Diabolical Minds – …A Trail Of Blood And Hope

Duro, oscuro e violento il giusto per non fare prigionieri.

Death metal tripallico, dai rimandi old school e dall’impatto di un treno in corsa, melodico come solo l’ala nord europea sa essere, feroce ed estremamente intenso come quello statunitense.

…A Trail Of Blood And Hope è un’opera oscura ed estrema, un concept creato dalle menti dei veronesi Diabolical Minds, gruppo che vede nelle proprie fila ex componenti di svariate band della scena estrema.
Sette brani più bonus che raccontano della discesa nella più totale follia di un serial killer, soggiogato dalla sua mente malata e delle sue imprese, tra omicidi e terribili mutilazioni.
La colonna sonora di questo scempio è la musica dei Diabolical Minds, death metal old school, un belligerante pezzo di granito estremo dove le ritmiche mantengono una velocità sostenuta, le sei corde si intrecciano in lascivi e blasfemi solos, taglienti e melodici, con la voce a produrre il suono che la mente suggerisce al nostro pericoloso assassino.
Senza andare troppo per il sottile e seguendo le coordinate dettate dai gruppi storici del genere, la band nostrana centra il bersaglio: l’album si ascolta che è un piacere nella sua natura estremamente violenta, i musicisti coinvolti sono protagonisti di ottime prove, il lavoro alla console ad opera del chitarrista Matteo Migliorini rende giustizia al sound prodotto così da fare di …A Trail Of Blood And Hope un album da consigliare agli amanti del death metal.
The Beginning Of The End vi introduce al concept ed alla follia omicida, un’apertura che rende subito giustizia al sound del gruppo, in evidenza con solos di scuola scandinava, mentre Trauma e l’oscura Death Calls continuano la devastante opera con la seconda che strizza l’ occhiolino aldilà dell’Atlantico.
Si continua a produrre ottimo metallo estremo alternando le sfumature provenienti dalle due storiche scuole (Chapter 4, la title track), mentre non si registrano compromessi di sorta, con l’album che nella sua interezza risulta un ottimo sunto di quello che ha offerto il genere in tutti questi anni.
Duro, oscuro e violento il giusto per non fare prigionieri, ma solo vittime.

Tracklist
1.The Beginning Of The End
2.Trauma
3.Death Calls
4.Chapter 4
5.Slowly The Corpse Burn
6.I Can’t Wait
7….A Trail Of Blood And Hope
8.Funeral Of Light
9.My Dark Empire

Line-up
Alex Bigon – vocals
Matteo Migliorini – guitar
Claudio Mignolli – guitar
Luca Marogna – bass
Pierluigi “Pigi” Lazzarini – drums

DIABOLICAL MINDS – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=IIvU7HFQoXM

Next To None – Phases

Secondo lavoro per i Next To None, giovane band americana, tecnicamente sopra la media ma ancora acerba per quanto riguarda il songwriting.

Progressive metal e modern death metal si incontrano e si azzuffano nel sound di questi tecnicamente eccellenti giovani statunitensi.

Quartetto formato nel 2012, i Next To None arrivano al secondo album, questa prova di resistenza intitolata Phases, quasi ottanta minuti di metal progressivo ed estremo, moderno e variopinto, anche se inevitabilmente un po’ prolisso a causa della sua durata.
Il gruppo americano non ha mezze misure, picchia come una band estrema, si lascia andare a chorus presi in prestito dal metalcore, ma ci piazza varianti ritmiche e spettacolari solos progressivi.
Esagerati e straordinariamente maestri del proprio strumento, questi ragazzi non scrivono canzoni, ma mini opere metalliche dove spesso viene smarrita la strada, seguendo un songwriting ancora da registrare.
Non basta alla band stupire con una tecnica invidiabile, nella musica l’elemento emozionale è troppo importante per lasciarlo nascosto sotto cascate di note, mentre qualche minuto di calma apparente dimostra l’ancora poca maturità nel costruire canzoni, con scontate sfumature melodiche.
Tanto fumo e niente arrosto?
In parte direi di sì, anche se non tutto è ovviamente da buttare, il gruppo come detto è giovanissimo e la tecnica col tempo sarà affiancata dall’inevitabile maturazione.
Nel frattempo il gruppo è in giro con Mike Portnoy’s Shattered Fortress (il Max Portnoy alla batteria nei Next To None è appunto figlio di tanto padre) nel tour passato anche dal nostro paese, ulteriore esperienza da mettere in saccoccia: i ragazzi cresceranno, potenziali fenomeni lo sono già, vedremo se diventeranno altrettanto bravi anche a livello compositivo.

Tracklist
1. 13
2. Answer Me
3. The Apple
4. Beg
5. Alone
6. Kek
7. Clarity
8. Pause
9. Mr. Mime
10. Isolation
11. Denial
12. The Wanderer

Line-up
Max Portnoy – drums
Thomas Cuce – vocals, keyboard
Derrick Schneider – guitar
Kris Rank – bass

NEXT TO NONE – Facebook

Municipal Waste – Slime And Punishment

La produzione perfetta e la cura nei dettagli fanno di Slime And Punishment un gioiellino di genere offerto da parte dell’ormai storica band americana, su cui si può contare quando il bisogno di headbanging diventa impellente.

Sesto full length licenziati, una valanga di lavori minori, ed un’attitudine che non accenna a diminuire la sua carica tra furia thrash ed impatto hardcore.

I Municipal Waste da Richmond (Virginia) sono diventati uno dei gruppi cult della scena, trovandosi dal 2001 ad incendiare palchi in giro per il mondo: il quintetto statunitense torna dunque tramite Nuclear Blast con questa mitragliata senza compromessi dal titolo Slime And Punishment, un tornado che spazza via e distrugge, velocissimo, ironico, rabbioso ed assolutamente devastante.
Tony Foresta e compagnia non si smentiscono e fin dall’opener di questo dirompente lavoro ci travolgono con il loro sound sguaiato come la voce del singer che urla testi ricchi di sano umorismo sarcastico, ad esorcizzare verità scomode dai margini di una società allo sbando.
Cantati dunque con la solita grinta in un delirio di ritmiche a razzo e chitarre sacrificate sull’altare del massacro sonoro di matrice thrash old school, i brani che compongono Slime And Punishment ci invitano sotto il palco in un’orgia di sudore e alcool, ancora una volta a consumare il rito Municipal Waste.
La componente hardcore (importantissima nella struttura del sound) accentua l’assalto sonoro perpetrato con l’aiuto di autentiche bombe sonore come Breathe Grease, Shrednecks, l’Anthrax song Bourbon Discipline e in generale tutta la mezzora scarsa di questa disumana corsa sui binari del pendolino Municipal Waste.
La produzione perfetta e la cura nei dettagli fanno di Slime And Punishment un gioiellino di genere offerto da parte dell’ormai storica band americana, su cui si può contare quando il bisogno di headbanging diventa impellente.

Tracklist
1.Breathe Grease
2.Enjoy the Night
3.Dingy Situations
4.Shrednecks
5.Poison the Preacher
6.Bourbon Discipline
7.Parole Violators
8.Slime and Punishment
9.Amateur Sketch
10.Excessive Celebration
11.Low Tolerance
12.Under the Waste Command
13.Death Proof
14.Think Fast

Line-up
Ryan Waste – Guitars, Vocals (backing)
Tony Foresta – Vocals
Land Phil – Bass, Vocals (backing)
Dave Witte – Drums
Nick Poulos – Guitar

MUNICIPAL WASTE – Facebook

Leider – Alloys

Chitarre chirurgiche, solos di scuola priestiana e sezione ritmica precisa e potente, sono le caratteristiche principali del gruppo messicano, protagonista di una prova convincente.

Non solo il Brasile è terra di tradizione metallica, il centro/Sud del continente americano è infatti fucina di realtà in tutti i generi della musica dura, dall’Argentina al Cile, passando dunque per il più settentrionale Messico, paese di provenienza di questa notevole band hard & heavy chiamata Leider.

Il gruppo arriva al traguardo del terzo full length in tredici anni di attività, pochi lavori ma buoni fin dall’esordio Furia, uscito ormai dieci anni fa e seguito dal secondo Seven del 2012.
Sono passati cinque lunghi anni, e la band torna con Alloys, un concentrato di potenza heavy metal, classico ma nello stesso tempo ben saldo in questo tempo così da non dare all’ascoltatore una sensazione di vintage, puntando al bersaglio grosso per via di un’ottima produzione e un buon songwriting,
Il Dickinson Solista, ovviamente gli Iron Maiden e poi la potenza heavy power dei Primal Fear a dare quel tocco di Judas Priest, permettono ai brani di Alloys di esplodere in tutta la loro carica heavy metal, con Phoenix punta di diamante di un’ottima raccolta di canzoni che fa risplendere il talento di Diego Trejo, vocalist di scuola Red Siren, e dei suoi compagni d’avventura.
Chitarre chirurgiche, solos di scuola priestiana e sezione ritmica precisa e potente, sono le caratteristiche principali del gruppo messicano, protagonista di una prova convincente.
We Are Masters, Insanity, l’epica Blood Heroes (aperta da una suggestiva intro di cornamuse) sono i brani perfetti per un ascolto tutto metallo, sudore e sangue: l’originalità abita (forse) da lontano da Alloys, qui si fa heavy metal con la H e la M al loro posto.

Tracklist
1.We Are Masters
2.Flesh
3.Phoenix
4.Insanity
5.Dust from Hell
6.Boo
7.High Flying Bird
8.Blood Heroes

Line-up
Julio Romo – Bass
Japo Lopomontiel – Drums
Sergio Trejo – Guitars
Jhovany Lara – Guitars
Diego Trejo – Vocals

LEIDER

Disharmony – The Abyss Noir

Il sound dei Disharmony parla americano e The Abyss Noir ne è l’esempio perfetto, con i suoi umori oscuri ed una verve progressiva che spicca da un impatto thrash metal a tratti devastante.

La Grecia, pur con tutti i suoi problemi politico/sociali, vive un momento di grande spessore musicalmente parlando e riguardo ai generi che trattiamo su MetalEyes.

Hard rock, doom metal, alternative hard & heavy, suoni classici e moderni: nella terra degli dei dell’olimpo si fa rock e metal con buona qualità.
Parliamo di metal e di una band (i Disharmony) attiva da vent’anni, anche se per un lungo periodo ha sonnecchiato per debuttare nel 2014 sulla lunga distanza con Shades Of Insanity, album che segnava il vero ritorno del gruppo dopo il demo che, con lo stesso titolo, era apparso cinque anni prima.
Il nuovo lavoro si intitola The Abyss Noir, trentacinque minuti di sonorità heavy thrash metal progressive, drammatiche e teatrali in linea con il power metal americano.
Il sound dei Disharmony parla americano dunque e The Abyss Noir ne è l’esempio perfetto, con i suoi umori oscuri ed una verve progressiva che spicca da un impatto thrash metal a tratti devastantei.
Chris Kounelis viaggia su tonalità care al grande Warrel Dane, quindi avrete già capito che tra i solchi della title track e della seguente Vain Messiah troverete ad aspettarvi i Nevermore, ispirazione primaria del gruppo di Atene ma non l’unica.
Ma dove la band di Dane raggiungeva attimi estremi al limite del death/thrash, il suono dei Disharmony rimane ancorato al metal classico, duro, dall’enorme impatto ma pur sempre più vicino al thrash Bay Area (non è un caso la cover di Disposable Heroes dei Metallica).
Un buon lavoro, e se siete amanti dei Nevermore e dei Sanctuary, così come delle atmosfere oscure dell’U.S, metal classico, The Abyss Noir ve ne farà sentire meno la mancanza, con gioiellini di tragico metallo come Delirium e This Caravan.

TRACKLIST
01. The Abyss Noir
02. Vain Messiah
03. Delirium
04. This Caravan
05. Disposable Heroes (Metallica cover)
06. A Song For A Friend

LINE-UP
Chris Kounelis – Vocals
J. Karousiotis – Guitars
Stefanos Georgitsopoulos – Guitars
Panagiotis Gatsopoulos – Bass Guitar
Thanos Pappas – Drums

DISHARMONY – Facebook

Prong – Zero Days

Zero Days continua la tradizione della band newyorkese, da decenni punto fermo del metal estremo moderno che ha le sue radici all’inizio degli anni novanta

Dopo più di una fase a singhiozzo per quanto riguarda le uscite discografiche, i Prong hanno trovato una costanza per certi versi inattesa.

Archiviato l’ultimo lavoro, l’ottimo X- No Absolutes dello scorso anno, Tommy Victor torna sul mercato con un nuovo macigno groove industrial metal dal titolo Zero Days, tredici brani all’insegna di un sound rabbioso, potente ma valorizzato da un talento melodico sempre presente fin dai tempi del capolavoro Cleansing.
Victor è come il vino, più invecchia più diventa buono, ha perso, come logico, la grintosa rabbia della giovinezza per un approccio più (concedetemi il termine) ruffiano, o per qualcuno maturo, ma sono dettagli o modi di vedere le due facce della stessa medaglia.
La verità è che Zero Days lascia in parte molte delle melodie del precedente lavoro per tornare a lidi modern thrash, ovviamente senza perdere un grammo di appeal, tanto che queste tredici immediate bombe sonore, non lasciano scampo ed entrano in testa al primo colpo, massacranti e all’apparenza senza compromessi.
E’ inevitabile esaltarsi per il groove dell’opener However It May End o la title track, sballottare il testone al ritmo dell’ hit Divide And Conquer, o per un attimo tornare alle origini con la devastante Interbeing.
Zero Days è alimentato dal thrash metal, corso in aiuto al massacro perpetuato da Victor, accompagnato dal fido Art Cruz alle pelli e da Mike Longworth al basso, quest’ultimo al posto di Jason Christopher, presente sul precedente full length.
E’ di thrash metal che si parla in Operation Of The Morel Law, mentre rimandi alla fabbrica della paura si avvicendano con il sound tipicamente Prong della bordata industriale Self Righteous Indignation.
Zero Days continua la tradizione della band newyorkese, da decenni punto fermo del metal estremo moderno che ha le sue radici all’inizio degli anni novanta: anni che hanno regalato nuovi stimoli e generi alla musica contemporanea, alla faccia dei puristi e dei detrattori e ancora lontana dall’essere giunta al capolinea.

Tracklist
01. However It May End
02. Zero Days
03. Off the Grid
04. Divide and Conquer
05. Forced Into Tolerance
06. Interbeing
07. Blood Out of Stone
08. Operation of the Moral Law
09. The Whispers
10. Self Righteous Indignation
11. Rulers of the Collective
12. Compulsive Future Projection
13. Wasting of the Dawn
14. Reasons to Be Fearful

Line-up
Tommy Victor – guitar, vocals
Mike Longworth – bass
Art Cruz – drums

PRONG – Facebook

Edguy – Monuments

In Monuments tutti gli album usciti fino ad oggi hanno il loro momento di gloria, rendendo la compilation una suggestiva e soddisfacente panoramica sulla musica dedli Edguy.

Ladies & gentlemen, prendete posto sulla vostra poltroncina riservata per lo spettacolo che tra poco andrà ad incominciare.

Chiudete gli occhi e fatevi trasportare dai primi cinque inediti scritti per l’occasione, che nulla aggiungono e nulla tolgono alla storia musicale di uno dei gruppi più influenti degli ultimi vent’anni di power/heavy metal, capitanato da un talento che ha dell’inumano visto le opere, non solo del gruppo in questione, ma pure del suo alter ego Avantasia, con il quale ha scritto alcune delle metal opera più belle nella lunga storia del metal classico.
Gli Edguy … chi l’avrebbe mai detto, venticinque anni dopo l’inizio dell’attività e quasi venti dal capolavoro Vain Glory Opera, album che irrompeva sul mercato, allora in pieno periodo di vacche grasse per il genere (almeno nel vecchio continente), dopo i buoni esordi con Savage Poetry e soprattutto Kingdom Of Madness: eppure eccoci a celebrare la band guidata da un ragazzaccio dal talento spropositato, un tipo che non prendendosi mai troppo sul serio sprigiona una simpatia unica, unita ad una bravura non solo come cantante ma specialmente come compositore.
Come Tobias sia riuscito a mantenere un livello così alto con le sue due anime rimarrà un mistero, anche quando il power divenne il genere di esclusiva competenza degli Avantasia e gli Edguy virarono verso l’hard & heavy,.
La Nuclear Blast festeggia questo importante traguardo per la band di Fulda con questa imperdibile raccolta: doppio cd e dvd con la registazione di un live del periodo Hellfire Club, più tutti i video che il gruppo ha registrato fino ad oggi.
Power metal, hard & heavy, hard rock che si fa ruffiano e melodico, ma sempre di una qualità che ha lasciato a bocca aperta migliaia di appassionati, mentre con Vain Glory Opera e Out Of Control si torna con una punta di nostalgia al periodo della clamorosa esplosione del gruppo, confermata dall’uscita di Theater Of Salvation nel 1999 (Babylon) e la coppia di capolavori Mandrake ed Hellfire Club (Tears Of A Mandrake, Mysteria, King Of Fools e Lavatory Love Machine).
In Monuments tutti gli album usciti fino ad oggi hanno il loro momento di gloria, rendendo la compilation una suggestiva e soddisfacente panoramica sulla musica del gruppo, consigliato non solo ai vecchi fans e collezionisti del verbo Sammet ma soprattutto ai giovanissimi, che avranno modo di fare la conoscenza del meglio che la macchina metallica Edguy abbia regalato in questi anni che sono passati, inesorabili e veloci come un lampo per tutti…

Tracklist
1. Ravenblack
2. Wrestle The Devil
3. Open Sesame
4. Landmarks
5. The Mountaineer
6. 929
7. Defenders Of The Crown
8. Save Me
9.The Piper Never Dies
10. Lavatory Love Machine
11. King Of Fools
12. Superheroes
13. Love Tyger
14. Ministry Of Saints
15. Tears Of A Mandrake
16. Mysteria
17. Vain Glory Opera
18. Rock Of Cashel
19. Judas At The Opera
20. Holy Water
21. Spooks In The Attic
22. Babylon
23. The Eternal Wayfarer
24. Out Of Control
25. Land Of The Miracle
26. Key To My Fate
27. Space Police
28. Reborn In The Waste

Line-up
Tobias Sammet – Vocals
Jens Ludwig – Guitar
Dirk Sauer – Guitar
Tobias Exxel – Bass
Felix Bohnke – Drums

EDGUY – Facebook

Irdorath – Denial Of Creation

Un album che entusiasma, probabilmente il migliore nel suo genere di questo 2017 che ha visto il ritorno in pompa magna del metal estremo e dei suoi mille modi di suonarlo: quello del gruppo austriaco è sicuramente uno dei più riusciti.

Il black metal che si fonde con il thrash non è certo una novità, il problema è che molte volte questa dissacrante alleanza finisce con l’essere sconfitta da album tutti uguali, prodotti malissimo e senza lasciare traccia del proprio passaggio, con tanto fumo ma poco arrosto in quanto a songwriting e belligeranza musicale.

Ovviamente un album targato Wormholedeath è sempre da tenere in considerazione, vista la qualità dei gruppi proposti dalla label nostrana, ed infatti questo devastante ultimo lavoro degli austriaci Irdorath non delude le attese, confermandosi come uno dei lavori più belli del genere capitati sotto le grinfie del sottoscritto.
Il quartetto proveniente dalla Carinzia licenzia quindi il proprio quarto album, questo bellissimo esempio di metal estremo dal titolo Denial Of Creation.
Più di dieci anni di attività ed una manciata di lavori bastano per arrivare al culmine della propria discografia in questa estate dove le notti nelle foreste alpine verranno invase dalle truppe del male, massacri e barbarie verranno commessi al suono di Devoured by Greed e degli altri dannati inni che compongono quest’ora scarsa di metallo nero, furioso ma impreziosito da sfumature melodiche che portano il disco su un altro livello.
Rabbia, devozione al male, dannazione eterna, ma con in bella mostra un approccio melodico straordinario e dove non arriva la melodia ci pensano ritmiche perfette, da far impallidire i migliori Kreator, fulminati sulla via del black metal e omaggianti i Dissection.
La furia ritmica spazza via l’odore di morte, come il vento gelido che da nord soffia dopo l’imbrunire, mentre da lontano gli echi di Sacred Deception, Purification e la title track accompagnano la discesa a valle di Markus e compari,  in un delirio di accelerazioni e mid tempo (Blessing From Above).
Un album che entusiasma, probabilmente il migliore nel suo genere di questo 2017 che ha visto il ritorno in pompa magna del metal estremo e dei suoi mille modi di suonarlo: quello del gruppo austriaco è sicuramente uno dei più riusciti.

Tracklist
1.Devoured by Greed
2.Trail of Redemption
3.Sacred Deception
4.The Curse that Haunts the Earth
5.Purification
6.Covenant of the Unbounded
7.Blessings from Above
8.In the Name of Decay
9.Denial of Creation

Line-up
Markus – Guitar, Vocals
Craig – Guitar
Mario – Bass Guitar
Thomas – Drums

IRDORATH – Facebook

Malet Grace – Malsanity

Siamo nei meandri del metal più maturo ed evoluto, quindi lascerei perdere influenze ed ispirazioni e, per una volta, è meglio concentrarsi solo sulla musica dei Malet Grace, ne vale la pena.

Questa interessantissima proposta arriva da Latina, la band in questione si chiama Malet Grace, un quartetto di thrashers dalla notevole tecnica attivo dal 2014 e qui alla sua prima opera su lunga distanza, Malsanity.

Sviluppata l’idea di un concept album basato sulla disgregazione dell’io e la propria apertura agli schemi apocrifi dell’intelletto umano, e sulla conseguente immoralità del dibattito contrastante tra il bene e il male, la band composta da Giampaolo Polidoro (chitarra e voce), Alessandro Toselli (chitarra), Andrea Paglierini (basso e chitarra acustica) e Andrea Giovanetti alle pelli offre un nobile esempio di metal progressivo, che dal thrash prende tutta la sua dirompente carica e dal prog metal i raffinati passaggi, che non inficiano assolutamente la natura estrema del sound.
Accompagnato da un bellissimo artwork, curato da Matteo Spirito, che riassume proprio il contrasto tra bene e male, Malsanity irrompe con la sua estrema personalità e maturità sulla scena metal nazionale, un lavoro curato nei minimi dettagli ed assolutamente in grado di mettere d’accordo una buona fetta di consumatori del nostro amato metallo.
Thrash, prog metal, heavy si rincorrono tra le trame di brani valorizzati da un lavoro strumentale eccellente  ed un cantato che sforna attimi interpretativi di elevata difficoltà, mentre le atmosfere di drammatico conflitto tengono alta la tensione fino alla fine delle ostilità.
Non c’è un brano che non sia perfettamente in grado di tenere il passo degli altri, in una tempesta di suoni tra potenti midtempo, furiose cavalcate ed azzeccati rallentamenti in cui l’atmosfera si quieta prima di esplodere e ripartire, tra chitarre saettanti e ritmiche che si avvicinano alla perfezione.
Citare i brani più convincenti è un’impresa, visto l’enorme potenziale proposto e le sorprese che riserva ognuna delle tracce presenti, anche se The Human Side Of Schizophrenia e l’accoppiata Egopathy/ Ambiguity Of Extinction sono, ad un primo approccio, il cuore pulsante di questo bellissimo lavoro.
Siamo nei meandri del metal più maturo ed evoluto, quindi lascerei perdere influenze ed ispirazioni e, per una volta, è meglio concentrarsi solo sulla musica dei Malet Grace, ne vale la pena.

Tracklist
1.Commotion of Frailty
2.Empathy for Silence
3.The Human Side of Schizophrenia
4.Angel of Chaos
5.Subconsciousness of Misery
6.The Pleasant Charm of Memories
7.Egopathy
8.Ambiguity of Extinction
9.Chaos Is My Order
10.Malet Grace
11.Where False Idols Pray

Line-up
A. Paglierini – Bass, Guitars (acoustic)
A. Toselli – Guitars
G. Polidoro – Vocals, Guitars
A. Giovanetti – Percussion, Drums

MALET GRACE – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=n9jEm5J3dxk

Tytan – Justice Served

Un album da ascoltare senza pregiudizi, anche se l’operazione nostalgia è dietro l’angolo ma, a difesa del gruppo inglese, c’è una grande conoscenza della materia ed uno spirito vintage che accomuna tutti i generi.

La macchina del tempo metallica che da un po’ mi porta in giro per i vari decenni ora che i suoni vintage e classici sono tornati all’attenzione dei fans mi spinge indietro fino al 1981 quando il bassista Kevin Riddles, lascia gli storici Angel Witch per formare i Tytan.

Del gruppo però, dopo il primo ep (Blind Man And Fools) licenziato nel 1982 ed il full lenght Rough Justice del 1985, se ne perdono le tracce fino al 2012 ed alla partecipazione dei riformati Tytan al Keep It True Festival.
Con nuovi musicisti e un ritrovato entusiasmo il gruppo londinese arriva oggi a licenziare il secondo lavoro dopo ben trentadue anni, dall’esordio sulla lunga distanza tramite la High Roller.
Justice Served risulta così un ritorno alle sonorità classiche nate all’alba degli anni ottanta e conosciute come new wave of british heavy metal.
Ritmiche alla Saxon e melodie di scuola Praying Mantis compongono la struttura portante del suono Tytan, che avvalendosi di una produzione in linea con la musica suonata porta l’ascoltatore nella Londra dei primi anni ottanta, quando l’heavy metal capitanato dagli Iron Maiden e dai loro colonnelli sul campo (Saxon, Praying Mantis, Angel Witch, Tygers Of Pan Tang, Def Leppard) stava rimpiazzando nei gusti il successo veloce e distruttivo del punk.
Kevin Riddles torna con i suoi Tytan e lo fa alla grande, con un album piacevole, puro heavy metal britannico, dove la melodia ha un’importanza primaria nel creare atmosfere che si fanno talvolta settantiane, con l’hard rock che a tratti prende il sopravvento.
Un album da ascoltare senza pregiudizi, anche se l’operazione nostalgia è dietro l’angolo ma, a difesa del gruppo inglese, c’è una grande conoscenza della materia ed uno spirito vintage che accomuna tutti i generi.

TRACKLIST
1. Intro
2. Love You To Death
3. Fight The Fight
4. Spitfire
5. Reap The Whirlwind
6. Midnight Sun
7. Forever Gone
8. Billy Who
9. Hells Breath
10. One Last Detai
11. Worthy Of Honour
12. The Cradle

LINE-UP
Tom Barna – Vocals & Rythmn Guitar
Dave Strange – Vocals & Lead Guitar
Kevin Riddles – Bass, Vocals & Keyboards
James Wise – Drums
Andy Thompson – Keyboards

TYTAN – Facebook

Burning Ground – Last Day Of Light

Last Day Of Light risulta davvero un ottimo esempio di metallo proveniente dal nuovo mondo, teatrale e drammatico, epico e a tratti progressivo, mettendo subito in chiaro che qui siamo al cospetto di una band da non sottovalutare.

Le vie del power metal sono infinite e arrivano a Cagliari, in una delle nostre due isole maggiori, portando nobile metallo oscuro e drammatico come da tradizione americana.

La band in questione, all’esordio discografico tramite la Minotauro Records, si chiama Burning Ground, è attiva dal 2002 ma solo ora arriva a fermare la propria musica su disco e, come una foto o un’immagine, lasciare finalmente qualcosa di sé a chi la segue.
E bene ha fatto la Minotauro a non lasciarsi sfuggire il quintetto sardo, all’opera su un lavoro notevole, heavy power che non disdegna passaggi al limite del thrash, atmosfere epiche ed oscure, ed un’eleganza insita nel songwriting del gruppo ed assolutamente di scuola americana.
Last Day Of Light risulta davvero un ottimo esempio di metallo proveniente dal nuovo mondo, teatrale e drammatico, epico e a tratti progressivo, mettendo subito in chiaro che qui siamo al cospetto di una band da non sottovalutare, con un singer di razza (Maurizio Meloni) ad interpretare i brani con grinta e pathos, una chitarra solista che sciorina solos forgiati nel sacro fuoco del metal (Andrea Alvito), accompagnata dalle ritmiche del buon Alberto Bandino.
Il basso di Alessio Melis pompa sangue power, le pelli bruciano sotto i colpi inferti da Angelo Melis, mentre Dark Ages è l’intro che ci dà il benvenuto in questo piccolo gioiellino di metal classico.
Non ci si muove dal territorio americano, The Killing Hand conferma la totale devozione del gruppo all’heavy power classico, le atmosfere sono da subito aggressive ed oscure, ma elegantemente impreziosite da un grande lavoro melodico della sei corde.
Darkened Desire è uno splendido brano dove le ritmiche la fanno da padrone così come la cura nei chorus, e Facing The Shame è un bombardamento metallico, così come Before I See.
Primi Savatage, Metal Church e Sanctuary, ma pure Nevermore ed Iced Earth, nella musica del gruppo passa una buona fetta del metal classico statunitense, proveniente dagli anni ottanta , ma senza dimenticare i più giovani interpreti della musica dura, ormai da anni nel cuore dei true metallers, messo a dura prova dal The Burning Ground e dalla title track.
Una gradita sorpresa, un album ed una band da non lasciarsi sfuggire, specialmente se vi nutrite di pane ed U.S. power metal.

Tracklist
1.Dark Ages
2.The Killing Hand
3.Darkened Desire
4.Facing the Shame
5.Before I See
6.The Burning Ground
7.Last Day of Light
8.Dawn of Hope

Line-up
Alessio Melis – Bass
Maurizio Meloni – Vocals
Angelo Melis – Drums
Andrea Alvito – Guitars (lead)
Alberto Bandino – R.guitars

BURNINGROUND – Facebook

Ten – Gothica

E’ un ritorno importante questo dei Ten, per riprendere le redini della scena hard rock internazionale con un album che lascia sprigionare emozioni come non succedeva dai tempi di The Robe e Spellbound.

I Ten sono uno dei gruppi più importanti dell’hard rock melodico di matrice britannica che gli ultimi vent’anni abbiano visto all’opera: a braccetto con i connazionali Dare hanno saputo nobilitare un genere caduto in disgrazia all’inizio degli anni novanta e tornato di recente prepotentemente in auge.

Il gruppo, guidato dal talento del cantante e compositore Gary Hughes, ebbe tra il 1996 ed il 2000 il suo momento magico con almeno quattro album che fanno parte della storia del rock duro europeo, dal secondo e bellissimo The Name Of The Rose a Babylon, passando per i due capolavori The Robe e Spellbound.
Il leader, che passava da lavori solisti a collaborazioni illustri (Bob Catley), ed una popolarità che cresceva tra gli amanti del genere, portò i Ten sulle copertine delle riviste di settore, mentre la discografia si ampliava con album sempre molto belli ma a cui mancava la scintilla che infiammava le opere precedenti.
Qualche cambio in formazione ed un leggero calo, del tutto naturale anche per una band come i Ten, non hanno inficiato la voglia di scrivere del mastermind inglese, tornato da alcuni anni a riempire di pelle d’oca le braccia dei suoi ammiratori con almeno due lavori eccellenti, Albion e l’ultimo Isla de Muerta ,usciti rispettivamente nel 2014 e due anni fa.
Siamo arrivati nel 2017 e tocca a Gothica, il nuovo album prodotto da Hughes, masterizzato e mixato da Dennis Ward e suonato da un gruppo che raccoglie la crema dell’hard rock, ben sette musicisti che, con l’ospite Karen Fell, diventano otto anime che danno all’album quel particolare tocco alla Ten che non lascia scampo.
Ancora grande musica rock, dunque, ultra melodica, anche se Hughes ha dichiarato (per i temi trattati più che altro) di aver puntato su qualcosa di più sinistro ed oscuro, ma sempre straordinariamente melodico come solo la band di Arcadia, The Name Of The Rose o We Rule The Night sa suonare.
Gothica è un album bellissimo, pregno di melodie fuori dal comune, avvolto in alcuni brani da una vena ombrosa che conferisce al sound sfumature melanconiche mai toccate dal gruppo, con almeno la metà dei brani che risplendono del talento non solo del suo leader ma di tutti i musicisti del gruppo, con una menzione particolare per il raffinato ed elegante lavoro ai tasti d’avorio di Darrel Treece-Birch.
La magia di The Grail apre l’album, facendo capire subito che con Gothica il gruppo conferma il ritorno ad una forma eccellente, melodica, oscura ed epica, seguita dal singolo Travellers, dalla grintosa The Wild King Of Winter, dalla moderna  Welcome To The Freak Show e dalle trame aor di La Luna Dra-cu-la.
E’ un ritorno importante questo dei Ten, per riprendere le redini della scena hard rock internazionale con un album che lascia sprigionare emozioni come non succedeva dai tempi di The Robe e Spellbound; inutile dirvi, quindi, che l’album risulta impedibile per tutti gli amanti dell’hard rock melodico.

Tracklist
1. The Grail
2. Jekyll And Hyde
3. Travellers
4. Man For All Seasons
5. In My Dreams
6. The Wild King Of Winter
7. Paragon
8. Welcome To The Freak Show
9. La Luna Dra-cu-la
10. Into Darkness

Line-up
Gary Hughes – Vocals, Backing Vocals, Guitar, Bass and Programming
Dann Rosingana – Guitar
Steve Grocott – Guitar
John Halliwell – Guitar
Steve McKenna – Bass Guitar
Darrel Treece-Birch – Keyboards
Max Yates – Drums and Percussion

Additional Backing Vocals – Karen Fell

TEN – Facebook

Deep Valley Blues – Deep Valley Blues

Prendete quattro musicisti calabresi, già protagonisti con altri progetti più o meno conosciuti nella scena nazionale, lasciateli per un po’ a jammare in un delirio stonerizzato e psichedelico, pesante come una meteora in caduta libera sulla Sila, ed avrete i Deep Valley Blues.

Prendete quattro musicisti calabresi, già protagonisti con altri progetti più o meno conosciuti nella scena nazionale, lasciateli per un po’ a jammare in un delirio psichedelico, pesante come una meteora in caduta libera sulla Sila, ed avrete i Deep Valley Blues, che negli studi della Black Horse ha dato vita in presa diretta a questo mostro stoner/blues.

La band di Catanzaro ha messo la propria esperienza ed attitudine al servizio di questo progetto, rigorosamente in autoproduzione, giusto per alzare di molti gradi la colonnina di mercurio e raggiungendo così temperature vulcaniche.
Deep Valley Blues, ovvero tornare da una drammatica settimana persi nel deserto, dissetarsi il giusto per non lasciare questo mondo, prendere in mano il proprio strumento e tuffarsi in quello parallelo delle visioni e dei trip hard rock, tra una neanche troppo velata attitudine southern, accenni allo psych-hard rock settantiano e lo stoner della famosa valle che ha fatto da parco giochi e maestra ai vari Kyuss e compagnia.
L’urgenza rock del quartetto però è farina del suo sacco, con una vena punk che attraversa i vari capitoli di questa odissea, tra la terra che brucia sotto i piedi ed il sole nemico della ragione, mentre in mezz’ora veniamo travolti da questo sabba desertico, schiaffeggiati dai vari capitoli che si susseguono e formano questa lunga jam.
Space Orgasm è la parte del viaggio che più preferisco, ma Deep Valley Blues rimane un lavoro da mandare giù tutto d’un fiato, altrimenti si rischia di perdere molto della magia drogata del sound di questi sacerdoti dell’hard rock stoner.

1. Death Valley Blues
2. Prey
3. Struggle of Interest
4. Hell of a Month
5. Space Orgasm
6. Banzai
7. Ashes in the Wind

Line-up
Umberto Arena – Guitars and Backing Vocals
Alessandro Morrone – Guitars
Giando Sestito – Bass and Vocals
Giorgio Faini – Drums

DEEP VALLEY BLUES – Facebook

Decapitated – Anticult

Anticult si può leggere come un ulteriore passo verso una camaleontica trasformazione iniziata con il precedente Blood Mantra, riuscita in parte, ancora da registrare ma che lascia buone sensazioni per il prosieguo della carriera del gruppo polacco.

Evoluzione, involuzione, tradimento o solo voglia di suonare qualcosa di diverso (anche perché non credo che con il metal estremo si possa parlare di soldi), fatto sta che quando una band storica lascia l’ormai abituale via per seguire altre strade, porta sempre malumore tra i fans e gli addetti ai lavori, poche volte bilanciato da commenti entusiastici.

E’ il caso dei polacchi Decapitated, una vita a suonare death metal tecnico e brutale, ora trasformatisi in una groove metal band, rabbiosa e melodica.
Potrà anche non piacere la svolta, ma rimane indubbio che Anticult sia un lavoro pesante e melodico, sicuramente rivolto ad un altro tipo di ascoltatori e non ai soliti fruitori della musica del gruppo di Vogg e compagni.
Ovviamente potete pure mettere la classica pietra sopra al vecchio sound proposto dai Decapitated, perché questo nuovo lavoro non è neppure avvicinabile ai deliri tecnici ed estremi dei passati album del gruppo, qui si fa death metal melodico e cool, con il groove ben in evidenza ed una spiccata propensione alla melodia che si evidenzia in molti passaggi, anche se manca ai brani quel quid per essere ricordati.
Anticult si può leggere come un ulteriore passo verso una camaleontica trasformazione iniziata con il precedente Blood Mantra, riuscita in parte, ancora da registrare ma che lascia buone sensazioni per il prosieguo della carriera del gruppo polacco.
In breve, i Decapitated non esistono più, o meglio stanno lasciando la vecchia pelle in una lenta mutazione che li sta portando, attraverso brani come la devastante opener Impulse, o la pesantissima Kill The Cult, verso lidi groove melodic death più vicini a gruppi come Arch Enemy, The Haunted e Darkane.
Se ne parlerà e tanto di questo lavoro, il sottoscritto consiglia l’ascolto prima di giudicare la scelta del gruppo che, a conti fatti, non risulta così male.

Tracklist
1. Impulse
2. Deathvaluation
3. Kill The Cult
4. One Eyed Nation
5. Anger Line
6. Earth Scar
7. Never
8. Amen

Line-up
Vogg – Guitars
Rafał Piotrowski – Vocals
Młody – Drums
Hubert Więcek – Bass

DECAPITATED – Facebook

Diesanera – Crumbs

Crumbs è un lavoro ispirato e vario, dove ci si confronta con un gruppo che ha trovato un’alchimia perfetta tra le sue varie influenze, senza mai ripetersi, variando e giocando con le atmosfere care all’alternative gothic rock.

I Diesanera con il loro debutto passeggiano tra le strade del gothic/dark rock e, come in un ombroso labirinto, si perdono tra le molte ispirazioni, ritornando sulla via oscura non prima di aver creato Crumbs.

E Crumbs non deluderà chi di notte si aggira per i vicoli di città decadenti, fuori dagli schemi di generazioni mordi e fuggi, solitarie creature della notte affamate di poesie gotiche.
Il gruppo nasce un paio di anni fa per volere di Valerio Voliani (ex singer di Icycore, Absolute Priority e Motus Tenebrae) e Ilario Danti (ex chitarrista dei Death SS e Madness Of Sorrows), raggiunti nel frattempo dal chitarrista Yuri Giannotti, da Matt Langella al basso e da Alessio Toti alle pelli.
La firma per l’etichetta napoletana Volcano Records & Promotions e l’uscita di Crumbs in questa assolata estate non sono che l’ottima partenza per il gruppo toscano che si inserisce di prepotenza tra le migliori novità in ambito gothic/dark, almeno per quanto riguarda la scena underground dello stivale.
L’album si presenta come un riuscito riassunto di quello che il genere ha regalato in questi anni, elaborato in modo personale così da trovare subito una propria identità, partendo dal dark rock classico, passando per le trame gotiche in uso nelle notti a cavallo dei due millenni per trovare nell’alternative rock il modo per firmare in calce questo lotto di brani con il monicker Diesanera.
Volian.i singer che non ha nulla da invidiare ai vampiri che si sono succeduti come icone del genere, ma che sa dare ai brani la giusta interpretazione, passando dai toni baritonali di Pete Steele a quelli più cool di Jirki 69, varia il suo canto arrivando a toccare lidi modern rock, mentre la band passa agevolmente tra tracce gotiche e notturne ad altre più dirette e metal.
Ne esce, come detto, un lavoro ispirato e vario, dove ci si confronta con un gruppo che ha trovato un’alchimia perfetta tra le sue varie influenze, senza mai ripetersi, variando e giocando con le atmosfere care all’alternative gothic rock, passando per le trame dell’opener Mad Man,del singolo Pills Of Lies, della sensuale Ghosts, del capolavoro The Last Funeral, della superba The Mission ed arrivando alla cover di Such A Shame dei Talk Talk, a conferma dell’amore per la new wave ottantiana dei protagonisti.
Un debutto affascinante che non passerà sicuramente inosservato tra le creature della notte e di chi si nutre del sangue che sgorga dalle note di Type 0 Negative, The 69 Eyes, Sisters Of Mercy, Secret Discovery e Poisonblack.  Dark/ Gothic 8.20

Tracklist
1 Mad Man
2 My Lonely Hell
3 Pills Of Lies
4 Ghosts
5 DiesAnEra
6 The Spell
7 Sadness
8 The Last Funeral
9 S.I.R.I.A.
10 The Mission
11 In The Name Of God
12 Such A Shame

Line-up
Valerio Voliani – vocals
Ilario Danti – guitars
Yuri Giannotti – guitars
Matt Langella – bass
Alessio Toti – drums

DIESANERA – Facebook

Uncommon Evolution – Junkyard Jesus

Ritmiche grasse, chitarre sature ed attitudine selvaggia sono le maggiori caratteristiche degli Uncommon Evolution e la loro musica, un macigno sonoro che passa per i Clutch e si ferma tra le trame del sound dei Corrosion Of Conformity, aggiunge preziose sfumature southern metal trasformando il tutto in hard rock pesantissimo.

Gli Uncommon Evolution si sono formati nel 2013, arrivano dal Montana e sono stati catturati dalla Argonauta Records, per la quale esce il terzo ep Junkyard Jesus.

Prodotto da Machine (Clutch, Lamb of God, Crobot), il lavoro è composto da quattro brani per una ventina di minuti circa che trasportano sulle montagne degli States.
Deserti che diventano paradisi e viceversa, mentre il caldo soffocante del giorno lascia spazio al freddo polare della notte, in un’escursione termica che si riflette nella musica del quartetto, un hard rock pregno di sonorità stoner, duro come la vita nelle provincie americane, maschio e pesante come una band di taglialegna in trip per suoni stonerizzati e a tratti psichedelici.
Ritmiche grasse, chitarre sature ed attitudine selvaggia sono le maggiori caratteristiche degli Uncommon Evolution e la loro musica, un macigno sonoro che passa per i Clutch e si ferma tra le trame del sound dei Corrosion Of Conformity, aggiunge preziose sfumature southern metal trasformando il tutto in hard rock pesantissimo.
I quattro musicisti statunitensi ci sanno fare con la materia e già dalla title track la loro musica è sparata per fare danni, mentre il chorus di Highly Modified Son of a Bitch si stampa in testa così come l’ottimo refrain, mentre il solo arriva direttamente dalla vetta di una montagna.
La discesa si fa dura e l’ andamento cadenzato di Feather Short of Flight segna il ritorno a valle, mentre King Of The Heep concede un momento di gloria al doom settantiano, compresso e destabilizzato da un’atmosfera satura di elettricità.
Un ottima prova per la band ed ennesimo buon colpo per l’etichetta ligure: gli Uncommon Evolution potrebbero regalare grosse soddisfazioni con un auspicabile prossimo full lenght.

TRACKLIST
1.Junkyard Jesus
2.Highly Modified Son of a Bitch
3.Feather Short of Flight
4.King of the Heep

LINE UP
Matt Niles – drums
Rick Bushnell – bass
River Riotto – lead guitar
Briar Gillund – guitar and vocals

UNCOMMON EVOLUTION – Facebook

Elegy Of Madness – New Era

Terzo e nuovo centro per gli Elegy Of Madness, che con il nuovo New Era si confermano come una delle migliori realtà nazionali del symphonic metal.

Quattro anni fa rimasi letteralmente folgorato dal secondo lavoro degli Elegy Of Madness, band pugliese che con Brave Dreams portava una ventata di oscura e sinfonica freschezza nella scena gothic metal.

Non è un caso se il quintetto è saldamente legato alla Wormholedeath, label nostrana con un fiuto eccezionale per band assolutamente non scontate, che siano estreme, dall’approccio classico o come in questo caso piacevolmente orchestrali.
Brave Dreams era piaciuto per un songwriting sopra la media, chitarre che esploravano la scena death melodica scandinava (Amorphis) e quella gotica proveniente dalle strade umide e nebbiose del Regno Unito (Paradise Lost), unite ad atmosfere orchestrali e valorizzate da una singer straordinaria come Anja Irullo .
Gli Elegy Of Madness, al trio storico formato, oltre che dalla cantante, dal chitarrista Tony Tomasicchio e dal violoncellista Luca Basile, si ripresentano con una sezione ritmica nuova di zecca per l’entrata in formazione di Larry Ozen al basso e Francesco Caputo alle pelli, e con un sound che porta con sé qualche importante novità.
New Era entra subito nel vivo, l’opener Apokalypsis risulta un brano perfetto per presentare il nuovo lavoro, un singolo orchestrato a meraviglia, dall’appeal irresistibile e con una prova della Irullo che conferma la spiccata personalità espressa in passato: una conferma, dunque, e la consapevolezza di trovarci al cospetto di una delle migliori interpreti del genere in circolazione.
Dicevamo del sound: New Era sposta il tiro su un metal sinfonico ed orchestrale più moderno, perdendo di fatto quelle sfumature che riconducevano al death/gothic dei primi anni novanta ed affascinando non solo con atmosfere apocalittiche, ma con l’uso più presente di una parte elettronica e soprattutto di tanta melodia, così da risultare appetibile agli amanti del genere con i piedi ben saldi nel nuovo millennio.
Diciamo che brani straordinariamente melodici come Fairytale, la title track, song da primo posto nelle classifiche rock se non fosse purtroppo per la carta d’identità tricolore del gruppo, la power ballad Memories River e l’ elegante Reset, avvicinano la musica degli Elegy Of Madness alle splendide trame degli ultimi Epica, più moderni come approccio al genere, finemente orchestrali e meno gotici.
Quando si parla del gruppo pugliese non si può non nominare la Turunen, sempre ispiratrice del magnifico canto della singer nostrana, mentre le orchestrazioni operistiche e cinematografiche della conclusiva Day Zero ci invitano a ricominciare in questa nuova era, dove verremo presi per mano dalla musica di questa straordinaria band: sicuramente il modo migliore per ripartire …

Tracklist
1.Apokalypsis
2.Answer
3.Fairytale
4.Lunacy
5.New Era
6.Divine Obsession
7.Memories River
8.Endless
9.Illuminated
10.Nobody Cares
11.Reset
12.Day Zero

Line-up
Anja Irullo – Voice
Tony Tomasicchio – Guitars and Backing Vocals
Luca Basile – Cello, Orchestra

Larry Ozen – Bass
Francesco Caputo – Drums

ELEGY OF MADNESS – Facebook

The Tangent – The Slow Rust Of Forgotten Machinery

Quest’ultimo lavoro dei The Tangent è stato scritto e suonato per progsters d’annata, su questo non c’è il minimo dubbio ed è a loro che è consigliato.

I The Tangent sono uno dei gruppi più importanti della generazione nata con l’arrivo del nuovo millennio, agli inizi di fatto un super gruppo che vedeva all’opera tre Flower Kings e due musicisti provenienti dai Parallel or 90 Degrees.

Il gruppo, capitanato di fatto da Andy Tillson, arriva al traguardo del tredicesimo album , tra full length e live in quindici anni di attività e tanti cambi di formazione che vedono, oltre al mastermind impegnato con le tastiere, il canto e per la prima volta su un album targato The Tangent, la batteria, Jonas Reingold (Karmakanic, The Flower Kings) al basso, Luke Machin alle chitarre e voci, Theo Travis al sax e al flauto e Marie-Eve de Gaultier alle tastiere e voci.
Una formazione che ancora una volta impegna musicisti di prim’ordine del progressive rock odierno e un’opera che riesce a risvegliare emozioni ormai sopite, almeno per quanto riguarda il progressive classico, senza esagerazioni metalliche e con tutta la classe che Andy Tillson e compari possiedono.
Cinque brani per settantacinque minuti di musica, salendo e scendendo per le scale progressive create dal gruppo, magari leggermente prolisse per gli ascoltatori del nuovo millennio, ma a tratti splendidamente eleganti e raffinate, mai troppo elettriche e forse questa caratteristica risulta l’unico tallone d’ Achille di The Slow Rust Of Forgotten Machinery.
L’album infatti alterna momenti di altissima arte musicale ad altri che cedono il passo, travolti dal fiume di note della notevole suite Slow Rust, cuore musicale di un album che a tratti fatica a decollare perdendosi in troppi e dilatati momenti soft al limite del jazz .
E’ un viaggio che l’ascoltatore vive alternando momenti di euforia musicale (Dr. Livingstone) a qualche sbadiglio, specialmente se non si è amanti conservatori del progressive rock classico.
Quest’ultimo lavoro dei The Tangent è stato scritto e suonato per progsters d’annata, su questo non c’è il minimo dubbio ed è a loro che è consigliato, mentre la conclusiva A Few Steps Down The Wrong Road regala piacevoli accordi frippiani e ritorna a disegnare sorrisi sul viso del sottoscritto.
In conclusione tra tante luci e poche ombre, un’ opera in grado di soddisfare gli amanti del genere e quindi i fans del gruppo di Andy Tillson.

Tracklist
1. Two Rope Swings
2. Dr. Livingstone (I Presume)
3. Slow Rust
4. The Sad Story Of Lead and Astatine
5. A Few Steps Down The Wrong Road

Line-up
Andy Tillison – Keyboards, vocals, drums
Jonas Reingold – Bass
Luke Machin – Guitars and vocals
Theo Travis – Saxes and flutes
Marie-Eve de Gaultier – Keyboards and vocals

THE TANGENT . Facebook

Breaking Larsen Theory – Wasted Words

La cura per le melodie va di pari passo con sfumature metalliche ed atmosfere dark rock, ritmiche groovy e quel senso di tragico vivere che porta il sound del gruppo a scendere nell’ombra, senza perdere in tensione e mantenendo un approccio forte, mai mieloso, eppure dall’ottimo appeal radiofonico.

Le vie dell’alternative metal/rock sono infinite, molte portano a successi effimeri e dischi piatti e già sentiti, con formule trite e ritrite dal almeno venticinque anni, altre invece prendono la strada della personalità e di un buon songwriting e riescono a risultare freschi pur rivendicando le proprie ispirazioni e d influenze.

Wasted Words per esempio, debutto dei giovani Breaking Larsen Theory, non mancherà di allertare non solo gli ormoni delle pulzelle in giro per concerti in questa estate metallica, ma soddisferà pure i rocker con magari qualche anno in più sul groppone ed un passato a smuovere natiche con il rock intimista e perdente della piovosa Seattle, qualche altro tra l’hard rock moderno e un presente a tutta birra con le nuove leve alternative delle quali il gruppo milanese è un buon esempio.
Grinta metal e melodie intimiste, rock ed alternative, qualche spunto dark, e più di una atmosfera tooliana, danno all’album tutte le caratteristiche per non passare inosservato in una scena in cui la fatica a convincere non è neppure l’infinitesimale parte della velocità con cui si sparisce nel dimenticatoio della generazione iPod.
Un click e via si viene cancellati dalla play list, a meno che non si abbia qualcosa da dire e lo si faccia con la fermezza e la voglia dei Breaking Larsen Theory con le loro undici tracce più intro a formare un lavoro fresco, intenso, dark e drammatico, sempre in bilico tra la potenza del metal e il più ragionato impatto rock.
La cura per le melodie va di pari passo con sfumature metalliche ed atmosfere dark rock, ritmiche groovy e quel senso di tragico vivere che porta il sound del gruppo a scendere nell’ombra, senza perdere in tensione e mantenendo un approccio forte, mai mieloso, eppure dall’ottimo appeal radiofonico.
Visions, l’ elettronica che attraversa brani d’impatto come B.L.T., il groove che lascia spazio alle melodie in On The Cruel Real sono solo una parte del sound che Phil, Aiden, Teo e Jody hanno preparato come ingredienti di un piatto d’alta cucina, buono, ma allo stesso tempo elegante e presentato con tutti i crismi: assaggiatelo e non smetterete più di gustarlo.

Tracklist
1. Metastasis (intro)
2. Every Road I’ve Kept Alone
3. Visions
4. Wasted Words
5. On The Cruel Real
6. Wake Up! (reprise)
7. B.L.T.
8. Severing Ties
9. Picture Of You
10. Beyond This Hole
11. Dream In Colour

Line-up
Phil – Vocal, Guitar
Aiden – Bass Guitar, Backing Vocals, FX Producer
Teo – Lead Guitar
Jody – Drums

BREAKING LARSEN THEORY – Facebook

Pathology – Pathology

Nono album per i brutal death metallers californiani Pathology, ormai punto fermo della scena estrema statunitense.

Con più di dieci anni di attività e ben nove album pubblicati, i californiani Pathology possono essere considerati come un punto fermo della scena brutal statunitense.

Il trio torna sul mercato con un nuovo lavoro omonimo che presenta mezzora di devastante death tra brutal e grind, con un estremismo sonoro senza compromessi e un livello tecnico invidiabile, che fanno del gruppo una realtà da seguire nel panorama del genere.
Anche questo nuovo lavoro , che segue di tre anni il precedente Throne Of Reign, percorre la linea tracciata dai maestri del death: una bestiale furia omicida si abbatte sull’ascoltatore, un massacro senza compromessi con il growl animalesco a maciullare teste e un riffing chirurgico per una raccolta di brani che non concedono tregua.
Dave Astor (batteria) e Tim Tiszczenko (chitarra) costruiscono un muro sonoro invalicabile, su cui Matti Way vomita bestialità in un condensato di violenza e ferocia che esprime nei titoli la sua dichiarazione d’ intenti (Lamentation, Dolorous, Putrescent).
Consigliato agli amanti del genere e ai fans devoti al verbo dei Cannibal Corpse e dei gruppi che formano le truppe d’assalto del brutal death metal.

Tracklist
1.Lamentation
2.Dolorous
3.Litany
4.Servitors
5.Dissevered
6.Putrescent
7.Doth
8.Shudder
9.Opprobrium
10.Vermilion

Line-up
Dave Astor – Drums
Matti Way – Vocals
Tim Tiszczenko – Guitar

PATHOLOGY – Facebook