, il gruppo orange spacca i timpani con una serie di riff scavati nella roccia sabbathiana, passati a fil di spada sopra dirigibili persi nei cieli degli anni settanta e strafatti con radici trovate sotto la sabbia nella Sky Valley.
Potenza e melodia, molte parti acustiche, sfumature ed atmosfere che passano dal vintage al moderno con facilità sorprendente e tanto rock stonato fanno dell’album una buona partenza per i Rise Of The Wood, i quali ignorano  chi li accusa di poca personalità e vanno per la loro strada con una manciata di brani (Red Snake, Hell Yeah, Loner Jack e Rise Of The Wood) che spingono la tracklist su un livello più che buono, forte di questo alternare stoner pressante e potente e hard rock.
Nol Van Vliet e compagni giocano con i cliché del genere con buona pace di chi cerca la chimera dell’originalità: First Seed è un buon lavoro di genere, piacevole e potente il giusto per trovare consensi a prescindere se siete amanti dello stoner o fedeli ascoltatori dell’hard rock suonato negli anni settanta.

Tracklist
1.Red Snake
2.Hell Yeah
3.After This I’ll Is Never
4.Slab City
5.Hyperspeed
6.The Dark
7.Loner Jack
8.Liberate
9.war Inside
10.Rise Of The Wood
11.Faded Horizon

Line-up
Nol Van Vliet – Vocals
Jeff Teunissen – Guitars
Ronald Boonstra – Guitar
Alex Wijnhorst – Bass
Erik stolze – Drums

RISE OF THE WOOD – Facebook

Isle of Avalon – Of Tulgey Wood and the Table Rounde

Con gli Isle Of Avalon ci tuffiamo nelle atmosfere leggendarie dei cavalieri della tavola rotonda e di re Artù, con la colonna sonora che non può che essere un power metal dai rimandi folk, epico, sognante e battagliero, ma poco incisivo.

Con gli Isle Of Avalon ci tuffiamo nelle atmosfere leggendarie dei cavalieri della tavola rotonda e di re Artù, con la colonna sonora che non può che essere un power metal dai rimandi folk, epico, sognante e battagliero, ma poco incisivo.

La band, attiva da una dozzina d’anni, è al secondo lavoro sulla lunga distanza, che segue il debutto omonimo ed una manciata di lavori minori, e  il sound di questo concept fantasy segue le orme dei nostrani Rhapsody (quelli di inizio carriera) per poi toccare lidi folk metal alla Skyclad.
Of Tulgey Wood and the Table Rounde non è un brutto lavoro, ma ha il difetto di girare intorno ad uno stile ormai collaudato con poca personalità, lasciando che il tutto si trascini verso la conclusione senza grossi picchi.
Le parti prettamente folk e tradizionali sono i momenti migliori dell’album, pregne di quel poco di drammatica epicità che indurisce le atmosfere dell’opera, purtroppo poco valorizzate da un power metal scolastico esibito quando la band parte all’attacco con cavalcate che, solo con molta fantasia, ricordano le valli che danno vita una delle leggende più famose del mondo.
Diciamo che, se siete amanti del genere fantasy, gli Isle Of Avalon provano a proporre un genere che molte band hanno nobilitato in passato, riuscendovi solo in parte e raggiungendo la sufficienza, come detto, grazie alle parti folk metal.
L’album non è aiutato neppure dalle prestazioni vocali, essendo appena sufficiente quella principale di Fædon Diamantopoulos e non all’altezza quella femminile.
In un genere come il power folk metal dalle tematiche fantasy, l’importanza dei mezzi a disposizione, purtroppo non sfruttati dal gruppo britannico, è vitale per la riuscita di un lavoro come Of Tulgey Wood and the Table Rounde.

Tracklist
1.Questing Beast
2.Tulgey Wood
3.Tirra Lirra
4.Lyre of Lyonesse
5.Kingsword
6.Queen of Two Kingdoms
7.A Sword, a Horse, a Shield
8.True Born
9.Avalon
10.The Castle Argent

Line-up
Fædon Diamantopoulos – Vocals
Alexander Wyld – Guitars
Aimée Wyld – Keyboards

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