Retrace My Fragments – Tidal Lock Ep

I ragazzi riescono a semplificare musica altresì complessa, e a renderla in una maniera molto adeguata e piacevole all’orecchio, proponendosi come un ottimo ascolto trasversale, poiché riusciranno ad impressionare chi ama questa commistione, ma anche chi vuole un metal più avanzato.

Ep del 2017 per i lussemburghesi Retrace My Fragments, un gruppo di metal strumentale con un suono che va molto oltre i generi, per creare un grande effetto di insieme.

Si potrebbe definire ciò che si ascolta dentro Tidal Lock come metal strumentale progressivo, dato che è un suono che va avanti invece di rimanere su stesso. Il gruppo ha ovviato in ottima maniera all’uscita del loro cantante storico Marti, che dopo dieci anni di attività insieme ha abbandonato. La musica del combo lussemburghese spazia davvero molto tra il djent, il math e il prog, che rimane una cifra stilistica sempre bene ferma. Il loro suono è sinuoso ma dolce, sempre molto espressivo attraverso linee melodiche che vanno trovate dentro a canzoni dall’andamento sempre molto ondulatorio, come dovrebbe essere qualcosa di progressivo. Una delle peculiarità maggiori dei Retrace My Fragments è quella di possedere un grande equilibrio e di avere tutto sotto controllo, e anche quando si decolla non c’è confusione, ma grande chiarezza, il che aumenta maggiormente la potenza del tutto. Questo terzo ep conferma quanto di buono hanno fatto sino a qui e, anzi, amplia ulteriormente il loro discorso stilistico, portandolo a livelli molto alti. I ragazzi riescono a semplificare musica altresì complessa, e a renderla in una maniera molto adeguata e piacevole all’orecchio, proponendosi come un ottimo ascolto trasversale, poiché riusciranno ad impressionare chi ama questa commistione, ma anche chi vuole un metal più avanzato. Una tappa importante per un gruppo che merita più di quello che ha ricevuto.

Tracklist
1. Khlav Kalash
2. Le Bison De Hoggs
3. Laserbrain

RETRACE MY FRAGMENTS – Facebook

Kayleth – Colossus

Il disco è molto piacevole da ascoltare e lo si può fare a lungo e ripetutamente senza che susciti mai noia o pesantezza auricolare: i Kayleth sono un gruppo davvero capace e producono il loro album migliore, che piacerà molto a chi ama la musica pesante che viaggia in alta atmosfera.

Nuovo disco per una delle realtà italiane più interessanti per quanto riguarda il panorama stoner, i veneti Kayleth.

Secondo disco su Argonauta Records per questi veterani attivi dal 2005. Colossus sancisce una maturazione molto completa e che regala un gruppo al suo apice creativo, dopo essere cresciuti disco dopo disco, attraverso un miglioramento costante e potente. Il disco si snoda attraverso uno space stoner delicato, dove le melodie sono sviluppate con grande gusto e consapevolezza di poter sempre suonare la cosa giusta. Il disco suona Kayleth al cento per cento, e anche grazie ad un’ottima produzione riesce ad arrivare molto bene nel cervello e nel cuore di chi lo ascolta. I Kayleth sviluppano gli argomenti che hanno sempre trattato e li portano ad un altro livello, dove la loro musica possa elevarsi ulteriormente. Ci sono momenti del disco che sono pervasi da un sentire stoner molto vicino al grunge, con ottimi ritornelli e canzoni molto al di sopra della media. In apparenza la musica dei Kayleth potrebbe sembrare semplice e priva della benché minima complessità, mentre invece non è affatto facile produrre questo tipo di suono senza avere il discorso molto chiaro in testa. Uno degli aspetti che rendono molto interessante il tutto è il grande lavoro delle tastiere e dei synth, un elemento che è arrivato nel divenire del gruppo, perché in partenza non era presente, e porta ulteriore profondità al suono. Il disco è molto piacevole da ascoltare e lo si può fare a lungo e ripetutamente senza che susciti mai noia o pesantezza auricolare: i Kayleth sono un gruppo davvero capace e producono il loro album migliore, che piacerà molto a chi ama la musica pesante che viaggia in alta atmosfera.

Tracklist
01 – Lost in the swamp
02 – Forgive
03 – Ignorant Song
04 – Colossus 05 – So Distant
06 -Mankind’s Glory
07 – The Spectator
08 – Solitude
09 – Pitchy Mantra
10 – The Angry Man
11 -The Escape
12 – Oracle

Line-up
Massimo Dalla Valle: Chitarra
Alessandro Zanetti: Basso
Daniele Pedrollo: Batteria
Enrico Gastaldo: Voce
Michele Montanari: Synth

KAYLETH – Facebook

Dirty Shirt – FolkCore DeTour

Una grande festa dal vivo di metal e di folk romeno, una gioia per le orecchie e per le gambe.

Un progetto musicale davvero interessante, già bello sulla carta, che poi diventa un qualcosa di bellissimo nella pratica, e soprattutto nella musica.

I Dirty Shirt sono un gruppo romeno di metal moderno molto fresco e conosciuto in patria, ma hanno anche girato fuori dalla loro nazione. Questo disco dal vivo è il risultato di una trionfale tournée in patria con l’Ansamblul Transilvania, un’orchestra di folclore della Transilvania, la splendida regione romena che è diventata famosa come patria del Conte Dracula, ma che è molto più di quello. L’unione dei due gruppi riesce benissimo, come si può ascoltare nel disco, che è un perfetto esempio di come due flussi di energia in apparente contraddizione abbiano invece tante cose in comune ed insieme ne escono entrambi potenziati. La forza dei Dirty Shirt sta nella loro capacità di creare groove metallici freschi e potenti, di grande forza dal vivo. L’orchestra transilvana porta nel loro suono una ventata di folclore romeno che è già molto metal di par suo. Il concerto vive di momenti anche molto differenti fra loro, con un pubblico trascinato dai gruppi e trascinante di per sé, che diventa esso stesso un’entità ben precisa che partecipa al concerto. Stupisce la nuova veste dei brani dei Dirty Shirt e gli arrangiamenti dell’Ansamblul Transilvania che sono molto azzeccati e calzano a pennello. Metal e folk verace vanno perfettamente a braccetto, e come in una osmosi si scambiano reciprocamente vita e fluidi, creando una nuova entità totalmente inedita e molto potente, che ha nella dimensione live la sua ragion d’essere. Da tempo non si ascoltava un disco così potente dal vivo, caldo ed interessante in ogni suo frangente. Questo lavoro è stato pianificato e preparato nei minimi dettagli, e ciò si evince nella cura riposta e nell’andare oltre i propri limiti. FolkCore DeTour è un disco che mostra un percorso mai battuto in precedenza dal metal romeno, e che lascia davvero una grande gioia dentro e dietro di sé. L’album è molto divertente e non si riesce a stare fermi mentre lo si ascolta: il progetto è perfettamente riuscito, anzi è andato oltre le più rosee aspettative.

Tracklist
1. Rapsodia Romana
2. Ciocarlia
3. Moneyocracy
4. Dulce-i Vinu’
5. Cobzar
6. Ride
7. Freak Show
8. UB
9. Balada
10. Manifest
11. Rocks Off
12. My Art
13. Dirtylicious
14. Hungarian Dance No.5
15. Mental Csardas
16. Hotii
17. Maramu’
18. Calusarii
19. Saraca Inima Me
20. Bad Apples

Line-up
Dan «Rini» Craciun : vocals
Robert Rusz : vocals
Mihai Tivadar : keys, guitars
Cristian Balanean : guitars
Dan Petean : guitars
Pal Novelli : bass
Vlad «X» Toca : drums
Cosmin Nechita : violin

DIRTY SHIRT – Facebook

Premarone – Das Volk Der Freiheit

A due anni dal bello e tenebroso Obscuris Vera Involvens, arriva un disco che lascerà spiazzate anche le menti più aperte, e potrebbe essere facilmente l’uscita dell’anno italiana nel campo della musica pesante e pensante.

Tornano nell’etere le pesanti e psichedeliche note dei Premarone, notevolissimo gruppo psych doom alessandrino.

A due anni dal bello e tenebroso Obscuris Vera Involvens, arriva un disco che lascerà spiazzate anche le menti più aperte, e potrebbe essere facilmente l’uscita dell’anno italiana nel campo della musica pesante e pensante. Das Volk Der Freiheit è la colonna sonora più adeguata alla crepuscolare fine che noi chiamiamo vita, alla nostra folle corsa verso una distopica dittatura dove noi saremo felici di essere tecno zombie. Questa opera è davvero un capolavoro di musica sociale, nel senso che riesce a cantare la nostra italianità attraverso i nostri difetti e le nostre quotidiane tragedie. L’Italia è un paese terribile, tanto bello quanto bastardo e corrotto, molle e sempre con dei soldi in mano insieme al cazzo che non si rizza nemmeno più. I Premarone ci portano in giro per la nostra psiche collettiva, ispirandosi ad un altro bellissimo viaggio lisergico del passato, il debutto della krautrock band German Oak, una comune hippie di cinque membri di Dusseldrorf, che registrò un disco eccezionale sulla Germania in un bunker. I Premarone partono da lì per spaziare tantissimo, usando la formula della jam, e ci regalano molta gioia e molta inquietudine. Das Volk Der Freiheit è un viaggio potentissimo che va affrontato senza paure, bisogna immergersi in questo lungo flusso di coscienza dove si può ritrovare il gusto del krautrock nell’esplorare senza timore, la forza del doom, il cantato in italiano con stile molto Cccp e Disciplinatha, per raccontare ciò che viviamo ogni giorno. La bellezza di questo lavoro è la sua totale e brutale sincerità, riuscendo ad arrivare dove è difficile spiegare, in quell’intrico di merda e sangue che è l’Italia. La produzione è curata assai bene, supporta benissimo la narrazione. Ci sono anche droni e momenti di stasi, anche perché questo disco ha una fisicità molto importante, è come viaggiare su un tappeto magico e ci sono cose sotto e sopra di te. I Premarone sono dei fantastici narratori, non perdono un colpo, dilatano e restringono il campo visivo del nostro terzo occhio a loro piacimento, spiegando in forma quasi subliminale concetti altresì difficilmente esplicabili. Un disco di psichedelia pesante fatto per farci pensare e per portarci lontano, sopra questo mare di dolorosa plastica tricolore.

Tracklist
1.Intro – Mani pulite
2.Parte I – D.V.
3.Interludio – Interferenze
4.Parte II – D.F.

Line-up
Pol – Bass
Ale – Drums
Fra – Guitars, Vocals
Mic – Keyboards

PREMARONE – Facebook

Abigor – Höllenzwang (Chronicles of Perdition)

Gli Abigor pubblicano un lavoro molto ben composto e musicalmente vario, con canzoni dalla struttura vicina alle composizioni jazz, dove non si sa mai cosa ci sia dopo la prossima nota, ed è quello che piace a chi vuole che la musica sia scoperta e non assuefazione.

Violento ritorno degli Abigor, uno dei gruppi di punta della scena black metal austriaca e non solo.

Il gruppo è attivo dal 1993, e ha sempre avuto forte peculiarità all’interno della già variegata scena del metallo nero. Höllenzwang (Chronicles of Perdition) è un disco che ribadisce in maniera molto chiara cosa sia la materia per loro. Le chitarre, che sono sempre state uno dei punti di forza del gruppo, dettano le linee melodiche davvero prepotenti ed inusuali. Il duo austriaco disegna un black metal potente e mai conforme, cercando sempre la soluzione migliore e che possa far avanzare l’ascoltatore nella comprensione del black metal. Le vie del black metal possono e devono essere molteplici, e questa è una delle migliori. Le uscite della Avantgarde Muisic non sono mai banali, riescono sempre a cogliere nel segno. Gli Abigor pubblicano un lavoro molto ben composto e musicalmente vario, con canzoni dalla struttura vicina alle composizioni jazz, dove non si sa mai cosa ci sia dopo la prossima nota, ed è quello che piace a chi vuole che la musica sia scoperta e non assuefazione. Rimane molto poderosa la parte oscura, perché questa è musica pesante, figlia delle tenebre e per menti tenebrose, però non per menti ottenebrate che ascoltano ogni cosa venga loro propinata. In definitiva questo lavoro tiene strettamente fede a ciò che afferma a partire dal titolo, questa è la cronaca della perdizione, ed è dolce perdersi in questo pandemonio sonoro, debitore della scena black metal austriaca, per certi versi molto innovatrice e garanzia di qualità. I pezzi sono complessivamente di ampio respiro e la produzione fa rendere al meglio il tutto.

Tracklist
1. All Hail Darkness And Evil
2. Sword Of Silence
3. Our Lord´s Arrival – Black Death Sathanas
4. None Before Him
5. The Cold Breath Of Satan
6. Olden Days
7. Hymn To The Flaming Void
8. Christ´s Descent Into Hell
9. Ancient Fog Of Evil

Line-up
TT.
PK.

ABIGOR – Facebook

Infection Code – Dissenso

Ogni minuto di questo disco è stato composto, lavorato e pensato per cancellare la forza della matrice che governa le nostre vite

Arriva un nuovo capitolo della vitale lotta del rumore nelle nostre vite, tornano gli Infection Code.

Il gruppo piemontese sforna il nuovo disco di una lunga carriera, ed è il suo episodio migliore, una gemma oscura che sanguina e mette molto in chiaro la nostra situazione, per chi non la volesse ancora vedere per quella che è. Portando avanti la politica, perché la loro musica  è un atto politico cominciato con il precedente La Dittatura del Rumore, gli Infection Code con Dissenso tentano di rompere la sacca di liquido amniotico ed amnesiaco che circonda le nostre vite. I testi del cantante Gabriele Oltracqua sono incisivi, scritti con il rasoio di Occam e rendono benissimo il riverbero fastidioso della distopia nella quale viviamo. La musica raggiunge il punto più alto della loro carriera, andando a toccare molti aspetti che nell’altro disco erano in nuce e che qui si esplicano completamente. Non ci sono generi ma una complessa commistione di elementi che combaciano perfettamente, tra metal, elettronica, un industrial di lotta e tanto altro. Il riferimento forse più vicino potrebbero essere i Killing Joke, anche per quanto riguarda la parte concettuale, ma invece è tutto Infection Code. Forte rimane la radice hardcore punk del loro suono, poiché questa è un’evoluzione della lotta, e soprattutto nei testi troviamo un iperrealismo molto accentuato, tra citazioni di Aldo Moro e molto altro. Dissenso è un disco che parla di tante cose, ma fondamentalmente è una richiesta di aprire gli occhi, di buttarsi nel rumore per potersi pulire dalla merda che abbiamo attorno e dentro di noi. Ogni minuto di questo disco è stato composto, lavorato e pensato per cancellare la forza della matrice che governa le nostre vite. I musicisti che compongo gli Infection Code possiedono una grande tecnica, ma soprattutto funzionano molto bene quando sono assieme, come se fossero quattro inneschi per l’incendio perfetto, quello che non si può spegnere. Come non si può silenziare il rumore, solo noi possiamo non volerlo sentire. Splendida, come al solito, e molto calzante la copertina ed il retro copertina ad opera di Marco Castagnetto.

Tracklist
01. Santa Mattanza
02.Costretti a Sanguinare
03. Macerie
04. Dssn
05. In Assoluto Silenzio
06. Ad Nauseam
07. Strategie
08. Sentenza

Line-up
Enrico – Bass & Keyboards
Gabriele – Voices
Riki – Drums
Paolo – Guitars

INFECTION CODE – Facebook

Fish Taco – Il Suono Dei Campi

I Fish Taco traggono ispirazione dal grunge e dal rock alternativo anni novanta, eruttando in una maniera del tutto inaspettata, anche grazie a testi che si possono definire sconvolgenti per sincerità e potenza.

Ci sono momenti nei quali, pur ascoltando molta musica la maggior parte della quale senza molto gusto, ci si trova a pensare a quale disco, a quale commistione di suoni farebbe piacere dedicare uno o più ascolti.

Missione non semplice, perché raramente arriva il colpo di fulmine, oppure l’innamoramento dopo un lungo corteggiamento. E invece, quando meno te lo aspetti arriva nelle tue orecchie un disco gigantesco, un insieme di opera parole e musiche che ti danno una scossa. I fautori di tutto ciò sono i Fish Taco da Ardea, e il disco si chiama Il Suono dei Campi. Il disco suona benissimo, con la prepotenza ed i sentimenti del rock, una fortissima ossatura grunge e molti sconfinamenti nello stoner. La produzione fa risaltare un rock distorto che nasce da un impasto sonoro molto bene congegnato, che è davvero personale. I Fish Taco traggono ispirazione dal grunge e dal rock alternativo anni novanta, eruttando fuori in una maniera del tutto inaspettata, anche grazie a testi che si possono definire sconvolgenti per sincerità e potenza. Ci sono dei passaggi sull’immigrazione, che viene vista da noi solo come tale, ovvero come entrata nel nostro paese, e mai come uscita degli individui dal loro habitat e dai loro affetti. I testi ci portano a ragionare, sono amari e spronano a vivere come pochi altri gruppi. In Italia è difficile avere un gruppo come i Fish Taco, sia per la loro bravura musicale, sia per la loro brutale sincerità, perché chi racconta la verità in maniera cruda dura poco in Italia, la patria del meglio non vedere o sentire. Qui entra in gioco l’ascoltatore, che ascoltando e valorizzando questo disco ha innanzitutto la possibilità di godere di un disco notevolissimo, ed inoltre può effettuare una precisa scelta di campo, schierandosi dalla parte di chi si guarda dentro e fuori anche se ciò fa male.
Un album che in un’altra galassia sarebbe un disco epocale, o anche in un mondo normale.
Attenzione, questo disco vi guarda dentro, e non vi lascia come eravate prima d’averlo sentito.

Tracklist
1.Lampedusa
2.Ardea
3.Zero gradi
4.Confine
5.Magnete
6.L’aratro
7.Lorenzo
8.Polyphemus
9.La prospettiva di chi perde
10.1992

Line-up
Salvatore Tortora
Matteo Gherardi
Daniele Picchi
Umberto Andreacchio
John Mezza

FISH TACO – Facebook

Deadly Vipers – Fueltronaut

Ad un primo distratto ascolto il disco potrebbe sembrare banale, mentre sale di tono con il passare del tempo, potendo cogliere in modo più attento le notevoli linee melodiche.

I francesi Deadly Vipers sfornano un buon disco di stoner fuzz psych dalle forti radici e capace di coinvolgere; la materia trattata non è inedita o particolarmente originale, ma il gruppo di Perpignan svolge un ottimo lavoro e ci porta nella psichedelia più pesante.

Ogni pezzo è composto per portare l’ascoltatore in un posto lontano e ha un forte sapore desert. Accelerazioni, dilatazioni, momenti di estasi sonora, oppure ritornelli che ti si conficcano in testa, confermando quanto di buono ci sia in Francia al momento per quanto riguarda la musica pesante. Più che l’arrivo qui l’importante è il viaggio, assaporare sensazioni del tuo cervello che muta peso e sostanza. La produzione è molto buona, permette di gustare il gruppo al massimo e risente in maniera assai positiva della masterizzazione in Texas da parte di Kent Stump dei Wo Fat. Infatti siamo in quei luoghi in cui il deserto diventa allucinazione e le percezioni diventano altro da sé. Ad un primo distratto ascolto il disco potrebbe sembrare banale, mentre sale di tono con il passare del tempo e degli ascolti, potendo cogliere in modo più attento le notevoli linee melodiche. I Deadly Vipers sono un gruppo notevole e fanno una psichedelia  fuzz che merita molta attenzione, piacevole e molto ben suonata.

Tracklist
1.Fuel Prophecy
2.Universe
3.Doppelganger Sun
4.The Prey Goes On
5.Stalker
6.Meteor Valley
7.Supernova
8.Dead Summer
9.River of Souls

Line-up
Fred: Vocals
David: High Fuzz
Thomas: Low Fuzz
Vincent: Drums

DEADLY VIPERS – Facebook

[‘selvǝ] – D O M A

Due lunghe immense jam, con le quali i [‘selvǝ] fermano un attimo della loro catarsi, perché i [‘selvǝ] non sono solo musica, sono emozione e smarrimento.

I [‘selvǝ] sono un gruppo che va ben oltre la mera indicazione di qualche genere, producono suoni che non possono essere collegati, un cavalcare un flusso furioso di emozioni e di forze che stanno dentro e fuori di noi.

Nati nel 2013, sono un’entità in continua evoluzione, dal primo Life Habitual al successivo Eléo, dove ogni nuovo lavoro marca un’ulteriore passo in avanti nella loro poetica. Ora arriva D O M A ed il viaggio verso nuovi pianeti sonori continua, dato che il loro suono sta mutando di nuovo, e ciò sta avvenendo senza forzature, facendo divenire il tutto molto naturale e precisamente come hanno intenzione che sia. Il trio di Lodi ha suonato due pezzi di lunga durata in questo disco, e forse ciò potrebbe sembrare poco alle menti poco aperte, mentre invece c’è tutto quanto deve esserci, anche di più. I [‘selvǝ] sono fondamentalmente un gruppo da gustare dal vivo, chi li ha visti capirà cosa intendo, e D O M A ne è un’ulteriore conferma. Questo disco è uno dei migliori esempi di come si possa fare un hardcore mutato, che diventa post black metal o potentissimo screamo. E forse la definizione migliore potrebbe essere proprio screamo black metal, ma come detto poc’anzi provare a definire questa musica è davvero poco importante. Ciò che deve importare del disco è la sua durezza, il suo sputarti in faccia per provare a svegliarti dal sonno in rete nel quale viviamo. Ci sono molti modi di descrivere le nostre vie, i [‘selvǝ] scelgono la loro musica, che è un dono molto prezioso ed importante, basta ascoltare questi due capolavori, che partono da basi conosciute per andare davvero molto lontano, andando oltre il grigio per calarsi nella nera realtà. D O M A è la prova fin qui migliore di questo gruppo, ed uno dei migliori dischi degli ultimi di black metal inteso in senso largo, anche perché il black non può essere inteso in un senso solo. Due lunghe immense jam, con le quali i [‘selvǝ] fermano un attimo della loro catarsi, perché i [‘selvǝ] non sono solo musica, sono emozione e smarrimento, ed è bellissimo.

Tracklist
1) silen
2) joy

Line-up
Alessandro Andriolo – Guitars, Voice
Andrea Pezzi – Bass, Voice
Tommaso Rey – Drums

[‘selvǝ] – Facebook

Trevor And The Wolves – Road To Nowhere

Un album che non ha cadute di intensità, da gustare come una corposa birra rossa, o da sentire mentre si cammina soli nei boschi, esperienza da fare perché la natura ha tanto da dirci, così come Road To Nowhere.

Album solista per Trevor, il cantante dei Sadist. Trevor And The Wolves è un progetto musicale nato fra le montagne dell’appennino ligure, luoghi al quale Trevor è molto legato.

Lo stile musicale è quello dell’hard rock classico, con incursioni nel blues e qualche intarsio folk. Ascoltandolo si potrebbe dire che assomigli molto alle prime cose degli Ac/Dc, gruppo molto amato dal frontman dei Sadist, ma qui c’è molto di più. Come uno spirito che non veda l’ora di farsi conoscere e di interagire con il mondo, questo Road To Nowhere esplode con forza sotto il nostro sederino, sa di neve, terra fresca e cieli lividi, il tutto condito dalla classe di Trevor e dei musicisti che ha scelto, come si può vedere nel magnifico video diretto da Matteo Siri. Il disco è molto aderente all’ultimo periodo di vita di Trevor, che passa più tempo nei boschi che nelle città, ma questo non è un chiudersi, anzi è un aprirsi alla propria natura. Lungo tutto l’album si percepisce una forza molto possente ma totalmente calma, ed il motivo potrebbe essere la totale sincerità di un lavoro che mostra Trevor per quello che è, senza molte pose o necessità di apparire diverso. Si assapora un gusto di musica vera e sentita, un divertimento nell’essere sé stessi, anche omaggiando un paese lontano ma vicino come la Scozia. La voce di Trevor è in gran forma e fa vedere di cosa sia capace, complice la grande esperienza e la grande forza che ha. La produzione è del sempre magistrale Tommy Talamanca, quindi semplicemente perfetta, facendo risaltare tutto il bouquet del disco. Sentimenti, durezza, amicizia e voglia di prendere la vita dal verso giusto, anche se ciò non è mai semplice. Un album che non ha cadute di intensità, da gustare come una corposa birra rossa, o da sentire mentre si cammina soli nei boschi, esperienza da fare perché la natura ha tanto da dirci, così come Road To Nowhere. Alcuni ritornelli sono clamorosi, ma tutto l’album regge davvero molto bene.

Tracklist
1. FROM HELL TO HEAVEN ICE
2. BURN AT SUNRISE
3. RED BEER
4. BLACK FOREST
5. BATH NUMBER 666
6. SPIRITUAL LEADER
7. ROADSIDE MOTEL
8. WINGS OF FIRE
9. LAKE SLEEPING DRAGON
10.UNFORGIVABLE MISTAKE

Line-up
Trevor Sadist – Voice
Francesco Martini – Lead Guitars
Alberto Laiolo – Rhythm Guitars
Aluigi Antonio – Bass
Emanuele Peccorini – Drums

TREVOR – Facebook

Led Green – God Is An Alien

Mancava da tempo un disco di elettronica come questo che riesca a trasmettere qualcosa attraverso una musica molto ben composta ed organica.

Industrial, elettronica e tanta ebm con una bellissima voce femminile per comunicarci che non siamo soli, e che qualcosa di più grande ci osserva.

Secondo disco per questa entità che ci mostra come noi siamo tutt’al più una curiosa formina da guardare. Led Green è un polistrumentista che nasce come batterista, per poi trasferirsi in Inghilterra dove continua a fare musica. Questo progetto è per ampliare ulteriormente lo spettro della sua musica. Lui fa tutta la parte strumentale, e la splendida e versatile voce di Vanessa Caracciolo fa il resto, congiungendosi benissimo con la sfera musicale. Il risultato è un riuscito connubio di elettronica in quota ebm, ma che non si esaurisce in questo, anzi è un qualcosa che diviene il mezzo per andare avanti. Ci sono moltissimi suoni dentro questo disco, e il suo incedere è molto elettronica anni novanta, epoca nella quale si narrava un qualcosa attraverso la musica puntando ad espandere la propria coscienza. La poetica di questo disco è la convinzione che gli alieni siano i nostri creatori e che continuino ad osservarci, quasi come un curioso esperimento. Tutto ciò riprende la teoria di Zecharia Sitchin e di altri, che teorizzavano che gli abitanti del pianeta scomparso Nibiru ci abbiano creato per lavorare nelle loro miniere, e poi ci abbiano mantenuto in vita per sfruttarci. Certamente in questo disco, grazie ad una sapiente composizione, è musicalmente tangibile l’oppressione che grava sul genere umano, ma soprattutto questo lavoro è un invito a guardare in su e non in giù. La batteria, vista anche la formazione musicale di Led Green, la fa da padrone e guida lo spettacolo che è molto buono. Mancava da tempo un disco di elettronica come questo che riesca a trasmettere qualcosa attraverso una musica molto ben composta ed organica, facendo dimenticare l’orrenda copertina. Se resisti, esisti.

Tracklist
01) Planet Earth Destiny
02) The Neverending Universe
03) They’re Checking Us
04) Misery Hate&Pain
05) One More Time
06) If You Resist You Exist (Betty)
07) Last Chance
08) Better World

Line-up
Led Green – Music, Drums, Bass, Synths
Vanessa Caracciolo – Vox, Lyrics

LED GREEN – Facebook

Satanic Warmaster – We Are The Worms That Crawl On The Broken Wings Of An Angel

Torna l’assai controverso Satanic Warmaster con una compilation che raggruppa la maggior parte delle sue tracce finite nei moltissimi split e collaborazioni in giro per il mondo a cui il finlandese ha contribuito.

Torna l’assai controverso Werwolf con una compilation che raggruppa la maggior parte delle tracce finite a nome Satanic Warmaster nei moltissimi split e collaborazioni in giro per il mondo a cui il finlandese ha contribuito.

Certamente il nostro politicamente è meglio lasciarlo perdere, come tanti nella scena black metal, ma è innegabile la sua importanza per il black metal underground, anche grazie alla sua indubbia bravura. Inoltre Satanic Warmaster è un pietra miliare nell’estremismo musicale, e ascoltarlo è sempre una nera gioia per chi ama il black metal meno compromesso. Ascoltando questa raccolta si possono cogliere benissimo le grandi diversità che contraddistinguono questo progetto musicale. Satanic Warmaster fa un black metal che non si pone paletti o preconcetti, la sua peculiarità è rimanere marcio e cattivo, veloce ed incisivo, sia per sconvolgere l’ascoltatore, sia per portare chi ama queste sonorità dentro ad un vortice sempre più nero. Questa compilation si rivolge soprattutto a chi segue da anni la parabola musicale della one man band finlandese, poiché qui ci sono vere e proprie chicche. Forse chi non lo conosce ancora dovrebbe prima rivolgersi ai dischi canonici, perché sono maggiormente omogenei, se si può parlare di omogeneità in questo caso. Il disco è composto da tanti neri gradini sporchi e scivolosi che discendono verso un qualcosa di terribile che sta sia sotto che dentro di noi, e che questa musica sviscera in maniera sincera e senza paratie, perché l’uomo è una bestia e Satanic Warmaster lo sa molto bene. Un tesoro nascosto del black metal underground disponibile per chi, giustamente, fa fatica a seguire le molteplici uscite di questo signore.

Tracklist
1.Satan’s Race
2.Hold on to Your Dreams
3.March of the Legion Werwolf
4.Six Million Tears
5.Taistelukenttien Kärsimykset
6.A Hymn for the Black Empire
7.The Chant of the Barbarian Wolves
8.Intro
9.Nameless Sacrifice
10.Dead Light of a Lost Star
11.Massacre
12.Where Eternity Awaits
13.The Burning Eyes of the Werewolf
14.The Majesty of Wampyric Blood
15.Lords and Tyrants
16.Black Metal Death

Line-up
Werwolf – All instruments, Vocals (1998-present)

SATANIC WARMASTER – Facebook

Unshine – Astrala

Misticismo, ricordi di umanità diversa da quella attuale e con ben altre prerogative, ci fanno immergere dentro questo suono, ricercando qualcosa che possiamo far scaturire dal nostro interiore se lo vogliamo e se troviamo il giusto innesco: Astrala è perfetto per questo, oltre che essere un buon disco di metal.

Gli Unshine sono una band gothic metal a voce femminile proveniente dalla terra promessa del metal chiamata Finlandia.

Attivi dal 2000, Astrala è il loro quarto album sulla lunga distanza; gli Unshine possono essere definiti un gruppo gothic metal, ma c’è molto di più nella loro musica: il loro è uno spirito che parte dal gothic ma con una forte componente epica e fa capolino anche un po’ di folk. Gli Unshine fanno musica al cento per cento finlandese, guidati dalla bellissima voce di Susanna Vesilahti che riesce sempre a trovare il registro giusto per tutte le occasioni, in grande armonia con la parte strumentale. Gli Unshine sono un gruppo metal a tutto tondo, con le idee molto chiare e capaci di produrre dischi molto ben definiti e dalla forte personalità. Dentro Astrala ci sono momenti più veloci ed alcuni maggiormente lenti dalla grande epicità. La loro epica è di ricordo e narrazione di una Finlandia altra, diversa da quella attuale, facente parte di un mondo nel quale la magia e la spiritualità hanno un’importanza ben definita. Le storie degli Unshine sono vite di cose, persone ed entità, e la narrazione è giustamente epica anche grazie al sapiente uso delle tastiere che conferiscono un tono superiore alla musica. Gli Unshine non sono un gruppo prolifico, le loro uscite sono giustamente ben centellinate e diamo loro ragione perché la qualità di questi lavori è sempre alta ed appagante. Misticismo, ricordi di umanità diversa da quella attuale e con ben altre prerogative, ci fanno immergere dentro questo suono, ricercando qualcosa che possiamo far scaturire dal nostro interiore se lo vogliamo e se troviamo il giusto innesco: Astrala è perfetto per questo, oltre che essere un buon disco di metal.

Tracklist
01. Birch Of Fornjot
02. Kainun Kuningas
03. Jack’s Feast
04. The Masks Of Enchantment
05. Pan The One
06. Druids Are A-Coming
07. Slow Moving Creatures
08. Visionary’s Last Breath
09. Suo (Kantaa Ruumiit)
10. The Forest

Line-up
Susanna Vesilahti – vocals
Harri Hautala – guitar, synthesizer
Jari Hautala – guitar
Jukka “Stibe” Hantula – drums
Teemu “Teemal” Vähäkangas – bass

UNSHINE – Facebook

Totenwagen – Notte Di Guai

Tutto è originale e molto molto partenopeo: Napoli è una città ricca e dalle tantissime contraddizioni, perché è piena di vita, e la vita porta conflitto, come questo disco meravigliosamente unico.

Gli Squallor del metal, ma nemmeno del metal, sono proprio una cosa mai vista questi napoletani.

Squallor per l’attitudine assolutamente senza compromessi e libera. Come ebbe a dire la mai abbastanza famosa Susanna Messaggio, questi ragazzi sono così metal che lo fanno senza chitarre, ed è proprio vero, non hanno le chitarre. Cantano in tedesco ed in napoletano e ci portano nel loro potentissimo circo musicale e non solo. Detta così sembrerebbe un’operazione un po’ vaga, ma bisogna davvero sentire il disco per capire, tanto più che i Totenwagen lo regalano in download libero. C’è di tutto qui dentro, come una folle corsa in una notte di guai per i vicoli partenopei, ma soprattutto troviamo la musica vera, quella sentita e senza pose. Attraversando Notte di Guai si passa per tantissimi territori, davvero troppi da elencare, ma è la sintesi dei Totenwagen quella che conta. Notte di Guai potrebbe essere una storia gothic punk metal, dove il lo fi incontra la qualità intellettuale, e seguite molto bene i testi perché sono interessanti. Strane chitarre, batteria che pulsa, un basso che indica la via, organo che entra sempre benissimo ed un cantato collettivo che sale al cielo come un sol uomo. Notte di Guai è davvero un’esperienza unica sia da sentire che da vivere tout court. Tutto il disco è bellissimo, ma ci sono momenti di pura genialità come Spit And Run per dirne una, un veloce rock italiano anni 80. Ma qui tutto è originale ed unico, e molto molto partenopeo, perché Napoli è una città ricca e dalle tantissime contraddizioni, perché è piena di vita, e la vita porta conflitto, come questo disco meravigliosamente unico. Per me uno dei dischi più belli dei primi mesi del 2018.

Tracklist
1.Bestialische Friedenlust
2.Nocturno punk
3.Quando cala la notte… Allor’ si te ne fotte
4.Spit and run
5.Beschmutzer
6.Nduvosck
7.Notte di guai
8.Audacess
9.Funerale all’ italiana

TOTENWAGEN – Facebook

Thal – Reach For The Dragon’s Eye

I Thal sono un gruppo che attira con immediatezza, provocando sensazioni molto forti e che non ti aspetteresti da un suono così minimale ma potente.

Un interessante composto sonoro minimale che ha come attori la chitarra e la batteria e che, attraverso una particolare alchimia, ci porta lontano.

Al primo ascolto questo debutto dei Thal potrebbe sembrare particolarmente scarno e privo di alcuni elementi sonori. Invece, quando si compenetra maggiormente la musica del gruppo, si può capirne la grande forza. Il genere percorso è un qualcosa fra Clutch, Hollow Leg per rimanere in casa Argonauta, e lo stoner doom più minimale. Grazie ai loro intrecci sonori il duo composto da John “ Vince Green “ Walker alla chitarra ed altro e alla batteria da Kevin Hartnell riesce a far nascere una psichedelia pesante altra, piena dell’essenza lisergica capace di portare in alto l’ascoltatore. Le stimmate del suono dei Thal fanno facilmente intuire la grande capacità compositiva nel comporre musica pesante, non soffermandosi su un solo elemento ma investendo molto sull’ampliare le reazioni al loro suono. I Thal sono nati come progetto solista di John Walker, che registrando l’album dei wytCHord, Death Will Flee, si è accorto del particolare modo di suonare la batteria di Kevin Hartnell, ed ascoltandolo in questo album si può facilmente capire. Oltre a questo Hartnell c’è un qualcosa di primitivo in questo disco, un suono che diventa pienamente groove e sale verso il cielo come fosse un rituale in musica. I Thal sono un gruppo che attira con immediatezza, provocando sensazioni molto forti e che non ti aspetteresti da un suono così minimale ma potente. Ci sono moltissimi elementi condensati in queste onde sonore che parlano della durezza e delle difficoltà della vita, il tutto attraverso un filtro di forte esoterismo, che è la chiave per molte cose.

Tracklist
1. Rebreather
2. Under Earth
3. Her Gods Demand War
4. Thoughtform
5. Soulshank
6. Death of the Sun
7. Punish
8. Reach for the Dragon’s Eye

Line-up
John “Vince Green” Walker – Vocals, Guitars and Bass
Kevin Hartnell – Drums, Guitars and Synth

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GABRIELS

I progetti musicali che sondano territori ancora inesplorati, se coadiuvati da una spiegazione risultano ancora migliori, come l’opera del siciliano Gabriels, Concerto For Syntherziers And Orchestra in D minor Op.1, uscito per Diamonds Prod.
Prog, musica classica e tanto altro, come ci spiega bene lo stesso Gabriels nelle righe qui sotto.
Grazie a Gabriels e a Nadir Music.

ME Come nasce l’idea di questa prima opera al mondo per synth ed orchestra?

In conservatorio, durante le lezioni di Storia degli Strumenti Elettronici, si parlava del famoso Minimoog e di come aveva reso possibile avere grande portabilità nei live. Al contrario, il Moog Modulare era molto difficile da trasportare essendo veramente enorme. Poi non nego che pensai molto al Concerto Suite per chitarra elettrica e Orchestra di Malmsteen, e allora l’idea si concretizzò.

ME L’opera contiene molti suoni che rimandano al prog italiano, è corretto?

Si è vero, possiamo affermare che in sostanza non si tratti solo di musica classica come potrebbe far sembrare il titolo. Già dal primo ascolto si percepisce un sound molto vario che richiama parecchi stili ed era quello che volevo ottenere … una Rock Opera dei giorni nostri ma come la avrebbero suonata nell’antichità, un connubio tra tecnologia e non.

ME Porterai la tua opera dal vivo in giro per l’Italia?

Eh … domanda molto complicata e credo che al momento attuale non sia fattibile. E’ stata già un’impresa molto ardua la registrazione e una situazione del genere dal vivo lo sarebbe ancora di più, senza contare che organizzarlo mi porterebbe via parecchio tempo che. invece. per adesso sto dedicando alla composizione e registrazione della collana su Hokuto No Ken. Ne approfitto per dare la notizia che il Secondo Atto uscirà a breve nel 2018.

ME Il gusto è barocco ma le tematiche trattate sono classiche, tutto ciò è conciliabile?

Credo che al giorno d’oggi qualsiasi cosa sia conciliabile se saputa fare, basta darle una forma … con la forma tutto può funzionare bene anche se, apparentemente, i pezzi che compongono il tuo puzzle appartengono a mondi diversi.

ME Ci puoi descrivere la registrazione del disco?

E’ stato molto complicato e il mio lavoro era già iniziato mentre pubblicavo altri miei dischi. Dapprima registrai tutto suonato da me, anche le parti orchestrali, per sentire come tutto funzionava e suonava (parliamo del 2009 circa), ma avendo a che fare con un’ orchestra dovevo necessariamente scrivere tutte le parti. Durante la scrittura della partitura cambiai molte cose, alcune le eliminai e altre le aggiunsi; alcune tracce sono state addirittura cancellate di sana pianta e di altre ne ho preso solo alcuni pezzi per poi aggiungerne altri. Poi è stata la volta di cercare tutti gli elementi dell’orchestra e non nascondo che, a volte, mi sono scoraggiato; nel frattempo gli anni passavano e iniziai a pubblicare altri dischi come “Prophecy” e l’idea del Concerto non sapevo se abbandonarla o meno. Dopo tanto attendere, e in questo momento di pausa dal lavoro su Hokuto, decisi di mettere un punto a questa storia, contattai il mio collega e amico Mistheria, che si dimostrò subito entusiasta dell’opera, e in seguito anche il mio amico Styx Synthmmonster, entrambi ospiti speciali nel disco. Inviai le partiture ad un direttore d’orchestra nipponico che riuscì a mettere insieme una, anche se modesta, orchestra di giovani allievi molto volenterosi e in poco tempo mi inviarono le registrazioni.

ME Progetti futuri?

Per adesso voglio continuare la saga su Hokuto no Ken: nel 2018 uscirà il secondo atto ma non vi nascondo che già sono al lavoro al terzo e sulla stesura del quarto. All’inizio avevo pensato di farne una trilogia ma, in corso d’opera, mi accorsi che non era possibile, credo che almeno arriverò ad una Pentalogia.

ME Ciao e grazie.

Grazie mille a voi dello spazio dedicatomi. Vorrei lasciare solo un ultimo messaggio ai lettori; vi prego di supportare tutta la musica acquistando il prodotto fatto con tanto sudore e passione, solo così noi possiamo veramente continuare a produrre nuova musica …GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE!!!!

Gabriels – Over the Olympus – Concerto for Synthesizer and Orchestra in D Minor Op. 1

Il progetto di questo disco è un affrontare l’ignoto, poiché nessuno aveva mai tentato di coniugare in un concerto i synth ed un’orchestra.

Potrebbe sembrare strano, ma ci sono ancora terre musicalmente vergini e piene di rigogliosi frutti che aspettano di essere colti.

Gabriels è molto più di un musicista e qualcosa in più di un compositore, è una mente ed un corpo votati totalmente alla musica, in quanto figlio d’arte e approfondito studioso della musica sia nella sua forma musicale che in quella fisica, come la foniatria. Innumerevoli sono le sue collaborazioni e le cose che ha fatto per la musica, spaziando dalla classica al metal, passando per il prog. Il progetto di questo disco è un affrontare l’ignoto, poiché nessuno aveva mai tentato di coniugare in un concerto i synth ed un’orchestra. Innanzitutto l’ascolto ci rende chiara l’assoluta godibilità di questo connubio, poiché come dice lo stesso Gabriels nell’intervista che ci ha rilasciato, se si trova la forma giusta si può fare tutto, e questo disco ne è la dimostrazione. Il concerto è una sorta di disco sugli dei dell’Olimpo, le loro gesta e le loro vicissitudini, quindi un qualcosa che deve essere rappresentato con maestosità. Il suono moderno del sintetizzatore si sposa molto bene con l’orchestra, e ci rimanda ai fasti sperimentali del prog anni settanta, quando la sperimentazione era la centro di molti percorsi musicali, totalmente scevri da qualsiasi intento commerciale, come è questo disco. La forza, la potenza e la bellezza della musica classica si incontrano con il suono moderno del sytnh per dare vita ad un qualcosa di totalmente nuovo che delizierà le vostre orecchie. Nella composizione l’attitudine è molto metal, poiché il synth viaggia spesso veloce e racchiude in sé ciò che potrebbe fare un gruppo musicale. Si viaggia veloce, ma tutto ha un suo tempo all’interno del disco, non c’è fretta poiché tutto segue un suo percorso ben preciso, e il genio di Gabriels tiene tutto assieme molto bene. Un disco che rimanda ad epoche lontane e ad alcune più vicine, sempre con la musica e l’amore per essa al centro, essendo questo una compenetrazione totale fra pensiero umano e composizione musicale. Musica classica progressiva.

Tracklist
01. Temple Valley (Andante)
02. By The Giant’s Eyes (Moderato)
03. Titans Versus Giants (Andante Con Moto)
04. Through White Clouds (Moderato)
05. The Magical Castle (Adagio)
06. Gods (Allegretto Con Fuoco)
07. Immortals (Epico)
08. Thunderbolts (Moderato)
09. Over The Olympus (Maestoso)

Line-up
Gabriels : composer
Strings Orchestra directed by Yusaku Yamada
Violins 1:
Ayaka Suzuki
Airi Tanaka
Daysuke Watanabe
Emi Inoue
Violins 2:
Goro Hayashi
Akemi Nakano
Kyoko Otonashi
Hitomi Miura
Junko Nakagawa
Violas:
Osamu Okamoto
Noriku Sakamoto
Aimi Ishii
Cellos:
Akane Maeda
Chira Abe
Emi Kimura
Hanako Inoue
Basses:
Izumi Yamamoto
Kaori Watanabe
Iroshi Shiba
Yusaku Godai
Piano:
Giovanni Puliafito
Harp:
Masakatsu Katsura
Percussions:
Hyo Shimizu
Timpani:
Kaori Matsumoto

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