Infestus – Dressed Of Darkness

Ep che si spera sia un’anticipazione per l’eventuale full length dei vampiri venezuelani Infestus, gruppo che segue la scia di sangue lasciata da Moonspell e Cradle Of Filth.

Ci inoltriamo in luoghi oscuri e pericolosi con Dressed Of Darkness, promo ep dei gothic metallers venezuelani Infestus, quintetto che succhia sangue nelle notti latine dal 1997, ma che ad oggi ha rilasciato solo un demo prima che questi quattro brani più intro arrivassero a portare virus e morte tra gli umani.

L’ep funziona, così come le atmosfere create dal combo vampirico, oscure, maligne e gotiche, melodiche il giusto per risultare un ottimo ibrido tra gothic, heavy e black metal.
In poche parole le atmosfere delle varie My Mourning Charlotte (davvero bella) e The Shadow Of The Vampire sono riconducibili ai maestri Moonspell, che in passato devono aver abusato dei colli e del sangue dei musicisti sudamericani, visto la devozione nei  loro confronti che si sprigiona dal sound del gruppo; anche i Cradle Of Filth appaiono tra le influenze principali, con qualche attimo di furia black/gothic specialmente nella conclusiva Blood Matriarch, altro brano decisamente riuscito.
Dressed Of Darkness, nel suo seguire perfettamente le gesta musicali dei gruppi citati non delude: le atmosfere sono ben congegnate, l’effetto orrorifico è assicurato e l’ep potrebbe rivelarsi una piacevole sorpresa per le anime notturne devote a dischi fondamentali come Wolfheart e The Principle of Evil Made Flesh.
Un full length degli Infestus potrebbe rappresentare un piacevole ritorno al passato per molti amanti del metal estremo a sfondo horror gotico, nel frattempo accontentiamoci di questo gustoso antipasto.

Tracklist
1. Vampírica
2. My Mournful Charlotte
3. The Shadow Of The Vampire
4. Lobizon
5. Blood Matriarch

Line-up
Raul Garcia – vocals
Felipe Foti – guitars
Hector Perez – guitars
Antonio Gonzales bass
Carlos Azuaje – drums

INFESTUS – Facebook

Radio Moscow – New Beginnings

Tornano dopo tre anni i Radio Moscow e lo fanno con New Beginnings, che conferma il loro valore rafforzandone la solida posizione ai vertici del genere.

Ho ancora negli occhi e soprattutto nelle orecchie la sensazionale performance che i Radio Moscow regalarono agli astanti in quel di Varazze (cittadina rivierasca ligure) nell’estate del 2015 in occasione del Riviera Summer Fest.

Il trio di rockers capitanati dal chitarrista Parker Griggs, musicista eccezionale e songwriter sopra le righe,  prese per mano quelli che ebbero ebbe la fortuna di fermarsi ad ascoltare, per portarli direttamente nel mondo del rock psichedelico e dell’hard rock dai rimandi agli anni settanta.
La mia recensione del bellissimo Magical Dirt non si fece attendere sulle pagine di InYourEyes, mentre il gruppo dell’Iowa continuava a calcare palchi e l’attesa tra il precedente lavoro e questo nuovo album fu inframezzata da Live! In California che immortalava la band sul palco nel corso dello scorso anno.
Tornano quindi dopo tre anni i Radio Moscow e lo fanno con New Beginnings, che conferma il loro valore rafforzandone la solida posizione ai vertici del genere.
La title track ci dà il benvenuto nell’arcobaleno psichedelico che la sei corde di Griggs disegna nel cielo, uno spettacolo di suoni rock, la pura essenza di quello che il genere dall’arrivo sulla terra di Jimi Hendrix ha donato ai suoi seguaci, inebriati di riff e sostanza illegali, trasportati oggi in altre dimensioni dalle atmosfere che i Radio Moscow riescono a creare.
Con chitarra, basso e batteria, niente di più e niente di meno, e la stoffa nel suonare un genere sempre in bilico tra il già sentito ed il capolavoro, i Radio Moscow partiti nel 2003, quando il rock vintage era roba per pochi intimi, continuano la loro missione nel divulgare il verbo psichedelico, sporcato di blues acido, southern e hard rock hendrixiano, mentre i Led Zeppelin e i Black Sabbath prendono a braccetto lo spirito del grande chitarrista e lo lasciano entrare nel corpo indemoniato di Parker Griggs, assoluto dominatore di questo prezioso scrigno di colori, note e forme.
Una jam lunga quaranta minuti, questo in conclusione risulta il nuovo album del gruppo statunitense, una scatola musicale psichedelica da cui estrarre ogni singola nota.

Tracklist
01. New Beginning
02. Deceiver
03. Woodrose Morning
04. Driftin’
05. No One Knows Where They’ve Been
06. Last To Know
07. New Skin
08. Pacing
09. Pick Up The Pieces
10. Dreams

Line-up
Parker Griggs – guitars, vocals
Anthony Meier – bass
Paul Marrone – drums and percussion

RADIO MOSCOW – Facebook

Exhumed – Death Revenge

Copertina old school, atmosfere da horror di serie b e tanto impatto fanno sì che l’album sia un gradito ritorno per il gruppo californiano, in palla e devastante sia nelle ritmiche che nei non pochi solos, con le chitarre torturate dalle mani di Bud Burke e Matt Harvey.

Un’altra band storica della scena death metal mondiale torna con un album di inediti tramite la Relapse, gli Exhumed.

Dopo averci regalato la re-release del primo album (Gore Metal: A Necrospective 1998-2015), uscita un paio di anni fa, il gruppo statunitense torna dunque con un lavoro composto da tracce inedite quattro anni dopo Necrocracy.
Gli Exhumed, pur non trovando mai la notorietà di altri gruppi della scena, suonano metal estremo dai primi anni novanta e i loro primi album erano dei tributi alla loro maggiore influenza, i Carcass dei primi lavori, con Slaughtercult a fare da punto fermo di una discografia immensa tra ep e split album e con otto full length licenziati, compreso questo ottimo Death Revenge.
Matt Harvey e compagni non deludono le attese degli amanti della band, sempre in bilico tra death metal old school e grind e con una forte componente brutal, che si evince in questo ultimo lavoro.
Death Revenge è un album vario, che alterna con maestria e tutta l’esperienza accumulata dai musicisti le varie componenti che formano il mondo del death metal, scaraventando contro un muro a colpi di ripartenze brutali, scariche grind e death metal d’alta scuola.
Copertina old school, atmosfere da horror di serie b e tanto impatto fanno sì che l’album sia un gradito ritorno per il gruppo californiano, in palla e devastante sia nelle ritmiche che nei non pochi solos, con le chitarre torturate dalle mani di Bud Burke e Matt Harvey.
Mike Hamilton e Ross Sewage vanno a costruire un muro ritmico impressionate e vario, mentre Death Revenge non lascia respiro con una serie di mitragliate estreme dal massacro assicurato.
Defenders Of The Graves (un titolo, un programma), Night Work, la sontuosa The Anatomy Act Of 1832, sette minuti di death metal a tratti esaltante, sono i brani cardine di un album riuscito e che dà una nuova giovinezza allo storico gruppo statunitense: consigliarne l’acquisto è il minimo.

Tracklist
1.Death Revenge Overture
2.Defenders of the Grave
3.Lifeless
4.Dead End
5.Night Work
6.Unspeakable
7.Gravemakers of Edinburgh
8.The Harrowing
9.A Funeral Party
10.The Anatomy Act of 1832
11.Incarnadined Hands
12.Death Revenge
13.Death Revenge Underture
14.A Lesson In Violence

Line-up
Bud Burke – lead guitar, vocals
Matt Harvey – vocals, guitar
Mike Hamilton – drums
Ross Sewage, bass, vocals

EXHUMED – Facebook

TDW & Dreamwalkers Inc. – The Antithetic Affiliation

Metal d’autore che ci investe con tutta la sua forza progressiva, tra le trame di brani lunghi ma scorrevolissimi pur nel loro intricato sviluppo.

Il bello del mondo musicale che gira intorno al rock e al metal è che, quando pensi di aver già sentito tutto, arriva l’opera che va a toccare corde che credevi sopite o magari stimolate solo in presenza di musica destinata all’olimpo.

In questo vasto e sorprendente mondo non bisogna mai dare nulla per scontato, quindi ecco che nell’ultimo periodo di questo 2017 che va a concludersi, si presentano uno dietro l’altro lavori di spessore come questo splendida opera progressiva intitolata The Antithetic Affiliation degli olandesi TDW.
La band, nata da un’idea del musicista Tom De Wit e che in sede live prende il nome di Dreamwalker Inc., arriva al settimo album in una quindicina d’anni, un lavoro suddiviso in due cd denominati The Idealist e The Cynic.
Ottanta minuti circa di musica progressive non lasciano dubbi sul talento del musicista olandese e della sua band, aiutato da una serie di ospiti della scena internazionale tra cui il nostro Tommy Talamanca, mente dei fondamentali Sadist, qui alle prese con un solo in Lest We Forget, brano conclusivo della seconda parte.
Anche se non viene nominato sul promo in nostro possesso, Aryen Lucassen e le ultime opere di Ayreon sono il più facile dei confronti con questo mastodontico lavoro, che non lascia spazio alla noia e ci investe con una serie di cambi d’atmosfera che rendono la proposta dei TDW varia e perfettamente in grado di confrontarsi con le icone del progressive dai rimandi metallici e rock, tradizionali, ma aperti a soluzioni anche estreme pur di non lasciare indifferenti gli ascoltatori e, non a cas,o è proprio Lest We Forget a ergersi a sunto compositivo dell’album con i suoi venti minuti abbondanti di durata.
Metal d’autore quindi, una musica totale che ci investe con tutta la sua forza progressiva, tra le trame di brani lunghi ma scorrevolissimi pur ne loro intricato sviluppo (The More We Remember, le due parti di Monolith): ovviamente in un’opera del genere le influenze ed i passaggi più significativi vedono la presenza occulta di nomi storici del genere, passando dai Pink Floyd ai Dream Theater, dai Green Carnation ai Pain Of Salvation con una facilità disarmante.
The Antithetic Affiliation è un altro album che si giocherà il podio tra le migliori uscite dell’anno e noi non possiamo fare nulla di diverso se non raccomandarne l’ascolto.

Tracklist – The Idealist
1.The More We Remember
2.Anthem
3.Lovesong
4.Monolith – The Ascent

Tracklist – The Cynic
1.Monolith – The Descent
2.Aphrodisia
3.Dirge
4.Lest We Forget

Line-up
Tom de Wit – Vocals, Synths, Guitars
Lennert Kemper – Guitars, Vocals
Vincent Reuling – Synths, Vocals
Hanna van Gorcum – Violins, Treble Vielle, Vocals
Norbert Veenbrink – Guitars
Joey Klerkx – Guitars, Vocals
Peter den Bakker – Bass
Kenneth Martens – Drums

Cailyn Erlandsson – Lead Vocals on Dirge
Radina Dimcheva – Lead Vocals on Aphrodisia & The More We Remember
Martine Mussies – Cello on Dirge & Aphrodisia
Dave Mola – Guitar solos on Aphrodisia
Sophie Zaaijer – Violins & Viola on Anthem
Sascha Blach – Demonic Vocals on Lest We Forget
Tommy Talamanca – Guitar Solos on Lest We Forget
Mendel bij de Leij – Guitar Solos on Lest We Forget
Frank Schiphorst – Guitar Solos on Lest We Forget
Thomas Cochrane – Trumpet & Trombone on Lest We Forget
Nienke van der Kamp – Oboe on Lest We Forget & The More We Remember
Bob Wijtsma – Guitar Solos on The More We Remember

TDW – Facebook

Zornheym – Where Hatred Dwells And Darkness Reigns

L’oscurità, l’insanità mentale, l’orrore che diviene un’esperienza traumatica dietro le terribili sbarre di una cella, una gabbia asettica che aliena la mente già posseduta dal demone della pazzia: tradotto in musica il tutto si sviluppa in un black metal sinfonico atmosferico, annichilente, avvincente ed orchestrato a meraviglia.

L’oscurità, l’insanità mentale, l’orrore che diviene un’esperienza traumatica dietro le terribili sbarre di una cella, una gabbia asettica che aliena la mente già posseduta dal demone della pazzia: tradotto in musica il tutto si sviluppa in un black metal sinfonico atmosferico, annichilente, avvincente ed orchestrato a meraviglia da Zorn e i suoi Zornheym.

Where Hatred Dwells And Darkness Reigns è un debutto, licenziato dalla Non Serviam Records che, legate le cinghie alla sedia, vi trascinerà nel reparto psichiatrico più diabolico del mondo, dove i demoni si nutrono della sanità mentale degli uomini per poi scaraventarli in un incubo eterno.
Visioni infernali, aberrazioni umane raccontate con l’ausilio di orchestrazioni sinistre, che si alleano con dosi violentissime di metallo estremo, black metal scandinavo devastante e melodico, dalle sfumature classiche (specialmente nei solos) e dalle voci che passano da pulite allo scream, sottolineando disperazione ed estrema pazzia.
Aiutati da Sverker Widgren (Demonical, Diabolical, October Tide), protagonista di un ottimo lavoro alla console, il quintetto svedese ci regala una quarantina di minuti rinchiusi in questo mondo parallelo dove da anni sono rinchiusi aberranti figure ormai prive di umanità e totalmente corrotte dalla malattia, mentre la musica vola per poi inabissarsi nelle pozze di sangue lasciate da vene strappate con le unghie e con i denti sotto il bombardamento di brani come l’opener The Opposed, la devastante The Silent God, la terrificante Trifecta Of Horrors e la conclusiva, spettacolare Hestia.
Per gli amanti dei suoni estremi dalle suggestive trame orchestrali, in linea con quanto già espresso dagli ultimi Dimmu Borgir , Where Hatred Dwells And Darkness Reigns è un lavoro assolutamente consigliato.

Tracklist
1. The Opposed
2. Subjugation Of The Cellist
3. A Silent God
4. Prologue To A Hypnosis
5. Trifecta Of Horrors
6. And The Darkness Came Swiftly
7. Whom The Nights Brings
8. Decessit Vita Patris
9. Hestia

Line-up
Bendler – Vocals
Zorn – Lead Guitars
Scucca – Guitars
Angst – Drums
TBA – Bass

ZORNHEYM – Facebook

Giacomo Voli – Prigionieri Liberi

Con un sound raffinato ed elegante come ci ha abituato in tutte le opere che lo hanno visto protagonista, Giacomo Voli si dimostra talento sopraffino anche tra le note più leggere di Prigionieri Liberi.

Nuova proposta solista del talentuoso Giacomo Voli, con un passato a cantare una buona fetta della storia del rock, una fortunata apparizione a The Voice Of Italy nel 2014 dove ha ottenuto il secondo posto e, soprattutto, le ottime prove con i Teodasia ed i Rhapsody Of Fire.

Voli non si annoia di certo e continua a cantare metal o, come in questo caso rock, con il suo secondo lavoro solista, dopo l’ottimo Ancora Nell’Ombra uscito un paio di anni fa.
Questo nuovo album intitolato Prigionieri Liberi lo ha visto collaborare con Daniela Ridolfi per la scrittura dei testi, mentre l’opera è stata finanziata grazie a MusicRider.
Cantato in lingua madre e suonato da una manciata di musicisti del panorama metal/rock nazionale, Prigionieri Liberi conferma il talento del cantante nostrano, soprattutto con il rock melodico, comunque pregno di soluzioni metalliche negli arrangiamenti chitarristici, tra rabbia ed una via di fuga dalla prigionia, mentre si fa spasmodica la ricerca della felicità, espressa da brani emozionanti ed interpretati con trasporto da un Voli che, a tratti, lasciati i panni del vocalist metal, si trasforma nel Francesco Renga dei primi Timoria, specialmente nelle due bellissime canzoni Non Ci Pensi Mai e Il Libro Dell’Aassenza.
In Prigionieri Liberi troviamo rock italiano, musica d’autore che si nutre di melodie così come dell’elettricità di frustate hard rock, con il vocalist che, accompagnato da preparatissimi musicisti, sfoggia una performance splendida, con vette emotive davvero alte, come nella bellissima cover di Ti Sento dei Matia Bazar.
Con un sound raffinato ed elegante come ci ha abituato in tutte le opere che lo hanno visto protagonista, Giacomo Voli si dimostra talento sopraffino anche tra le note più leggere di Prigionieri Liberi.

Tracklist
1.Esasperante
2.Segni di Tregua
3.Non ci Pensi Mai
4.L’Ultimo Frame
5.Prigionieri Liberi
6.Templi Moderni
7.Ti Sento
8.Il Libro dell’Assenza

Line-up
Giacomo Voli – Voce, cori, composizione e arrangiamenti, produttore.
Riccardo Bacchi – Chitarre
Federico Festa – Basso
Demis Castellari – Batteria
Mattia Rubizzi – Elettronica e tastiere
Daniela Ridolfi – Testi

GIACOMO VOLI – Facebook

Tankard – Schwarz-Weiß wie Schnee (Eagles & Tankards)

Dichiarazione d’amore per il football ed in particolare per l’Eintracht Frankfurt Club da parte degli storici Tankard, qui in veste di super tifosi.

Football e metal: due passioni molte volte comuni nella vita di una persona, completamente rapita dalla musica per tutta la settimana per poi trasformarsi in un tifoso sfegatato nel fine settimana.

In Italia, Regno Unito, Spagna e Germania, ma ormai in tutta la vecchia Europa, la passione per il calcio, grazie anche ai canali satellitari e alle nuove regole delle coppe europee, hanno avvicinato i tifosi anche ai campionati fuori dai confini nazionali, con i nomi delle squadre e le loro vicissitudini che sono diventate famigliari, tanto da parlarne in egual misura alle vicende del proprio campionato.
Con gli storici thrashers tedeschi Tankard, freschi di uscita del nuovo album da noi puntualmente recensito e con la title track (One Foot In The Grave) che fa bella mostra di sé anche in questo ep, si diventa tifosi dell’Eintracht Frankfurt Club, storica compagine da sempre protagonista dei campionati professionistici tedeschi e delle coppe europee.
Schwarz-Weiß wie Schnee è una nuova versione dell’ep uscito nel 2006 ed inno della squadra che Gerre e compagni hanno avuto l’onore di suonare prima del calcio d’inizio della finale di coppa contro il Borussia Dortmund, all’Olympic Stadium di Berlino.
Un inno che profuma di pub prima e dopo la partita il sabato pomeriggio, epica dichiarazione d’amore metallica alla squadra del cuore.
Nell’ep è inserita la vecchia versione oltre alla title track del nuovo lavoro, lasciando che (Empty) Tankard, nella versione live del 2016, ci dia l’appuntamento per una nuova release targata Tankard.
Un ep simpatico, ma chiaramente dedicato ai fans della band e della loro squadra del cuore, anche se il video è da pelle d’oca e consigliato a tutti gli appassionati che nel weekend riempono le gradinate degli stadi di tutto il vecchio continente.

Tracklist
1. Schwarz-weiß wie Schnee (Studioversion 2017)
2. Forza SGE
3. Schwarz-weiß wie Schnee (1999er Version)
4. One Foot in The Grave
5. A Girl Called Cerveza
6. (Empty) Tankard (live, 2016)

Line-up
Gerre – Vocals
Andy Gutjahr – Guitars
Frank Thorwarth – Bass
Olaf Zissel – Drums

TANKARD – Facebook

Ariadna Project – Novus Mundus

Un album che conferma come le terre del Sudamerica siano ricche di talenti ed ottima musica metal, continuando una tradizione nei suoni classici che dura e prosegue nel regalare enormi soddisfazioni a chi ama il metal più melodico ed elegante.

Grande musica metal si è suonata e si continua a suonare in Sudamerica, ma questa volta invece del quasi scontato Brasile (specialmente per quanto riguarda i suoni classici) si vola in Argentina, dove sono tornati a produrre musica dopo dieci anni dall’ultimo lavoro gli immensi Ariadna Project, gruppo magari poco conosciuto se non si è cultori attenti del power metal melodico.

La band ha ampiamente dimostrato in passato il proprio talento con la versione internazionale del primo album Mundos Paralelos, uscito nel 2005 e poi trasformato in Parallel Worlds due anni dopo.
Il quintetto argentino torna tramite la sempre più efficace label greca Sleaszy Rider, con questa monumentale opera dal titolo Novus Mundus, un arcobaleno di note heavy power sinfoniche dalle gustose melodie aor mixato da Timo Tolkki (Stratovarius) e Santtu Lehtiniemi (Revolution Renaissance) ai Tolkki Studio in quel di Helsinki e masterizzato da Svante Forsbäck (Rammstein, Apocalyptica, Stratovarius, Sonata Arctica) ai Chartmakers Studios, sempre nella capitale finlandese.
L’album vive di una naturale predisposizione per la melodia, dimostrandosi vincente in ogni frangente, con un’alternanza di brani power/prog eccezionali ed altri in cui l’hard rock melodico prende la mano ai musicisti, con il vocalist Emanuel Gerban che ci delizia con parentesi da arena rock a dir poco entusiasmanti.
Un piccolo capolavoro questo Novus Mundus, molto più Royal Hunt che Stratovarius (tanto per intenderci) ma dove non mancano neppure la grinta, i solos graffianti e le ritmiche che risultano cavalcate in cui le tastiere ricamano sinfonie eleganti ed il singer intona chorus che si stampano in testa al primo ascolto.
Anche se riesce davvero difficile lasciare indietro qualche brano, sicuramente vanno citate la spettacolare ed oscura title track (l’unica traccia atmosfericamente ombrosa del lotto), e poi la cavalcata power sinfonica Unleash Your Fire che apre l’album, le melodie aor di Run Like The Wind e la spettacolare The End Of The Dark, ottimi esempi del fastoso sound del gruppo di Buenos Aires, ma sono sicuro che tra un paio di giorni ne nominerei un altra manciata, talmente alta è la qualità di questo lavoro.
Un album che conferma come le terre del Sudamerica siano ricche di talenti ed ottima musica metal, continuando una tradizione nei suoni classici che dura e prosegue nel regalare enormi soddisfazioni a chi ama il metal più melodico ed elegante.

TRACKLIST
1.Apocalypse 050
2. Unleash Your Fire
3. Run Like The Wind
4. Face My Destiny
5. The End Of The Dark
6. Shining Through Eternity
7. Age Gone Wild
8. Always With Me
9. As I Close My Eyes
10. The Fury Of Your Hate
11. Novus Mundus
12. Dreams Never Die (bonus track)

LINE-UP
Emanuel Gerbam – Vocals
Rodrigo Gudina – Guitars
Alexis Espinosa – Bass
Jorge Perini – Drums
Hernan Vasallo – Keyboards

ARIADNA PROJECT – Facebook

Waterdrop – Waterdrop ep

I brani sono piacevoli e hanno un tocco raffinato che induce a pensare di essere al cospetto di musicisti giovani ma attenti a quello che è successo nel rock da un trentina d’anni a questa parte.

Partiamo da un considerazione importante, che poi è il fulcro e giudizio di questo articolo: il primo ep omonimo dei Waterdrop è un bel lavoro, curato nei minimi dettagli, con un copertina bellissima e composto da sei brani alternative rock che guardano al passato ma rappresentano il presente con uno sguardo al futuro per questi giovani musicisti in arrivo dalla provincia di Brescia.

Il quartetto lombardo, che nel frattempo ha sostituito il cantante Nicola Bergamo con Claudio Trinca, si diletta in un rock alternativo smosso da fremiti elettrici e da liquidi tappeti elettronici, due facce della stessa medaglia o per meglio dire della stessa anima, oscura ma aperta alla speranza, elegantemente tragica nel suo alternare chitarre pregne di sofferte sfumature moderne ed appunto alternative, senza mai dare l’impressione di andare oltre, mantenendo la parte elettronica e l’aspetto melodico in bella mostra.
I brani sono piacevoli e hanno un tocco raffinato che induce a pensare di essere al cospetto di musicisti giovani ma attenti a quello che è successo nel rock da un trentina d’anni a questa parte, con la new wave parte integrante del sound di Triumph e Insane (i primi due singoli) ma soprattutto delle notevoli My Addiction e Chemistry, appunto un buon mix di new wave e alternative rock alla Linkin Park.
Un buon inizio per il gruppo bresciano, è presto per dire dove potranno arrivare ma la strada è quella giusta anche se impervia.

Tracklist
1. Drift Away
2. My Addiction
3. Triumph
4. What’s Meant To Be
5. Chemistry
6. Insane

Line-up
Nicola Bergamo – Vocals
Alessandro Bussi – Guitar
Nicolas Pelleri – Bass
Francesco Bassi – Drums

WATERDROP – Facebook

The Quartet OF Woah! – The Quartet Of Woah!

Un album intenso e affascinante, un viaggio psichedelico attraverso i generi che più hanno valorizzato il rock degli ultimi decenni concentrato in quattro lunghe jam.

Ecco un altro album per cui vale la pena spendere gran parte del proprio tempo libero per una webzine come la nostra: il classico lavoro della band sconosciuta, in arrivo da un paese ai confini delle mappe del music business eppure talmente affascinante da non passare inosservato, almeno per chi della musica underground ne fa una questione di stimoli.

Perché è chiaro che in queste quattro jam stoner/psichedeliche targate The Quartet Of Woah! c’è tanta musica da riempire un’enciclopedia: stonata, psichedelica, alternativa e profonda come un trip con il quale veniamo scaraventati in un deserto pinkfloydiano dove David Gilmour presta il suo talento ai Kyuss per poi darsi appuntamento al calar delle tenebre con mezza Seattle, oppure scagliati nella metà degli anni novanta quando i Trouble arricchivano il loro doom metal di hard rock e i Tea Party ci avvolgevano nelle trame del loro capolavoro The Edges Of Twilight.
Attiva dal 2010 e con il debutto Ultrabomb uscito ormai cinque anni fa, la band di Lisbona porta lo stoner rock ad un livello altissimo, adulto, maturo e dannatamente drogato di psichedelia progressiva molto anni settanta, mentre il poker di brani ci avvicina ai confini di un abisso che comunica direttamente con il centro della Terra.
In fondo The Quartet Of Woah! è un album assolutamente terrestre, con la sabbia calda del deserto che arroventa i piedi, con i passi che si fanno lenti e strascicati seguendo il lento incedere, prima che il sound esploda in fuochi stoner/alternative come in Forth By Light o A Flock Of Leaves.
Le ritmiche funky rock di Days Of Wrath farebbero impallidire il Flea di turno, in un delirio di hard rock progressivo e stonerizzato, lungo tredici minuti: un mezzo capolavoro.
Un album intenso e affascinante, un viaggio psichedelico attraverso i generi che più hanno valorizzato il rock degli ultimi decenni concentrati in queste quattro lunghe e dopate jam.

Tracklist
1.As In Life
2.Forth By Light
3.A Flock Of Leaves
4.Days Of Wrath

Line-up
Gonçalo Kotowicz – vocals, guitars
Rui Guerra – vocals, keyboards
Miguel Costa – vocals, drums
André Gonçalves – vocals, bass

THE QUARTET OF WOAH – Facebook

Caligula’s Horse – In Contact

Licenziato da Inside Out, una garanzia nei suoni progressivi, In Contact risulta un album con più luci che ombre ma con diversi dettagli da registrare per la band australiana, che a mio parere ha da fare ancora un po’ di strada prima di arrivare ad ambire ad un posto al sole nel panorama progressivo odierno.

Questa volta non posso esimermi da fare una considerazione per alcuni antipatica: il progressive moderno, che poi in molti casi non è altro che rock/metal alternativo dilatato e con soluzioni ritmiche prese in prestito dal tanto vituperato prog metal (alla Dream Theater, per intenderci) che ormai si può tranquillamente definire classico, sta arrivando ad un punto di non ritorno.

Mentre viene sempre più accettato nell’ambiente del prog che conta, le band che veramente fanno la differenza si contano sulle dita di una mano: il resto è buona musica, a tratti intimista e lasciata in balia delle tempeste alternative.
Gli australiani Caligula’s Horse si posizionano perfettamente tra le realtà che ambiscono ad un posto di primo piano nel nuovo progressive mondiale e quelle che rischiano inevitabilmente di cadere in uno stagno da dove rimane difficile riemergere, musicalmente e concettualmente parlando.
Attivi da ormai sette anni, i nostri arrivano al traguardo del quarto album con In Contact, un lavoro che come si diceva rimane incastrato tra il progressive moderno ed il metal, un palazzo di note che crolla ed imprigiona il sound in schemi ormai abusati da gruppi più o meno noti e giunti alla ribalta negli ultimi tempi.
Grande preparazione strumentale, ghirigori ritmici, qualche buona idea ma un sentore di già sentito pervade l’ascolto già dalle prime note dell’opener Dream the Dead.
Non fraintendetemi, In Contact è un buon lavoro e non mancherà di trovare estimatori negli amanti del rock progressivo e di band come Karnivool e Tesseract, però manca l’ispirazione vincente, quella che porterebbe a giudicare con più entusiasmo brani già di per sé buoni come Songs For No One, Fill My Heart o la conclusiva suite Graves.
Licenziato da Inside Out, una garanzia nei suoni progressivi, In Contact risulta un album con più luci che ombre ma con diversi dettagli da registrare per la band australiana, che a mio parere ha da fare ancora un po’ di strada prima di arrivare ad ambire ad un posto al sole nel panorama progressivo odierno.

Tracklist
01. Dream the Dead
02. Will’s Song (Let the Colours Run)
03. The Hands are the Hardest
04. Love Conquers All
05. Songs for No One
06. Capulet
07. Fill My Heart
08. Inertia and the Weapon of the Wall
09. The Cannon’s Mouth
10. Graves

Line-up
Jim Grey – lead vocals
Sam Vallen – lead guitar
Adrian Goleby – guitar
Dave Couper – bass & vocals
Josh Griffin – drums

CALIGULA’S HORSE – Facebook

Wait Hell In Pain – Wrong Desire

Un lavoro riuscito e personale, che prende forza da più generi per trovare il suo equilibrio in un metal moderno e progressivo, senza rinunciare a sfumature estreme come il tema trattato: Wrong Desire è tutto questo, e non è poco.

Torniamo a parlare della Revalve Records, label sempre attenta alle realtà rock e metal che si aggirano sul nostro territorio, in occasione dell’uscita del debutto sulla lunga distanza dei Wait Hell In Pain, quintetto proveniente dalla capitale attivo da una manciata d’anni.

E’ infatti il 2011 l’anno di nascita del gruppo da un’idea della coppia di musicisti formata dal chitarrista Stefano Prejanò e della cantante Kate Sale.
I soliti avvicendamenti nella line up, che attanagliano molte band agli inizi, portano all’attuale formazione ed alla creazione di Wrong Desire, album scritto nel 2016 ed ora sul mercato a portare un po’ di freschezza a quello che di fatto è un buon esempio di metallo progressivo, moderno e contaminato da sfumature alternative e hard & heavy.
Incentrato su tematiche forti come l’abuso e la violenza sulle donne (anche dal lato psicologico), Wrong Desire risulta un album duro, pressante ma splendidamente melodico, dove hard rock, dark e prog metal si uniscono per donare alla protagonista May la forza di liberarsi dal suo aguzzino, mentre le chitarre sono corde che si strappano dai polsi, le tastiere tessono ricami progressivi o tappeti elettronici (la parte più moderna del sound) e la sezione ritmica lavora di potenza mantenendo il lavoro, nel suo complesso, entro i confini del metal.
Kate Sale, senza prendere strade liriche, interpreta i brani con trasporto, graffia quandoi testi descrivono scenari di ribellione, tragici momenti di un’anima tormentata, mentre la musica racconta a modo suo le vicende (anche interiori) della protagonista.
Metal che si fa alternativo e melodico per poi esplodere in rabbiose ripartenze dove i tasti d’avorio fanno da struttura moderna al gran lavoro di chitarra, basso e batteria: questo è  il sound di cui è composto Wrong Desire e le sue nove tracce, tra le quali l’opener Behind The Mask è il singolo in cui le caratteristiche peculiari della musica dei Wait Hell In Pain sono in bella mostra, mentre New Moon è il momento più intenso e She Wolf quello della consapevolezza di non essere più preda, ma splendida predatrice.
Un lavoro riuscito e personale, che prende forza da più generi per trovare il suo equilibrio in un metal moderno e progressivo, senza rinunciare a sfumature estreme come il tema trattato: Wrong Desire è tutto questo, e non è poco.
Tracklist
1.Behind The Mask
2.Castaway
3.Get It Out
4.Lost In Silence
5.New Moon
6.Rain Of May
7.She Wolf
8.The Confession
9.The Last Trip

Line-up
Kate Sale – vocals
Stefano Prejano’ – guitar
Marco “Vonkreutz” Novello – keyboards
Alfonso Pascarella – bass
Stefano “Black” Rossi – drums

WAIT HELL IN PAIN – Facebook

Air Raid – Across The Line

La produzione rende giustizia alla musica creata dal gruppo ed Across The Line può sicuramente trovare il suo spazio nelle discografie dei metallari dai gusti classici e tradizionali.

Heavy metal classico di scuola scandinava è quello che ci propongono gli Air Raid, quintetto svedese proveniente dalla capitale e attivo dal 2009.

Across The Line è il terzo lavoro sulla lunga distanza licenziato dal gruppo capitanato dal chitarrista Andreas Johansson, dopo un primo ep e due album, usciti rispettivamente nel 2012 e nel 2014, che confermano la bravura degli Air Raid nel riproporre una formula collaudatissima in auge negli anni ottanta e poi vissuta nell’ombra negli anni successivi, cullata e valorizzata nelle terre scandinave ed in Giappone.
Hard & heavy quindi, ritmicamente graffiante, sostenuto da chitarre affilate come rasoi, in poche parole la glorificazione del semplice ma sempre piacevole genere nella sua veste old school, tra tradizione britannica e statunitense che in Svezia hanno fatto loro accentuando quel tocco neoclassico apparentemente nascosto tra riff e solos.
Il songwriting di Across The Line, pur non toccando vette clamorose, risulta di ottima qualità, così che l’album vola spedito tra i cieli in tempesta, alternando buone ritmiche e canzoni dai chorus accattivanti a forme metalliche più vicine all’heavy epico e neoclassicom come la doppietta Entering The Zone Zero, strumentale dai rimandi malmsteeniani, e Hell And Back, canzone dura come l’acciaio ed inno metallico di questo lavoro.
Il gruppo convince e consegna agli amanti del genere un piccolo gioiellino, magari fuori dai normali ascolti anche in campo classico, ma sicuramente appagante per chi ha un minimo di confidenza con queste sonorità.
La produzione rende giustizia alla musica creata dal gruppo ed Across The Line può sicuramente trovare il suo spazio nelle discografie dei metallari dai gusti classici e tradizionali.

Tracklist
1. Hold The Flame
2. Line Of Danger
3. Aiming For The Sky
4. Cold As Ice
5. Entering The Zone Zero
6. Hell And Back
7. Northern Light
8. Raid Or Die
9. Black Dawn

Line-up
Fredrik Werner – vocals
Andreas Johansson – guitars
Magnus Mild – guitars
Robin Utbult – bass
David Hermansson – drums

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Drastic Solution – Thrash ‘Till Death

Questi sono i Drastic Solution e questo è Thrash ‘Till Death, un concentrato di thrash old school da barricate, una violenta raffica di brani che dal vivo attaccano al muro o spezzano ossa in mosh sfrenati.

Eccoci ancora una volta a parlare di thrash metal, oggi più che mai suonato come se non ci fosse un domani sul suolo nazionale e precisamente in Puglia, terra di provenienza dei Drastic Solution.

Siamo alla seconda prova del trio che si aggira a far danni nella provincia di Taranto da cinque anni e che da almeno tre non dava più notizie. discograficamente parlando, all’indomani dell’uscita del loro debutto Thrashers.
L’album aveva ottenuto ottimi riscontri tra le webzine di settore e gli appassionati per il sound che contraddistingueva mezzora di musica veloce, dall’impatto devastante e senza compromessi, con cui la band aveva dato il via alla sua carriera discografica, ora confermata da questo ritorno dal titolo Thrash ‘Till Death.
Thrash metal che si potenzia con accenni hardcore, una buona padronanza dei mezzi e un’attitudine che si avvicina all’urgenza musicale e all’attacco frontale di gruppi come S.O.D. e Municipal Waste, il tutto concentrato in un minutaggio appena più ampio ma sempre da ingurgitare in un sol boccone, o da buttare giù come un bicchierino di acquavite dai gradi vicini alla terza cifra.
Questi sono i Drastic Solution e questo è Thrash ‘Till Death, un concentrato di thrash old school da barricate, una violenta raffica di brani che dal vivo attaccano al muro o spezzano ossa in mosh sfrenati.
L’album corre veloce e inarrestabile, non ci sono pause di sorta e i brani passano davanti a noi come treni impazziti, mentre Marco “Big Jerk” Lecce (voce e basso), Piero Greco (chitarra) e Patrizio Panariti (batteria), sbattono sul tavolo tutte le carte in loro possesso (immancabile qualche riferimento agli Slayer) per non lasciarci vie di scampo- Thrash metal rules!

Tracklist
1.Fucked By….
2.Extreme Probleme Extreme Solution
3.Taste Of Blood
4.Full Metal Cock
5.Thrash ‘Till death
6.Killing
7.T.O.J.I.F.Y.M.A.
8.Adelphiliac
9.Infamous Bastrd
10.Stronger

Line-up
Marco ” Big Jerk ” Lecce – Vocals and Bass
Piero Greco – Guitars
Patrizio Panariti – Drums

DRASTIC SOLUTION – Facebook

Gutslit – Amputheatre

Amputheatre sta tutto qui, nel suo essere un buon esempio di musica brutale e senza compromessi, un massacro che non concede tregua con il growl malvagio di un boia che tortura sadicamente le proprie vittime fino alla morte.

Che una società come quella indiana lasci spazio alla brutalità è un dato di fatto, con milioni di persone racchiuse in gigantesche metropoli dove la vita vale meno di zero, le malattie decimano gran parte della popolazione e la violenza molte volte degenera.

Film e musica spesso raccontano fantasie mentre la realtà è ancora più terrificante e a noi amanti dell’horror e del gore non rimane che ignorare le solite prese di posizione del benpensanti, infastiditi da una copertina o dalla brutalità della musica, ma totalmente indifferenti a quello che accade ai propri simili in molti luoghi del mondo.
Questo brutal death metal proveniente da Mumbai, la metropoli più pericolosa del mondo, non può che convincere gli amanti del genere, rivelandosi dannatamente coinvolgente, devastante e deliziosamente gore.
Loro sono i Gutslit, quartetto nato una decina di anni fa e arrivato al secondo album, licenziato dalla Transcending Obscurity dopo uno split ed un primo lavoro intitolato Skewered in the Sewer.
Impatto a iosa, blast beat e velocità a manetta per un sound che poggia le sue radici nella storia del genere, non rinunciando alle caratteristiche peculiari tanto amate dai fans del death metal più estremo.
Amputheatre sta tutto qui, nel suo essere un buon esempio di musica brutale e senza compromessi, un massacro che non concede tregua con il growl malvagio di un boia che tortura sadicamente le proprie vittime fino alla morte, che per i poveri malcapitati risulta una liberazione.
Mezz’ora scarsa che non conosce il minimo cedimento, consigliato senza riserve a chi fa del brutal e delle sue band un ascolto abituale.

Tracklist
1.Amputheatre
2.Brazen Bull
3.From One Ear to Another
4.Necktie Party
5.Blood Eagle
6.Brodequin
7.Maraschino Eyeballs
8.Scaphism
9.Death Hammer

Line-up
Gurdip Singh Narang – Bass
Aaron Pinto – Drums
Prateek Rajagopal – Guitars
Kaushal LS – Vocals

GUTSLIT – Facebook

Apophis – Under A Godless Moon

Cibich, al contrario di molti suoi colleghi, non si incarta in inutili giochini tecnici ma punta tutto sulle emozioni che la sua musica elargisce a piene mani, confermandosi figlio di una generazione di musicisti che con le loro opere stanno regalando nuova linfa ai lavori strumentali.

Apophis è il dio serpente, divinità che incarna il male e le tenebre nelle credenze dell’antico Egitto, terra e popolo che con divinità poco raccomandabili avevano a che fare abitualmente.

Portatori di guerre, pestilenze e terribili maledizioni, gli dei egizi sono stati ampiamente menzionati nell’ormai lunga storia del metal con gruppi che ci hanno scritto un’intera discografia, un solo album o semplicemente si sono ispirati per il monicker.
Gli Apophis di cui vi parliamo sono australiani, una one man band di cui si conosce pochissimo se non il nome del polistrumentista autore di questo piccolo gioiello estremo, Aidan Cibich che, oltre a suonare tutti gli strumenti si è prodotto, masterizzato e mixato l’intero album, intitolato Under A Godless Moon.
Presentato come un’opera melodic death metal con atmosferiche parti doom, l’album risulta interamente strumentale, suonato e prodotto benissimo e composto da un lotto di brani che, se al doom schiacciano l’occhiolino in pochissime occasioni, ci travolgono con una serie tempeste sonore estreme, dove la sei corde è assoluta protagonista, meravigliosa compagna del musicista australiano che da par suo la fa suonare e cantare come una sirena persa nelle acque del Nilo.
Poche atmosfere, dunque, e tanto death metal melodico, squisitamente thrash in qualche passaggio ma debitore della scena scandinava e il pensiero non può che andare al nostro Hitwood, progetto death strumentale del polistrumentista italiano Antonio Boccellari a cui Cibich si avvicina non poco, mantenendo solo un approccio più estremo ed oscuro.
Un paio sono i brani atmosferici (Chaos Under Cimmerian Skies e Ad Absolutum Finem), il resto è un ottimo e alquanto tempestoso melodic death che trova la sua naturale valorizzazione strumentale tra le trame di tracce davvero belle come Watchtowers Of Anubis, la title track e The Kinslayer, anche se l’album merita di essere apprezzato nella sua interezza.
Cibich, al contrario di molti suoi colleghi, non si incarta in inutili giochini tecnici ma punta tutto sulle emozioni che la sua musica elargisce a piene mani, confermandosi figlio di una generazione di musicisti che con le loro opere stanno regalando nuova linfa ai lavori strumentali.

Tracklist
1.Chaos Under Cimmerian Skies
2.Cyclopean Rage
3.Monarchs Throne
4.The Kinslayer
5.Fountains Of Crimson
6.Ad Absolutum Finem
7.Empyreal
8.Watchtowers Of Anubis
9.Firestorm Of Luna
10.Under A Godless Moon

Line-up
Aidan Cibich

APOPHIS – Facebook

Ace Frehley – Anomaly-Deluxe

Il Frehley solista non si discosta poi granché dal sound dei Kiss, se non per una più marcata vena heavy, spostando il sound dal rock’n’roll ipervitaminizzato e melodico del gruppo mascherato ad sound più duro e diretto, crudo ed americano fino al midollo.

Qui si fa la storia dell’hard rock americano,  perché potremmo metterci a discutere per giorni su quanto possano piacere i Kiss, ma è indubbio che i volti mascherati più famosi del rock abbiano avuto un’importanza assoluta sul rock duro mondiale.

Il loro più famoso chitarrista solista, membro originale con la maschera dello Spaceman e sul palco con la band fino al 1981, all’uscita del controverso Music From The Elder, e poi tornato nel gruppo nella seconda metà degli anni novanta in tempo per registrare con i suoi vecchi compagni il bellissimo Kiss Unplugged ed il dignitoso Psycho Circus, ha avuto una carriera in proprio di tutto rispetto con l’esperienza Frehley’s Comet, durata solo un paio d’anni e tre album, un’infinità di collaborazioni in veste di ospite e otto uscite a nome Ace Frehley tra le quali questo ottimo Anomaly risulta il quinto album di inediti, uscito originariamente nel 2009.
Anomaly Deluxe esce rimasterizzato e con l’aggiunta di tre bonus track tra cui due brani (Hard For Me e Pain In The Neck) scritti per i Kiss e mai pubblicati.
Il Frehley solista non si discosta poi granché dal sound dei Kiss, se non per una più marcata vena heavy, spostando il sound dal rock’n’roll ipervitaminizzato e melodico del gruppo mascherato ad sound più duro e diretto, crudo ed americano fino al midollo.
Continuando sulla strada del paragone con la band madre direi che Anomaly (non me ne voglia il buon Ace) si avvicina di più al periodo senza maschere di Simmons e Stanley, inserendo nel sound di brani come Outer Space, Too Many Faces o Sister quegli elementi ritmici grassi tipici del rock poi sviluppatosi negli anni novanta.
Il rock’n’roll è ben rappresentato dall’irresistibile verve di Fox The Run (il brano più Kiss oriented di tutto l’album), mentre la voce di Ace risulta vera, regalando ai brani quell’atmosfera da musicista condannato ad una vita per il rock (e non solo).
Da applausi sono le due ballad, l’elettrica Change The World e l’acustica A Little Below The Angels, dove Ace duetta con un coro di bambini e profuma di cieli lavati dalla tempesta nei deserti del nuovo continente.
Bene ha fatto la Steamhammer/SPV ha dare un’altra chance a questo bellissimo lavoro di un artista che è parte essenziale della storia del rock.

Tracklist
1. Foxy & Free
2. Outer Space
3. Pain In The Neck
4. Fox On The Run
5. Genghis Khan
6. Too Many Faces
7. Change The World
8. Space Bear
9. A Little Below The Angels
10. Sister
11. It’s A Great Life
12. Fractured Quantum
13. Hard For Me (previously unreleased)
14. Pain In The Neck (slower version, previously unreleased)
15. The Return Of Space Bear (first time on CD)

Line-up
Ace Frehley – Guitars, Lead Vocals, Bass
Anthony Esposito – Bass
Anton Fig – Drums
Derrek Hawkin – Guitars
Scot Coogan – Drums
Marti Frederiksen – Keyboards, Guitars

ACE FREHLEY – Facebook

Unreal Terror – The New Chapter

The New Chapter è un lavoro di heavy metal tradizionale che non rinuncia a piccoli dettagli tali da renderlo appetibile sul mercato di questo nuovo millennio, con la band nostrana che si destreggia perfettamente con la materia e con infinita esperienza tra le trame del genere classico per antonomasia.

Tornano dopo più di trent’anni con un album nuovo di zecca i pescaresi Unreal Terror, storico gruppo heavy metal nostrano.

Infatti è dal 1986, anno di uscita del primo ed unico full length Hard Incursion, che del gruppo si era parlato solo per alcune ristampe uscite negli anni, mentre quest’anno è giunto il momento dell’uscita del tanto atteso successore di quello storico album e di altri due lavori minori, il demo del 1982 e Heavy & Dangerous, ep licenziato nel 1985.
Il gruppo abruzzese ha visto i suoi natali addirittura sul finire degli anni settanta con il monicker U.T. per poi adottare quello di Unreal Terror dal 1982, anno di uscita del demo: in quegli storici anni alla chitarra si destreggiava anche Mario Di Donato, storico personaggio del metal tricolore successivamente nei Requiem e soprattutto nei The Black.
Dell’iconico artista abruzzese in tutti questi anni è stato fedele compagno il bassista Enio Nicolini, che ritroviamo qui assieme agli due membri fondamentali del gruppo come il singer Luciano Palermi ed il batterista Silvio “Spaccalegna” Canzano, ai quali si aggiungono i nuovi chitarristi Iader D. Nicolini e Paolo Ponzi (Arkana Code): con questa configurazione la band ci conduce indietro nel tempo, fino alla metà degli anni ottanta, con un sound  definibile hard & heavy al 100%.
Il nuovo capitolo di questa lunga storia non poteva che essere proprio un ritorno al metal tradizionale, valorizzato da una buona produzione che però non tradisce lo spirito old school dell’opera, risultando moderna ma rispettosa dei suoni che i musicisti del gruppo hanno creato senza allontanarsi da quello che sono sempre stati gli Unreal Terror.
The New Chapter è un lavoro che non rinuncia a piccoli dettagli tali da renderlo appetibile sul mercato di questo nuovo millennio, con la band nostrana che si destreggia perfettamente con la materia e con infinita esperienza tra le trame del genere classico per antonomasia, senza esagerare con i watt ma dando dimostrazione di classe.
L’album infatti alterna cavalcate in stile NWOBHM a brani in cui l’elemento heavy si scontra con parti hard o progressive, con uno splendido lavoro delle sei corde e sfumature oscure che non fanno scendere l’attenzione neppure nelle tracce più ragionate, mentre lo storico cantante interpreta i brani con la giusta determinazione e le ritmiche variano lasciando ad altri facili compitini.
Il gruppo ha esperienza da vedere e si sente, i brani al secondo giro nel lettore si incollano nella mente grazie ad una serie di refrain davvero azzeccati, con il brano Time Bomb (scelto per l’anteprima dell’album), The Fall, The Thread e Lost Cause a spingere l’album verso un giudizio positivo.
The New Chapter sarà un ritorno gradito per i rockers di vecchia data e potrebbe diventare una bella sorpresa per i più giovani consumatori di musica dura

Tracklist
1. Ordinary King
2. Time Bomb
3. All This Time
4. Fall
5. The Thread
6. One More Chance
7. Trickles of Time
8. It’s the Shadow
9. Lost Cause
10. Western Skies

Line-up
Luciano Palermi – Vocals
Enio Nicolini – Bass
Iader D. Nicolini – Guitars
Arcanacodaxe – Guitars
Silvio “Spaccalegna” Canzano – Drums

UNREAL TERROR – Facebook

Osculum Infame – Axis Of Blood

Musica estrema di altissimo livello, sinistra, diabolica e con quel talento naturale che i francesi hanno nel saper rendere raffinata anche una proposta come Axis Of Blood.

Partiamo da questa importantissima considerazione: in Francia si suona grande metal estremo, molto del quale fuori dai soliti schemi.

Noi che per vocazione vi parliamo di sonorità per lo più underground, siamo da anni sottoposti agli ascolti di opere in arrivo dalla terra transalpina: molte sono piacevoli novità, altri nuovi lavori di realtà storiche dell’ underground estremo francese, per molti territorio impervio e poco conosciuto, a meno che non siate esperti della scena.
L’Osculum Infame, nel linguaggio della demonologia, è il bacio sull’ano con cui la strega saluta il diavolo nel corso del sabba, ma è anche il monicker con cui agisce questa notevole band parigina, devota al black metal ed attiva dai primi anni novanta.
Con il primo ed unico full length diventato di culto (Dor-nu-Fauglith 1997) ed una serie di ep, il quintetto si è costruito una fama sinistra che lo ha portato fino ai giorni nostri e all’uscita di quello che è il suo secondo lavoro sulla lunga distanza, un’opera nera dal titolo Axis Of Blood.
Accompagnato da una copertina che ci ricorda cosa si incontra tra le buie strade in luoghi e tempi dove domina l’oscuro signore, l’album risulta uno splendido spaccato di musica demoniaca e satanica, fuori dalle mode, inquietante e autentico come ci hanno abituato le band provenienti dalla scena francese.
Attenzione però, perché Axis Of Blood non è il solito album prodotto male ed ovattato per suscitare chissà quali suggestioni in giovani blacksters brufolosi: il sound prodotto è perfetto e professionale, le atmosfere oscure e diaboliche raggelano come non mai la stanza di chi si mette all’ascolto dell’opera, noncurante di quale forza si possa risvegliare dal torpore di anni nel più profondo silenzio.
Licenziato dal gruppo nel 2015 e ritornato sul mercato per mezzo della Necrocosm, Axis Of Blood torna a far parlare dei suoi creatori, anche per mezzo di un documentario uscito all’inizio dell’anno sulla nascita e lo sviluppo della scena black metal francese intitolato Blu Bianco Satana, a conferma dell’assoluta attitudine dei protagonisti riguardo alla cultura del genere e a tutto quello che ne consegue.
Musica estrema di altissimo livello, sinistra, diabolica e con quel talento naturale che i francesi hanno nel saper rendere raffinata anche una proposta come Axis Of Blood.

Tracklist
1.ApokalupVI
2.Cognitive Perdition of the Insane
3.Kaoïst Serpentis
4.My Angel
5.Absolve Me Not!
6.Let There Be Darkness
7.Inner Falling of the Glory of God
8.White Void
9.Asphyxiated Light
10.I in the Ocean of Worms
11.Solemn Faith

Line-up
Dispater – Guitars
I. Luciferia – Guitars, Keyboards
S.RV.F – Bass
Malkira – Drums
Deviant Von Blakk – Vocals, Guitars, Bass

OSCULUM INFAME – Facebook

Jaw Bones – Wrongs On A Right Turn

Quarantacinque minuti in pieno deserto, anche se le sfumature psichedeliche sono ridotte al lumicino in favore di soluzioni melodiche dirette e sostenute, questo sì, dalle ormai irrinunciabili ritmiche groove.

Stoner rock, e grunge, due dei generi che più hanno condizionato il mercato negli amati/odiati anni novanta, sono indubbiamente fonti inesauribili di influenze d ispirazioni per il novanta per cento delle rock band del nuovo millennio.

L’invasione del nuovo stoner che guarda al southern da una parte ed al grunge dall’altra, per trovare strade alternative alla solita formula, non ha risparmiato la vecchia Europa, ed in particolare i paesi che si affacciano sul mediterraneo, tradizionalmente più “americani” dei metallici stati centro/nord europei.
Da Salonicco arrivano i Jaw Bones, al primo full length licenziato dalla Sliptrick, con un concentrato di esplosivo stoner metal dalle sfumature grunge ed alternative.
Quarantacinque minuti in pieno deserto, anche se le sfumature psichedeliche sono ridotte al lumicino in favore di soluzioni melodiche dirette e sostenute, questo sì, dalle ormai irrinunciabili ritmiche groove.
on voce urlata ed un’attitudine che non nasconde una certa vena hardcore, i Jaw Bones si sono costruiti il loro muro sonoro di pietra stonerizzata e pesante, metal/rock diretto, forse leggermente monocorde, ma perfetto per sbattere capocciate a destra e a manca sotto il palco di qualche festival estivo.
Da segnalare, tra i brani, Communication, The Ride To Nowhere e la conclusiva Song Of The Nightingale, il brano più ricercato dell’album, valorizzato da sfumature che rimandano ai Tool e che chiudono con un’atmosfera progressiva Wrongs On A Right Turn.

Tracklist
01. Communication
02. Disciple
03. Ego Tripper
04. Don’t Bring Me Down
05. Fear
06. Sugar Daddy
07. The Ride to Nowhere
08. Should Know Better
09. Song of the Nightingale

Line-up
George Cobas – Vocals
Jelly Nano – Guitar
Bill – Guitar
Michael Tzoumas – Bass
Vangelis – Drums

JAW BONES – Facebook