A Sad Bada / Infame / Goethya / Aura Hiemis – 4 Ways To Die

4 Ways To Die si rivela uno spaccato attendibile dello stato di salute di una scena che si conferma in grande fermento e ricca di band dal potenziale probabilmente ancora inespresso.

L’etichetta cilena Australis Records sta facendo un gradissimo lavoro begli ultimi tempi, volto a portare alla luce il maggior numero possibile di band che affollano il sottobosco underground delle nazione sudamericana che possiede la scena più attiva in ambito metal estremo.

Il genere trattato in questo 4 Ways To Die è il doom, radicato con forza in un paese che ha dato i natali a realtà seminali quali Ppema Arcanus e Mar de Grises, ad altre affermate come i Procession o in grande ascesa come Mourning Sun e Lapsus Dei, con la proposta che vede raggruppate quattro band capaci di offrire il genere nelle sue diverse sfumature.
Si parte quindi con due brani degli A Sad Bada, con It’s Just My Blood,breve traccia inedita a base di un urticante e pesantissimo sludge, e You Must Know, singolo uscito nel 2017 e qui riproposto nei suoi dodici minuti all’interno dei quali diviene preponderante un’anima post metal sempre opportunamente sporcata da fangosi riff.
Gli Infame appaiono molto più grezzi e meno predisposti ad aperture pseudo melodiche, infatti Putrido Reflejo e Planicies de Locura vengono letteralmente ingerite e poi vomitate da questo duo di Antofagasta che offre il meglio nel secondo dei due brani, in virtù di un sound più avvolgente e rallentato.
Dei Goethya nulla si sa, salvo che il brano proposto è una incompromissoria tranvata di oltre un quarto d’ora il cui titolo (Bilis Negra Sofocante) lascia poco spazio all’immaginazione, anche se non mancano momenti di discontinuità rispetto ad un sound che oscilla tra death e doom ma che nella fase centrale della traccia regala incisivi e reiterati passaggi di chitarra solista.
I più noti del quartetto di band incluse in 4 Ways To Die sono comqune gli Aura Hiemis, alla luce di quindici anni di attività che hanno fruttato quattro full length e del fatto che il leader V. ha fatto parte per un certo periodo dei citati Mar De Grises; quello offerto in questo caso è un più classico ed organico death doom, decisamente meglio prodotto e in generale più curato rispetto ai brani ascoltati in precedenza
Visceral Laments Pt II è un traccia notevole per intensità, varietà ed interpretazione vocale, e lo stesso si può dire anche per Broken Roots; insomma, il livello si alza notevolmente forse anche perché le sfumature del genere si prestano maggiormente ad un sound più organico e ben focalizzato.
Detto ciò, 4 Ways To Die si rivela uno spaccato attendibile dello stato di salute di una scena che si conferma in grande fermento e ricca di band dal potenziale probabilmente ancora inespresso.

Tracklist:
1. A Sad Bada – It’s Just My Blood
2. A Sad Bada – You Must Know
3. Infame – Putrido reflejo
4. Infame – Planicies de locura
5. Goethya – Bilis negra sofocante
6. Aura Hiemis – Visceral Laments Pt II
7. Aura Hiemis – Broken Roots

Line-up:
A Sad Bada
Gastón Cariola – Guitars
Fernando Figueroa – Guitars, Vocals
Roberto Toledo – Bass
Alejandro Ossandon – Drums

Infame
D.A. – Guitars, Drums, Vocals
I.M. – Guitars, Vocals

Aura Hiemis
V. – Bass, Keyboards, Drum programming, Vocals, Guitars

A SAD BADA – Facebook
INFAME – Facebook
AURA HIEMIS – Facebook

Djevelkult / Kyy / Nihil Kaos – Kult Of Kaos Serpent

La qualità media è molto alta, dato che i tre gruppi coinvolti sono fra i migliori alfieri del nero metallo apparsi negli ultimi anni, e questa scelta di riunirli assieme della Saturnal Records è davvero azzeccata.

Immondo demone a tre teste, risultato dell’unione di tre grandi gruppi di black metal, i norvegesi Djevelkult, i finlandesi Kvy e i turchi Nihil Kaos.

La qualità media è molto alta, dato che i tre gruppi coinvolti sono fra i migliori alfieri del nero metallo apparsi negli ultimi anni, e questa scelta di riunirli assieme della Saturnal Records è davvero azzeccata. Si comincia con i norvegesi Djevelkult ed il loro assalto in stile classico, con molte influenze dalla seconda ondata black metal scandinava, con la potenza in primo piano: il tutto è ben bilanciato, con un ottimo lavoro delle chitarre e degli altri strumenti. Il loro suono è chiaramente scandinavo, molto potente, con voce a metà fra pulito e growl e gli stacchi sono imperiosi. A seguire ecco i finlandesi Kyy con il loro raw black metal, veloce, impetuoso e molto potente, cantato in growl, marcio ed aggressivo. Queste peculiarità sono completate da un gran senso della melodia che permette di arricchire ulteriormente il loro suono. Rispetto ai norvegesi Djevelkult sono maggiormente veloci e debitori della prima ondata black metal, ed il loro suono è un altro notevole esempio di black metal. Chiudono lo split i turchi Nihil Kaos, il gruppo meno conosciuto ma forse più interessante del lotto. Il loro black metal è un qualcosa di empio che satura lo spazio tempo, essendo suonato in maniera vigorosa e con grande conoscenza dei canoni del genere: la loro velocità è quasi ipnotica, ed il cantato riesce a far andare lontano l’ascoltatore. La cattiveria sonora di questi turchi è molto trascinante e coinvolgente, e le tematiche trattate sono quelle più vicine all’occulto fra questi tre gruppi. Serpent Kult Kaos è uno split molto ben riuscito, con un’ottima produzione ed una qualità molto alta, presentando tre gruppi molto validi, ognuno volto ad esplorare un lato diverso del black metal, anche se la visione totale è abbastanza ortodossa e vicina alla concezione classica del genere. La tradizione della condivisione di un disco continua nella scena black metal, e questo ne è uno degli esempi più fulgidi. Non scamperete all’orda che adora il Serpente.

Tracklist
1.Djevelkult – Skapt Av Helvetesild
2.Djevelkult – Life Devoid
3.Djevelkult – Den Svarte Død
4.Kyy – Ingress: Womb of Lilith
5.Kyy – Congress: Unearthly Realms
6.Kyy – Progress: Leaping Beyond God
7.Nihil Kaos – Artifex Erroris
8.Nihil Kaos – Claws of the Tempter

Liya – Listen Ep

Questa prova , per quanto breve, mette in luce un potenziale notevole da parte di Liya.

La nostra periodica incursione nei territori dell’electro dark non ci porta questa volta nelle lande del centro-nord Europa, bensì nella più calda e mediterranea Israele.

Infatti questo ep intitolato Listen è opera della musicista di Tel Aviv Liya Trebitch, la quale si è già fatta un certo nome nell’ambiente, nonostante sia ancora relativamente molto giovane, grazie ad un attività live piuttosto intensa anche in Europa.
L’ep consta di quattro brani intrisi di un synth dark pop di ottima fattura , dai tratti ballabili, con i primi due Holding On e No Meaning più diretti e provvisti di un chorus decisamente orecchiabile, mentre Always About You è una canzone stupenda con il suo incedere più rilassato ed un afflato melodicamente oscuro in grado di fare vittime già al primo ascolto; chiude la notevole title track, altra traccia dall’enorme potenziale commerciale.
Questa prova , per quanto breve, mette in luce un potenziale notevole da parte di Liya: la sua timbrica quasi adolescenziale è ammaliante e ovviamente a livello di riferimenti non si possono che citare le realtà appartenenti ad una cerchia musicale affine con voce femminile, quindi The Birtday Massacre, come opportunamente citato nelle note biografiche, ai quali si possono aggiungere anche gli imprescindibili Kirlian Camera.

Tracklist:
1.Holding On
2.No Meaning
3.Always About You
4.Listen

Line-up:
Liya Trebitch

LIYA – Facebook

Cloak Of Shadows – Where Do I Hide (Pregabalin Hex)

Thy Haunted Kingdom e Where Do I Hide sono due canzoni che vanno ascoltate come se fossero tracce rimaste fuori dalla scaletta di un qualsiasi album uscito in terra albionica all’inizio degli anni ottanta: tale riesumazione resta qualcosa di assolutamente piacevole, ma nulla più.

Where Do I Hide è la prima uscita targata Cloak Of Shadows, duo inglese che offre un doom dai tratti quanto mai vintage e che di certo non verrà ricordato per la propria spinta innovativa.

I due brani che si aggirano sui 6/7 minuti di durata saccheggiano abbondantemente tutti i nomi più noti del genere nella sua veste più tradizionale, quindi è abbastanza superfluo andare a scomodarli, basti solo sapere che il vocalist Craig come nome d’arte ha scelto Osbourne, e qui direi che il cerchio si chiude abbondantemente.
Il buon Dave Gilbert offre un contributo strumentale diretto ed essenziale su cui il cantante, che rispetto al suo modello ha una voce se possibile anche più nasale oltre che effettata, fa comunque degnamente il suo maledetto e sporco lavoro.
Thy Haunted Kingdom e Where Do I Hide sono due canzoni che vanno ascoltate come se fossero tracce rimaste fuori dalla scaletta di un qualsiasi album uscito in terra albionica all’inizio degli anni ottanta: tale riesumazione resta qualcosa di assolutamente piacevole, ma nulla più, ed è improbabile che un’eventuale prossima uscita dal minutaggio più corposo possa essere foriera di particolari scostamenti rispetto a questo ep.

Tracklist:
1. Thy Haunted Kingdom
2. Where Do I Hide (Pregabalin Hex)

Line-up:
Dave Gilbert – All instruments
Craig Osbourne – Vocals

 

Vacant Body – Vacant Body

Le sensazioni lasciate da questo breve assaggio sono più che confortanti e l’impressione è che un eventuale lavoro su lunga distanza dei Vacant Body possa ritagliarsi in futuro un suo spazio privilegiato.

Vacant Body è un nome del quale ben poco si sa se non la provenienza australiana, per cui il compito di descriverne l’essenza è demandato del tutto a questo demo contenente tre brani per un totale complessivo inferiore ai dieci minuti di musica.

Poco per farsi un’idea più esaustiva delle potenzialità di questo che, a occhio e croce, dovrebbe essere un progetto solista, ma abbastanza per rinvenire in due brani come Spiralling Altar e Light That Never Prevails (l’iniziale Infinite Leash è una breve intro strunentale) le stimmate di un black death di buona qualità, prodotto e registrato in maniera soddisfacente (qui sappiamo che il mastering è stato curato da Magnus Andersson dei Marduk), tutt’altro che banale a livello ritmico e ben interpretato a livello vocale.
Le sensazioni lasciate da questo breve assaggio sono più che confortanti e l’impressione è che un eventuale lavoro su lunga distanza dei Vacant Body possa ritagliarsi in futuro un suo spazio privilegiato, perché il sound mantiene costantemente elevata una tensione e una capacità di coinvolgimento non così scontata, rispetto alla quale l’unica riserva è, appunto quella di verificare se ciò possa avvenire anche in presenza di una durata ben più consistente.

Tracklist:
1.Infinite Leash
2.Spiralling Altar
3.Light That Never Prevails

Cemment – Resurrection From Carnage

La band dall’attitudine death/grind (i brani per tre quarti superano di poco il minuto di durata) ci aggredisce con il suo industrial thrash/death metal, diretto, sporco e selvaggio non concede tregua e richiama alla mente gli svizzeri Swamp Terrorists death/thrash.

La nostrana Agoge Records allunga i suoi artigli fino alla terra del Sol Levante, dalla quale provengono i Cemment.

La band nipponica, dal sound che appare una miscela esplosiva di industrial metal e death/thrash, è attiva dalla metà degli anni novanta, quando mosse i primi passi in quel di Tokio.
Un paio di demo e poi tre full lengtth completarono la discografia della band, usciti tra il 1995 ed il 2000 (Lost Humanity, Donor e Cemment) prima del lungo silenzio e dal ritorno con un singolo di ormai cinque anni fa.
Attualmente la band risulta un duo (Ave alla voce e Taichi alle chitarre) e si ripresenta sul mercato con questo Resurrection From Carnage, ep composto da quattro brani per soli sette minuti di musica.
La band, dall’attitudine death/grind (i brani per tre quarti superano di poco il minuto di durata), ci aggredisce con il suo industrial thrash/death metal, diretto, sporco e selvaggio, che non concede tregua e richiama alla mente gli svizzeri Swamp Terrorists.
Vedremo se questa collaborazione tra la band e la label italiana porterà buone nuove, nel frattempo date un ascolto a questi quattro brani che potrebbero rivelarsi una bella sorpresa.

Tracklist
1.Aztec Warrior
2.Screw Ship
3.Death Whistle
4.Suffer

Line-up
Ave – Vocals
Taichi – Guitars

CEMMENT – Facebook

Warm Sweaters For Susan – Warm Sweaters For Susan

Un suono scarno, essenziale, che unisce alternative rock e post punk, caratterizza il sound di questi cinque brani compresi nell’ep d’esordio degli Warm Sweaters For Susan.

Dopo essere saliti lo scorso giugno sul palco della FIM a Milano, arrivano all’esordio con questo ep di cinque brani i pugliesi Warm Sweaters For Susan, quartetto originario di Taranto formato da Gabriele Caramagno (batteria), Luca D’andria (chitarra), Mimmo Gemmano (canto, chitarra e tastiere) e Gianluca Maggio (basso).

Un suono scarno, essenziale, che unisce alternative rock e post punk, caratterizza il sound di questi cinque brani che partono con l’alternative di That’s The Way My Passion Stirs, brano che accomuna Cure, Smashing Pumpkins ed elettricità punk.
E nel suo insieme quanto proposto avvicina gli Warm Sweaters For Susan più ad una band post punk di fine anni ottanta che ad un gruppo indie rock, ed il basso su cui si appoggia The Quick Brown Fox Jumps Over The Lazy Dog richiama in modo chiaro la band di Robert Smith, mentre il brano è pregno di pulsioni punk/alternative.
Il sound creato dai quattro musicisti pugliesi attinge dagli anni ottanta e dalle prime spinte alternative rock del decennio successivo così che, a mio avviso, mostra poco di indie e molto dei generi citati; forse manca qualcosa a livello di cura nella produzione, ma siamo solo al primo appuntamento con i fans del rock alternativo, quindi aspettiamo il prossimo passo del gruppo per esprimere un giudizio definitivo.

Tracklist
1. That’s The Way My Passion Stirs
2. Gravity
3. Teach Me To Walk
4. The Quick Brown Fox Jumps Over The Lazy Dog
5. Satellites

Line-up
Gabriele Caramagno – Drums
Luca D’Andria – Guitars and backing vocals
Mimmo Gemmano – Lead vocals, Rhythm guitar, Keyboards
Gianluca Maggio – Bass guitar

WARM SWEATERS FOR SUSAN – Facebook

Officium Triste / Lapsus Dei – Broken Memories

In attesa dei prossimi e auspicabili full length da parte di queste due notevoli realtà del death doom melodico, questo split album è sicuramente un appuntamento da non mancare per chi ama, oltre al genere, anche questo particolare formato

Questo split album ci consegna degli ottimi brani ad opera di due realtà operanti in ambito melodic death doom attive fin dal secolo scorso, i cileni Lapsus Dei e gli olandesi Officium Triste.

E ormai inutile rimarcare quanto la scena cilena sia quella preponderante in ambito di doom in Sudamerica e la band guidata da Rodrigo Poblete è una delle più longeve in tale ambito, benché la sua produzione in circa vent’anni di attività sia limitata a tre full length, oltre a qualche uscita di minor minutaggio. Sicuramente il turbinio di musicisti che si sono avvicendati nel corso degli anni ad accompagnare il leader non ha favorito la stabilità e quindi una maggiore produttività, fatto sta che i tre brani che vengono presentati in questo split album ci mostrano una band ispirata e in grado di offrire il genere nelle sue migliori vesti. L’afflato melodico che pervade una traccia come Human rimanda ai migliori Swallow The Sun, anche se la maggiore anzianità di servizio dei Lapsus Dei allontana ogni sospetto di eccessiva derivatività, e lo stesso vale per l’ancor più romantica Sleepless. Più nervosa a tratti è The Feeling Remains, nonostante venga addolcita non poco dal ricorso alle clean vocals.
Gli Officium Triste non hanno certo bisogno di presentazioni, nonostante il loro ultimo lavoro Mors Viri risalga al 2013. In questo periodo il vocalist Pim Blankenstein non è certo rimasto fermo, collaborando a più riprese con i Clouds di Daniel Neagoe e probabilmente questo può averlo indotto ad esibire l’approccio vocale suadente e melodico di The Weight of the World, cover di un brano degli Editors uscita anche come singolo nel 2017 ed episodio decisamente evocativo, per quanto non così canonico se prendiamo come riferimento il genere proposto dalla band olandese. Con le due tracce successive, Crossroads of Souls e Pathway (of Broken Glass), registrate dal vivo (anche se non sembrerebbe) a Malta nel 2014, si ritorna infatti al feroce growl di Pim e ad un sound che porta ben impresso il marchio degli Officium Triste, come sempre capaci di conferire in tali frangenti drammaticità e malinconia al loro sound.
In attesa dei prossimi e auspicabili full length da parte di queste due notevoli realtà del death doom melodico, questo split album è sicuramente un appuntamento da non mancare per chi ama, oltre al genere, anche questo particolare formato

Tracklist:
1. Lapsus Dei – Human
2. Lapsus Dei – Faithless
3. Lapsus Dei – The Feeling Remains
4. Officium Triste – The Weight of the World
5. Officium Triste – On the Crossroads of Souls (Live)
6. Officium Triste – Pathway (of Broken Glass) (Live)

Line-Up:
Officium Triste
Martin Kwakernaak – Drums, Keyboards
Gerard de Jong – Guitars
Pim Blankenstein – Vocals
Niels Jordaan – Drums
William van Dijk – Guitars
Theo Plaisier – Bass

Lapsus Dei
Luis Pinto – Drums
Rodrigo Poblete – Guitars (lead), Vocals
Jose Agustin Bastias – Bass
Alejandro Giusti – Vocals (on The Feeling Remains), Guitars

Julio Leiva – vocals on Human and Faithless

LAPSUS DEI – Facebook

OFFICIUM TRISTE – Facebook

Not Yet Fallen – Homebound ep

Non è affatto facile mettere assieme il metalcore e il meglio hardcore in maniera credibile e godibile, e i Not Yet Fallen lo fanno alla perfezione, perché non hanno pose ma voglia di fondersi con il loro pubblico.

Energia positiva, passione e melodia per la nuova fatica in formato ep dei padovani Not Yet Fallen.

I ragazzi hanno distillato il meglio dai loro ascolti e hanno tratto il meglio dal metalcore e dall’hardcore per farne una miscela originale e che funziona bene. I Not Yet Fallen sono in giro dal 2008 e sono uno dei gruppi migliori che abbiamo in Italia. Nel mare magnum del metalcore con inclinazioni hardcore ci sono miriadi di dischi anche piacevoli, alcuni notevoli, ma se volete risparmiarvi ascolti inutili puntate dritto su Homebound ep perché vi lascerà di sicuro soddisfatti. La produzione è molto accurata e fa rendere il tutto al meglio, poi il gruppo ci mette del suo con questo suono molto caldo, melodico al punto giusto che fa sembrare che i Not Yet Fallen siano proprio quello che volevate ascoltare. Melodie, cori da dito puntato in alto, voli giù dal palco, musica suonata da appassionati per altri appassionati, perché da questo non si ricava la sussistenza ma tante emozioni, voglia di sudare sotto il peso dei decibel, e quella solidarietà ed amicizia che i n altri generi se la sognano di notte. Per esempio la canzone Survivalist è una manifestazione di ciò che sanno fare questi ragazzi, ma Homebound è alla fine una canzone unica, un corpus musicale da ascoltare tutto assieme, perché è uno sguardo composto da tanti battiti di ciglia. Spesso si ha bisogno di essere avvolti da un certo tipo di musica che provochi in noi determinate emozioni, e questo è proprio il posto giusto. Non è affatto facile mettere assieme il metalcore e il meglio hardcore in maniera credibile e godibile, e i Not Yet Fallen lo fanno alla perfezione, perché non hanno pose ma voglia di fondersi con il loro pubblico. Il formato ep è sicuramente giusto, però il giramento di coglioni quando termina il disco è elevato, un po’ come lo svegliarsi da un bel sogno. Bel disco, senza se e senza ma, uno di quei rari momenti di allineamento totale fra il metalcore, te stesso e l’universo circostante.

Tracklist
1.Lone Walker (Foreword)
2.The Lesser Evil (With Regard To Anxiety)
3.Survivalist (About A Wreck)
4.Countless Steps (Concerning Change)
5.A Catharsis pt. I (Detachment)
6.A Catharsis pt. II (The Comeback Chronicles)

Line-up
Francesco – vocals
Luigi – guitar
Emmanuel – guitar
Andrea – bass
Davide – drums

NOT YET FALLEN – Facebook

Onset – Unstructured Dissemination

Unstructured Dissemination è una prova davvero convincente e la sensazione è quella che gli Onset siano tranquillamente in grado di reggere un lavoro su più lunga distanza, nonostante la loro natura di progetto esclusivamente strumentale.

Gli Onset sono un duo proveniente da Singapore autore di un doom metal strumentale di buonissima fattura.

L’estrazione esotica della band non deve trarre in inganno perché qui abbiano a che fare con musicisti esperti come Shamtos e Calvin, con quest’ultimo che è anche il proprietario della notevole etichetta Pulverised Records.
A chiudere questo cerchio di matrice asiatica, va detto che questo ep d’esordio degli Onset esce per Weird Truth, label a sua volta gestita da una figura storica del doom giapponese come Makoto Fujishima.
I due lunghi brani offerti dal duo si snodano lungo coordinate oscillanti tra il funeral ed il post metal, un qualcosa che a tratti può anche rimandare ai primi Monolithe, scremato però di buona parte della loro aura cosmica a favore di un maggiore impatto melodico.
La chitarra di Calvin tesse sovente buone linee melodiche e bisogna dire che quando si arriva alla fine del lavoro, dopo circa venticinque minuti, il fatto di non aver mai ascoltato l’intervento di una voce è una constatazione del tutto marginale, visto che il sound si regge ampiamente da solo anche grazie ad una lunghezza complessiva non eccessiva.
Le due tracce, ovviamente, seguono coordinate comuni anche se Permeation: The Ordeal ha un incedere più canonicamente funeral rimarcato da dolenti linee di chitarra solista, mette Pestis: The Suppressing & Recurrence mostra caratteristiche più robuste ed ossessive.
Il giudizio finale rappresenta la media del valore di queste due tracce, con la prima davvero splendida e coinvolgente in ogni suo momento e la seconda decisamente buona ma, in qualche modo, più ordinaria e comunque meno ricca delle brillanti intuizioni e dell’impatto emotivo esibito in Permeation.
Unstructured Dissemination è una prova davvero convincente e la sensazione è quella che gli Onset siano tranquillamente in grado di reggere un lavoro su più lunga distanza, nonostante la loro natura di progetto esclusivamente strumentale.

Tracklist:
1.Permeation: The Ordeal
2.Pestis: The Suppressing & Recurrence

Line-up:
Shamtos – Drums / Bass
Calvin – Guitars

ONSET – Facebook

A Vintage Death – Acrid Death Fragrance

Trattandosi di un demo, ovviamente, non siamo in presenza di suoni ottimali, ma tale aspetto passa in secondo piano rispetto a questa ventina di minuti abbondanti ricchi di spunti pregevoli che necessitano appunto solo di una rifinitura a livello formale per essere al 100% competitivi.

Acrid Death Fragrance è il demo che porta a conoscenza degli appassionati di metal estremo il nome A Vintage Death, one man band creata dal musicista abruzzese Carmine D’Annibale.

Carmine è stato in passato batterista in diversi gruppi, tra i quali i Rising Moon sono stati i più rilevanti, ma qui si occupa dell’intera strumentazione svincolandosi dal death melodico di quella band per approdare ad un’intrigante forma di metal che ingloba elementi black, death e doom.
Trattandosi di un demo, ovviamente, non siamo in presenza di suoni ottimali, ma tale aspetto passa in secondo piano rispetto a questa ventina di minuti abbondanti ricchi di spunti pregevoli che necessitano appunto solo di una rifinitura a livello formale per essere al 100% competitivi.
Se un brano come When the Spirit Smell His Corpse, posto in apertura del lavoro, si dimostra già abbastanza esaustivo riguardo la bontà della proposta, con il suo incedere dolente e allo stesso tempo melodico, in Gloomy Tombs è invece una componente black metal non distante da quella dei Forgotten Tomb a prendere il sopravvento, mentre Ominous Dream possiede diversi cambi di ritmo e di scenario passando da repentine sfuriate a momenti più evocativi; la title track esibisce un’indole più sognante e melodica, con la chitarra a tessere linee dal buon impatto emotivo, e infine Lume chiude il demo con sonorità piuttosto rarefatte nella sua prima parte ed un’indole complessivamente più atmosferica e sperimentale.
Fatte le debite tarature, il passo d’esordio targato A Vintage Death è senz’altro positivo, in quanto il sound esibito appare decisamente affascinante ancorché piacevolmente naif e genuino: mi piace pensare che Carmine abbia tentato di far proprio l’approccio diretto e privo di orpelli del suo illustre conterraneo Mario Di Donato, rivestendolo di una struttura decisamente più robusta e metallica.
In prospettiva di una possibile uscita di più lunga durata da immettere con tutti i crismi sul mercato discografico, ritengo che l’aspetto sul quale il musicista di Ortona debba lavorare maggiormente sia il comparto vocale, in quanto sia il growl sia le clean vocals sono decisamente perfettibili, all’interno di una struttura compositiva che di suo appare già abbastanza rilevante.

Tracklist:
1. When the Spirit Smell His Corpse
2. Gloomy Tombs
3. Ominous Dream
4. Acrid Death Fragrance
5. Lume

Line-up:
Carmine – Everything

A VINTAGE DEATH – Facebook

Skelethal/Cadaveric Fumes – Heirs Of Hideous Secrecies

Due proposte dalla ancora poco considerata (se non dai cultori del metal estremo underground) scena transalpina che, invece, ha in serbo vere e proprie sorprese sia in campo death che nell’ancora più oscuro e maligno black metal.

La Hells Headbangers records licenzia questo split che vede protagonisti due gruppi francesi alle prese con un putrescente death metal old school.

Un paio di brani ciascuno per Cadaveric Fumes e Skelethal, band molto seguite nel panorama underground estremo del loro paese, tutte due assolutamente devote al genere suonato all’alba degli anni novanta, nella sua versione più malefica e catacombale.
I primi a scendere in campo sono i Cadaveric Fumes, band di Rennes attiva dal 2011 ma ancora senza un full length in bella mostra nella propria discografia composta da un paio di ep, altrettanti demo e da uno split con i Demonic Oath.
The Spectral Parade e Necromancy Sublime ci presentano un gruppo che rispecchia in toto il genere nella versione più marcia e morbosa, con il suono che esce come se provenisse da una cripta, alternando stacchi e mid tempo a veloci ripartenze e restando fedele al più oscuro e fetido death metal vecchia scuola.
Il discorso non cambia con Emerging From The Ethereal Threshold e Torrents Of Putrefying Viscosity, le due tracce firmate Skelethal, gruppo di Lille che invece il suo full length lo ha pubblicato lo scorso anno (Of The Depths….) dopo una manciata di lavori minori, per arrivare assolutamente in forma a questa release che li fotografa come band di death metal vecchia scuola di matrice scandinava.
Rispetto ai Cadaveric Fumes, gli Skelethal possiedono un impatto più potente e atmosfere meno catacombali, ma il risultato tutto sommato rimane confinato nel genere.
Due proposte dalla ancora poco considerata (se non dai cultori del metal estremo underground) scena transalpina che, invece, ha in serbo vere e proprie sorprese sia in campo death che nell’ancora più oscuro e maligno black metal.

Tracklist
1.Cadaveric Fumes – The Spectral Parade
2.Cadaveric Fumes – Necromancy Sublime
3.Skelethal – Emerging From The Ethereal Threshold
4.Skelethal – Torrents Of Putrefying Viscosity

Line-up
Skelethal:
Jon Whiplash – Drums, Bass
Gui Haunting – Vocals, Guitars

Cadaveric Fumes :
Lèo Brard – Drums
Wenceslas Carrieu – Guitars, Vocals
Romain Gibet – Vocals
Reuben Muntrand – Bass

SKELETHAL – Facebook

CADAVERIC FUMES – Facebook

Speechtones – Step

Step è un primo passo, una fondazione di un nuovo mostro sonoro che nasce non a caso in Sardinia, una terra molto fertile per l’underground di qualità.

Dalla Sardegna esordio assoluto per gli Speechtones, un gruppo che fa musica diretta e di sostanza, scegliendo come generi lo stoner, l’heavy rock e sua maestà il desert, tutto in maniera ben fatta e coerente.

Ascoltare la loro prima prova, in download libero sul loro bandcamp, oltre a far scoprire un nuovo valido gruppo underground riesce a regalare bei momenti a chi si vuol lasciare rapire da un suono che è meglio lasciar fluire ad alto volume. In questo gruppo sardo convivono diverse anime e i generi cambiano con facilità, anche grazie al talento compositivo e alla freschezza musicale e mentale. La produzione può essere ampiamente migliorata, ma questo ep Step è la pietra miliare di una strada ancora in costruzione, dato che il lavoro è stato registrato con il primo batterista che non è più in formazione. I tre pezzi possono sembrare pochi, ma illustrano molto bene ciò che è e ciò che potrebbe diventare questo gruppo. Come tante band al proprio esordio le idee sono giustamente tante e spingono tutte per uscire fuori. Il risultato sono tre canzoni, tre appunti di ciò che è e di ciò che sarà. Perché questo gruppo è solido e andrà avanti. La psichedelia è presente in forme diverse, ma sicuramente gli Speechtones non la interpretano nella concezione classica del termine, anche se hanno dei bei momenti stupefacenti soprattutto nel primo pezzo, che è anche quello di maggior respiro dato che supera gli otto minuti. La coppia di canzoni rimanente è più breve e mette in luce altre peculiarità della band, come la capacità di usare lo stoner e il desert rock anche se in realtà lo stile parte da questi assiomi ma è una miscela originale e in totale divenire. Step è un primo passo, una fondazione di un nuovo mostro sonoro che nasce non a caso in Sardinia, una terra molto fertile per l’underground di qualità.

Tracklist
1.Popular Express
2.Sharks and Dogs
3.Speechless

SPEECHTONES – Facebook

Morte Incandescente – …Somos o Fogo do teu Inferno

…Somos o Fogo do teu Inferno è un altro tassello della lunga storia di una band avulsa da ogni idea di schema commerciale, volta esclusivamente ad offrire il proprio black metal abrasivo e genuino.

I Morte Incandescente sono una delle realtà più longeve della fenomenale scena black metal portoghese.

In questi ultimi anni abbiano parlato di diverse band provenienti dalla terra lusitana, tutte capaci di interpretare il genere con una forza ed una convinzione degna di suoi esordi in terra scandinava.
Il duo della capitale, composto da musicisti attivi in numerose altre band, offre poco più di un quarto d’ora di black primordiale racchiuso nel sempre più diffuso ed apprezzato formato in cassetta a cura della War Arts Productions.
Il suono dei Morte Incandescente è grezzo, diretto, privo sostanzialmente di accenni melodici e di contraffazioni, e l’uso della lingua madre tende ancor più l’idea d’essere al cospetto di una band che trova la sua ragione d’essere nelle radici della sua terra e in quelle del genere.
Ma non è solo furia cieca quella che i nostri riversano sul’ascoltatore, perché nei primi due ottimi brani, Penumbra da Realidade e Abandonado, i ritmi sono parossistici solo a sprazzi e in seguito viene trovato il tempo per un episodio sghembo e grottesco come Poema em Branco e la sfuriata punkeggiante di Canção do Caixão.
…Somos o Fogo do teu Inferno è un altro tassello della lunga storia di una band avulsa da ogni idea di schema commerciale, volta esclusivamente ad offrire il proprio black metal abrasivo e genuino.

01 – Penumbra da Realidade
02 – Abandonado
03 – Poema em Branco
04 – Canção do Caixão

Line-up:
Vulturius – Vocals, Bass, Guitars
Nocturnus Horrendus – Vocals, Guitars, Bass, Drums

MORTE INCANDESCENTE – Facebook

Blurr Thrower – Les avatars du vide

Come primo passo Les avatars du vide si rivela un qualcosa di solido e convincente per i Blurr Thrower, perché il solo fatto di mantenere alto il livello dell’attenzione dell’ascolatore con una formula non troppo usuale è di per sé un indicatore importante del valore di questo gruppo (o one man band che sia).

I Blurr Thrower sono una misteriosa entità parigina all’esordio con questi ep composto da due lunghissimi brani.
Il contenuto del lavoro si dimostra fin da subito tutt’altro che banale nel suo snodarsi in un black metal atmosferico ma decisamente inquieto e ben poco prevedibile, tra pulsioni post e ambient.

Non stupisce del resto il fatto che la band in questione sia transalpina, considerata la costante obliquità dell’approccio al genere da quelle parti: nel caso in questione, però, talvolta i Blurr Thrower paiono trarre linfa anche dalla scuola nordamericana in quota cascadiana.
Tutto questo rende Par-Delà les Aubes e Silences due episodi che, nonostante la considerevole lunghezza (diciotto minuti di media), scorrono in maniera mirabilmente fluida nonostante nulla venga fatto per rendere il sound più ammiccante.
Les avatars du vide è un’opera che mantiene un fondo malinconico, in quanto non tocca gli apici di disperazione del depressive e nemmeno si concede a melodie di agevole fruizione: chi ha composto questo disco ha saputo dosare molto bene le varie componenti, ora amalgamandole ora alternandole creando soprattutto nei momenti più rarefatti la giusta tensione prima di esplodere in prorompenti cavalcate.
I due brani differiscono di poco ma quanto basta per fornire loro una forma più delineata, con Par-Delà les Aubes più complessa e tormentata e Silences invece strutturata in maniera più nervosa e a suo modo aggressiva al netto dei deu minuti e mezzo d break centrale.
Come primo passo Les avatars du vide si rivela un qualcosa di solido e convincente per i Blurr Thrower, perché il solo fatto di mantenere alto il livello dell’attenzione dell’ascolatore con una formula non troppo usuale è di per sé un indicatore importante del valore di questo gruppo (o one man band che sia), il cui nome è bene che venga tenuto in debita considerazione in prospettiva futura.

Tracklist:
1. Par-Delà les Aubes
2. Silences

Larsen – Tiles Ep

Sedersi, mettersi le cuffie ed ascoltare Tiles è un atto molto bello ed insieme positivo per il vostro cervello, che essendo sempre connesso sarà stanchissimo: questi signori torinesi insieme a Miss Bendez hanno una meravigliosa medicina.

Tornano i torinesi Larsen, uno dei pochi gruppi italiani veramente di avanguardia e di rottura.

Parlare di avanguardia è però in questo caso un po’ vuoto, poiché i Larsen fanno da sempre musica alla loro maniera, senza guardare se siano avanti od indietro. In questi venti anni circa di carriera il gruppo ha fatto ascoltare a chi lo ha voluto una visione della musica profondamente diversa rispetto a quella comune e a quella della massa, ovvero un flusso naturale che coglie e narra la realtà ed oltre. I Larsen sono forse l’unico gruppo italiano che ha saputo trarre ispirazione dalle band del post punk inglese e da una certa concezione di musica minimale americana, per arrivare a proporre una sintesi originale e molto personale che in questo ep si avvale della validissima collaborazione di Annie Bendez, che magari non conoscete di nome ma probabilmente di fama, poiché è stata con i Crass nonché musa del dub e molto altro della On-U Sound. La sua voce è quella di una narrazione fuori dal tempo e dal tempio, di un cercare senza sosta, di un parlare sopra una musica ipnotica e molto fisica ma al contempo eterea e leggera. Tiles è un racconto di viaggi in terre lontane, di impercettibili movimenti della nostra tazzina di caffè, di cose che pensiamo e non ci siamo mai detti. La dolcezza mista a verità e crudezza dei rari momenti di illuminazione che seguono a momenti indolenti o dolorosi, un guardare meglio per vedere oltre. Recentemente è uscito un documentario della televisione nazionale italiana sul cosiddetto indie, l’insopportabile necessità di essere alternativi per fare mainstream, e i Larsen sono una delle cose più lontane da questa tragedia musicale ed umana, sono un gruppo che fa cose molto belle e godibili, soprattutto durature, perché questo ep con Little Annie girerà molto nelle orecchie di chi vuole andare oltre. L’uso dell’elettronica nei Larsen raggiunge vette molto alte, dato che si fonde completamente con altre forme musicali e fuoriesce in maniera del tutto naturale. Sedersi, mettersi le cuffie ed ascoltare Tiles è un atto gradevole ed insieme positivo per il vostro cervello, che essendo sempre connesso sarà stanchissimo: questi signori torinesi insieme a Miss Bendez hanno una meravigliosa medicina.

Tracklist
1. First Song
2. Barroom Philosopher Pt. 1
3. She’s So So
4. Barroom Philosopher Pt. 2

Line-up
Fabrizio Modonese Palumbo – Guitar, electric viola
Little Annie – Vocals
Marco Schiavo – Drums, cymbals, percussions, glockenspiel
Paolo Dellapiana – Keyboards, synths, electronics
Roberto Maria Clemente – Guitar

LARSEN – Facebook

Symptoms Of The Universe – Demo

Non è facile né consueto trovare un gruppo che ha una vastità tale al suo interno, partendo da una certa tradizione underground italiana per spaziare in territori che non sono consueti per le nostre latitudini, il tutto in maniera personale, urgente ed impetuosa.

I Symptoms of the Universe sono un quartetto barese che ha pubblicato online il primo demo il, disponibile in download libero nel loro bandcamp.

Ciò che stupisce di più in questo do è solo l’inizio. Il loro suono si compone di moltissime cose, tra cui il black metal più etereo e meno convenzionale, infatti una loro canzone si intitola A Forest Of Stars, chiaro riferimento al magnifico gruppo inglese. Come definizione del loro genere si potrebbe parlare di post black metal, ma è davvero riduttivo. Ci sono momenti di grande creatività, invenzioni sonore di grande spessore, e grazie alla musica acquista valore anche il non detto, silenzi che fanno scaturire poi note bellissime. I quattro respirano allo stesso modo, l’affiatamento è notevole, le canzoni sono quasi tutte di lunga durata e dimostrano notevole capacità compositiva, così come quella di cambiare registro più volte nel corso della stessa canzone che è propria solo di chi volge lo sguardo al cielo che sta sopra di noi. La produzione è ancora da saletta prove, ma ciò non è assolutamente un problema, fa anzi parte del fascino di questo gruppo. Non è facile né consueto trovare una band che abbia una vastità tale al suo interno, partendo da una certa tradizione underground italiana per spaziare in territori che non sono consueti per le nostre latitudini, il tutto in maniera personale, urgente ed impetuosa. Anche gli errori aggiungono bellezza al tutto. Un fuoco che arde con passione, un demo molto prezioso e che potrebbe essere l’inizio di qualcosa di grande, perché qui c’è davvero moltissimo.

Tracklist
1.Intro
2.The Dead
3.Tears of a Careful Graverobber
4.Letters
5.Interlude
6.A Forest of Stars (pt.1 – The Rise; pt. 2 – The Fall)
7.Per Anna
8.The Knight That is Not
9.Outro

Line-up
Antonio – Rythm Guitars
Francesco – Bass
Wizard – Harsh Vocals
Giovanni – Clean and Harsh Vocals
Ermanno – Drums
Michele – Lead Guitar

SYMPTOMS OF THE UNIVERSE – Facebook

D-Sense – #savemehello

La sterminata scena russa sta regalando gruppi molto interessanti, e molti sono particolari come i D-Sense, che si muovono leggeri e aggraziati, senza farci mai mancare qualche bella chitarra distorta.

I russi D-Sense sono un gruppo che propone una miscela dolce di rock alternativo con innesti elettronici molto vicino alle cose degli anni novanta.

Non c’è aggressività in queste tre canzoni che rappresentano il loro debutto discografico, nel quale troviamo una confluenza di vari generi, tutti dominati dalla bella voce femminile di Nana, che ha la capacità di spaziare fra i vari registri sonori senza mai perdere il proprio timbro e la propria impronta. Addentrandosi nell’ascolto del disco si coglie anche l’importanza dell’elettronica nell’economia sonora del gruppo, nel senso che essa è il mezzo per trovare nuove situazioni sonore, ricercando sempre una situazione diversa. Nel complesso il sound è ben bilanciato ed esibisce un aspetto il più possibile variegato, avendo come colonna portante la melodia, vero e proprio spirito guida del gruppo, sempre presente e trattata con cognizione di causa. Alcuni potrebbero affermare che i D-Sense siano un gruppo fuori dal tempo, nel senso che ripropongono un suono che era famoso anni fa, ma alla fine questi ragazzi si rivelano accattivanti facendo ciò che piace loro di più, e l’importante è questo. La sterminata scena russa sta regalando gruppi molto interessanti, e molti sono particolari come i D-Sense, che si muovono leggeri e aggraziati, senza farci mai mancare qualche bella chitarra distorta. Un gruppo interessante, aspettando qualcosa in più di tre soli pezzi.

Tracklist
1. Butterfly
2. Till The End
3. #savemehello

Line-up
Nana – Vocals
Andy Nova – Guitars and Programming
Muxeu4 – Bass
Artem P – Drums
Lercha (SOULSHOP) – guest vocal on TILL THE END & #SAVEMEHELLO

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