The Minerva Conduct – The Minerva Conduct

The Minerva Conduct non ha bisogno di parole, esprime emozioni in musica dalla prima all’ultima nota, inerpicandosi su spartiti di vorticosa musica metallica dalle mille sfumature e colori.

L’ultima frontiera per la musica hard & heavy si chiama India non ci sono dubbi.

Molti di voi storceranno ancora il naso leggendo questa mia affermazione, ma l’elevata qualità dei gruppi in tutti i vari generi ed l’ottimo lavoro di label come la Transcending Obscurity non fanno che confermare questo trend, che nell’underground è già avviato da qualche anno e, anche per questo, abbiamo sempre sempre dato molto spazio ai suoni provenienti dai paesi asiatici, cercando nel nostro piccolo di far conoscere più band possibili ai nostri lettori.
Demonic Resurrection, Albatross, Reptilian Death, Gutslit, Animals As leaders, Entheos: unite queste straordinarie band ed avrete i The Minerva Conduct, quartetto di Mumbai formato da membri dei gruppi citati, che non contenti della musica di alto livello proposta hanno creato questo splendido lavoro interamente strumentale, suggestivo ed emozionante, pur rimanendo nei canoni di un metal progressivo dove si sente ancora forte la componente estrema, come estremo è la realtà in cui si vive nel loro lontano paese.
Vita difficile, arte che esplode in tutta la sua drammatica bellezza, The Minerva Conduct non ha bisogno di parole, esprime emozioni in musica dalla prima all’ultima nota, inerpicandosi su spartiti di vorticosa musica metallica dalle mille sfumature e colori.
Quasi cinquanta minuti non sono pochi per un’opera del genere, eppure la musica forma un collante tra sé  e l’ascoltatore a cui si riesce a staccarsi solo alla fine, mentre l’opener Vile ci da il benvenuto nel mondo dei The Minerva Conduct.
Prateek Rajagopal , Nishith Hegde, Ashwin Shriyan e Navene Koperweis oltre ad essere maestri del proprio strumento, sanno come regalare emozioni, il loro caldo abbraccio progressivo viaggia sui binari estremi, ma non solo, toccando vette altissime con Metatonia, Appetence e la devastante Unearth.
Difficile fare paragoni, bisogna sedersi ed ascoltare quanta straordinaria bellezza esce dalle note di questo lavoro, da esibire come risposta a chi ancora sostiene che progmetal sia sinonimo di fredda tecnica.

Tracklist
1.Vile
2.Desertion
3.Metanoia
4.Trip Seq
5.Appetence
6.Exultant
7.Unearth
8.Grand Arcane

Line-up
Prateek Rajagopal – Guitars, Composer
Nishith Hegde – Lead Guitar
Ashwin Shriyan – Bass
Navene Koperweis – Drums

THE MINERVA CONDUCT – Facebook

Attic – Sanctimonius

Tagliare il cordone ombelicale con i propri numi tutelari dovrebbe essere per gli Attic la prima mossa del dopo Sanctimonius, pena il rischio d’essere considerati alla stregua di una buona cover band.

Dalla Germania arriva questo quintetto al secondo lavoro, licenziato per Ván Records ed intitolato Sanctimonius.

Attic è il nome del gruppo e i Mercyful Fate i loro padri spirituali, con il cugino che regna sul regno dell’horror metal col nome di King Diamond e gli amichetti Iron Maiden compagni di sadici giochetti tra i vicoli di città infestate dalla peste e posseduta dall’oscuro signore.
Impossibile avere dei dubbi, basta il primo acuto di Meister Cagliostro e l’incantesimo fa in modo che il ghigno del Re Diamante si materializzi davanti a noi.
Si potrebbe chiudere qui questo articolo, perché in Sanctimonius il sound è troppo simile a quello creato dal leggendario vocalist per trovare qualcosa che faccia da diversivo, a parte qualche maideniana fuga chitarristica.
L’hammond crea atmosfere orrorifiche che fungono da intro per alcune delle tracce, la produzione mantiene perfettamente l’aura old school dell’opera ma i quasi settanta minuti di copia e incolla tradiscono gli Attic ed il loro lavoro.
Non mi si fraintenda, Sanctimonius in definitiva non è affatto un brutto album, i brani in cui sono i Maiden a fungere da riferimento non sono affatto male (A Serpent In The Pulpit, Sinless), ma pure qui il gruppo si fa prendere dal troppo ricalcare pedissequamente le caratteristiche del gruppo di Steve Harris, senza trovare una propria personalità.
Tagliare il cordone ombelicale con i propri numi tutelari dovrebbe essere per gli Attic la prima mossa del dopo Sanctimonius, pena il rischio d’essere considerati alla stregua di una buona cover band.

Tracklist
1. Iudicium Dei
2. Sanctimonious
3. A Serpent in the Pulpit
4. Penalized
5. Scrupulosity
6. Sinless
7. Die Engelmacherin
8. A Quest for Blood
9. The Hound of Heaven
10. On Choir Stalls
11. Dark Hosanna
12. Born from Sin
13. There is no God

Line-up
Meister Cagliostro – Vocals
Katte – Guitar
Rob – Guitar
Chris – Bass
JP – Drums

ATTIC – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=UpJtujr691

Necrophobic – Pesta

Dieci minuti di pura malvagità che valgono come e più di tanti full length, preparando il ritorno in pompa magna di questa seminale creatura malefica.

Una delle band storiche del death metal scandinavo torna dopo quattro anni dall’ultimo devastante lavoro Womb Of Lilithu.

Loro sono i Necrophobic, fondamentale band svedese attiva dal 1989, con sette full length ed una serie di lavori minori incentrati su un death metal pregno di attitudine black.
Una storia lunga, tormentata da continui cambi nella line up, tenuta insieme da Joakim Sterner, batterista ed unico superstite della formazione originale, con i primi album licenziati dalla storica Black Mark, label fondata da Quorthon che divenne un punto di riferimento per il genere nei primi anni novanta (Edge Of Sanity, Lake Of Tears, Cemetery), che hanno consegnato il gruppo di Stoccolma alla storia del genere.
I Necrophobic ritornano dunque con questo ep di sole due tracce, licenziato dalla Century Media in digitale e in formato 7″, composto dalla title track e da una nuova versione del brano Slow Asphyxiation, tratto dal demo omonimo datato 1990: un anticipazione di quello che dovrebbe essere il nuovo full length previsto per il prossimo anno, ma intanto godiamoci Pesta, brano ispirato e maligno, oscuro e come da tradizione dalla forte connotazione black, su una struttura che dal death metal scandinavo prende forza.
Sei minuti di perfezione assoluta, un muro di death metal melodico e maligno, mentre la storica traccia rifatta per l’occasione trova in questa veste una nuova vita, pur rimanendo fedele all’originale.
Dieci minuti di pura malvagità che valgono come e più di tanti full length, preparando il ritorno in pompa magna di questa seminale creatura malefica.

Tracklist
1.Pesta
2.Slow Asphyxiation

Line-up
Joakim Sterner – Drums
Anders Stokirk – Vocals
Sebastian Ramstedt – Guitars
Johan Bergeback – Guitars
Alex Friberg – Bass

NECROPHOBIC – Facebook

Venom Inc. – Avé

Un buon album di nero metallo, Avè si può sicuramente descrivere così, lasciando che il nome della band non influisca troppo nell’ascolto e sul giudizio e cercando di lasciare il doveroso spazio alla musica.

L’incedere potente e cadenzato dell’opener Ave Satanas ci introduce al primo album di quella che è di fatto l’altra faccia dei Venom, quelli lontano da Cronos e che vedono all’opera la line up degli album a cavallo tra il decennio ottantiano e gli anni novanta (Prime Evil, Temple Of Ice e Waste Lands), quindi con Mantas alla sei corde, Abaddon alle pelli e Tony Dolan al basso e voce.

La nuova creatura chiamata Venom Inc. è nata due anni fa, debutta per Nuclear Blast con Avè, un buon album di heavy metal che alterna un approccio classico a qualche fugace velleità estrema, dosate sfumature industriali unite a quel black’n’roll che riportano al glorioso passato senza però cadere troppo nel nostalgico.
Il problema di questo lavoro è che probabilmente verrà giudicato con ben impresso il passato dei protagonisti ed il suo alter ego ancora attivo, mentre va detto che Avè vive di una sua spiccata personalità, più moderno di quello che ci si aspetta, prodotto egregiamente e con una serie di frecce scagliate che fanno davvero male.
Detto dell’opener, otto minuti di mid tempo maligno ed oscuro, la partenza a razzo della seguente Forged In Hell, che il lavoro alla consolle valorizza non poco, ci consegna una band che dall’alto dell’esperienza di Mantas e soci sa come maneggiare la materia metallica.
Chiaramente meno devoto alle veloci cavalcate dal flavour motorheadiano (a parte l’inno conclusivo Black N Roll che diventerà sicuramente il momento clou dei live) Avè ci propone un’ora di heavy metal moderno, come dovrebbe essere dopo l’avvento del nuovo millennio e le trasformazioni camaleontiche che il genere ha avuto nel corso degli anni, attraversato da venti estremi, dal thrash al death, fino all’industrial per poi essere riportato tra le braccia dei suoni classici.
Il mood oscuro ed evil che ovviamente aleggia sui brani di Avè non fa che conferirgli quei rimandi al passato che ne fanno un lavoro sicuramente apprezzato dai vecchi fans, ma che risulta ben piantato nel presente come dimostrano le devastanti Metal We Bleed e I Kneel To No God.
Un buon album di nero metallo, Avè si può sicuramente descrivere così, lasciando che il nome della band non influisca troppo nell’ascolto e sul giudizio e cercando di lasciare il doveroso spazio alla musica.

Tracklist
1. Ave Satanas
2. Forged In Hell
3. Metal We Bleed
4. Dein Fleisch
5. Blood Stained
6. Time To Die
7. The Evil Dead
8. Preacher Man
9. War
10. I Kneel To No God
11. Black N Roll

Line-up
Jeff “Mantas” Dunn – guitars
Tony “Demolition Man” Dolan – bass, vocals
Anthony “Abaddon” Bray – drums

VENOM INC. – Facebook

Rings Of Saturn – Ultu Ulla

Band come i Rings Of Saturn sono irrimediabilmente destinate a dividere pubblico e critica, tra chi li idolatrerà come geni indiscussi e chi invece nella loro musica, a tratti tecnica in modo esasperato, troverà solo freddo estremismo senza emozioni.

Band come i Rings Of Saturn sono irrimediabilmente destinate a dividere pubblico e critica, tra chi li idolatrerà come geni indiscussi e chi invece nella loro musica, a tratti tecnica in modo esasperato, troverà solo freddo estremismo senza emozioni.

La verità come sempre sta nel mezzo, vero è che questa nuova parte del concept fantascientifico creato da Lucas Mann e compagni ed intitolato Ultu Ulla (in sumero Tempo Immemore) nulla aggiunge e nulla toglie al sound fin qui proposto dal gruppo della Bay Area, giunto ormai al quarto lavoro in otto anni.
Il genere proposto dagli anelli di Saturno è un deathcore/djent tecnicissimo, composto da tonnellate di potenza estrema, da ottime parti progressive (i momenti acustici stemperano la tensione prima che vi esploda il supporto digitale tra le mani) e da un’inumana violenza: è così che, a brani che spingono agli applausi, dando a Cesare quel che è di Cesare (una tecnica individuale eccelsa), se ne avvicendano altri in cui la sola fredda esecuzione lascia poco o niente all’ascoltatore.
Concept fantascientifico, musica estrema devastante, potenza espressa al limite dell’umano, ma se il gruppo statunitense vuole descrivere guerre e pericoli in arrivo da altri pianeti, ci riesce solo a tratti: troppe sono le note lanciate all’impazzata contro l’ invasione nelle varie Servant Of This Sentience, Immemorial Essence o The Macrocosm, aperta da un suggestivo arpeggio acustico e poi torturata dalla tempesta spaziale in atto (ma pur sempre la traccia più riuscita e progressiva dell’album).
Saranno pure i nuovi eroi dell’alien deathcore (come amano definirsi), ma se vi piace farvi spaventare da oscure trame fantascientifiche e terrificanti alieni, nel black hole creato nello spazio esiste già un mostro devastante e minaccioso … e si chiama Mechina!

Tracklist
01. Servant of this Sentience
02. Parallel Shift
03. Unhallowed
04. Immemorial Essence
05. The Relic
06. Margidda
07. Harvest
08. The Macrocosm
09. Prognosis Confirmed
10. Inadequate

Line-up
Lucas Mann – Guitars, Bass, Synth
Ian Bearer – Lyrics, Vocals
Aaron Stechauner – Drums
Miles Dimitri Baker – Guitar

RINGS OF SATURN – Facebook

Blind Guardian – Live Beyond The Spheres

Un rito lungo ben tre dischetti ottici per glorificare il credo musicale e concettuale di un gruppo unico nel suo genere, ultimamente spesso dimenticato dagli addetti ai lavori quando si parla di metal classico, ma stabile ai primi posti nelle preferenze degli ascoltatori

Una volta gli album live erano soliti uscire per fermare su nastro il momento d’oro di un gruppo o un’artista: Made In Japan, Alive, The Song Remains The Same raccoglievano l’esperienze dal vivo delle band e dei loro fans, in un’epoca dove il tubo era quello del lavandino e non la più famosa diavoleria del web.

Nel corso degli anni tanto è cambiato e il gruppo che licenzia un album dal vivo non fa più notizia, a meno che non sia una band popolare o amata come i Blind Guardian.
I quattro bardi di Krefeld tornano con il terzo live nella loro ormai lunga carriera costruita su nove album che, in un modo o nell’altro, hanno fatto la storia del power metal tedesco e non solo, dal lontano Battalions Of Fear, datato 1988, passando per capolavori epocali come Imaginations From The Other Side e l’immenso Nightfall in Middle -Earth (probabilmente il picco più alto della discografia del guardiano cieco, e la migliore opera sull’immaginario tolkeniano in senso assoluto), per arrivare alle ultime produzioni, meno dirette e più pompose e progressive.
Beyond The Red Mirror ha dato il via due anni fa ad un lungo tour di supporto culminato in questo mastodontico triplo cd che raccoglie tutto il meglio della produzione di Hansi Kürsch e compagni, tra folletti, maghi, terre di mezzo, orchi, hobbit e tanto heavy power metal, splendidamente epico, melodico e suggestivo.
Se vi chiedete il perché del tanto amore con cui i fans si dedicano alla musica e al mondo dei Blind Guardian, Live Beyond The Spheres è la più esaudiente delle risposte.
Un rito lungo ben tre dischetti ottici per glorificare il credo musicale e concettuale di un gruppo unico nel suo genere, ultimamente spesso dimenticato dagli addetti ai lavori quando si parla di metal classico, ma stabile ai primi posti nelle preferenze degli ascoltatori, premiati da un’opera monumentale che attraversa trent’anni di metal teutonico in una delle sue migliori interpretazioni.
The Ninth Wave, tratta da Beyond The Red Mirror, apre le danze intorno al fuoco nella contea, seguita dai brani che hanno segnato la carriera del gruppo, dalla spettacolare Nightfall (Nightfall in Middle-Earth) a Imaginations From The Other Side, And The Story Ends e A Past And A Future Secret.
Il coro di The Bard’s Song apre squarci nei cuori degli amanti del guardiano cieco, così come Majesty (Battalions Of Fear), Valhalla (Follow The Blind) e Mirror Mirror, mentre le voci si fanno sempre più roche, le spade alzate al cielo luccicano di una luce intensa e la band ci saluta dal palco, perfettamente a suo agio dopo così tanti anni davanti ai suoi prodi e fedeli fans.
Un lavoro davvero bello che, per una volta lascia ad altri inutili giudizi tecnici, per farci concentrare sulle emozioni suscitate da una buona fetta di storia del power metal tedesco.

Tracklist
CD1
01. The Ninth Wave
02. Banish From Sanctuary
03. Nightfall
04. Prophecies
05. Tanelorn
06. The Last Candle
07. And Then There Was Silence
CD2
01. The Lord Of The Rings
02. Fly
03. Bright Eyes
04. Lost In The Twilight Hall
05. Imaginations From The Other Side
06. Into The Storm
07. Twilight Of The Gods
08. A Past And Future Secret
09. And The Story Ends
CD3
01. Sacred Worlds
02. The Bard’s Song (In The Forest)
03. Valhalla
04. Wheel Of Time
05. Majesty
06. Mirror Mirror

Line-up
Hansi Kürsch – Vocals
André Olbrich – Guitars
Marcus Siepen – Guitars
Frederik Ehmke – Drums

BLIND GUARDIAN – Facebook

Craving Angel – Redemption

Tutti gli ingredienti di base dell’heavy metal, usati in abbondanza dal gruppo, fanno dell’album un perfetto lavoro targato 1984 o giù di li: non un male a priori, visto che molti dei brani di Redemption sono perfetti esempi della più pura interpretazione del genere.

Ancora un’altra uscita marchiata dalla pavese Minotauro Records all’insegna dell’heavy metal old school.

Questa volta l’etichetta italiana vola negli States, precisamente a White Bear Lake (Minnesota) per catturare questi angeli dell’heavy metal classico e fermatisi negli anni ottanta.
I Craving Angel segnano come data di nascita nel documento d’identità metallico il 1984 ma, di fatto, l’unica uscita in trent’anni si fermava al demo omonimo uscito nel 1987.
Finalmente nel 2014 Dark Horse interrompeva il silenzio discografico con una raccolta di materiale scritto dal gruppo in tutti questi anni, mentre l’odierno Redemption si compone di brani più recenti, anche se attitudine, produzione, suoni e copertina rimangono confinati nel decennio ottantiano.
Tutti gli ingredienti di base dell’heavy metal, usati in abbondanza dal gruppo, fanno dell’album un perfetto lavoro targato 1984 o giù di li: non un male a priori, visto che molti dei brani di Redemption sono perfetti esempi della più pura interpretazione del genere.
Il leader ed unico membro superstite della formazione originale (il cantante Buddy Hughes) si accompagna per questa avventura con il chitarrista e batterista Jimmy Cassidy ed il bassista Erick Wright, mentre Dirty Girls apre le ostilità, tra heavy metal e street: così, passeggiando per il Sunset Boulevard, si incontrano le stesse, ormai rugose facce e Freak Show con il suo potente mid tempo si colloca tra gli Wasp ed i L.A Guns.
I Craving Angel non si fanno certo intimorire dall’età o dal tempo ormai passato e nel 2017 ci fanno ballare al ritmo irriverente e rock’n’roll di Bad Voodoo (Motley Crue DOC), mentre Dream Chaser solca territori più metallici e duri.
Hughes si dimostra cantate di razza , dando la giusta interpretazione alle vari atmosfere dei brani che continuano a saltellare tra l’heavy e lo street, mentre l’atmosfera da musicassetta consumata nella vecchia autoradio di papà è li a ribadire l’attitudine old school della proposta dei Craving Angel.
In conclusione, un lavoro ad uso e consumo dei nostalgici e con molti dei pochi capelli rimasti ormai imbiancati, ma valido, almeno per quanto riguarda il songwriting.

TRACKLIST
01. Dirty Girls
02. Crash and Burn
03. Chicaboom
04. Hells Waiting
05. Roses Are Red
06. Outta My Way
07. Freak Show
08. Bad Voodoo
09. Everything I do
10. Gonna Party
11. Dirty Little Secret
12. Dream Chaser
13. She’s No Lady
14. Gonna Getcha
15. New Day
16. Primadonna
17. Roses are Red (acoustic version)

LINE-UP
Buddy Hughes – Vocals
Jimmy Cassidy – Guitar, Drums
Erick Wright – Bass

CRAVING ANGEL – Facebook

Bloodphemy – Bloodline

Una quarantina di minuti immersi nel death metal, ignorante quanto si vuole, scolastico in certi frangenti, ma che ha nella sua anima maligna un’onestà intrinseca che valorizza questo assalto sonoro senza compromessi.

Sulle pagine di In Your Eyes erano apparsi lo scorso anno, quando vi parlammo dell’ep Blood Will Teel, licenziato dalla Sleaszy Rider, che di fatto fu un ritorno per il gruppo olandese dopo quattordici anni dallo storico demo.

La firma per la label greca ha portato continuità e costanza in casa Bloodphemy, così siamo a presentarvi il nuovo e primo full length intitolato Bloodline.
Il gruppo è formato da musicisti navigati della scena estrema underground, militanti tra le file di Devious, Altar, Bleeding Gods, Pleurisy e Beyond Belief,  impegnati nel portare lo storico monicker in cima alle preferenze dei deathsters attenti a cosa si muove nel sottosuolo metallico.
Bloodline, come il predecessore, è un pezzo di granito brutal death metal, old school e dalle influenze che guardano alla storica scena europea (God Dethroned, Gorefest) .
Si viaggia veloci e senza compromessi sui binari tracciati dai gruppi di riferimento: Arnold Oudemiddendorp , brutale orco proveniente dalla terra dei tulipani, ed i suoi compari ci prendono per il collo, sballottandoci con nove esplosioni di adrenalinico e potentissimo death metal, ordinario nel suo sviluppo ma tremendamente efficace nel far crollare dighe a suon di esplosioni estreme.
Una quarantina di minuti immersi nel death metal, ignorante quanto si vuole, scolastico in certi frangenti ma che ha nella sua anima maligna un’onestà intrinseca che valorizza questo assalto sonoro senza compromessi.
Un piacere non esserci sbagliati un anno fa, un dovere farvi conoscere questo nuovo lavoro, lasciate che la bestia che è in voi esca prepotentemente e sfoghi la sua ira grazie alle devastanti Void, Madness ed Annihilation.

TRACKLIST
1. Void
2. Blood Will Tell
3. Sides
4. Infanity
5. Madness
6. Soulmate
7. Obsessed
8. Annihilation
9. Contravene

LINE-UP
Arnold Oudemiddendorp – Vocals
Edwin Nederkoorn – Drums
Rutger van Noordenburg – Guitars
Wicliff Wolda – Bass
Winfred Koster – Guitars

BLOODPHEMY – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=fHLC3aay3F4

Hell Done – The Dark Fairytale

Gli Hell Done si sono ritrovati ed hanno finito il lavoro iniziato tanti anni fa, raccontando con The Dark Fairytale una tragica storia d’amore supportata dalle note epiche, dure, a tratti violente, dell’heavy metal dai rimandi speed/thrash.

Gli Hell Done portano a termine quello che era stato iniziato anni fa, ed è così che The Dark Fairytale può finalmente vedere la luce e la storia del paladino Riccardo essere raccontata.

Un percorso iniziato nel 1998 ed interrotto più volte, quello della band bolognese, con i soliti problemi che affliggono molti gruppi underground, falcidiati da continui cambi di line up ed altrettante ripartenze che non impedirono agli Hell Done di registrare un ep intitolato The Dark Fairytale nel 2003 per poi sciogliersi nuovamente.
Lo scorso anno i musicisti si sono ritrovati per mettere le mani sul materiale targato Hell Done, con alle spalle esperienze passate e presenti in band come Old Flame, Tarchon Fist, e ora con Sange Main Machine e Badmotorfinger, per il singer Luigi Sangermano, Eva Can’t per il batterista Diego Molina, così come per il chitarrista Simone Lanzoni, a sua volta anche vocalist negli In Tormentata Quiete, mentre il presente per il bassista Andrea Sangermano si chiama Raw Pink e Iggy and His Booze.
Una sorta di super gruppo a tutti gli effetti, quindi, che oggi con The Dark Fairytale può raccontare una tragica storia d’amore supportata dalle note epiche, dure, a tratti violente dell’heavy metal dai rimandi speed/thrash.
Il concept narra di Riccardo, generale dell’esercito dei Franchi in guerra contro i Saraceni, un grande guerriero visto però con sospetto dai suoi compagni per essere figlio di una donna francese ed un saraceno, e della sua storia d’amore con Heleonore dal tragico epilogo; gli Hell Done raccontano la storia del paladino con la forza drammatica del metal, valorizzato da suggestive parti acustiche e sfuriate heavy/speed che, in alcuni casi, si avvicinano al thrash mantenendo in generale una struttura ben radicata nell’heavy metal classico.
L’album è colmo di duro metallo epico, di scuola tedesca tra power e thrash, ma sono le melodie che fanno la parte del leone, drammatiche, tragiche, a tratti oscure come se si trattasse di una poderosa jam tra Grave Digger e Kreator benedetti dal talento melodico degli Iced Earth, unica concessione al metal d’oltreoceano.
The Dark Fairytale cresce con il passare dei minuti mentre brani potenti ed epici come Realms In War Covering My Way ci accompagnano verso l’emozionante finale con The Seed Of Evil e la title track, brani top di questo ottimo lavoro, un saliscendi di emozioni in un crescendo drammaticamente metallico.
Bene hanno fatto i musicisti nostrani a portare a termine la storia dando lustro a questa raccolta di brani: il risultato è un album di heavy metal classico con tutte le caratteristiche per far innamorare i tanti defenders con una Heleonore nel cuore.

Tracklist
1 – 732 A.D.
2 – Realms in War
3 – And Though the silence
4 – Covering my way
5 – Just began
6 – Heleonore
7 – Betrayer
8 – The Seed of Evil
9 – The Dark Fairytale

Line-up
Luigi “Sange” Sangermano – vocals
Simone Lanzoni – guitars
Andrea Sangermano – bass
Diego Molina – drums

HELL DONE – Facebook

Father Befouled – Desolate Gods

Un riffing profondo come un pozzo collegato con l’inferno, una catacomba sonora dove il death metal old school sguazza tra i cadaveri e le accelerazioni, così come i rallentamenti infrangono ogni resistenza umana.

Tempo di grandi album in campo death metal!

Che arrivino dal Nordeuropa o dall’America, i nuovi lavori di una serie di gruppi più o meno famosi ed importanti stanno letteralmente conquistando la scena underground estrema.
E’ arrivato il momento anche per i Father Befouled di tornare sul mercato con un nuovo album, il quarto di una prolifica discografia iniziata nel 2008 e che non manca di una marea di lavori minori tra split ed ep.
Il quartetto di deathsters americani torna al lavoro sulla lunga distanza che mancava da cinque anni e Desolate Gods riapre la ferita alla gola dell’umanità, sanguinando in zampilli di spesso liquido che da rosso diventa nero sotto i colpi inferti da questa mezzora di assalto, oscuro, abissale ed estremo.
Un riffing profondo come un pozzo collegato con l’inferno, una catacomba sonora dove il death metal old school sguazza tra i cadaveri e le accelerazioni, così come i rallentamenti infrangono ogni resistenza umana, una conferma per il gruppo statunitense, ormai da considerare come veterano di una scena che non vive dei soliti nomi ma si rigenera ciclicamente con nuove e maligne realtà.
Desolate Gods è bello che descritto, oscuro, violento e senza compromessi come vogliono i fans del death metal tradizionale, diretto come una mitragliata sparata su un gruppo di zombie, spettacolare nelle parti doom/death in odore di decomposizone come la terra di un cimitero abbandonato (Ungodly Rest) e devastante, distruttivo e brutale (Offering Revulsion).
Per chi ama il death metal di matrice statunitense (Incantation, Morbid Angel, Immolation) un album da non perdere.

TRACKLIST
1. Exsurge Domine (Intro)
2. Offering Revulsion
3. Mortal Awakening
4. Exalted Offal
5. Ungodly Rest
6. Divine Parallels
7. Vestigial Remains of… (Instrumental)
8. Desolate Gods

LINE-UP
Justin Stubbs – Vocals/Guitar
Derrik Goulding – Guitar
Wayne Sarantopoulos – Drums
Rhys Spencer – Bass

FATHER BEFOULED – Facebook

Accept – The Rise Of Chaos

Gli Accept di oggi sono un gruppo di cui potersi fidare ciecamente, uno dei pochi dalla carriera ultra trentennale del quale vale la pena ascoltare ancora un album di inediti.

Se esiste una band che, senza essere mai arrivata al successo stellare di Iron Maiden o Metallica, incarna perfettamente la storia e lo sviluppo delle sonorità heavy, questa si chiama Accept, il gruppo che con gli Scorpions ha regnato per anni sulla scena hard & heavy tedesca ed oggi sempre capace di raggiungere ottimi livelli senza lasciare quel fastidioso odore di stantio che aleggia tra le note degli album di molti dei loro amici/rivali sopravvissuti alla storia del metal mondiale.

Tanti cambi di line up che, invece di minarne la stabilità, hanno rinfrescato il songwriting del gruppo, ed una discografia che parte addirittura dagli anni settanta con pochissime cadute di tono ed un bel numero di album divenuti dei classici.
Udo ormai fa parte del passato, così come gli altri musicisti che hanno contribuito a fare del suono Accept un marchio riconoscibile e personale: il presente si chiama Mark Tornillo, dietro al microfono da ormai quattro lavori ed affiancato da Wolf Hoffmann e Uwe Lulis alle chitarre, Peter Baltes al basso e Christopher Williams alla batteria.
Se la band dal vivo fa fuoco e fiamme, in studio estrae dal cilindro un album perfetto di heavy metal classico alla Accept, che tradotto vuol dire anthem a ripetizione fatti di chorus esaltanti (l’opener Die By The Sword risulta in questo caso un inizio straripante), riff granitici e solos in un crescendo sonoro diretto e senza orpelli di sorta, roba da duri insomma.
E dura è la musica di The Rise Of Chaos, una serie di pugni al volto, una tempesta di destro/sinistro che vi smorzeranno il fiato, mentre Tornillo il suo lo sa fare alla perfezione, come un vero animale metallico, incisivo, cartavetrato e dal carisma dei grandi.
The Rise Of Chaos, il riff di Koolaid dai rimandi neanche troppo velati ai fratelli Young, Carry The Weight e What’s Done Is Done regalano ottime atmosfere metalliche, confermate in blocco da una tracklist di tutto rispetto.
Gli Accept di oggi sono un gruppo di cui potersi fidare ciecamente, uno dei pochi dalla carriera ultra trentennale del quale vale la pena ascoltare ancora un album di inediti.

Tracklist
1. Die By The Sword
2. Hole In The Head
3. The Rise Of Chaos
4. Koolaid
5. No Regrets
6. Analog Man
7. What’s Done Is Done
8. Worlds Colliding
9. Carry The Weight
10. Race To Extinction

Line-up
Mark Tornillo – Vocals
Wolf Hoffmann – Guitars
Uwe Lulis – Guitars
Peter Baltes – Bass
Christopher Williams – Drums

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ACCEPT – Facebook

Lo-Ruhamah – Anointing

E’ un sound estremo, atmosfericamente angosciante, quello che compone Anointing e i suoi nove capitoli, un black metal che non rinuncia alla debordante potenza del death, ma la modella a suo piacimento.

Nata negli Stati Uniti nel lontano 2002, ma oggi di base in Estonia, torna tramite la I,Voidhanger la band death/black dei Lo-Ruhamah, a dieci anni esatti dal debutto The Glory Of God.

Poche notizie per questa realtà che, come tradizione della label, risulta fuori dai canoni dei generi da cui prende ispirazione, per poi viaggiare per conto proprio, tra post rock, un’anima disperatamente progressiva, ed un’ aura mistica ed occulta che rende la proposta misteriosamente matura.
E’ un sound estremo, angosciante, quello che compone Anointing e i suoi nove capitoli, un black metal che non rinuncia alla debordante potenza del death, ma la modella a suo piacimento, tra ritmiche fantasiose e mai statiche, urla di lacerante disperazione e terrificanti interventi in screaming, come se il protagonista avesse una diatriba con un demone, maligno ed ingordo di anime.
Ecco allora che bordate di metallo estremo di stampo death annichiliscono atmosfere post rock per tornare al black metal primigenio, mentre l’opener Mouth, le parti intimiste e dark progressive della seguente Sibilant Chorus, il lento incedere doom/black di Vision And Delirium, il caos ragionato di The Corridor, portano l’ascoltatore in uno stato quasi ipnotico, mentre Aeon conclude questa mezzora abbondante di suoni ed emozioni estreme.
I Lo-Ruhamah hanno dato voce alle anime oscure che si celano in un mondo dove non si conoscono le paranoie insite nell’uomo moderno, troppo impegnato a rincorrere un benessere effimero, accorgendosi troppo tardi di come il filo tra dolore, sofferenza e dannazione sia sottile.

Tracklist
1. Mouth
2. Sibilant Chorus
3. Rending
4. Charisma
5. Vision And Delirium
6. The Corridor
7. Lidless Eye
8. Coronation
9. Aeon

Line-up
Harry Pearson – Drums
Matthew Mustain – Guitars
J. Griffin – Bass, Vocals

LO-RUHAMAH – Facebook

Subterranean Masquerade – Vagabond

Vagabond è un album splendido, un lavoro progressivo che entusiasma e non può e non deve lasciare indifferenti gli amanti della musica in senso lato.

Ecco un altro album straordinario che valorizza a mio avviso un anno che sta regalando grosse soddisfazioni agli amanti del metal/rock, anche se come afferma qualcuno manca ancora l’opera che dovrebbe smuovere il mercato come avvenne negli anni novanta.

Ma a noi amanti del bello, a prescindere da stadi colmi e classifiche scalate, ci godiamo opere di un’altra categoria come Vagabond, ultimo parto della multinazionale progressiva Subterranean Masquerade, più che una band, un nugolo di talenti al servizio della musica a 360°, capitanata dal chitarrista israeliano Tomer Pink e con il contributo al microfono di Kjetil Nordhus (Green Carnation, Tristania).
Terza meraviglia targata Subterranean Masquerade, dopo il debutto nel lontano 2005 con Suspended Animation Dreams ed il precedente The Great Bazaar di un paio di anni fa, con  una manciata di musicisti che si alternano come ospiti tra le fila del gruppo e tanta musica che, pur strutturata su un progressive rock di ultima generazione, amoreggia con la musica etnica, per poi lasciare che sfumature estreme brutalizzino attimi di musica che risplende di note variopinte come, appunto (prendendo spunto dal titolo del precedente lavoro), se ci si trovasse in un bazaar.
Ogni nota una sorpresa, ogni canzone un viaggio in questa musica che più internazionale di così non si può, mentre non sono poche le ispirazioni del gruppo (King Crimson, Nightingale e Spock’s Beard) che ci appaiono come oasi musicali tra l’opener Place For Fairytales, la decisa e spettacolare Nomad e la splendida Ways .
Gli Orphaned Land sono presenti pure loro, e non potrebbe essere altrimenti  vista la quantità di atmosfere etniche che Vagabond porta con sé, mentre Kippur e  As You Are si specchiano nella musica rock/metal  degli ultimi quarant’anni tra splendide melodie, interventi in growl per niente fuori luogo ed una cover di Space Oddity che lascia senza fiato per intensità, interpretazione ed un inizio drammaticamente doom.
Mixato da Christer Andre Cederberg (Anathema, Tristania, Circus Maximus) e masterizzato da Tony Lindgren ai Fascination Street studio, Vagabond è un album splendido, un lavoro progressivo che entusiasma e non può e non deve lasciare indifferenti gli amanti della musica in senso lato.

Tracklist
1. Place for Fairytales
2. Nomad
3. Ways
4. Carousal
5. Kippur
6. Daled Bavos
7. As You Are
8. Hymn of the Vagabond
9. Space Oddity

Line-up
Kjetil Nordhus – Vocals
Eliran Weizman – Vocals
Tomer Pink – Guitars
Or Shalev – Guitars
Shai Yallin – Keyboards
Golan Farhi – Bass
Matan Shmuely – Drums

SUBTERRANEAN MASQUERADE – Facebook

The Shadeless Emperor – Ashbled Shores

Non manca davvero niente ad un’opera del genere, completa sotto tutti gli aspetti, oscura ed animata da un approccio versatile che valorizza brani come la title track, un susseguirsi di cambi repentini tra death metal ed aperture acustiche in una tempesta di suoni estremi.

Attivi dal 2010, arrivano al debutto i greci The Shadeless Emperor, dopo un demo licenziato nel 2013, ed una carriera che fino ad oggi ha stentato per vari motivi a decollare.

Sotto l’ala della Wormholedeath che ne cura la distribuzione, Ashbled Shores andrà sicuramente a rimpinguare la discografia dei melodic death metallers dal palato fino e i muscoli d’acciaio.
In effetti la proposta della band ellenica, pur con le dovute ispirazioni ed influenze, appare da subito personale, un buon mix tra death metal melodico scandinavo, bellissime parti acustiche dalle reminiscenze epic/folk e qualche spunto leggermente più moderno e progressivo, insomma un’ottima proposta per chi dal metal estremo gradisce un sound vario, adulto, ma pressante ed aggressivo.
Prendendo spunto dall’immaginario fantasy, così come dalla letteratura classica, i The Shadeless Emperor vestono il loro sound di nera stoffa epica e la elaborano secondo i canoni dell’ala melodica del death metal, non rinunciando a devastare padiglioni auricolari con fughe ritmiche ed intricate parti chitarristiche, che passano da soluzioni heavy a più intricate parti progressive, mentre strumenti acustici e fiati ricamano partiture folk come nella parte centrale della superba Shades Over The Empire.
Non manca davvero niente ad un’opera del genere, completa sotto tutti gli aspetti, oscura ed animata da un approccio versatile che valorizza brani come la title track, un susseguirsi di cambi repentini tra death metal ed aperture acustiche in una tempesta di suoni estremi.
I Dark Tranquillity fanno da padrini alle parti metalliche, poi lasciate in mano al progressivo aumento delle atmosfere folk, mentre note di piano provenienti dalla folta boscaglia ci introducono ad Helios The Dark con il suo riff scolpito sulla roccia dai primi Amorphis, seguita dal singolo Too Far Gone, estrema e diretta, mentre An Ember Gale conclude alla grande l’album, trattandosi di un brano che racchiude l’anima più estrema e progressiva dei The Shadeless Emperor.
Album perfetto per tornare a godere delle trame oscure ma pregne di melodie del melodic death metal, non fatevelo sfuggire.

Tracklist
1.Oaths
2.Ashbled Shores
3.Sullen Guard
4.Homeland
5.Shades Over The Empire
6.Duskfall
7.Some Rotten Words
8.Helios The Dark
9.Olethros
10.Too Far Gone
11.An Ember Gale

Line-up
Ethan Tziokas – Vocals, Recorder
Christos Mitros – Guitars, Backing Vocals
Tasos Bebes – Guitars, Backing Vocals
Fil Salapatas – Bass, Backing Vocals
Thanasis Posonidis – Drums

THE SHADELESS EMPEROR -. Facebook

Cemetery Winds – Unholy Ascensions

Con l’esordio dei Cemetery Winds si torna a respirare l’aria profondamente maligna del death metal old school, ispirato da un’attitudine black metal e valorizzato da bellissime melodie.

Con l’esordio dei Cemetery Winds si torna a respirare l’aria profondamente maligna del death metal old school, ispirato da un’attitudine black metal e valorizzato da bellissime melodie.

Atmosfere abissali, ritmiche potenti e melodie death/gothic si fondono in un sound che richiama a gran voce i primi fondamentali passi degli Amorphis (The Karelian Isthmus/Tales From The Thousand Lakes) ed Edge Of Sanity (Unorthodox) accompagnato dallo spirito malvagio dei Dissection di The Somberlain.
Mica male, direte voi, e infatti Unholy Ascensions è un gran bel lavoro, creato da questa sorta di one man band con a capo J. Lukka (Batteria e chitarra) aiutato da Kari Kankaanpää (Soluthus/Sepulchral Curse) e Marko Ala-Kleme (Nashorn) al microfono, e Juho Manninen (Curimus) al basso.
Prodotto molto bene ed illustrato ancora meglio dall’artista Juanjo Castellano, l’album si sviluppa su otto brani di death metal old school, tradizionalmente scandinavo, ottimamente ricamato da melodie chitarristiche, a tratti reso ancora più sinistro da tappeti di lugubri tastiere e carico di attitudine ed impatto melodic black metal.
Ne esce un’opera affascinante, d’altri tempi sicuramente, ma superlativa se si rimane nel campo atmosferico, il punto di forza di brani sepolcrali come Into The Breathless Slumber, Burials After Midnight o la title track.
Non un brano sotto una media molto alta, non una melodia o una sfuriata di black metal cattivissimo che non sia da portare in offerta sull’altare del genere, mentre il cimitero si popola di anime dannate, i vermi finiscono il lauto pasto e noi premiamo ancora il tasto play, finché che nella nostra stanza non comparirà ai nostri piedi una bocca spalancata e scarnificata, pronta a fare scempio del nostro corpo.
J.Lukka ha fatto davvero un gran lavoro, derivativo quanto si vuole, ma se siete amanti delle band menzionate, Unholy Ascensions è uno dei migliori album di quest’anno, con la benedizione (o maledizione, fate voi) di Jon Nodtveidt ed un plauso da chi la scena l’ha vissuta in tempo reale.

TRACKLIST
1.Dormant Darkness
2.Realm of the Open Tombs
3.Into the Breathless Slumber
4.When Death Descends
5.Burials After Midnight
6.The Storm of Impious Wrath
7.Unholy Ascensions / Outro

LINE-UP
J. Lukka – Drums, Guitar, additional instruments

Session members:
M. Ala-Kleme – Vocals
K. Kankaanpää – Vocals
J. Manninen – Bass

CEMETERY WINDS – Facebook

Ozora – Perpendicolari

Perpendicolari è un lavoro difficile e coraggioso, musicalmente sottoposto a sferzate di potentissimo metal progressivo ma vario e per nulla scontato, complice l’uso della lingua italiana e la presenza di atmosfere dalle reminiscenze alternative.

La Rockshots Records si candida quest’anno come una delle label più attive nel mondo del rock/metal underground, con una serie di opere che hanno come comune denominatore l’alta qualità della proposta, che sia incendiario power heavy metal, hard & heavy o, come nel caso di questa notevole band piemontese, metal alternativo straordinariamente progressivo.

Cantato in italiano, scelta che non inficia la fruibilità dei brani, Perpendicolari è l’opera prima degli Ozora, quattro musicisti provenienti da background diversi ma uniti dalla voglia di lasciare il segno in un mondo musicale spietato come la realtà che ci circonda per cui, un giorno dopo l’ uscita, un album è già vecchio e il prossimo sarà sicuramente più bello, mentre ascoltatori cannibali al terzo brano cliccano sul quadratino che indica lo stop e passano ad altro.
Perpendicolari è un lavoro difficile e coraggioso, musicalmente sottoposto a sferzate di potentissimo metal progressivo ma vario e per nulla scontato, complice l’uso della lingua italiana e la presenza di atmosfere dalle reminiscenze alternative.
Il sound è valorizzato da prestazioni agli strumenti di alta levatura, anche se la tecnica è messa al servizio del progetto nella sua totali,tà così da mettere tra le mani dell’ascoltatore un lavoro completo, maturo ed a tratti entusiasmante.
Difficile fare i soliti paragoni con gruppi famosi, l’anima progressiva degli Ozora è cresciuta con i maestri del genere, così come il rock che spoglia d’urgenza e cattiveria metallica il sound, per poi farlo esplodere accendendo chitarre indie cariche di watt.
Non c’è un solo brano che non meriterebbe d’essere analizzato, ma ci tengo a nominare la title track, i ritmi scolpiti nel groove della violenta A Terra, le atmosfere cangianti della splendida Orlando e dell’ altra lunga L’avevi Detto Tu, mentre Volta La Carta, cover metallica progressiva del poeta genovese Fabrizio De Andrè, mette il punto esclamativo su questo bellissimo ed imperdibile lavoro.

Tracklist
01. Idiometria
02. Perpendicolari
03. A Terra
04. Il Profeta
05. Orlando
06. La Tua Piccola Tragedia
07. Volta La Carta
08. La Coda
09. L’Avevi Detto Tu
10. amOre

Line-up
Paolo Marre – Guitars
Syd Silotto – Vox & Key
Luca Imerito – Bass
Danilo Sakko Saccotelli – Drums & Percussion

OZORA – Facebook

Pokerface – Game On

Ottimo ritorno dei thrashers russi Pokerface con il nuovo album Game On, un devastante esempio di thrash/death metal diretto e senza compromessi, valorizzato dalla prestazione della singer Lady Owl, nuova ammaliante strega dietro al microfono.

Dalla Russia con Amore si intitolava uno dei tanti film incentrati sulle avventure della spia più famosa del cinema, James Bond il famoso agente 007 creato dalla penna di dello scrittore britannico Ian Fleming.

I Pokerface arrivano dalla Russia ma di amore ne portano poco in giro, anzi il loro thrash/death metal è una bordata metallica estrema devastante.
Ci eravamo già occupati del gruppo proveniente da Mosca all’epoca dell’uscita di Divide And Rule, licenziato due anni fa, ora capitanato dalla singer Lady Owl, al secolo Alexandra Orlova, una strega scatenata tra growl, urla e presenza di un certo impatto tra le fila del quartetto, nuova spacca microfoni che sostituisce la già notevole Delirium.
Le novità non si fermano qui, ed oltre alla singer due chitarristi nuovi di zecca (Vadim Whitevad e Xen Ritter) fanno sfoggio di cattiveria in questo nuovo lavoro, per un sound che affonda le sue radici nel thrash old school di scuola europea, tra la triade tedesca (Sodom-Destruction-Kreator). ed un tocco di Slayer, tanto per rendere la proposta ancora più estrema, diretta e senza compromessi.
Una strega, una diavolessa, una diabolica sirena, chiamatela come volete, tanto il risultato non cambia e la Lady al microfono vi travolgerà, accompagnata da un impatto di tutto rispetto, tra accelerazioni e mid tempo potentissimi, in un delirio metallico che dalla prima nota dell’opener The Bone Reaper non smetterà un attimo di torturarvi i padiglioni auricolari, un concentrato di thrash metal tripallico che la singer tiene stretto per i cosiddetti, tra urla belluine e growl da far impallidire un orso arrabbiato.
Tra i brani, Creepy Guests è quello più legato al thrash metal duro e puro, con un occhio alla scena americana e quello che personalmente mi è piaciuto di più, ma il resto della tracklist non deluderà sicuramente la voglia di massacro dei fans di queste sonorità. Un ottimo ritorno.

Tracklist
1.The Bone Reaper
2.The Fatal Scythe
3.Play or Die
4.Blackjack
5.Straight Flush
6.Cry. Pray. Die.
7.Creepy Guests
8.Bow! Run! Scream!
9.Jackpot
10.Game On

Line-up
DedMoroz – Bass
Doctor – Drums, Percussion
Whitevad – Guitars
Xen Ritter – Guitars (lead)
Lady Owl – Vocals

POKERFACE – Facebook

Davide Berardi – Fuochi e Fate

Fuochi e Fate raccoglie ed imprime sullo spartito storie di vita raccontate con l’ausilio della musica, rock/pop nel più ampio senso del termine.

Rock d’autore sulle pagine di MetalEyes con Davide Berardi ed il suo Fuochi e Fate, album che ha potuto vedere la luce per merito del sempre più diffuso crowdfunding, con il quale i musicisti si affidano alla generosità dei propri ascoltatori per la realizzazione dei loro progetti.

Fuochi e Fate è un live registrato negli studi della Joe Black Production dove Berardi, in compagnia di Umberto Coviello (batteria e chitarra), Antonio Vinci (piano e tastiere) e Mino Indraccolo (basso), ci avvolge in un caloroso abbraccio fatto di rock d’autore, ombre jazzate e luci di musica fusion che raccontano undici storie, tra il serio ed il faceto, storie di vita, malinconiche e spiritose, perse nelle vicende quotidiane che potrebbe essere quell di ognuno di noi.
Il gruppo suona con maestria e talento, la musica scivola accompagnando i testi, maturi e sempre con un velo di ironia nascosta anche tra le pieghe più seriose dell’esistenza.
E’ originale la scelta di un live senza il pubblico, di un album in presa diretta con il quale il musicista interagisce con i suoi ascoltatori forte di un lotto di canzoni piacevoli come Bruxelles, Sudamerica e Povero Fesso.
Detto della cover di La Cura, l’immortale capolavoro di Battiato, ricordo che una parte del ricavato della vendita del disco verrà devoluta alla cooperativa sociale Eridanio, fondamentale per la realizzazione dell’opera.
Fuochi e Fate raccoglie ed imprime sullo spartito storie di vita raccontate con l’ausilio della musica, rock/pop nel più ampio senso del termine.

Tracklist
1. Povero Fesso
2. Indescrivibile
3. Bruxelles
4. Supervisionario
5. Mi Sento Una Formica
6. I Piedi E Gli Occhi
7. Roba Da Poco
8. La Cura
9. Che Meraviglia
10. Sudamerica

Line-up
Davide Berardi – Voce, Chitarra
Umberto Coviello – Batteria, Chitarra
Antonio Vinci – Piano, Tastierre
Mino Idraccolo – Basso

DAVIDE BERARDI – Facebook

Demon Head – Thunder On The Field

Diabolic rock come amano definire la propria musica, o semplicemente hard rock debitore dei Black Sabbath, con qualche sfumatura doorsiana che si evince dal tono vocale del singer, fatto sta che Thunder on the Fields risulta un buon lavoro, assolutamente perfetto per chi vive di rock

In piena tradizione settantiana e con uno spirito vintage mai domo arriva tramite The Sign Records il secondo album della hard rock/doom band danese dei Demon Head.

Diabolic rock come amano definire la propria musica, o semplicemente hard rock debitore dei Black Sabbath, con qualche sfumatura doorsiana che si evince dal tono vocale del singer, fatto sta che Thunder on the Fields risulta un buon lavoro, assolutamente perfetto per chi vive di rock che respira incenso, profumo liturgico che si mischia a quello dell’erba bruciata in cartine color canapa.
Band relativamente giovane, fondata solo cinque anni fa, i Demon Head hanno giù stampato una manciata di lavori tra full length e opere minori e la loro proposta si piazza tra il sound dai rimandi mistici e occulti dei primi anni settanta e quello che ricorda realtà con meno anni sulle spalle, come i canadesi The Tea Party folgorati sulla strada del doom.
I ritmi alternano una buona dose di hard rock ad atmosfere più legate alla musica del destino, ottima per esempio la traccia Hic Svnt Dracones, una lunga jam dalle atmosfere cangianti e progressive, mentre su We Are Burning si respira epicità classicamente metal.
Il gruppo canadese lascia il meglio alla fine, così che Gallows Omen e Untune The Sky formano un pezzo di granito doom metal, psichedelico ed avvolgente con la prestazione di M.F.L. al microfono che continua a regalare emozionanti parti evocative e lascivi vocalizzi psych/blues rock, alzando non poco il valore generale di questo Thunder On The Fields, album che, come le opere destinate a durare nel tempo, cresce con gli ascolti.

TRACKLIST
01. Menneskeaederen
02. We are burning
03. Thunder on the fields
04. Older now
05. Hic sunt dracones
06. Gallows omen
07. Untune the sky

LINE-UP
J.W- drums
M.S.F.- bass
B.G.N.- guitar
T.G.N.- guitar
M.F.L.- vocals

DEMON HEAD – Facebook

Freight Train – I

Il disco parte bene e finisce meglio, e la durata relativamente breve gioca a favore del gruppo che raccoglie il meglio di quanto composto in questi due anni

Si torna a parlare di hard rock melodico sulle pagine virtuali di MetalEyes con il debutto, tramite Rockshots Records, dei Freight Train, giovanissimo sestetto di Rimini.

Attivi da appena un paio d’anni avevano raggiunto molti appassionati con il primo videoclip, Any Way You Want It, cover del bellissimo brano dei Journey, incluso anche in I, lavoro che risulta la vera partenza per il gruppo nostrano.
Poco più di mezzora basta ai Freight Train per provare a conquistare fans dell’aor, grazie ad un buon talento compositivo in un genere in cui tecnica ed impatto vengono messi in ombra dall’importantissima forma canzone.
Il disco parte bene e finisce meglio, e la durata relativamente breve gioca a favore del gruppo che raccoglie il meglio di quanto composto in questi due anni, regalando ricami tastieristici supportati da chitarre che graffiano, prima di concedere solos di grande efficacia.
La materia è stata studiata e resa alla perfezione dai Freight Train che pescano dal cilindro almeno un trio di perle: You Won’t Fall, la splendida Another Chance e Reach For The Sky.
Influenze che a mio parere non si fermano solo all’America dei Journey, ma attraversano l’ Atlantico per giungere nel regno unito fino ed incontrare i Ten e proseguire per il nord Europa, ultima frontiera dell’hard rock melodico (dagli Europe cotonati degli anni ottanta, ai più giovani ma imperdibili Brother Firetribe).
Buona la prima, si dice in questi casi, album consigliato a chi cerca disperatamente nomi nuovi per continuare a sognare sulle ali dell’aor.

Tracklist
1. The Beginning
2. You Won’t Fall
3. Into the Fire
4. Another Chance
5. Here I Am
6. Somewhere, Someday
7. The Prelude
8. Reach for the Stars
9. Any Way You Want It
10. Into the Fire (Acoustic Version)

Line-up
Ivan Mantovani – Voce
Enrico Testi – Chitarra, Cori
Andrea Cappelletti – Chitarra
Anton Bagdatyev – Tastiere, Cori
Lorenzo Pucci – Basso, Cori
Mattia Simoncini – Batteria

FREIGHT TRAIN – Facebook