Genus Ordinis Dei – Great Olden Dynasty

Il death metal viene glorificato dai Genus Ordinis Dei, che ne accentuano l’epicità e la magniloquenza con sfavillanti orchestrazioni, atmosfere oscure rese drammatiche dai tasti d’avorio che ci fanno sentire circondati dalla musica.

La premessa doverosa sulla qualità altissima dei prodotti che escono dal nostro paese è diventata una prassi da ormai qualche anno, rischiando persino che le lodi alla scena rock/metal italiana diventino un qualcosa di scritto e ripetuto all’infinito.

D’altronde davanti a opere come Great Olden Dynasty, secondo lavoro dei Genus Ordinis Dei, non si può che supportare con ancora più convinzione le band di casa nostra, ormai perfettamente in grado di tenere botta ai colleghi stranieri.
La band di Crema, fondata nel 2009 e con un bellissimo esordio alle spalle datato 2013 (The Middle), torna dopo tre anni dall’ep omonimo con questo bellissimo esempio di death metal feroce, epico e maestoso.
Prodotto da Simone Mularoni ai Domination Studio, con Cristina Scabbia dei Lacuna Coil presente come ospite sulla conclusiva Salem, il nuovo lavoro dei Genus Ordinis Dei è un bellissimo esempio di metal estremo che, accompagnato dalle orchestrazioni sempre presenti e non solo usate come intro o outro ai brani, travolge l’ascoltatore con un suono violento e pomposo, vario e dal taglio progressivo nelle ritmiche, diretto e dall’impatto di un carro armato sinfonico.
Nick K, singer dotato di un growl da brividi, prende per mano il sound, valorizzato dalle splendide orchestrazioni create da Tommy Mastermind e dal lavoro ritmico di Steven F.Olda (basso) e Richard Meiz (batteria) e l’album deflagra fin dall’opener The Unleashed per non scendere più sotto il livello d’eccellenza.
Il death metal viene glorificato dai Genus Ordinis Dei, che ne accentuano l’epicità e la magniloquenza con sfavillanti orchestrazioni, atmosfere oscure rese drammatiche dai tasti d’avorio che ci fanno sentire circondati dalla musica.
Dall’ascolto escono prepotentemente la straordinaria bellezza di Morten, brano in crescendo che, da una partenza atmosferica da ballata metal, si trasforma in una portentosa traccia progressiva, e le mille varianti ritmiche ed atmosferiche della conclusiva Greyhouse, traccia che torna al sound caratterizzante l’album dopo la parentesi Salem, canzone più in linea con il death metal dal piglio melodico valorizzato dalla voce di Cristina e da un ottimo chorus.
Great Olden Dynasty è un album intenso ed estremo, che arriva come un fulmine a ciel sereno in questo ultimo scorcio dell’anno, ennesimo colpo di coda di una scena metal nazionale di altissimo livello.

Tracklist
1. The Unleashed
2. You Die In Roma
3. Cold Water
4. The Flemish Obituary
5. Sanctuary Burns
6. Morten
7. ID 13401
8. Halls of Human Delights
9. Salem (featuring Cristina Scabbia)
10.Greyhouse

Line-up
Nick K – vocals & guitars
Tommy Mastermind – guitars & orchestra
Steven F. Olda – bass
Richard Meiz – drums

GENUS ORDINIS DEI – Facebook

Skarlett Riot – Regenerate

Quaranta minuti nel vortice metallico creato dalla band, che non abbassa la guardia e spara proiettili di metallo moderno che aprono brecce nel cuore dei fans, portando a conclusione la propria rigenerazione e trasformandosi in una macchina da guerra moderna che non fa prigionieri.

L’apertura mentale nel fare proprie tutte le note dei generi che compongono l’universo musicale non è da tutti, e rimane per i più fortunati il piacere di passare con disinvoltura tra un genere all’altro per non farsi sfuggire album come questo bellissimo Regenerate del quartetto inglese chiamato Skarlett Riot.

Dal 2010 sul mercato con una manciata di lavori minori ed il full length Tear Me Down, uscito nel 2013, la band capitanata dalla singer Skarlett arriva a questo nuovo lavoro dopo il successo dell’ep Sentience e la firma con la label Despotz Records, che licenzia questa nuova raccolta di brani di moderno metal, duro come una roccia ma dall’appeal altissimo, grazie ad un tornado di melodie racchiuse in un songwriting davvero notevole.
Una raccolta di hit quindi, che il quartetto britannico interpreta con piglio metallico valorizzato dalla splendida voce della cantante e grazie ad un sound a tratti devastante nelle ritmiche.
In This Moment e Bullet for My Valentine sono le band di riferimento, dunque il genere è quello più odiato dai metallari duri e puri, ma che trova nuovi adepti tra gli amanti del metal alternativo e chi ama le atmosfere dark e drammatiche, all’ombra di cascate di riff e chorus, un tappeto di ritmiche a tratti forsennate e tanto talento per le melodie.
Quaranta minuti nel vortice metallico creato dalla band, che non abbassa la guardia e spara proiettili di metallo moderno che aprono brecce nel cuore dei fans, portando a conclusione la propria rigenerazione e trasformandosi in una macchina da guerra moderna che non fa prigionieri.
Album da ascoltare tutto d’un fiato, Regenerate vi colpirà a morte e vi renderete conto di esservene innamorati prima di esalare l’ultimo respiro.

Tracklist
1.Break
2.Closer
3.Stand Alone
4.What Lies Beneath
5.Calling
6.Affliction
7.Outcast
8.Paralyzed
9.The Storm
10.Warrior

Line-up
Skarlett – Vocals, Guitars
Danny – Guitars, Backing Vocals
Martin Shepherd – Bass, Backing Vocals
Luke – Drums

SKARLETT RIOT – Facebook

Last Bullet – ’80-69-64 ep

Cinque rocker di Toronto alla conquista delle vostre serate da sballo con la parola d’ordine che non può non essere Sex & Rock’n’roll ma, se pensate che la band suoni street/glam anni ottanta, girate i tacchi, perché qui si distrugge tutto con la potenza dell’hard rock.

Provateci voi a stare fermi mentre i Last Bullet suonano il loro hard rock.

Attivo dal 2009, il gruppo canadese torna a scuotere anime, tormentandole con un’overdose di rock’n’roll dopo il primo album, uscito ormai cinque anni fa (Love Lust Illusion) e lo fa con questo ep di sei brani per una ventina di minuti travolgenti, intitolato ’80-69-64.
I cinque rocker di Toronto vanno alla conquista delle vostre serate da sballo con la parola d’ordine che non può non essere sex & rock’n’roll ma, se pensate che la band suoni street/glam anni ottanta, girate i tacchi, perché qui si distrugge tutto con la potenza dell’hard rock moderno tra alternative e dosi massicce di groove, sparato a mille in un contesto rock’n’roll.
Bright Lights è la miccia che si accende, e pericolosamente tramite l’orgiastica Gimme Time corre verso il candelotto di dinamite che esplode alle prime note di Little Miss Filthy.
Bryan Fontez con il suo canto lascivo vi provoca, vi gira attorno come una belva assetata di sangue e poi vi azzanna tra le note di Smoke & Ashes, per poi lasciare la morsa tornare sulla route, accompagnato dalle note di Southern Lips.
Velvet Revolver, Aerosmith, Lynyrd Skynyrd, Buckcherry: questo nomi sono per indurvi a non perdere neanche un minuto di musica di questa bomba hard rock.

Tracklist
01. Sin
02. Gimme Time
03. Bright Lights
04. Southern Lips
05. Smoke & Ashes
06. Little Miss Filthy

Line-up
Bryan Fontez – lead vocals
Brendan Armstrong – lead guitar
Michael Silva – rhythm guitar
Will Shannon – bass
Chriz Galaz – drums

LAST BULLET – Facebook

Nastyville – Glam Caramel

Una produzione scintillante e tanta attitudine fanno di Glam Caramel un buon modo per riassaporare le atmosfere sfrontate, ambigue e divertenti di quello storico periodo che gli amanti del genere rivivono grazie all’underground e alla nascita di molti nuovi gruppi che hanno riportato questi suoni all’attenzione degli ascoltatori.

Si torna a far muovere le natiche a tempo di rock’n’roll stradaiolo con il secondo album dei Nastyville, quintetto piemontese da anni immerso nella scena glam rock dello stivale.

Dopo un primo album licenziato qualche anno fa e un paio di assestamenti nella line up, la band che vede ben saldo sul ponte di comando il batterista Danny Boy (un passato a suonare con gentaglia del calibro di Gilby Clarke e John Corabi), se ne esce tramite l’attivissima label partenopea Volcano Records con questo irresistibile esempio di hard rock glam made in Los Angeles intitolato Glam Caramel.
Con il nuovo entrato MarkEvil Lee dietro al microfono, la band sforna dieci brani assolutamente devoti al genere che contribuì a rendere speciali gli anni ottanta e un paradiso per i rockers il Sunset Boulevard, pur con i piedi ben saldi nel nuovo millennio.
Una produzione scintillante e tanta attitudine fanno di Glam Caramel un buon modo per riassaporare le atmosfere sfrontate, ambigue e divertenti di quello storico periodo che gli amanti del genere rivivono grazie all’underground e alla nascita di molti nuovi gruppi che hanno riportato il genere all’attenzione degli ascoltatori.
Dopo la valanga di suoni alternativi iniziata sul finire del secolo scorso, il ritorno di queste sonorità (non solo per qualche fortunata reunion) è, per assurdo una ventata di freschezza nell’ormai troppo serioso ambiente del rock, quindi muovete le chiappe, stappate la vecchia bottiglia di Jack Daniels e buttatevi nella mischia al suono delle varie Nerd Superfly, Big Band Theory e le altre tracce presenti su Glam Caramel.
La bolgia è frenetica e vi travolgerà, mentre potenti trame su tempi medi si spintonano per un posto al sole con frizzanti partenze dallo spirito rock’n’roll, tra Motley Crue e Warrant, senza dimenticare le nuove leve della scena glam internazionale come Crazy Lixx e Crashdiet.
Lady Boy, Macho Girl e ancora Star Whore e la conclusiva Tha King faranno sparire ogni vostro tabù e vi daranno la possibilità di essere voi stessi: almeno per una cinquantina di irresistibili minuti, lasciatevi andare e godete, it’s only rock’n’roll.

Tracklist
1. Nerd Superfly
2. Big Band Theory
3. Jelly Toy Goes
4. Lady Boy
5. Sert-Control
6. Granny Awards
7. Macho Girl
8. Star Whore
9. Camel Toe
10. Tha King

Line-up
Mark – Voice, Guitar
David – Guitar
Manuel – Guitar
Fabian – Bass Guitar
Danny Boy – Drums

NASTYVILLE – Facebook

Old Man Wizard – Innocent Hands/The Blind Prince

I tre musicisti statunitensi sono protagonisti di un’originale esempio di hard rock progressivo che si nutre di molte sfumature del rock contemporaneo e di metal estremo, pur mantenendo un approccio vintage che li accomuna a tanti nuovi gruppi dal sound che si ispira agli anni settanta.

Meritano di essere portati all’attenzione dei lettori di MetalEyes gli Old Man Wizard, trio attivo tra San Diego e Los Angeles con il debutto sulla lunga distanza licenziato nel 2013 (Unfavorable, uscito anche nella versione strumentale) e questo singolo che funge da apripista al nuovo album in uscita (Blame It All On Sorcery).

I tre musicisti statunitensi sono protagonisti di un’originale esempio di hard rock progressivo che si nutre di molte sfumature del rock contemporaneo e di metal estremo, pur mantenendo un approccio vintage che li accomuna a tanti nuovi gruppi dal sound che si ispira agli anni settanta.
I due brani (Innocent Hands e The Blind Price) si compongono di umori diversi, ora alternativi ora smaccatamente hard progressivi e dai rimandi alla tradizione, mentre le vocals molto melodiche contrastano con ritmiche pesanti, ma varie grazie al gran lavoro della sezione ritmica.
Prendete i Soundgarden e maltrattateli con dosi massicce di progressive e metal estremo, poi accarezzateli con sfumature rock di estrazione americana ed avrete più o meno un’idea di quello che suonano Andre Beller (voce e basso), Francis Roberts (chitarra e voce) e Kris Calabio (batteria e voce).
Inutile dirvi che la curiosità per il full length in arrivo non manca, quindi occhio alle nostre pagine virtuali.

Tracklist
1.Innocent Hands
2.The Blind Prince

Line-up
Andre Beller – Bass Guitar, Vocals
Francis Roberts – Guitar, Vocals, etc.
Kris Calabio – Drums, Vocals

OLD MAN WIZARD – Facebook

https://youtu.be/8iEOIBilmBg

Serenade – Onirica

I Serenade accontentano i fans del metal sinfonico e gotico, ma piacerà anche a chi vuole sentire ritmiche potenti, chitarre aggressive e grinta metallica da vendere, il tutto ben orchestrato e perfettamente bilanciato nel sound di questo nuovo lavoro.

Secondo lavoro per i Serenade, altra ottima realtà nel vasto mondo del metal sinfonico e dalle trame gotiche.

Superba voce soprano, tanto metallo aggressivo e dalle ritmiche power, una buona alternanza tra momenti atmosfericamente più pacati e dal taglio gotico, come da copione, e fughe heavy metal fanno di Onirica un’ottima colonna sonora al racconro incentrato sul viaggio nel mondo dei sogni e nelle paure dell’animo umano.
La band veneta è attiva dal 2009, il primo album intitolato Wandering Through Sorrow è ormai vecchio di cinque anni, ma il tempo ha giocato a favore del gruppo e della Revalve Records, vista la buona riuscita di Onirica.
I Serenade accontentano i fans del metal sinfonico e gotico, ma piacerà anche a chi vuole sentire ritmiche potenti, chitarre aggressive e grinta metallica da vendere, il tutto ben orchestrato e perfettamente bilanciato nel sound di questo nuovo lavoro.
Grande voce e carisma sono le principali virtù della singer Claudia, soprano dalla splendida ugola, assecondata da un songwriting mai banale e dalle buone prestazioni dei singoli musicisti; Insomnia apre l’album prima che When Darkness Will Fall arrivi come una perturbazione metallica e Kill Your Pain irrompa con le sue trame power sinfoniche, regalandoci il primo duetto tra la singer e Fabio Dessi degli Arthemis, che si ripeterà sul crescendo di Luceafarul.
I Serenade mantengono sempre un approccio heavy che a tratti sfocia in potenti frustate estreme come in Oceanus, brano mastodontico  preceduto da Hold Me Bank, primo singolo e video tratto dall’album; è invece delicatamente gotica e lasciata al solo piano che accompagna la voce di Claudia la ballad Stormborn, mentre la già citata Luceafarul e il crescendo metallico di Sleeping Dream concludono il nostro viaggio nel mondo dei sogni accompagnati dalla band padovana.
Onirica si rivela un album riuscito e piacevolmente heavy, valorizzato dalle buone prestazioni del gruppo e dalla splendida voce della sua musa: per gli amanti del genere un gioiellino da non perdere.

Tracklist
01.Insomnia
02.When Darkness Will Fall
03.Kill Your Pain
04.Hold Me Back
05.Oceanus
06.Lullaby
07.Stormborn
08.Luceafarul
09.Sleeping Dream

Line-up
Claudia – Vocals
Filippo – Guitars
Alberto – Guitars
Dario – Bass
Leonardo – Drums

SERENADE – Facebook

Kroh – Pyres

Sempre fortemente legato al doom classico ma valorizzato da una componente psichedelica che lo accomuna a quello dei gruppi vintage usciti negli ultimi anni, il sound proposto dai Kroh ha una sua forte personalità, ovviamente circoscritta al genere.

Tornano a pochi mesi di distanza dal secondo full length Altars (recensito si queste pagine) i doomsters britannici Kroh, con un nuovo lavoro in formato ep intitolato Pyres.

Niente di nuovo nelle catacombe di Birmingham dove si aggirano la sacerdotessa Oliwia Sobieszek ed i suoi fedeli adepti, anche questi nuovi brani seguono le liturgiche atmosfere sabbathiane già presenti nel precedente lavoro.
Ancora più atmosfericamente sacrale di Altairs, il nuovo album emana un acre odore di morte, mentre le litanie sabbatiche accompagnano riti occulti tra serpi velenose e lame luccicanti in un’atmosfera che si fa a tratti ipnotizzante.
La Sobieszek, da musa affascinate quale è, si aggira tra gli astanti, persi nelle lunghe marce dettate dal lento battere del tempo, quasi fermo, mentre potenti esplosioni metalliche (Rigor Mortis) violentano le ipnotiche danze sacrali che i musicisti del gruppo hanno creato per far danzare la ipnotica singer.
Il basso che pulsa tra le note di Nemertean Girl, il vorticoso incedere della vulcanica Moriah e la potenza stonerizzata della conclusiva Despair Resolve, imprimono al lavoro una forza sorprendente, mentre il gruppo alterna con buona personalità esplosioni metalliche e rituali atmosferici dove tutto si compie.
Sempre fortemente legato al doom classico, ma valorizzato da una componente psichedelica che li accomuna ai gruppi vintage usciti negli ultimi anni, il sound proposto dai Kroh ha una sua forte personalità, ovviamente circoscritto al genere.
Una band che, piano piano, troverà il suo spazio tra i gruppi di culto nel panorama del doom classico odierno.

Tracklist
1.Triumph of Death
2.Rigor Mortis
3.Nemertean Girl
4.Moriah
5.Despair/Resolve

Line-up
Rich Stanton – Drums
Paul Harrington – Guitars
Paul Kenney – Guitars
Oliwia Sobieszek – Vocals
Darren Donovan – Bass

KROH – Facebook

Witchery – I Am Legion

In un’atmosfera di esaltante ed evocativo tributo agli inferi ed al suo signore, ci viene regalata una performance devastante, intrisa di perfida malignità e violentissima, perdendo in parte un po’ di sfumature speed/thrash old school per liberare la bestia insita da sempre nello spartito del gruppo di Linköping.

La copertina del nuovo album degli ormai storici Witchery esprime alla perfezione l’atmosfera maligna e pervasa da un’insana impronta black, mai così accentuata, che il nuovo album si porta dietro.

Ad un anno esatto dal ritorno con il già notevole In His Infernal Majesty’s Service, la band torna con il lavoro più malvagio della sua ormai lunga carriera, fatta di alti e bassi ma sempre all’insegna di un blackened thrash metal senza compromessi.
In un’atmosfera di esaltante ed evocativo tributo agli inferi ed al suo signore, ci viene regalata una performance devastante, intrisa di perfida malignità e violentissima, perdendo in parte un po’ di sfumature speed/thrash old school per liberare la bestia insita da sempre nello spartito del gruppo di Linköping.
Gli Witchery più invecchiano più diventano come il buon vino, magari allungato col sangue che da i brani di questo splendido lavoro estremo esce copioso, mentre Legion ci invita al massacro e True North ci offre la prima canzone sopra la media dell’album con un inizio solenne e terrorizzante da infarto.
Si parte a velocità della luce, una luce fioca che crea ombre diaboliche tra le note di Welcome, Night e Of Blackened Wing, fino al masterpiece Amun-Ra, dove Angus Norder sciorina a metà pezzo un growl profondo come l’inferno mentre la coppia Jensen/Rimfält ci incolla al muro con riff e solos dannatamente coinvolgenti.
D’Angelo e Barkensjö sono il solito motore ritmico instancabile, ma in I Am Legion è la putrida atmosfera che si respira tra i solchi dei brani a fare la differenza, come se i cinque musicisti fossero anch’essi demoni e ed allo stesso tempo piccoli pezzi di un puzzle vivente volto a riunirsi per evocare il male assoluto.
Il giro armonico del mid tempo che fa da tappeto a A Faustian Deal e la conclusiva The Alchemist sono gli ultimi botti di un album che conferma il grande ritorno del gruppo svedese, uno dei massimi esponenti del blackened/thrash metal internazionale, già sopra le righe con l’album precedente e qui perfetti e malvagi cantori estremi.

Tracklist
1. Legion
2. True North
3. Welcome, Night
4. Of Blackened Wing
5. Dry Bones
6. Amun-Ra
7. Seraphic Terror
8. A Faustian Deal
9. An Unexpected Guest
10. Great Northern Plague
11. The Alchemist

Line-up
Angus Norder – Vocals
Jensen – Guitar
Rikard Rimfält – Lead guitar
Sharlee D’Angelo – Bass
Chris Barkensjö – Drums

WITCHERY – Facebook

Heir – Au Peuple De l’Abîme

Un black metal per amanti del genere in versione più moderna, ed imbastardita dall’accoppiamento con generi lontani dalla furia primigenia dei gruppi classici, ma oltremodo stupefacente per le atmosfere estreme create.

Abbiamo avuto a che fare con i blacksters francesi Heir, riguardo all’uscita del bellissimo split licenziato dalla Les Acteurs de l’Ombre lo scorso anno, dove i nostri dividevano la scena con Spectrale ed In Cauda Venenum.

Attivo da solo un paio d’anni in quel di Tolosa, il quintetto estremo rilascia il primo album, questo notevole pezzo di granito black/sludge dal titolo Au Peuple De l’Abîme, poco più di mezzora di black metal dai tratti atmosferici accentuati, violentati da chitarre torturate e portate al limite, accelerazioni e più lineari momenti dove le sfumature si fanno intimiste.
Black metal, post rock e sludge al servizio del metal estremo creato da questa giovane band che conferma le buone impressioni suscitate dallo split, con cinque brani medio lunghi nei quali  le caratteristiche peculiari del sound del gruppo sono ben rappresentate.
Un black metal per amanti del genere in versione più moderna, ed imbastardita dall’accoppiamento con generi lontani dalla furia primigenia dei gruppi classici, ma oltremodo stupefacente per le atmosfere estreme create.
Lo chiamerei black metal d’autore, non fosse che quando gli Heir decidono di distruggere lo fanno con una forza spaventosa e con brani d’impatto come Meltem o L’Ame Des Foules.
Un album che conferma le impressioni positive suscitate, quindi consigliato agli amanti di questa frangia del metallo nero.

Tracklist
1.Au Siècle des Siècles
2.L’Heure D’Helios
3.Meltem
4.L’Âme des Foules
5.Cendres

Line-up
F.B – Bass
D.D.A – Drums
L.H – Vocals
M.D – Guitars
M.S – Guitars

HEIR – Facebook

Enrico Sarzi – Drive Through

Accompagnato da un gruppo di musicisti dalla provata esperienza nell’ambiente dell’hard rock, Sarzi ci invita all’ascolto di Drive Through, una raccolta di brani che spazia dal rock americano nato nella piovosa Seattle nei primi anni novanta, fino a toccare lidi più cantautorali ed acustici.

Buone nuove dalla Burning Minds, questa volta affiancata dalla Street Symphonies con la quale licenzia il primo lavoro solista di Enrico Sarzi, cantante dei rockers Midnight Sun con cui ha registrato due album.

Impegnato come ospite su due opere notevoli come l’album omonimo degli Shining Line e Moonstone Project, il musicista nostrano ha avuto l’occasione di suonare insieme a musicisti storici o autentiche leggende della scena hard rock internazionale come Glenn Hughes, Ian Paice e Robin Beck, esperienze importanti prima che la sua avventura solista diventasse il suo presente musicale.
Accompagnato da un gruppo di musicisti dalla provata esperienza nell’ambiente dell’hard rock, Sarzi ci invita all’ascolto di Drive Through, una raccolta di brani che spazia dal rock americano nato nella piovosa Seattle all’inizio degli anni novanta, fino a toccare lidi più cantautorali ed acustici, prima che l’elettrica torni a ruggire tra lo spartito che si sporca di blues.
Un album sentito, Drive Through, pregno di magiche atmosfere che ci portano tra malinconiche strade secondarie, tra fattorie che il tempo ha dimenticato mentre in noi si fa sempre il ricordo di un brano come Rooster degli Alice in Chains.
Non privo di ottimi inserti di fiati, solos dal taglio rock ed hard rock sempre in bilico tra grunge e hard rock settantiano, l’album vive di questa altalena di umori, mentre Sarzi passa agevolmente da toni cantautorali a parti nelle quali rivive lo spirito del miglior Cantrell (Nothing To Live For, The Repentant, la title track).
Le ballad come detto non mancano e sono tutte valorizzate da atmosfere e sfumature mai banali, piacevolmente intimiste raggiungono, con Strange Freedom a rappresentare il punto più alto, attraversata dal suono di un malinconico sax che lascia spazio all’assolo più bello di tutto l’album.
Drive Through rivisita il rock americano in un paio delle sue migliori vesti e conferma il talento, anche compositivo, di Enrico Sarzi.

Tracklist
01. Shameless
02. Afraid To Be Myself
03. Nothing To Live For
04. S.O.S. To God
05. Strange Freedom
06. The Repentant
07. Inferno
08. Let Me Go
09. Drive Through
10. Sex Perfume
11. Cielo

Line-up
Enrico Sarzi – Vocals, Acoustic Guitars
Cristiano Vicini – Electric Guitars
Marco Nicoli – Bass
Marco Micolo – Keyboards
Alessandro Mori – Drums

Special Guests:
Stefano Avanzi – Sax
Alberto Valli – Piano
Luciana Buttazzo – Vocals

ENRICO SARZI – Facebook

Wolfshead – Leaden

I quattro energumeni al comando del sound non concedono tregua, si spostano tra lente marce doom, come se la musica avanzasse con la neve alle ginocchia in mezzo alla tempesta, ed irrequiete frustate hard & heavy.

La Rockshots Records allunga le sue molte braccia e come una piovra stringe tra i suoi tentacoli realtà da molti paesi e di vari generi di cui si compone il mondo metallico.

I Wolfshead li incontriamo tra i mille laghi della natia Finlandia, la storia vuole la nascita del combo ad un concerto dei Pentagram nel 2011 e da quel giorno il quartetto ha prodotto un demo e due ep, per poi arrivare alla firma con la Rockshots e all’uscita di questo pesantissimo pezzo di granito heavy/doom dal titolo Leaden.
Heavy metal old school, appesantita da iniezioni di doom classico alla Pentagram/Candlemass e tante influenze che svariano tra Motorhead e Saint Vitus, Venom e Black Sabbath, incastonate in un sound selvaggio, sporco, cattivo e dannatamente coinvolgente.
Leaden è uno schiacciasassi metallico, un potente e pesantissimo asteroide in caduta libera sulla terra, una rompighiaccio che inesorabile avanza nel Mare del Nord, al suono di liturgie metalliche tra heavy metal e doom.
I quattro energumeni al comando del sound non concedono tregua, si spostano tra lente marce doom, come se la musica avanzasse con la neve alle ginocchia in mezzo alla tempesta, ed irrequiete frustate hard & heavy: ecco allora macigni evocativi ispirati dalla tradizione classica o lentissime agonie prima di cadere nel sonno prima del congelamento e l’inesorabile morte.
When the Stars Are Right risulta il picco compositivo di Leaden, una brano doom monumentale come la bellissima e conclusiva The Hangman, il resto viaggia su mid tempo heavy doom molto ispirati come l’opener Vukodlak e Purifier.
L’anima di Leaden è un sound old school, derivativo quanto si vuole ma tremendamente coinvolgente, almeno per chi ama il doom classico ed i suoni hard & heavy di matrice ottantiana.

Tracklist
1.Vukodlak
2.Children Shouldn’t Play with Dead Things
3.Purifier
4.When the Stars Are Right
5.Division of the Damned
6.Haruspex
7.Winds Over Potter’s Field
8.The Hangman

Line-up
Tero Laine – vocals
Ari Rajaniemi – guitar
Vesa Karppinen – bass
Jussi Risto – drums

WOLFSHEAD – Facebook

Spectrale – ▲

L’ascolto di quest’album dovrebbe essere obbligato per tutti quelli che sostengono di amare la musica, ma sicuramente rimarrà ad esclusiva di pochi, noi comunque ci godiamo questo primo bellissimo rituale acustico donato dagli Spectrale.

Seguendo le varie scene underground, in tutti questi anni abbiamo avuto la fortuna di conoscere non solo band fuori dal comune, ma soprattutto etichette che fanno del portare a conoscenza di più persone possibili grande musica di qualsiasi genere si tratti.

Una di queste è sicuramente la label transalpina Les Acteurs de L’ombre Productions, che si cura di molte realtà estreme della scena del proprio paese con passione ed ottimo fiuto.
E’ così che le opere che l’etichetta ci propone all’attenzione hanno tutte un qualcosa per cui vale la pena soffermarsi all’ascolto, fuori dai soliti cliché e tutte valorizzate da enorme personalità.
Avevamo fatto la conoscenza degli Spectrale, band dal sound prevalentemente acustico, in occasione del bellissimo split in compagnia di altre due realtà dell famiglia Les Acteurs De L’ombre, gli In Cauda Venenum e gli Heir.
Giunge così anche per la creatura di Jeff Grimal il momento di licenziare il primo full length, questo , dal titolo che rispecchia il concept esoterico ed ipnotico della musica del chitarrista francese, misteriosa ed a suo modo estrema.
Credo che non ci sia assolutamente dubbi sulla natura estrema dei brani contenuti sull’album, ovviamente non si parla di sfuriate black o death metal, ma di ricami acustici che si muovono sinuosi tra le corde delle chitarre, creati dalla mente e dalle dita di questi straordinari musicisti che come maghi ci ipnotizzano e portandoci in mondi paralleli, lontano dagli isterismi di una società sempre più malata e vicino il più possibile a quello che ognuno di noi chiama Dio.
Quarantacinque minuti di musica estrema perché va aldilà dei soliti ascolti, ci invita a fermarci e per un po’ viaggiare al di sopra del mero mondo materiale sulle note delle stupende Attraction, la meravigliosa e pink floydiana Magellan e le due parti di Monocerotis suggestivi attimi musicali di questa splendida ed originale opera.
Gli Spectrale vanno oltre, l’ascolto di ▲ dovrebbe essere obbligato a tutti quelli che sostengono di amare la musica, ma sicuramente rimarrà ad esclusiva di pochi, noi comunque ci godiamo questo primo bellissimo rituale acustico donato da Jeff Grimal e soci.

Tracklist
1.Andromede
2.Contract
3.Attraction
4.Landing
5.Magellan
6.Monocerotis Part1
7.Monocerotis Part2
8.▲
9.Retour Sur Terre

Line-up
Jeff Grimal – Guitar
Léo Isnard – Drums,guitar
Xabi Godart – Guitar,noise
Raphael Verguin – Cello

SPECTRALE – Facebook

Major Parkinson – Blackbox

Valorizzato da atmosfere teatrali ed in alcuni casi pomposamente cinematografiche, Blackbox risulta un ascolto maturo, conseguenza di un approccio esemplare per quanto riguarda le interpretazioni vocali e soluzioni musicali fuori da schemi prestabiliti.

La tradizione scandinava per i suoni progressivi continua a donarci band e lavori che rientrano in quell’aura cult riservata alla musica d’eccellenza e che, inevitabilmente, rimane ad esclusiva o quasi degli appassionati che non si sono fermati al 1975 o giù di li, ma ai quali piace andare oltre l’ovvio.

I Major Parkinson sono una band norvegese attiva da anni e con una già buona discografia alle spalle (questo è il quarto full length), ed una formazione che si rinnova quasi ad ogni album.
Gli otto musicisti sono impegnati in Blackbox, album che unisce varie sfumature della musica progressiva, passando con disinvoltura da note rock tradizionale all’uso dell’elettronica, a dire il vero abbondante tra i brani che escono dalla scatola nera, con intrecci di musica a 360° che abbraccia al suo interno una moltitudine di suoni, creando un sound originale ed affascinate, tra strumenti classici, elettricità rock e tappeti di chiara ispirazione ottantiana.
Esaltato dalla prova dello straordinario Jon Ivar Kollbotn al microfono (non solo un vocalist, ma un interprete a tutto tondo), l’album si dipana tra magiche soluzioni progressive, teatrali e moderne, con un’aura oscura che permea il sound con soluzioni e sorprese nel songwriting, che vanno da citazioni più o meno famose (passando da Bowie agli Ultravox) ad atmosfere cinematografiche ed originali come in Night Hitcher o Madeleine Crumbles.
Blackbox ha bisogno di qualche ascolto in più e tanta apertura mentale nel saper cogliere le varie e suggestive ispirazioni che la band unisce ad un indubbio talento nel saper scrivere musica fuori dai soliti schemi progressivi odierni, che siano legati alla tradizione o che guardino a soluzioni intimiste e moderne care ai gruppi odierni.
Valorizzato da atmosfere teatrali ed in alcuni casi pomposamente cinematografiche, Blackbox risulta un ascolto maturo, conseguenza di un approccio esemplare per quanto riguarda le interpretazioni vocali e soluzioni musicali fuori da schemi prestabiliti.

Tracklist
1.Lover, Lower Me Down!
2.Night Hitcher
3.Before the Helmets
4.Isabel -­ A Report to an Academy
5.Scenes from Edison’s Black Maria
6.Madeleine Crumbles
7.Baseball
8.Strawberry Suicide
9.Blackbox

Line-up
Jon Ivar Kollbotn – lead vocals
Eivind Gammersvik – bass, backing vocals
Lars Christian Bjørknes – piano, synth, organs, programming, notation, backing vocals
Sondre Sagstad Veland – drums, percussion, backing vocals
Sondre Rafoss Skollevoll – guitar, backing vocals
Øystein Bech-Eriksen – guitar
Claudia Cox – violin, backing vocals
Linn Frøkedal – guest vocals

MAJOR PARKINSON – Facebook

Red Ring – Dark Light

Melodia, groove rock, grinta metallica e qualche atmosfera dark, ecco la ricetta per un album esplosivo, seguendo a tratti (con l’opener Drowning) la strada tracciata dagli ultimi Lacuna Coil, per poi deviare al primo incrocio e trovare la propria via.

Da anni l’Italia sfoggia una scena rock alternative molto interessante, proponendo da nord a sud ottime realtà che vanno dall’hard rock moderno e groovy al rock alternativo dall’impatto melodico e pregno di umori diversi ma ben assemblati in album che, guardando spesso aldilà dell’Atlantico, regalano ottima musica rock.

Melodia, groove rock, grinta metallica e qualche atmosfera dark, ecco la ricetta per un album esplosivo, seguendo a tratti (con l’opener Drowning) la strada tracciata dagli ultimi Lacuna Coil, per poi deviare al primo incrocio e trovare la propria via..
Questo in poche righe è quello che troverete in Dark Light, secondo album dei marchigiani Red Ring, licenziato in questo scorcio d’autunno dalla Volcano Records.
Attiva dal 2007 con il nome di Last Minute, cambiato in quello attuale nel 2013 e con un debutto (Knock Out) uscito due anni fa, la band si ripresenta sul mercato con questo buon lavoro, alternativo ed altamente melodico, non solo per la splendida voce della singer Elisa Goffi, ma anche per l’approccio radiofonico, che non fa sicuramente mancare la giusta grinta ma si concede refrain e chorus dall’ottimo appeal, sempre in bilico tra forza e delicata armonia.
Ne esce un lavoro che tocca da subito le corde giuste di chi riempie le sue giornate musicali con la musica delle radio rock nazionali, affascinante e duro il giusto specialmente nelle ritmiche dal buon groove (Best Wishes) e tenendo sempre la tensione ad un livello consono per sorprendere con brani dal piglio drammaticamente metallico (Escape).
La produzione, che va di pari passo con la musica, esplode potente e cristallina, valorizzando non poco i brani presenti, ed un songwriting che non ha cadute, mantenendo alto il livello dei brani per poco più di mezzora (scelta giusta) di rock davvero ben eseguito, sono le virtù principali di un lavoro che piace fino all’ultima nota della bellissima e conclusiva Is There Still Time?.
Dark Light, se spinto a dovere, potrà regalare molte soddisfazioni al gruppo marchigiano, rivolgendosi senza dubbio ai rockers del nuovo millennio ai quali va il consiglio di non farselo sfuggire.

Tracklist
1. Drowning
2. In your veins
3. If you didn’t exist
4. Is this life?
5. No regret
6. Best whishes
7. Escape
8. You are here
9. Is there still time?

Line-up
Elisa Goffi – Voice,
Edoardo Sdruccioli – Bass Guitar
Juri Cucchi- Drums
Davide Landi – Rhythm Guitar
Giacomo Lanari – Lead Guitar

RED RING – Facebook

Arkhon Infaustus – Passing The Nekromanteion

Death metal e black si uniscono per portare morte e distruzione, con un sound assolutamente estremo e senza compromessi: d’altronde le ispirazioni degli Arkhon Infaustus sono satanismo, perversione, oscenità e droghe, mentre il monumento al male che costruiscono avanza tra le macerie create da questi quattro terribili brani.

Tornano dopo dieci anni esatti dall’ultimo full length gli Arkhon Infaustus, band storica della scena estrema transalpina, con questo ep di quattro tracce dal titolo Passing The Nekromanteion.

Si ripresentano oggi come duo, composto da Deviant (voci, basso e chitarra) e Skvm (batteria), schiacciando gli ascoltatori con  la mole di questa cattedrale estrema ottimamente raffigurata in copertina, un’arma apocalittica che prende forza direttamente dall’inferno e distrugge senza pietà.
Death metal e black si uniscono per portare morte e distruzione, con un sound assolutamente estremo e senza compromessi: d’altronde le ispirazioni degli Arkhon Infaustus sono satanismo, perversione, oscenità e droghe, mentre il monumento al male che costruiscono avanza tra le macerie create da questi quattro terribili brani.
Il sound non è mai velocissimo e a tratti si fa marziale, ma in queste lunghe tracce è il caos a regnare, portato dalla terribile e drastica missione di morte ordita dalle truppe demoniache comandate dagli Arkhon Infaustus, in una guerra totale che Amphessatamine Nexion e, soprattutto, la conclusiva e malata Corruped Epignosis raccontano al meglio.
Un buon ritorno questo ep, che al giorno d’oggi si può certamente considerare come un full length, e che segna il ritorno di una band scomoda, consigliata con cautela agli amanti delle dissonanze black death.

Tracklist
1.Amphessatamine Nexion
2.The Precipice Where Souls Slither
3.Yesh Le-El Yadi
4.Corrupted Épignosis

Line-up
Deviant – All vocals, guitars and bass
Skvm – Drums

ARKHON INFAUSTUS – Facebook

Savage Annihilation – Quand s’abaisse la croix du blasphème

Maligno come non mai, l’album si sviluppa in una mezzora abbondante tra torture ritmiche, chitarre profonde e growl abissale: nessuna sorpresa, tutto perfettamente ordinario, ma anche assolutamente senza compromessi.

Progetto death metal molto vicino al brutal ed assolutamente old school quello del trio transalpino dei Savage Annihilation, gruppo con quindici anni di primavere sulle spalle ed una discografia che, fino ad oggi, era ferma al primo lavoro sulla lunga distanza licenziato cinque anni fa (Cannibalisme, hérésie et autres sauvageries) ed altre tre uscite tra demo, split ed ep.

Quand s’abaisse la croix du blasphème risulta quindi il secondo full length a partire dal lontano 2002, anno di nascita di questo mostro estremo, oscuro e profondamente legato alla scena statunitense.
Influenze ben in evidenza (Morbid Angel, Immolation) e tanta violenza in musica fanno di questo nuovo album dai testi in lingua madre un buon lavoro, specialmente per chi ama profondamente il death metal old school.
Maligno come non mai, l’album si sviluppa in una mezzora abbondante tra torture ritmiche, chitarre profonde e growl abissale: nessuna sorpresa, tutto perfettamente ordinario, ma anche assolutamente senza compromessi.
Dopo tanti ascolti di opere con un sound impegnato a dimostrare solo la bravura dei musicisti a livello tecnico, finalmente una sana bordata death metal che non lascia assolutamente la tecnica in secondo piano, ma la mette al servizio di un songwriting che punta sull’impatto e le atmosfere catacombali tanto care al vecchio death metal.
Quand s’abaisse la croix du blasphème risulta così una tranvata niente male, pesante e malata il giusto per non deludere i fans del genere, imprigionati nei più profondi abissi infernali, con le devastanti note di Par-delà les dunes de cadavres e la title track a fungere da mortali catene.

Tracklist
1. Dévorante dégénérescence anthropophage
2. Par-delà les dunes de cadavres
3. Quand s’abaisse la croix du blasphème
4. Organe après organe
5. Hyrreit
6. Le tombeau de l’atrocité

Line-up
Dave – Guitar & Vocals
Benoît – Bass
Mike – Drums

SAVAGE ANNIHILATION – Facebook

Beast In Black – Berserker

Produzione al top, suoni che esplodono dalle casse come fuochi d’artificio in una festa patronale, flavour epico e chorus scolpiti nell’acciaio, il tutto reso sfavillante da chitarre che, se ricordano non poco i Judas Priest, sono accompagnate da ritmiche power di chiara matrice power metal.

Da Battle Beast a Beast In Black il passo è breve, almeno lo è stato per il chitarrista finlandese Anton Kabanen, che, lasciata la band da lui fondata non ha perso tempo e si è buttato a capofitto in questa nuova avventura metallica.

Anche il sound non si discosta troppo da quello della sua precedente band, se non per un maggiore uso di synth e tasti d’avorio che rendono catchy e a tratti pomposo l’heavy/power metal di cui è composto Berserker, debutto ispirato dai manga giapponesi: produzione al top, suoni che esplodono dalle casse come fuochi d’artificio in una festa patronale, flavour epico e chorus scolpiti nell’acciaio, il tutto reso sfavillante da chitarre che, se ricordano non poco i Judas Priest, sono accompagnate da ritmiche power di chiara matrice power metal.
Berserker ha il suo asso nella manica nella prestazione del singer di origine greca Yannis Papadopoulos, un’animale metallico, davvero una figura mitologica metà uomo metà leone, come rappresentato nella copertina che più epica e battagliera di così non si può.
Per chi ama il genere l’album è una goduria metallica dall’inizio alla fine: grandi melodie, grinta heavy e cavalcate power fanno della title track, come di Blind And Frozen o Born Again, brani coinvolgenti e trascinanti e l’impressione di essere al cospetto di un album che, aldilà di frettolosi giudizi e pregiudizi è destinato a fare il botto, si fa sempre più forte all’ascolto della tracklist.
Papadopoulos, da grande singer, alterna urla metalliche a parti melodiche dal grande appeal e i brani si susseguono strappando a tratti applausi, specialmente nelle parti in cui le tastiere fanno il buono ed il cattivo tempo (The Fifth Angel, Crazy Mad Insane).
Si potrebbe parlare di heavy/power metal tra Judas Priest e Firewind, valorizzati da un flavour melodico e sinfonico tra l’hard rock dei Brother Firetribe ed il symphonic metal dei primi Nightwish, così da avere un quadro il più completo possibile di quello che troverete tra lo spartito di Berserker, e direi che non è poco.
Kabanen è ripartito e, da quanto ascoltato, si direbbe piuttosto bene, quindi se amate i generi classici e non disdegnate nel metal l’uso abbondante di melodie, l’album è assolutamente consigliato.

Tracklist
1. Beast In Black
2. Blind And Frozen
3. Blood Of A Lion
4. Born Again
5. Zodd The Immortal
6. The Fifth Angel
7. Crazy, Mad, Insane
8. Eternal Fire
9. End Of The World
10. Ghost In The Rain

Line-up
Yannis Papadopoulos – vocals
Mate Molnar – bass
Sami Hänninen – drums
Kasperi Heikkinen – guitars
Anton Kabanen – guitars, vocals

BEAST IN BLACK – Facebook

Decryption – Gods Fallen

Dalla scena thrash siciliana nasce questa creatura metallica chiamata Decryption, al debutto con Gods Fallen, ep di cinque brani davvero belli che confermano quanto di buono arriva dalle assolate terre della Trinacria.

Dalla scena thrash siciliana nasce questa creatura metallica chiamata Decryption, al debutto con Gods Fallen, ep di cinque brani davvero belli che confermano quanto di buono arriva dalle assolate terre della Trinacria.

La band è formata da vecchie volpi della scena come Angelo Bissanti (Thrash Bombz e Bloodevil) e Carmelo Scozzari (Ancestral) ai quali si sono uniti il bassista Giulio Natalello ed il batterista Mauro Patti.
Gods Fallen, frutto di numerose jam, è stato mixato e masterizzato da Bissanti, chitarrista ma soprattutto cantante di razza alle prese con un thrash metal che, pur mantenendo una leggera impronta classica, viene valorizzato dalle ritmiche groove metal dal piglio più moderno e da chitarre che tanto sanno di death metal melodico.
Ne escono cinque bombe sonore notevoli, con il growl dal piglio death di Bissanti a troneggiare su un pesante metallo estremo che lascia il caldo territorio siciliano e si concede un viaggetto in Scandinavia.
Per semplificarvi la vita, voi che amate le etichette, pensate ad un buon mix tra death metal melodico (Arch Enemy) thrash statunitense (Exodus) e groove metal a dare quell’impronta moderna e personale a brani trascinati e nati per far male in sede live come la title track , che apre l’ep come meglio non potrebbe, The Eye Upon Us sorretta da un riff dannatamente coinvolgente e da un chorus melodico.
Bellissima è anche Set The Evil Free, fulgido esempio di ciò di cui sono capaci i Decryption tra riff mastodontici, solos che sanguinano melodia e la continua ricerca del chorus perfetto.
Ancora i due minuti acustici di Drowning In Fear fanno da preludio alla conclusiva Dust To Dust, primo brano scritto dal quartetto, con un sound che si concede quasi per intero al thrash metal e che mette fine a questi ventitré minuti di metallo incandescente; la band è già al lavoro su nuove composizioni, quindi aspettiamoci a breve di ritrovarci una nuova raccolta di brani battenti bandiera Decryption.

Tracklist
1.Gods Fallen
2.The Eye upon Us
3.Set the Evil Free
4.Drowning in Fear
5.Dust to Dust

Line-up
Angelo Bissanti – Guitars, Vocals
Carmelo Scozzari – Guitars
Mauro patti – Drums
Giulio Natalello – Bass

DECRYPTION – Facebook

Destruction – Thrash Anthems II

Per i vecchi fans Thrash Anthems II è un nuovo modo di ascoltare i vecchi Destruction, per i più giovani invece una raccolta di brani storici ed imperdibili ai quali la band ha dato una nuova veste e che risulta quindi molto appetibile.

E’ indubbio che un’operazione da molti considerata inutile e nostalgica come una raccolta, acquisti un diverso valore se viene valorizzata dall’inserimento di nuovi brani o dal restyling delle tracce più datate, come ormai è di moda in questi ultimi tempi.

C’è da dire che le opere delle icone del metal estremo nati negli anni ottanta, come i Destruction, si portano dietro produzioni deficitarie che ne fanno album ormai inascoltabili, magari pezzi pregiati per collezionisti o intoccabili reliquie per gli amanti dell’old school a prescindere dalla resa sonora.
I Destruction tornano dunque con la seconda parte di Thrash Anthems, dopo i fasti del bellissimo Under Attack licenziato lo scorso anno e la parentesi Panzer, progetto del leader Schmier tornato ultimamente con la bomba metallica Fatal Command.
Questione di punti di vista dunque, ma ascoltare le vecchie registrazioni con un nuovo look sonoro fatto di una sezione ritmica presente ed un suono pieno e cristallino, non può che far gioire gli amanti dell’estetica sonora, a mio avviso importantissima anche nel metal ed ancor di più in quello estremo come il thrash metal teutonico.
E se è vero che gallina vecchia fa buon brodo, con una ripulita ed una messa a punto, questi undici storici brani del gruppo, più la cover di Holiday In Cambogia dei Dead Kennedys, tornano a far male, confermando il momento d’oro del leader Schmier che ultimamente trasforma in oro qualsiasi cosa tocchi.
Ovviamente i fans accaniti del gruppo e del lato più acerbo, ruvido e selvaggio del thrash old school, non dovranno fare altro che ignorare l’uscita e riascoltare le versioni originali pubblicate tra il 1984 ed il 1986 sui vari Sentence Of Death, Infernal Overkill ed Eternal Devastation, anche se a mio avviso si perderebbero un’opera riuscita che onora il primo periodo del gruppo, nobilitando brani devastanti e cattivissimi come Confused Mind, Dissatisfied Existence, Black Death e The Antichrist.
Per i vecchi fans Thrash Anthems II è un nuovo modo di ascoltare i vecchi Destruction, per i più giovani invece una raccolta di brani storici ed imperdibili ai quali la band ha dato una nuova veste e che risulta quindi molto appetibile per tutti.

Tracklist
1.Confused Mind
2.Black Mass
3.Front Beast
4.Dissatisfied Existence
5.United By Hatred
6.The Ritual
7.Black Death
8.The Antichrist
9.Confound Games
10.Rippin’ You Off Blind
11.Satan’s Vengeance

Line-up
Schmier – vocals, bass
Mike – guitar
Vaaver – drums

DESTRUCTION – Facebook

Binary Creed – A Battle Won

A Battle Won è un ottimo esempio di power metal scandinavo dalle venature progressive con cui i Binary Creed costruiscono un muro di metallo, valorizzato da ottime e possenti ritmiche, da una chitarra dallo spirito neoclassico nei solos e da un vocalist che sa come far risplendere le trame create dai suoi compagni.

Chi di musica vive da qualche decennio sa come, anche nel metal e nelle sue ramificazioni, le mode dettino legge così che una band che fino a pochi anni fa risultava cool e di conseguenza meritevole d’attenzione e di recensioni positive, diventa inutile e criticata nel momento in cui il genere suonato non attira più le attenzioni della massa di ascoltatori soggiogati dai media di turno.

E’ successo con il metal classico o per esempio con il grunge, genere che nel periodo di massimo splendore vedeva le recensioni positive di gruppi al primo ed unico album fare bella mostra di sé, per poi finire nell’animato appena poco tempo dopo, tacciate come band obsolete.
Per il power metal sta succedendo la stessa cosa, essendo stato in questi anni surclassato dalle sinfonie gotiche e metalliche e, a parte i grossi nomi non ,valorizzato come una quindicina d’anni fa.
Eppure di album meritevoli se ne continuano ad incontrare girovagando virtualmente per l’underground, come questo a mio avviso bellissimo A Battle Won, secondo lavoro sulla lunga distanza degli svedesi Binary Creed, quintetto che con il power metal scandinavo dalle venature progressive costruisce un muro di metallo valorizzato da ottime e possenti ritmiche, da una chitarra dallo spirito neoclassico nei solos e da un vocalist che sa come far risplendere le trame create dai suoi compagni.
A Battle Won non si può considerare un capolavoro, ma semmai un gradito ritorno al sound che tanto ha fatto impazzire i fans del genere nella seconda metà degli anni novanta, avendo tutte le virtù richieste, come tenere l’ascoltatore legato alla poltrona con assoli tempestosi ma raffinati, buone melodie e cavalcate che si trasformano in bellissimi mid tempo epici e suggestivi di scuola Dio (A Better Man).
Il resto è un susseguirsi di riff e refrain sicuramente già sentiti ma piacevoli, tra Stratovarius, Pyramaze e quel tocco oscuro tipico del filone power progressivo scandinavo alla Morgana Lefay.
Questo è un album che, se fosse uscito sul finire del secolo scorso. avrebbe detto la sua: purtroppo non sono più quei tempi, ma noi di MetalEyes non ne facciamo un problema, buon ascolto.

Tracklist
01. Servants
02. Lurking in the Shadows
03. In a Time to Come
04. The Fallen King
05. The Ones to Bleed
06. Safer Than Now
07. A Better Man
08. Black Storm
09. These Hands
10. Journey Without End

Line-up
Robert Rasmussen Ahlenius – bass
Peter Widding – drums
Stefan Rådlund – guitars
Peo Olofsson – keyboards
Andreas Stoltz – vocals

BINARY CREED – Facebook