Sartoria Volume – Sartoria Volume

I Sartoria Volume fanno pop e lo fanno bene, e dato che sono un gruppo capace si sparano un reggaetino molto carino e con un testo eccezionale come Vi Adoro Tutti.

I Sartoria Volume sono un trio di Brescia, nato dalle ceneri dei Vitanova.

Il gruppo mette assieme in maniera piacevole pop, indie ed un pizzico di elettronica. La loro particolarità è di avere una cadenza indie pop molto simile a quella dei gruppi dei primi duemila, ma non sono derivativi, sono freschi e hanno un tocco anni sessanta e settanta. Ad un primo ascolto potrebbero sembrare frivoli, invece i loro testi sono scritti bene, con un risultato vicino al surrealismo, un andare oltre le cose comuni e le ovvietà. Quattro brani sono la lunghezza giusta per dare l’idea di cosa sia questo gruppo, che trova il suo senso nel pop italiano di qualità, anche se a volte cercano un po’ troppo la posa indie, mentre invece quando sono totalmente loro stessi sono molto meglio. In un panorama indie molto produttivo ma di scarsa qualità, i Sartoria Volume sono uno di quei gruppi da tenere d’occhio, perché sono capaci di fare un bel disco o anche una canzone che potrebbe essere il prossimo tormentone di gran successo. Questo trio testimonia che alla fine l’indie non esiste, o meglio, è un genere mainsteam come un altro. Invece i Sartoria Volume fanno pop e lo fanno bene, e dato che sono un gruppo capace si sparano un reggaetino molto carino e con un testo eccezionale come Vi Adoro Tutti, un diversamente vaffanculo molto bello. Un buon esordio sotto la sapiente guida di Michele Guberti e Massimiliano Lambertini, con il master curato dal noto produttore Manuele Fusaroli (The Zen Circus, Tre Allegri Ragazzi Morti, Nada, Luca Carboni, Motta, Nobraino, Le Luci della Centrale Elettrica).

Tracklist
01 Ballo Coi Serpenti
02 Ora d’Aria
03 Vi Adoro Tutti
04 Sirene

Line-up
Voce / chitarra: Alessio Busi
Batteria: Federico Mariotto
Basso: Andreas Busi

https://www.facebook.com/sartoriavolume/

Swamp Witch – Dead Rituals

Dead Rituals è la summa dello sludge migliore, quello che abbatte tutto e riesce anche ad aprire la via per le melodie migliori.

Gli Swamp Witch vengono da Oakland e fanno, come da loro stessa definizione, del cosmic sludge, ovvero dello sludge con connotazioni psych.

Il loro suono è molto ben strutturato e granitico, contiene tutti gli elementi del migliore sludge. Non ci sono fraintendimenti ascoltando questo disco, è un concentrato di emozioni date da una musica pesante che come lava cerca il percorso migliore, e dove passa distrugge tutto ciò che incontra. Questo è il loro secondo disco e perfeziona il discorso iniziato con il primo lavoro. Il suono non è velocissimo, la pesantezza fa parte della loro poetica, dato che trascina l’ascoltatore con sé, portandolo in un abisso di nera disperazione, dove numerosi demoni tormentano senza tregua. Le costruzioni delle canzoni sono fatte in maniera che integra molto bene la voce con il resto del gruppo, arrivando ad un risultato chiaro e fruibile. Lo sludge ultimamente è un genere meno frequentato rispetto al passato e rimangono le band migliori, quelle che hanno più idee, come mostrano gli Swamp Witch. Nel loro suono si può anche cogliere un qualcosa che assomiglia alla psichedelia anni 70, soprattutto nei passaggi di tono e nelle costruzione maggiormente acide. Le tracce sono quattro, tutte abbastanza lunghe, perché come un serpente la musica si snoda sinuosa, ed un qualcosa di più breve sarebbe stato meno adeguato: d’altro canto il gruppo di Oakland non si perde in elucubrazioni che non porterebbero a nulla, infatti la concretezza è una dello loro armi maggiori. Dead Rituals è la summa dello sludge migliore, quello che abbatte tutto e riesce anche ad aprire la via per le melodie migliori.

Tracklist
1.Petrified in Sewage
2.Serpent Drug Cult Mythology
3.Catacomb Saint
4.Dead Rituals

Line-up
Jimmy – Vocals
Phil – Guitar
Zack – Guitar
Jacob – Bass
Zak – Drums

https://www.facebook.com/CosmicSludge/

Veuve – Fathom

Raramente si ascolta un gruppo stoner con questa profondità, con questa capacità di cogliere qualche aspetto della realtà o del sogno in ogni canzone

I Veuve sono un trio di Pordenone attivo dal 2014 che suona un’interessante miscela di stoner, fuzz e space rock.

Quello che colpisce maggiormente in questo disco è la diversità dei suoni e la versatilità del gruppo, e soprattutto le piacevolissime melodie che si alternano a pezzi più pesanti. Fathom non ha un approccio solo, contiene molte cose che unite danno l’unicità dei Veuve, quel tono particolare che altri gruppi non possiedono. Con l’ascolto si possono cogliere le impalcature sonore che vi sono allestite, non vi è nulla lasciato al caso, la costruzione va avanti progressivamente ed in maniera incessante. Nonostante facciano un genere davvero abusato come lo stoner, i Veuve riescono ad essere molto originali, rivolgendosi a ciò che sta oltre il cielo e non a quello che sta sotto. Qui dimora un notevole senso di libertà, un sano escapismo che ci porta lontano da una vita che sta stretta, e grazie all’immaginazione e a un disco come Fathom si può andare lontano senza muoversi. I Veuve sono uno di quei gruppi che lavora incessantemente alla propria musica e lo si può ascoltare benissimo qui, dove tutto è curato fin nei minimi particolari. Raramente si ascolta un gruppo stoner con questa profondità, con questa capacità di cogliere qualche aspetto della realtà o del sogno in ogni canzone. Molto forte è anche il senso di melanconia, intesa come profonda comprensione della nostra limitatezza, che è infatti rappresentata dalla loro parte post rock, molto presente in canzoni come Following, un piccolo capolavoro. Diciamo che i Veuve potevano scegliere per una via più facile, magari facendo uno stoner più rapace, ma sicuramente non è il loro modo di agire, e quindi confezionano un disco profondo ed interessante, che copre molti lati della luna. Da ascoltare con molta attenzione.

Tracklist
1.Radars Are High
2.Taste Of Mud
3.Following
4.Death Of The Cosmonaut
5.Low In The Air
6.The Unseen
7.Into The Smoke

Line-up
Riccardo Quattrin – bass & vocals
Stefano Crovato – guitar
Andrea Carlin – drums

https://www.facebook.com/veuveband/

The Negative Bias – Narcissus Rising (A Metamorphosis In three acts)

Non ci sono mai passaggi ovvi, riempitivi o momenti di stanca, il viaggio nelle tenebre non conosce sosta, tutto cambia e noi non siano più al centro, siamo spettatori di qualcosa di immensamente più grande di noi che non riusciamo né a vedere né a comprendere ma che i The Negative Bias mettono benissimo in musica.

I The Negative Bias sono una nemesi musicale che si abbatterà su di voi attraverso uno dei migliori black metal europei.

Gli austriaci sono qui alla loro seconda prova, dopo il primo Lamentations Of The Chaos Omega. In questo ultimo lavoro troviamo due pezzi di oltre venti minuti dagli svariati contenuti. L’assalto black è quello tipico anni novanta, con momenti moderni ed innovativi, ma il tiro è quello. La forza dei The Negative Bias è di mutare sempre il flusso musicale, ci si immerge in un nero universo senza lasciare tempo all’ascoltatore di abituarsi, si viene rivoltati, la prospettiva muta in continuazione. Ad un certo punto il vortice, la parola inglese void è maggiormente adeguata, ti prende e ti conquista, ed è bellissimo lasciarsi portare in giro da questo black metal mai uguale a sè stesso. Per poter compiere un’operazione del genere bisogna avere un talento musicale ed in particolare compositivo fuori dal comune, e qui ne troviamo in abbondanza. Non ci sono mai passaggi ovvi, riempitivi o momenti di stanca, il viaggio nelle tenebre non conosce sosta, tutto cambia e noi non siano più al centro, siamo spettatori di qualcosa di immensamente più grande di noi che non riusciamo né a vedere né a comprendere ma che i The Negative Bias mettono benissimo in musica. Persino i momenti più lenti hanno un senso, non sono calme parentesi ma è assenza di respiro. Un disco che porta molto avanti il discorso cominciato dal primo lavoro e mette il gruppo austriaco sotto i riflettori di chi ama il black metal più vero, viscerale e anche innovativo. Il disco esce per la triestina ATMF, una delle etichette guida per chi ama il nero metallo che raramente sbaglia disco, ma cosa ancora più importante sta sviluppando una propria particolare poetica che la porta a pubblicare album di mortale bellezza che toccano direttamente i nostri cuori.

Tracklist
1.Narcissus Rising
2.Insomnic Sermons of Narcistic Afterbirth (At the Threshold where Chaos Turns into Salvation)

Line-up
I.F.S – Songwriting, Vocals, Lyrics, Concept
S.T – Songwriting, Guitars/Bass, Production
Athtarion – Songwriting, Guitars/Bass
Florian Musil – Drums

https://www.facebook.com/thenegativebias/

Slow Order – Eternal Fire

Il re incontrastato di Eternal Fire è il groove, che gli Slow Order sanno creare molto bene portandolo a spasso lungo un disco piacevole, più complesso e corposo di tanti altri all’interno di questo genere.

Nuovo lavoro per questo gruppo bolognese di stoner e doom, nato per esprimere l’amore verso i suoni ribassati e i giri di chitarra che si fondono con la sezione ritmica.

Gli Slow Order fanno ottima musica strumentale, sciogliendo una forte dose di psichedelia nel pastiche stoner doom. Eternal Fire è un disco strutturato molto bene, con una composizione che spazia in molti campi diversi, non c’è mai uno schema fisso e di ciò il disco si giova enormemente, lasciando molti motivi per muovere la testa durante l’ascolto. Giustamente si potrebbe chiedere cosa hanno di più questi bolognesi rispetto al resto di gruppi stoner doom strumentali? Ascoltando Eternal Fire lo si potrà capire subito, mentre per invitare all’ascolto si potrebbe dire che ci sono molti mondi qui dentro, dallo stoner strumentale alla Karma To Burn, a riff in stile southern metal, a momenti di psichedelia pesante, per un lavoro molto forte e con i piedi bene piantati nel pantano. Ogni cosa qui è funzionale allo svolgimento generale, non ci sono orpelli o cose fittizie, tutto è consequenziale e opera per un fine più alto. Il trio è molto affiatato e ciò lo si sente dalle prime note, perché gli Slow Order sono uno di quei gruppi che trascinano l’ascoltatore indicandogli la via, anche se fosse in mezzo alle tenebre. Eternal Fire è un ottimo esempio di come possa essere la musica pesante declinata in una certa maniera, con un codice nato in giro per il mondo e che tanti gruppi stanno usando nel migliore dei modi. Il re incontrastato di Eternal Fire è il groove, che gli Slow Order sanno creare molto bene portandolo a spasso lungo un disco piacevole, più complesso e corposo di tanti altri all’interno di questo genere.

Tracklist
01. Eternal Fire
02. Obsessive Tale
03. Serpent’s Son
04. Eclipse
05. Kanavar
06. The Hunter
07. Starweed
08. Black Mass

Line-up
minoz
robby
ale

https://www.facebook.com/sloworder/

Minor Poet – The Good News

Questo gruppo ha un tiro maledettamente affascinante molto anni ottanta, come se di quegli splendidi anni si fosse preso solo il buono per fondare un movimento tropical statunitense molto debitore ai Beatles, a cavallo fra le diapositive rock e quelle psichedeliche.

Visione musicale superiore di in qualcosa che si situa tra il pop di alta qualità, il rock e uno strano senso per la bossanova.

I Minor Poet sono una creazione della fervida mente musicale di Andrew Carter da Richmond, Virginia, il quale, con il disco del 2017 And How! ha dato vita a questo progetto diventato con il tempo un vero e proprio gruppo che si esibisce con successo in giro. In definitiva questa band ha un tiro maledettamente affascinante molto anni ottanta, come se di quegli splendidi anni si fosse preso solo il buono per fondare un movimento tropical statunitense molto debitore ai Beatles, a cavallo fra le diapositive rock e quelle psichedeliche. Il loro suono è ora dolce e malinconico ma sempre con un fondo di speranza, ora più scanzonato ma consapevole di cosa siamo e di cosa possiamo fare, ovvero poco, ma in questo poco perché non gustarci canzoni bellissime come queste? Ecco, queste sono canzoni molto belle, eleganti e di ottimo aspetto, ben composte e ben suonate. Questa eleganza in musica è qualcosa che si sta perdendo sempre di più, e i Minor Poet sono qui per ricordarcelo. In questi sovraffollati tempi manca qualcosa che un tempo veniva regalato, ad esempio, da un David Bowie o un Marc Bolan, quel cambiare atmosfera con una canzone. Ecco i Minor Poet lo fanno, sebbene in una scala minore, con il sax che entra alla fine di Nude Descending Staircase con un assolo che non dura molto ma cambia un disco. E questo album è pieno di particolari come questo, piccole chicche disseminate in un disegno già valido e molto bello.
Un disco che respira e fa respirare bene, non fa guardare davanti od indietro, ma verso lo specchio, per una nostra immagine finalmente sostenibile.

Tracklist
1.Tabula Rasa
2.Tropic of Cancer
3.Museum District
4.Reverse Medusa
5.Bit Your Tongue / All Alone Now
6.Nude Descending Staircase
Line-up
Andrew Carter, Jeremy Morris, Micah Head, Erica Lashley.

https://www.facebook.com/minorpoetmusic/

Khanus – Flammarion

Il black death è un sottogenere inflazionato e che richiede un grande talento per essere innovato: qui l’innovazione non c’è, e in definitiva la prova dei Khanus si rivela molto solida senza squilli.

Flammarion è un disco del 2018 dei Khanus, gruppo finlandese di Oulu, che ha fatto il suo esordio nel 2016 con l’ep Rites Of Fire.

I Khanus propongono un black death metal di buona fattura, ben composto e ben suonato, però non scatta mai la scintilla, nel senso che l’ascoltatore non viene avvinto in maniera totale dalle loro trame sonore. Ci sono molti gruppi come i Khanus, certamente questi finlandesi appartengono al novero dei gruppi di qualità medio alta, ma Flammarion è un album molto standard per i generi black death, in quanto non c’è una fuga verso l’alto. Di certo è poco comune quanto azzeccata la scelta di cominciare con una cover dei norvegesi Darkthrone, The Serpent’s Harvest da Total Death del 1996, un brano che è una dichiarazione programmatica di intenti. Da qui comincia il disco che non è mai suonato in maniera velocissima, ma si dipana per mid tempo che poi lasciano spazio a sfuriate sempre abbastanza contenute. Come detto sopra il risultato è buono, ma troppo piatto per scatenare entusiasmo. Escono per I, Voidhanger Records, etichetta che ha sempre un’altissima qualità e questo disco sta nelle loro corde, ma non può competere con il resto del catalogo. Flammarion è un album nella media del black death, suonato da musicisti esperti e dalle evidenti capacità compositive, con le quali apportano anche alcune particolarità come il cantato che, in certi tratti, è quasi operistico. Il black death è un sottogenere inflazionato e che richiede un grande talento per essere innovato: qui l’innovazione non c’è, e in definitiva la prova dei Khanus si rivela molto solida senza squilli.

Tracklist
1.The Serpent’s Harvest (Darkthrone Cover)
2.A Timeless Sacred Art
3.Titan Souls
4.Ageless
5.The Uncreated
6.Secular Spiritual Existence
7.Surrupu
8.Magick And Numbers

Line-up
Meltiis – Soprano vocals and Choir
Lordt – Drums
Sovereign – Guitars, Bass, Vocals

KHANUS – Facebook

Versing – 10000

Questi tredici brani ci offrono uno spaccato convinto e convincente di come possa essere l’indie pop rock fatto bene, grazie alla passione e alla competenza.

Ci sono dischi che gridano, altri che sussurrano o che passano sopra le nostre teste senza che nemmeno ce ne accorgiamo.

10000 dei Versing è un disco scritto e prodotto per corrodere la nostra malata quotidianità. Questo lavoro mostra quanto ancora di buono e valido ci possa essere in un lavoro genuinamente indie. I nostri si incontrano nell’ambito di una college radio di Tacoma, la KUPS, dove il cantante, chitarrista e scrittore dei testi Daniel Salas era direttore artistico per il comparto alternative. Lì incontra l’altro chitarrista Graham Baker, il batterista Max Keyes,e il bassista Kirby Lochner. Insieme danno vita ai Versing, un gruppo indie alternative che prende la mosse dalla tradizione americana per innovarla profondamente. I Versing avanzano in maniera apparentemente sbieca e ondivaga, invece vanno dritti al punto, con un indie rock minimale, melodico e distorto al contempo. Questa band possiede quella speciale levità che pochi gruppi hanno, quel gettarsi nella mischia con la consapevolezza di riuscire a giocare secondo le proprie regole. Non inventano nulla ma riescono ad offrire un qualcosa di efficace e soprattutto credibile. Per i parametri di vita americani sono certamente degli sfigati, ma sono ciò che vogliamo, perché per fare musica come la loro ci vuole coraggio in questa epoca di pose social, ed infatti i nostri fanno promozione su facebook con un logo con sopra il loro nome e… i Minions
La musica, che è quella poi l’unica cosa importante, è davvero buona e varia, i tredici pezzi ci offrono uno spaccato convinto e convincente di come possa essere l’indie pop rock fatto bene, grazie alla passione e alla competenza. Rispetto alla media degli altri gruppi i Versing fanno un uso mirabile della distorsione, il vero valore aggiuntivo al tutto.

Tracklist
1Entryism
2 Offering
3 Tethered
4 Violeta
5 By Design
6 Vestibule
7 In Mind
8 Long Chord
9 3D
10 Sated
11 Survivalist
12 Loving Myself
13 Renew

Line-up
Daniel Salas
Graham Baker
Kirby Lochner
Max Keyes

VERSING – Facebook

Dispnea – Incitement To Self Destruction

Questo ep d’esordio intitolato Incitement To Self Destruction potrebbe rivelarsi uno dei classici degli ultimi anni del genere in Italia: chi ama il black metal qui troverà molte perle nere, confermando la scuola napoletana del nero metallo fra le più efficaci.

Autore – Titolo

Testo Recensione
I Dispnea sono un gruppo di Napoli all’esordio con questo ep uscito a maggio.

La proposta musicale è un black metal di tipo depressive di buona qualità, non necessariamente confinato nel recinto di quel sottogenere. Infatti, a differenza di altri gruppi simili, i partenopei producono composizioni di più ampio respiro, andando ad esplorare tutto il black metal, essendo legati a quello classico come punto di partenza. Il disco è un fiume in piena di dolore sublimato attraverso il genere, che in questo caso è il veicolo ed il codice migliore per esprimersi. I quattro brani dell’ep trattano di cose che viviamo quotidianamente sulla nostra pelle, di eventi che ci vengono contrabbandati per normali ma che normali non sono affatto. La nostra vita quotidiana è un potentissimo generatore di dolore, un continuo allontanamento dalla nostra vera natura, in un loop senza speranza. I Dispnea mettono tutto ciò in questo ep attraverso un black metal che picchia forte e contiene una melodia di qualità superiore, con una composizione molto semplice e molto efficace che fa di questo gruppo uno dei migliori della nuova legione italiana di black metal. Ascoltando i Dispnea si viene condotti in un viaggio molto bello e particolare nel black maggiormente ortodosso e classico, che però non essendo un dogma qui viene innestato anche di momenti meno tradizionali. Come prima prova è sicuramente buona e questo ep d’esordio potrebbe rivelarsi uno dei classici degli ultimi anni del genere in Italia: chi ama il black metal qui troverà molte perle nere, confermando la scuola napoletana del nero metallo fra le più efficaci.

Tracklist
1.Winter Suicide
2.Distorted Thoughts
3.AB Negative
4.Perpetua Pena

Line-up
I. – LYRIC, SCREAMS
E. – SONGWRITING, INSTRUMENTS
T. – SESSION BASS

DISPNEA – Facebook

Black Flame – Necrogenesis : Chants From The Grave

Spesso si ascoltano dischi black death metal che sono appena sufficienti, per non dire altro, poi arrivano i Black Flame e mettono a posto tutto, forse perché oltre al talento hanno quella marcia in più che deriva dal credere per davvero in ciò che si sta facendo.

Sesto disco per questa storica band italiana di black death metal, sempre una garanzia per chi ama le sonorità nere.

Nato nel 1998 nella Torino che non vive sotto la luce del sole, con l’avanzare dei dischi e degli anni il gruppo è diventato una delle perle del sottobosco black metal italiano e con questa nuova opera lo ribadiscono molto bene. Lo stile dei Black Flame è un black con un death molto pulsante, per sfuriate prepotenti e marce, con un passo che molti altri gruppi dello stesso sottogenere non possiedono affatto. Le otto tracce del disco sono un manuale su come fare un black death underground di alto valore, senza mai tradire i propri valori e dando tantissimo all’ascoltatore. Il gruppo torinese rende tangibile la sua passione per queste sonorità, il sudore che da venti e passa anni viene profuso per queste sonorità, che sono un qualcosa che se ti inquinano il cuore non vanno più via. Il disco è forse il punto più alto di questa band che non ha bisogno di presentazioni nel sottoterra musicale, e che ha sempre una qualità ben definita. Per questo nuovo lavoro il gruppo ha scavato nella propria occulta bestialità ancora più a fondo e raccoglie i risultati di questa blasfemia. Otto canzoni che rimangono ben impresse nella mente delle teste metalliche, e che sicuramente non sono l’atto finale di una carriera davvero onorevole. Spesso si ascoltano dischi black death metal che sono appena sufficienti, per non dire altro, poi arrivano i Black Flame e mettono a posto tutto, forse perché oltre al talento hanno quella marcia in più che deriva dal credere per davvero in ciò che si sta facendo. Un gruppo estremo che fa musica estrema e non sbaglia un disco.

Tracklist
1. Necrogenesis
2. Atra Mors
3. Morbid Worship
4. Reverse Chants And Rusty Nails
5. The Breath Of The Mud
6. From My Depths
7. Mater Larvarum
8. A Grave Full Of Serpents

Line-up
Cardinale Italo – Guitars & Vocals
m:A Fog – Drums
Silent – Bass
Tiorad – Guitars

BLACK FLAME – Facebook

Nautha – Tutti I Colori del Buio

I Nautha producono un debutto che è molto maturo e che, cosa ancora più importante, traccia una rotta totalmente personale ed indipendente, senza seguire nessuno, aprendo un sentiero che è insieme di valore e coraggioso.

Il suono degli italiani Nautha è qualcosa di fresco ed innovativo che però nasce dalla tradizione musicale del rock anni settanta e dall’immortale lezione del progressive italiano.

Il trio romano macina un suono assolutamente non convenzionale, a partire dal fatto che è stato registrato in presa diretta senza mediazioni tra amplificatori e mixer, uscito così come esce il suono dal vivo. La visione musicale è assai complessa e stratificata, per un risultato convincente ed originale. Brevemente lo si potrebbe definire un approccio moderno ad una materia antica e bellissima come il prog italiano. Infatti le radici dei Nautha risiedono in quel periodo dorato di incontro sonoro fra il progressive e la psichedelia, in più di loro aggiungono una grande dose di suoni alternativi moderni, con un cantato in italiano che funziona benissimo, così come la scelta di lavorare il meno possibile il loro suono. Le nostre orecchie sono abituate a produzioni super elaborate, come uno zucchero dalla lavorazione complessa, che si rivela dolcissimo ma lasciando scorie nel nostro organismo. Invece Tutti I Colori Del Buio è scarno e minimalista quanto basta, e grazie a questa forma risulta addirittura più diretto e potente. Certamente all’inizio sembra manchi qualcosa, mentre quando si entra in sintonia con il sound si capisce l’assoluta bontà della scena di produzione. L’impasto sonoro è convincente e sono semi sparsi in molti territori musicali, a partire dal prog, passando per la psichedelia per andare verso uno stoner disidratato. I Nautha producono un debutto che è molto maturo e che, cosa ancora più importante, traccia una rotta totalmente personale ed indipendente, senza seguire nessuno, aprendo un sentiero che è insieme di valore e coraggioso. Un’altra peculiarità importante sono i testi, qualcosa che merita attenzione e che anche dal punto di vista della metrica sono molto particolari, quasi surrealisti. Il gruppo romano firma un disco che è peculiare e speciale, da ascoltare molte volte perché muta moltissimo, e siamo sicuri che in questo momento i Nautha siano già oltre questo disco, spostati sempre in avanti.

Tracklist
1.Serpentine
2.Libra
3.La danza immobile
4.Un modo di essere esseri umani
5.Ragazzi perduti
6.La Rivoluzione
7.Millenovecentottanta
8.Storia del cabalista
9.Nos da
10.Akhenaton

Line-up
Antonio Montellanico – Voice, Bass and Guitar
Pierpaolo Cianca – Guitar
Giorgio Pinnen – Drums

NAUTHA – Facebook

Heresiarch – Incursions

Una raccolta molto utile e necessaria per riunire in un solo luogo i primi lavori difficilmente rintracciabili di un gruppo che ha scritto e scriverà ancora pagine pesantissime di vero metal underground.

Arriva il tempo della ristampa e della raccolta per i primi demo ed ep della formazione death black neozelandese Heresiarch.

Questi ultimi sono semplicemente uno dei gruppi più devastanti che ci siano nel giro del metal estremo, sono un tifone che spazza tutto, e che lascia una scia di sangue dove passa. Personalmente li conobbi con l’ep Hammer Of Intrasigence del 2011, un monolite tumorale di male e dolore che me li ha fatti amare. Una band come gli Heresiarch la si ama o si odia, non ci sono vie di mezzo. Per chi li ama sono una delle entità più belle da ascoltare, con quel miscuglio di velocità black death e quella pesantezza nelle parti più lente che è ancora più terribile delle parti veloci. Non ci sono compromessi nel suono degli Heresiarch, il coltello viene girato nelle budella e il sangue esce copioso. In questa raccolta dei loro primi lavori, quelli precedenti al primo disco Death Ordinance del 2017, si può sentire tutta la loro crescita, dal suono grezzo e marcio del primo demo Consecrating The Global Holocaust, all’ultimo ep Waelwulf del 2014. Anche nelle prime uscite si poteva capire che si trattava di una realtà fuori dal comune, ma la loro sintesi definitiva era ancora di là da venire, poiché si sarebbe sublimata dopo. Gli Heresiarch incarnano tutto ciò che dovrebbe possedere un gruppo underground di black death metal, potenza, credibilità e soprattutto la totale assenza di qualsiasi parvenza di musica commerciabile. Intendiamoci, anche questo gruppo ha grandi potenzialità in tal senso, poiché le teste metalliche malate che li amano comprano i loro dischi, ma la loro musica è totalmente anti commerciale. Per farvi un esempio andate in fondo a questa raccolta per ascoltare i tre pezzi dell’ep Waewulf, che sono una delle espressioni più sperimentali, per capire cosa sia anche la creatività di un gruppo che in primo luogo annichilisce tutto ciò che incontra. Una raccolta molto utile e necessaria per riunire in un solo luogo i primi lavori difficilmente rintracciabili di una band che ha scritto e scriverà ancora pagine pesantissime di vero metal underground.

Tracklist
1.Obsecrating the Global Holocaust
2.Man Is Carnivore
3.Equimanthorn (Bathory cover)
4.Abomination
5.Carnivore
6.Iconoclasm
7.Thunorrad
8.Conflagration
9.Intransigent
10.Wælwulf
11.Abrecan
12.Endeþrǽst

Line-up
N.H
C.S
W.B
H.G

HERESIARCH – Facebook

Norse – Norse

Calma, distorsioni e melodie molto ben delineate, nella decadenza e nel destino immanente che ci aspetta i Norse sono la perfetta banda della nave che nemmeno affonda, ma vive perennemente sotto la minaccia di farlo.

Debutto per i Norse, giovane gruppo italiano formatosi da poco.

I Norse fondamentalmente fanno noise con forti influenze post metal e tanti altri post, hanno delle linee melodiche da paura e il loro suono è qualcosa che mancava alle nostre latitudini. Tante realtà alternative poi si rivelano solo un insieme di pose, preoccupate più della loro immagine che delle note, mentre qui al centro di tutto c’è la musica. L’aria è bassa e umida, e i Norse ci portano in giro attraverso una decostruzione costante e potente della realtà: la musica diventa un cuneo nel quale insinuarsi e andare a scoprire cose nuove, esplorando paesaggi disidratati e ancora più aderenti alla loro natura. Calma, distorsioni e melodie molto ben delineate, nella decadenza e nel destino immanente che ci aspetta i Norse sono la perfetta banda della nave che nemmeno affonda, ma vive perennemente sotto la minaccia di farlo. Tutto il disco è costruito molto bene, ci sono tracce con improvvise sfuriate che vengono da lontano, da quella tradizione hardcore italiana che ha saputo cambiare e diventare un seme che feconda molte cose diverse fra loro. La traccia finale Manca è un qualcosa che ti scava dentro, un Don Caballero molto più variopinto ed urgente. Nel disco omonimo del gruppo si può trovare anche molto emo declinato nella maniera giusta, perché l’emo in Italia è stato spesso sublimato, e anche qui ce n’è un esempio. Un disco moderno, intelligente e musicalmente molto emozionante, senza difetti e che vi regalerà molti ascolti. Se volete un clic ed un ascolto veloce questo disco non fa per voi, ma se invece avete voglia di un’immersione in qualcosa di ben fatto e di corrosivo, questo è il posto giusto (l’album è in download libero dal bandcamp dei Norse).

Tracklist
1.collezione
2.aral
3.baratto
4.debacle
5.manca

NORSE – Facebook

Painqirad – Empires’ Sema’yi

Qui tutto ha il suo tempo, la crescita di melodie molto diverse da come le intendiamo è graduale e credibile, portando avanti l’essenziale concetto che ascoltare la musica di popoli diversi fa parte del processo di comprensione della loro cultura.

Nel sottobosco musicale ci sono spesso vere e proprie gemme da scoprire e da cullare, come questo lavoro del multistrumentista Damiano Notarpasquale sotto il nome Painqirad.

Damiano è uno studioso della musica in tutte le sue forme e si è sviluppata in maniera binaria: l’universo metal è sempre stata la sua passione, mente ha portato avanti studi classici musicali al conservatorio studiando inizialmente clarinetto e trombone, per poi avvicinarsi al jazz, al sassofono e alle musiche del mondo, in special maniera quella araba. Questo lavoro è infatti una bellissima dichiarazione d’amore in musica per il mondo e la sue diversità. Damiano si è innamorato della musica araba nel 2014 e la sua seconda tesi di conservatorio è un metodo per trombone per suonare musica araba e turca. Nasce da queste sonorità, unite ad una certa visione del metal, questo disco che è qualcosa di magnifico, un’eruzione musicale, un’unione di stili e di ritmi diversi che si incontrano nel deserto e proseguono ben oltre. Preponderante è la parte della musica araba, che possiede una metrica molto diversa dalla nostra, e che in questo caso viene supportata da intarsi metal molto adeguati. Il disco è stato registrato in soli dieci giorni, ma c’è un lavoro immenso dietro, con una produzione maestosa che ne rende al meglio le atmosfere. Empires Sema’Yj è un disco dall’immaginario potentissimo, trasporta in un futuro, o forse un passato in cui le dune incontravano il silicio, montagne di sabbia da attraversare senza posa, un miraggio nel caldo soffocante del deserto e tanto altro. Damiano riesce a rendere della atmosfere magiche ed uniche, unendo alla perfezione tutte le componenti e facendolo non in maniera fragorosa e caciarona nella quale ci si imbatte altrove in più di un qualche caso. Qui tutto ha il suo tempo, la crescita di melodie molto diverse da come le intendiamo è graduale e credibile, portando avanti l’essenziale concetto che ascoltare la musica di popoli diversi fa parte del processo di comprensione della loro cultura. E qui l’ascolto è ricchissimo, per un risultato unico nel suo genere.

Tracklist
1.Tahmila
2.Saz Temple
3.Nubah No. 10
4.Dunes
5.Allayl Nahawand
6.Taksim
7.Nawakht
8.Iron, Far Away

Line-up
Damiano Notarpasquale – soprano clarinet, G clarinet, alto sax, tenor sax, trombone, ney, zurna, bağlama, algerian mondol, mandolin, keyboards, guitars, bass, bendir, darbuka

PAINQIRAD – Facebook

Ranter’s Groove – Haiku

Forse ambient, forse field recording, decisamente Kaczynski Editions, musica che non può essere solo musica, fatta per spiazzare e per fermare il nostro sguardo schizofrenico su qualcosa di sensato.

Ritorna Ranter’s Groove, uno dei nomi di punta della squadra della toscana Kaczynski Editions, etichetta tra le più anticonformiste e fresche che abbiamo in Italia.

Come al solito per i loro lavori qui non ci sono confini, la musica è un elemento come un altro per raggiungere degli obiettivi, sono presenti anche rumori e vibrazioni che provengono sia dal mondo esteriore che da quello interiore. La cifra stilistica di questo lavoro è l’Haiku, una breve composizione poetica giapponese che risponde a determinati requisiti di metrica e che ha come scopo la brevità e la potenza delle immagini. E questi componimenti, o meglio registrazioni di alterazioni del silenzio, sono appunto haiku sonori, brevi appunti che colgono alla perfezione l’essenza di un attimo che è già passato e che non sarà mai più. Nei suoi lavori precedenti Ranter’s Groove ci aveva abituati alla pressoché totale assenza della forma canzone e qui si va ancora più a fondo in quella direzione, perfezionando la resa e soprattutto regolando ancora di più verso il magma interiore le sue antenne. In questo viaggio composto da tante piccole stazioni sentirete una voce narrante giapponese che parlerà di cose che abbiamo già visto, ma che non abbiamo capito. Il vero inconoscibile non è il cosmo o il senso della vita, cose che forse non esistono, ma è il quotidiano, quello stormo di emozioni e piccole cose che ci passano davanti e che cambiano radicalmente la nostra esistenza e che qui si palesano molto bene. Sia il caldo di un muro screpolato di campagna in una torrida estate, o una processione di organizzatissime formiche, Ranter’s Groove ci porta sempre al nocciolo del problema, sottoponendoci aspetti inediti di piccole e grandi cose. Forse ambient, forse field recording, decisamente Kaczynski Editions, musica che non può essere solo musica, fatta per spiazzare e per fermare il nostro sguardo schizofrenico su qualcosa di sensato.

Tracklist
1.行きあひし人
2.川渡りけり
3.うしろの
4.独り往き
5.日一日
6.藪の中
7.出水のあと
8.一つ落ちて
9.蟻の道
10.雲の峯硯
11.石垣崩す
12.人なし
13.釣鐘撞く
14.平家亡びし
15.血を印す
16.行燈消えて

Baroness – Gold And Grey

Diciassette pezzi di grande carisma e di ottima musica, con granate musicali che esplodono spargendosi in ogni dove. Inoltre è un disco che permette molteplici ascolti, possedendo una ricchezza musicale loto vasta.

I Baroness da anni sono un nome molto importante nel giro del rock alternativo statunitense e non solo, in particolare per la loro personale fusione fra il rock e la musica pesante.

Con questo Gold And Grey il gruppo americano trova la sublimazione alchemica di questo processo fin dal titolo, e propone un disco eccellente. Che i Baroness siano sempre stati un gruppo fuori dal comune lo si era compreso fin dai loro inizi, ma andando avanti la cosa è progredita a tal punto che sono arrivati a questo disco mostrano una maturità ed una profondità davvero uniche. I Baroness sono un gruppo speciale, hanno una poetica musicale che nessuno possiede, ogni loro album è particolare, ma questo ha un passo in più, anche perché è deputato a chiudere un’epoca, nel senso che sarà l’ultimo disco che tratterà il tema cromatico, già dalla copertina realizzata come sempre dal chitarrista John Baizley, un dipinto bellissimo che rappresenta il viaggio che ha compiuto fino a qui il gruppo. Gold And Grey sviluppa temi fino ad ora quasi inediti nel suono del gruppo, salutando l’ingresso nel gruppo della chitarrista Gina Gleason, e arrivando a proporre una quasi perfetta sintesi fra pop e rock pesante. Innestandosi nel solco degli ultimi Mastodon, sotto le sapienti mani del produttore Dave Fridmann già con Mogwai e The Flaming Lips, i Baroness propongono un lavoro musicale assai esaustivo, melodico e musicalmente molto profondo, con dei momenti di assoluta commozione come in I’d Do Anything, una canzone quasi impensabile per i Baroness qualche tempo fa, resa possibile da una sensibilità musicale fuori dal comune, e anche dettata dal coraggio, nel senso che escono dalla loro zona di comfort per andare in territori pressoché inesplorati da loro. Gold And Grey è un disco radiofonico, orecchiabile nel senso più nobile del termine, non è uno scadimento commerciale, ma un’ulteriore maturazione di un gruppo che va sempre avanti, guardandosi indietro quel poco che basta per prendere la spinta per lanciarsi oltre il nuovo ostacolo.
Diciassette pezzi di grande carisma e di ottima musica, con granate musicali che esplodono spargendosi in ogni dove. Inoltre è un disco che permette molteplici ascolti, possedendo una ricchezza musicale loto vasta.

Tracklist
01. Front Toward Enemy
02. I’m Already Gone
03. Seasons
04. Sevens
05. Tourniquet
06. Anchor’s Lament
07. Throw Me An Anchor
08. I’d Do Anything
09. Blankets of Ash
10. Emmett-Radiating Light
11. Cold Blooded Angels
12. Crooked Mile
13. Broken Halo
14. Can Oscura
15. Borderlines
16. Assault on East Falls
17. Pale Sun

Line-up
Sebastian Thomson – Drums
Gina Gleason – Guitar, Back Vocals
Nick Jost – Bass, Keyboard
John Baizley – Vocals, Guitar

BARONESS – Facebook

Denial Of God – The Shapeless Mass

Un buon ritorno per un ottimo gruppo di black metal senza fronzoli.

Torna uno dei gruppi black metal fra i più longevi ed influenti in circolazione, i Denial Of God, attivi fin dal 1991.

Tornano con un mini album di quattro pezzi, due inediti e due cover, una dei Bathory e l’altra degli Exuma. Il loro stile non è cambiato nel corso degli anni, e si può tranquillamente definire come black metal classico, l’anello di congiunzione fra la prima e la seconda ondata di gruppi scandinavi e non. I due pezzi inediti li mostrano in grande forma, riprendendosi ciò che è loro, mostrando anche a band ben più recenti che il black metal è una faccenda che sembra semplice ma non lo è affatto. Fa molto piacere ascoltare il suono rassicurante di questo gruppo, ti si apre una zona di comfort infernale alla quale è davvero difficile resistere. Il primo pezzo inedito The Shapeless Mass, che è anche il titolo del disco, è il pezzo più veloce e violento fin dai suoi primordi e spazza via tutto ciò che incontra con il consueto stile del duo danese, e porta via anche i dubbi sulla sua efficacia. Il secondo pezzo comincia più cadenzato per poi esplodere, e non può essere altrimenti quando si pensa a che massa informe sia la nostra, sia individualmente che collettivamente. Si prosegue poi con una gran bella cover dei Bathory, dal capolavoro del 1987 Under The Sign Of The Black Mark, un disco da riascoltare: i Denial Of God con questa cover, leggermente più veloce dell’originale, sottolineano l’estrema importanza che i Bathory hanno avuto e sempre avranno per il black metal e per la musica estrema in generale. Quorthon e soci hanno lasciato un’eredità musicale che si sente in tantissime cose odierne, un nero percorso da iniziati. Bella e tribale anche l’altra cover degli Exuma, che sono una one man band degli anni settanta ad opera di Macfarlane Gregory Anthony Macke, un uomo ed un musicista interessantissimo, molto versato nelle opere e nella sapienza occulta.
Un buon ritorno per un ottimo gruppo di black metal senza fronzoli.

Tracklist
1.The Shapeless Mass
2.The Statues Are Watching
3.Call From The Grave
4.Mama Loi, Papa Loi

Line-up
Ustumallagam – vocals
Azter – guitar
Galheim – drums

DENIAL OF GOD – Facebook

Green Oracle – Green Oracle

I brani sono tre viaggi che fanno parte di un disegno più grande che ognuno coglierà in maniera diversa, perché qui si va a toccare il subconscio profondo di ognuno

I Green Oracle sono uno di quei gruppi che appartengono alla schiera degli sciamani musicali, iniziati che mettono in musica riti per accedere a dimensioni diverse dalla nostra.

Il disco omonimo è il loro debutto, esce per Argonauta Records e le tre canzoni sono già un proclama fin dai titoli, Please, Do, Hallucinogens. E infatti la loro musica è molto forte ed evocativa, con lunghe jam che sono canali di chiamata per spiriti interdimensionali ma che, alla fine, hanno lo scopo ultimo di cambiarci e di non lasciarci come prima. Musicalmente non ci sono frontiere ma solo limiti da superare, la musica è totale e avviluppa ogni cosa con potenza e dolcezza. Di fondo si potrebbe definirli degli Zu maggiormente rituali e profondi, ad esempio i giochi che fanno con le voci sono profondamente sciamanici, un esempio di qualcosa di molto antico che giace ancora dentro di noi se lo si vuole guardare. Le litanie musicali di Green Oracle sono vicine alla tradizioni ritual doom, ma vanno oltre. Le canzoni qui diventano altro, mutando a seconda delle intenzioni plasmatrici del creatore, offrendo una visione della musica rituale a trecentosessanta gradi. Sono presenti in maniera molto interessante e feconda dei sintetizzatori, che sono dei mezzi molto adeguati per indurre una trance. Incredibili anche le sezioni delle canzoni in cui le chitarre in drone si uniscono con le percussioni. La produzione è primitiva e raccoglie tutto il furore e l’urgenza di composizioni che vanno oltre la forma canzone. I tempi si dilatano e il sangue scorre meno velocemente, mentre il nostro cervello acquista potere ed una superficie psichica maggiore. Sono tre viaggi che fanno parte di un disegno più grande che ognuno coglierà in maniera diversa, perché qui si va a toccare il subconscio profondo di ognuno. Una bella congiunzione fra musica rituale e musica pesante, operata da un collettivo che ha ottime idee.

Tracklist
1. Please
2. Do
3. Hallucinogens

Line-up
Thomas Santarsiero
Matteo Anguillesi
Vanni Anguillesi
Giulia Mannocci

GREEN ORACLE – Facebook

Deathspell Omega – The Furnaces Of Palingenesia

Il settimo disco dei Deathspell Omega, The Furnaces of Palingenesia, continua sul solco stilistico tracciato dal precedente The Sinarchy Of Molten Bones, ovvero un rallentamento del loro caos sonoro, ma più che un frenare è un recidere maggiormente in profondità, un’autopsia demoniaca di entità dannate.

I Deathspell Omega sono uno dei gruppi maggiormente paradigmatici dell’intero movimento black metal.

La centralità della loro opera è la musica e qualche scarna rappresentazione grafica, ma la cosa davvero importante, l’unica che conta, sono gli abissi che ci mostra. Si sa qualcosa dei membri che compongono il gruppo, ma i Deathspell Omega non hanno mai fatto concerti, non hanno mai rilasciato inutili interviste o altre promozioni, hanno fatto video minimali ma molto ben centrati. La musica è al centro di tutto, anzi il black metal è al centro di tutto, ed è importante e non solo di facciata il discorso esoterico e satanista che portano avanti da anni. Il loro settimo disco, The Furnaces of Palingenesia continua sul solco stilistico tracciato dal precedente The Sinarchy Of Molten Bones, ovvero un rallentamento del loro caos sonoro, ma più che un frenare è un recidere maggiormente in profondità, un’autopsia demoniaca di entità dannate. Le strutture sonore sono sempre molto bilanciate e ascoltando e riascoltando il disco si colgono molti elementi che portano il suono dei Deathspell Omega ancora più avanti, in quella poetica musicale progressiva che è sempre stata al centro dei pensieri di questo gruppo. L’ensemble francese ha sempre tracciato la via, e con questo nerissimo settimo disco lo fa più che mai. Ogni canzone è un tassello che forma un disegno superiore di musica malata e satanica: qui i Deathspell Omega alzano l’asticella, e abbandonano la forma caotica, che comunque affiora spesso andando anche a lambire momenti di chaotic hardcore, per comporre un suono che si contorce come un serpente ricordandoci, come nell’iniziale Neither Meaning Nor Justice, che la razza umana basa le sue fondamenta su illusioni bestiali. L’umanità, specie negli ultimi duecento anni, ha avuto una fede quasi cieca nelle sue sorti progressive, ovvero che sarebbe andato tutto bene, anzi meglio, mentre il disastro è sotto gli occhi ed i piedi di tutti. I Deathspell Omega sono qui a ricordarcelo come solo loro sanno fare, con una cattiveria ed un abbandono totale, tuffandosi in un nero vortice che è l’unica risposta al tumore chiamato vita. The Furnaces Of Palingenesia è un disco che assume valore in ogni singola nota, in ogni passaggio, in ogni parola trasmutata fuori dal corpo di un cantante che altro non è che un medium. Oltre ai momenti di furia e di abisso cosmico, i migliori momenti sono quelli in cui tutto sembra esplodere ed invece continua a strisciare verso l’annullamento totale, come nella traccia 1523. Il gruppo francese fa un altro disco che ne rafforza la leggenda, la fama e la credibilità costruita con il sangue ed i sentimenti, forgiando un black metal che rimane incollato. Il loro progetto sonoro si arricchisce di un episodio che non è il migliore solo perché tutti i loro dischi sono dei capisaldi del nero metallo, ma rappresenta la continuazione di una nuova via sonora. Se si vuole ascoltare della musica che va avanti queste sono le vostre fornaci.

Tracklist
1.Neither Meaning nor Justice
2. The Fires of Frustration
3.Ad Arma! Ad Arma!
4.Splinters from Your Mother’s Spine
5.Imitatio Dei
6.1523
7.Sacrificial Theopathy
8.Standing on the Work of Slaves
9.Renegade Ashes
10.Absolutist Regeneration
11.You Cannot Even Find the Ruins…

DEATHSPELL OMEGA – Facebook

The Gotobeds – Debt Begins At 30

Una delle migliori uscite noise rock dell’anno che piacerà moltissimo a chi ha amato questo genere negli anni novanta.

Nervoso ed affascinante rock che sfocia nel noise e nel grunge, il tutto di alta qualità e con ottimi ospiti.

Si potrebbe descrivere come sopra in maniera assai riduttiva il nuovo disco dei The Gotobeds da Pittsburgh, città che non capita spesso di associare ad un gruppo musicale, patria però dei Pittsburgh Steelers, e non è poco. Il loro nuovo lavoro è un piccolo manuale del migliore noise rock che si può trovare in giro, partendo dalla tradizione americana per arrivare a nuovi standard. Debt Begins At 30 è un lavoro assai notevole, dove ogni canzone è un flusso di energia molto forte e che investe l’ascoltatore. In mezzo a tutta questa energia la melodia non manca, ed è il vero asse portante della loro costruzione sonora. Per darvi una vaga idea di cosa siano i The Gotobeds prendete i Pavement, metteteci un po’ di Sonic Youth e poi mescolate con il meglio grunge di Seattle e avrete un qualcosa che si avvicinerà. Come al solito la migliore rappresentazione possibile è ascoltare il disco, immergendosi in questo suono minimalista eppure molto ricco e potente. Ci sono tracce urgenti con un’attitudine punk hardcore, altre con una tendenza maggiore al noise, ma è tutto bilanciato molto bene e, soprattutto, il quartetto funziona alla perfezione. Notevoli gli ospiti, c’è la voce di Tracy Wilson dei Positive NO! mentre Mike Seamans e la leggenda Bob Weston suonano su Debt Begins at 30. Visto la relazione strettissima tra le due band, no sorprende che i Protomartyr appaiano su un paio di brani, con Joe Casey su Slang Words e Greg Ahee su On Loan. Il chitarrsta dei Silkworm, Tim Midyett, suona su Parallel e sulle altre tracce compaiono Gerard Cosloy, Matt Barnhart dei Tre Orsi, la bellissima Victoria Ruiz dei Downtown Boys, per finire coi poeti di Pittsburgh Jason Baldinger e Scott MacIntyre. Un parterre ricchissimo, che porta un contributo notevole ad un disco già molto interessante, una delle migliori uscite noise rock dell’anno che piacerà moltissimo a chi ha amato questo genere negli anni novanta.

Tracklist
1. Calquer The Hound
2. Twin Cities
3. Slang Words
4. 2:15
5. Poor People Are
6. Revolting
7. Debt Begins At 30
8. On Loan
9. Dross
10. Parallel
11. Bleached Midnight
12. Debt Begins At 30 (Alt)

Line-up
COOL-U
Depressed Adult Male
OPEN CARY
HAZY LAZER

THE GOTOBEDS – Facebook