Wheels Of Fire – Begin Again

Musica che fa bene al cuore, quella del quintetto di rockers nostrani, che confezionano un piccolo gioiello melodico, tra aor e arena rock da spellarsi le mani in sinceri applausi.

Ennesimo album imperdibile per tutti gli amanti dell’hard rock melodico licenziato dalla Art Of Melody Music / Burning Minds Music Group, punto di riferimento importante per queste sonorità e non solo nel nostro paese.

Una scena che sta regalando grosse soddisfazioni quella tricolore, oggi sugli scudi grazie a questo splendido lavoro, il terzo per gli Wheels of Fire, a sette anni di distanza dal precedente Up For Anything e nove dal clamoroso debutto intitolato Hollywood Rocks.
Musica che fa bene al cuore, quella del quintetto di rockers nostrani, che confezionano (grazie anche ai molti ospiti di spessore) un piccolo gioiello melodico, tra aor e arena rock da spellarsi le mani in sinceri applausi.
Mixato e masterizzato da Roberto Priori (Danger Zone, Raintimes, I.F.O.R., Alchemy), con la collaborazione in fase di scrittura di due talenti del rock melodico made in Italy come Pierpaolo “Zorro” Monti (Raintimes, Shining Line, Charming Grace) e Gianluca Firmo (Room Experience, Firmo), Begin Again vede all’opera una manciata di ospiti come Gianluca Ferro, Ivan Ciccarelli, Susanna Pellegrini, Marcello Spera e Matteo Liberati a dare il loro contributo ad una scaletta di brani bellissimi, ultra melodici, graffianti e dall’appeal clamoroso.
Il via alle danze è qualcosa di imperdibile, con l’opener Scratch That Bitch e l’irresistibile Lift Me Up a darci il benvenuto tra note che ricordano le highway statunitensi e le arene rock dove negli anni ottanta facevano il bello ed il cattivo tempo Bon Jovi, Danger Danger e Firehouse, con un tocco di Whitesnake patinati, specialmente in quei passaggi in cui la chitarra di Stefano Zeni sprizza energia rock.
Suonato e cantato splendidamente (Davide “Dave Rox” Barbieri al microfono è garanzia di grani melodie vocali), con una Done For The Day che avrei visto bene nella colonna sonora di Rock Of Ages, l’album esplode in un arcobaleno di note melodiche grazie alle tastiere di Federico De Biase, a donare sfumature da arena rock o emozionare con delicate note (For You).
Una sezione ritmica precisa come un orologio svizzero (Marcello Suzzani al Basso e Fabrizio Uccellini alla batteria) ed una track list inattaccabile completano un lavoro che non sarà facile da superare nella scalata ad album dell’anno per quanto riguarda queste sonorità, a conferma del valore assoluto della scena melodica tricolore.

Tracklist
1. Scratch That Bitch
2. Lift Me Up
3. Tonight Belongs To You
4. Done For The Day
5. For You
6. Keep Me Close
7. Heart Of Stone
8. You’ll Never Be Lonely Again
9. Another Step In The Dark
10. Call My Name
11. Can’t Stand It
12. Wheels Of Fire (European Bonus Track)

Line-up
Davide “Dave Rox” Barbieri – Vocals
Stefano Zeni – Guitars
Federico De Biase – Keyboards
Marcello Suzzani – Bass
Fabrizio Uccellini – Drums

Special guests:
Gianluca Ferro – Guitar Solo
Ivan Ciccarelli – Percussion
Susanna Pellegrini – Backing Vocals
Maryan – Backing Vocals
Marcello Spera – Backing Vocals
Matteo Liberati – Backing Vocals

WHEELS OF FIRE – Facebook

Oigres – Psycho

Psycho convince per il suo essere diretto, essenziale ma non banale: la svolta attuata dal musicista torinese è del tutto condivisibile e non dà spazio ad alcun tipo di recriminazione, lasciando aperti al contrario diversi interessanti scenari da esplorare nel prossimo futuro.

Oigres è il nuovo progetto solista che vede all’opera Sergio Vinci, conosciuto nell’ambiente estremo italiano anche per essere stato il leader degli ottimi Lilyum, una delle migliori espressioni nazionali a mio avviso per quanto riguarda il black metal nelle sue vesti più ortodosse.

I brani contenuti in questo lavoro hanno però ben poco a che vedere con quell’esperienza, se non per l’approccio diretto e rabbioso che qui si estrinseca sotto forma di un thrash/groove hardcore cantato prevalentemente in italiano e che, anche per questo, rimanda a livello attitudinale a gruppi come i Negazione e relativa genia di provenienza piemontese.
I testi abrasivi, ma non privi di slanci poetici, sono sorretti da un sound che non si perde in preamboli ma va dritto all’obiettivo lasciando spazio a tempi più diluiti solo nella pregevole traccia ambient di chiusura, Outro – Openclosed.
Come detto, il nome Lilyum vale qui essenzialmente quale sorta di garanzia della bravura e della sincerità di un musicista come Sergio, che qui si disimpegna in maniera lineare ma alquanto efficace anche nelle vesti di cantante.
Brani come Fermo, Lontano Da Me e Stella, in particolare, sono sferzate di energia contenenti un’urgenza espressiva che, probabilmente, all’interno di una band rischiava d’essere in qualche modo mediata o filtrata, mentre lo stesso monicker prescelto testimonia ampiamente come questa nuova avventura sia, per Sergio Vinci, un qualcosa di intimo, al riparo da qualsiasi interferenza esterna dal punto di vista prettamente compositivo.
Psycho convince per il suo essere diretto, essenziale ma non banale: anche se, come si può intuire dalla mia premessa, non posso considerare la fine dei Lilyum come una buona notizia, la svolta attuata dal musicista torinese è del tutto condivisibile e non dà spazio ad alcun tipo di recriminazione, lasciando aperti al contrario diversi interessanti scenari da esplorare nel prossimo futuro.

Tracklist:
1. Intro – Lifog
2. Fermo
3. Lontano Da Me
4. Stella
5. I Am
6. Scivola Via
7. No Fear, No Truth
8. Outro – Openclosed

Line-up:
Sergio Vinci

OIGRES – Facebook

Banco del Mutuo Soccorso – Transiberiana

Transiberiana ci riporta virtualmente indietro di mezzo secolo ai capolavori dei primi anni settanta non tanto per le sonorità, il cui legame è comunque evidente pur se inserito in un contesto del tutto moderno, ma soprattutto perché proprio come in quei tempi aurei il disco, per arrivare alla sua naturale destinazione che sono le corde più intime dell’animo, non può essere trattato come un qualsiasi prodotto di veloce ed effimero consumo.

Premetto che, per commentare in maniera più equilibrata e meno condizionata questo ritorno del Banco del Mutuo Soccorso a 25 anni dall’ultimo full length, forse il compito dovrebbe essere idealmente affidato ad un soggetto più giovane, per il quale l’opera della band capitolina rivesta un significato meno intimo, non avendone potuto vivere l’epopea in tempo reale come è accaduto invece al sottoscritto.

Transiberiana è anche il primo lavoro, ovviamente, nel quale la voce che ascoltiamo non appartiene all’immenso Francesco di Giacomo; del resto l’ultimo decennio è stato quanto mai difficile per una delle band più iconiche del prog italiano, prima con la morte del vocalist, poi la malattia dello stesso Nocenzi, per finire con la scomparsa dell’altro membro storico Rodolfo Maltese.
Sarebbe bastato molto meno per chiudere definitivamente la storia di un gruppo che la “Storia”, peraltro, l’aveva già ampiamente scritta, ma Nocenzi, come in qualche modo ci fa capire con il brano L’imprevisto, proprio dalle avversità ha tratto la forza per ripartire con una band che oggi è un perfetto mix tra musicisti di grande esperienza ed altri relativamente più giovani, senza che in alcun modo ne vengano intaccati i tratti peculiari.
E chiaro che, fatto salvo l’intatto talento strumentale e compositivo del leader (coadiuvato in quest’ultimo aspetto dal figlio Michelangelo), lo snodo era proprio quello di capire come se la sarebbe cavata il buon Tony D’Alessio alle prese con il pesante confronto rappresentato dall’eredità di Di Giacomo.
Detto subito che il nuovo cantante si tiene alla larga da qualsiasi tentativo di imitazione esibendo un timbro proprio e ben definito, non si può fare a meno di notare come talvolta abbia dovuto fare i salti mortali per adattare i bellissimi testi all’interno della struttura musicale; questo perché Transiberiana è un album complesso, nervoso, dai misurati benché fulgidi slanci melodici (esibiti per lo più nella magistrale Eterna Transiberiana e soprattutto nella commovente Campi di Fragole) e dominato ovviamente dal sempre magistrale tocco tastieristico di un Nocenzi coadiuvato da un supporting cast di primissimo ordine.
Il ricorso a brani di lunghezza non eccessiva (mai oltre i sette minuti) al contrario di quanto accadeva in passato, favorisce solo in parte un’assimilazione che, come è giusto e normale che sia in questo ambito, si concretizza solo dopo diversi attenti ascolti.
Questa allegoria esistenziale che è il viaggio lungo la Transiberiana è ricco di sorprese, di passaggi trascinanti e di intuizioni folgoranti sia a livello musicale che lirico, aspetto questo che riveste un ruolo di grande importanza tra struggenti slanci poetici e passaggi che, per chi vuole ricercarne il vero significato, celano una critica feroce a quelli che sono i tempi in cui viviamo (anche e soprattutto nel nostro “bel paese”, con L’Assalto dei Lupi e I Ruderi del Gulag che sembrano più delle sentenze che non semplici presagi).
Ecco perché Transiberiana ci riporta virtualmente indietro di mezzo secolo ai capolavori dei primi anni settanta non tanto per le sonorità, il cui legame è comunque evidente pur se inserito in un contesto del tutto moderno, ma soprattutto perché proprio come in quei tempi aurei il disco, per arrivare alla sua naturale destinazione che sono le corde più intime dell’animo, non può essere trattato come un qualsiasi prodotto di veloce ed effimero consumo.
La descrizione musicale nei dettagli la lascio volentieri a chi ne possiede in tutto e per tutto le competenze (al riguardo consiglio di reperire l’esauriente e del tutto condivisibile articolo scritto da Fabio Zuffanti per La Stampa}, mentre per quanto mi concerne posso soltanto affermare senza alcun pudore che un musicista come Vittorio Nocenzi, in un paese normale, troverebbe posto nei libri di storia, perché tra un “salvadanaio” e l’altro in copertina sono trascorsi quasi cinquant’anni e, probabilmente, solo chi questa cifra l’ha superata anche anagraficamente riesce effettivamente a comprendere la portata di un simile dato.
L’album viene chiuso da due bonus track (Metamorfosi e Il Ragno) registrate dal vivo al Festival di Veruno nel 2018: nulla più di un gradito cadeau che ha però la duplice funzione di farci capire sia quanto Tony D’Alessio possieda la necessaria caratura anche per reintepretare le immortali tracce della band, sia quanto del Banco del Mutuo Soccorso ce ne sia sempre bisogno, dal vivo o su disco, anche nell’anno domini 2019.

Tracklist:
1. Stelle sulla terra
2. L’imprevisto
3. La discesa dal treno
4. L’assalto dei lupi
5. Campi di Fragole
6. Lo sciamano
7. Eterna Transiberiana
8. I ruderi del gulag
9. Lasciando alle spalle
10. Il grande bianco
11. Oceano: Strade di sale
12. Metamorfosi (Live at Festival Prog di Veruno 2018)
13. Il ragno (Live at Festival Prog di Veruno 2018)

Line-up:
Vittorio Nocenzi – piano, keyboards and voice
Filippo Marcheggiani – guitar
Nicola Di Già – rhythm guitar
Marco Capozi – bass
Fabio Moresco – drums
Tony D’Alessio – lead vocal

BANCO DEL MUTUO SOCCORSO – Facebook

Hellraiser – Heritage

Heritage è un lavoro riuscito, imperdibile per i fans dell’heavy metal di ispirazione maideniana.

Nel segno dell’heavy metal più classico gli umbri Hellraiser pubblicano il loro secondo full length per Underground Symphony.

La band, che affonda le sue origini all’alba del nuovo millennio, dà un seguito a quello che fino ad ora era il suo unico lavoro, il debutto Revenge Of The Phoenix, uscito cinque anni fa.
Heritage è una sorta di concept in cui ogni brano è una storia proveniente da diversi luoghi e da epoche diverse, un’eredità culturale che l’uomo si tramanda da secoli e che di fatto è la storia di tutti i popoli della terra.
L’album è stato registrato da Cesare Capaccioni ai Barfly Studio, mixato da Ronny Milianowicz agli Studio Seven e masterizzato da Tony Lindgren ai Fascination Street Studios, una squadra che ha valorizzato il gran lavoro del quintetto.
L’album è composto da undici brani di heavy metal ispirati dal sound maideniano, una serie di cavalcate metalliche old school, assolutamente classiche sia nell’impatto che in un sound magari non originale, ma perfetto nel suo seguire i dettami del leggendario gruppo inglese in opere come Powerslave ed in parte il bellissimo Brave New World.
I musicisti forniscono prestazioni eccellenti e Heritage corre verso la sua conclusione senza stancare, tra cavalcate heavy, solos taglienti e mid tempo da brividi come la robusta ed evocativa Delvcaem.
Ancora le ottime Plagues Of The North, Fairy Veil e la conclusiva Lady In White spiccano in una tracklist che non trova ostacoli, rendendo Heritage un lavoro riuscito, imperdibile per i fans dell’heavy metal di ispirazione maideniana.

Tracklist
1.Heritage
2.Plagues of the North
3.Ritual of the Stars
4.Fairy Veil
5.Mother Holle
6.Preludio
7.Delvcaem
8.Balance of the Universe
9.Voice in the Wind
10.Zephyr’s Palace
11.Lady in White

Line-up
Cesare Capaccioni – Vocal
Michele Brozzi – Guitar
Marco Tanzi – Guitar
Francesco Foti – Bass
Riccardo Perugini – Drums

HELLRAISER – Facebook

Half Life – I’ve Got To Survive

I quattro potentissimi brani sono sorretti da un gioco di squadra che fa degli Half Life una band compatta nella quale ciascun membro si ritaglia uno spazio importante nell’economia del sound, dai cori epici ai taglienti solos di scuola priestiana fino a ritmiche mai troppo veloci ma potentissime.

Con un passato da cover band di classici dell’heavy metal, arrivano al debutto gli Half Life con I’ve Got To Survive, ep di quattro brani licenziato con il prezioso contributo a livello promozionale della Club Inferno Ent.

La band, nata nel 2015, è passata dall’essere un quintetto all’attuale formazione a quattro elementi con Andrea Lippi alla voce, Manolo Cogoni alla batteria, Gianluca Olraitz al basso e Guerrino Mattioni alla chitarra.
Questo ep esibisce chiari riferimenti old school, con l’heavy metal tradizionale che si arricchisce di sfumature epiche e già dalla title track posta in apertura si capisce che il gruppo laziale gioca duro.
I quattro potentissimi brani sono sorretti da un gioco di squadra che fa degli Half Life una band compatta nella quale ciascun membro si ritaglia uno spazio importante nell’economia del sound, dai cori epici ai taglienti solos di scuola priestiana fino a ritmiche mai troppo veloci ma potentissime.
Un heavy metal duro e puro viene esaltato dalla forza bruta di Killing Words, dall’epica atmosfera di Only Shadows e dal crescendo metallico della conclusiva The Judgement: buona la prima per gli Half Life, band che merita d’essere seguita dagli amanti del metallo di scuola ottantiana.

Tracklist
1. I’ve Got To Survive
2. Killing Words
3. Only Shadows
4. The Judgement

Line-up
Andrea Lippi – Vocals
Manolo Cogoni -Drums
Gianluca Olraitz – Bass
Guerrino Mattioni – Guitars

HALF LIFE – Facebook

Blueside – Small Town, Good Wine & Sad People

I Blueside mostrano il dito medio in maniera molto intelligente, con testi in italiano ed in inglese: canzoni come Fuori e Notorietà sono geniali, ma tutto il disco è molto al di sopra della media, e soprattutto è un qualcosa finalmente di dissacrante, da parte di un gruppo che non ha pose ma molta sostanza, riuscendo inoltre a fare qualcosa di nuovo di un genere trito e ritrito.

Interessante progetto di punk rock e melodic hardcore da Sonnino, provincia di Latina.

La provenienza è molto importante perché il disco tratta appunto della vita in provincia, fucina di talenti e fornace creatrice di frustrazione e rabbia. Tutto ciò i Blueside lo vivono quotidianamente ma hanno fatto un qualcosa di molto punk, ovvero prendere il tutto con seria ironia. Là fuori onestamente è una merda, ma se almeno lo sottolineiamo pigliandovi e pigliandoci in giro forse ci salviamo. Ancora meglio se lo si fa con un gran bel punk rock che incontra l’hardcore melodico, con quella facilità che solo i gruppi che stanno bene assieme e che hanno uno scopo possiedono. Ai Blueside viene fuori questo disco di poco più di venti minuti in maniera molto naturale e scorrevole. La vita in una cittadina di provincia come la loro Sonnino, o in tutte quelle dove la maggior parte di noi è cresciuta, è descritta molto bene, ed il disco si presenta come un vero e proprio concept diviso in quattro parti, con ognuna dedicata a un qualcosa che abbiamo vissuto e che è dolorosamente vero. La musica supporta benissimo questo vivere, cercando di uscire da quel no future che in troppe parti della nostra penisola i giovani vivono, e non che a quelli più avanti con l’età vada poi meglio. Il disco dei Blueside, Small Town, Good Wine & Sad People, centra in pieno anche uno dei temi portanti del vivere in Italia, ovvero che il vino è buono, le città sono piccole e la gente è triste, perché la vita è mero sostentamento, ma ti frega il fatto che mangi e bevi bene. Di fronte a questo dilemma i Blueside mostrano il dito medio in maniera molto intelligente, con testi in italiano ed in inglese: canzoni come Fuori e Notorietà sono geniali, ma tutto il disco è molto al di sopra della media, e soprattutto è un qualcosa finalmente di dissacrante, da parte di un gruppo che non ha pose ma molta sostanza, riuscendo inoltre a fare qualcosa di nuovo di un genere trito e ritrito. Fare un album così non è da tutti, solo in provincia è possibile, perché tante cose buone vengono da lì dove si vive in una certa maniera, sta a voi dire se meglio o peggio che in città.

Tracklist
1. Project#1_SmallTown
2. Ci vomito su
3. Project#2_GoodWine
4. Il Moralista
5. I’m Paranoid
6. Project#3_SadPeople
7. Fuori
8. Project#4_WTF
9. Notorietà
10. Rain

Line-up
Simone Cecconi – Voices & Bass
Domenico Rufo – Guitar
Daniele Rufo – Guitar
Mario Talocco – Drum

BLUESIDE – Facebook

Destrage – The Chosen One

I Destrage sono uno dei gruppi italiani che se la gioca meglio, sia in territorio mainstream che in quello underground, con nomi ben più blasonati ed in alcuni casi altezzosi.

I Destrage tornano con il loro quinto album, il miglior sunto possibile di cosa sia questa band, pronta a prendersi lo scettro vacante di nuovi alfieri del metal moderno.

Se non li avete mai ascoltati immaginate degli Avenged Sevenfold molto più divertenti e vari, con un metalcore molto melodico ma anche potente che si incontra con il modern metal, per un risultato cosmopolita e quindi da esportazione. Infatti i Destrage sono uno dei gruppi italiani che se la gioca meglio, sia in territorio mainstream che in quello underground, con nomi ben più blasonati ed in alcuni casi altezzosi. Con questo disco non sono molti i dubbi del posto che spetta a questo gruppo fieramente milanese. Ascoltando The Chosen One si viene portati in molti luoghi, tra dolcezza, durezza e problemi della vita quotidiana. L’album può essere usato sia da sprone, sia come consolazione per una vita certo non facile come quella quotidiana. La formula del disco è vincente, con la sua miscela di diverse istanze che prendono vita dal metalcore e dal metal moderno. Ci sono ad esempio momenti notevoli alla Dillinger Escape Plan, sfuriate incontenibili o momenti di maggiore melodia. I Destrage non cercano la hit a tutti i costi, suonano al meglio ciò che vogliono e se, poi, ciò incontra il favore del pubblico tanto meglio. La ricchezza del suono e delle linee melodiche, valorizzate al meglio da una produzione che ne fa risaltare le peculiarità, sono le principali caratteristiche di The Chosen One che fa compiere un notevole passo in avanti alla poetica musicale della band lombarda. Non ci sono molti punti ciechi in questo lavoro, la musica dei Destrage avvolge, intrattiene e talvolta fornisce le risposte che può dare un album che non cambierà la vostra vita ma che può renderla migliore. Un lavoro dal respiro internazionale per un gruppo che ha molte cose da dire e ancora di più da suonare.

Tracklist
1. The Chosen One
2. About That
3. Hey, Stranger!
4. At the Cost of Pleasure
5. Mr. Bugman
6. Rage, My Alibi
7. Headache and Crumbs
8. The Gifted One

Line-up
Paolo Colavolpe – vocals
Matteo Di Gioia – guitar
Federico Paulovich – drums
Ralph Guido Salati – guitar
Gabriel Pignata – bass

DESTRAGE – Facebook

Polymorphia – …But Secretly We Thirst

…But Secretly We Thirst si rivela sicuramente una buona partenza per il gruppo lecchese, che mostra una sua già delineata idea di metal estremo seguendo le proprie ispirazioni in maniera personale.

Dal più oscuro underground estremo tricolore arrivano i Polymorphia, band proveniente da Lecco al debutto con questo ep di cinque brani intitolato …But Secretly We Thirst.

Il gruppo, nato nel 2017, è composto attualmente dai tre membri fondatori Matteo Tagliaferri alla batteria, Davide Maglia alla chitarra, Silvio Bergamaschi al basso, ai quali si è aggiunto il cantante Luca Beloli.
L’ep mostra una band con buone potenzialità, il cui sound è un oscuro death metal con richiami al thrash di matrice statunitense, valorizzato da un buon lavoro chitarristico e brutalizzato dal possente e profondo growl di cui è capace il vocalist.
L’atmosfera che si respira tra il solchi di questi primi cinque brani segue le tematiche ispirate ad autori come H.P. Lovecraft, Hermann Hesse, Dickens e Lautréamont e all’analisi sulla mente umana ed i suoi misteri, con la musica che, tra Morbid Angel e Slayer, imprime il suo marchio metallico su brani dall’ottimo tiro come l’opener Ode To The Ocean, la title track e Madness Dream, traccia molto interessante conclusa da un lento passaggio dai rimandi doom/death.
Prodotto dalla Vomit Arcanus Production, …But Secretly We Thirst si rivela sicuramente una buona partenza per il gruppo lecchese, che mostra una sua già delineata idea di metal estremo seguendo le proprie ispirazioni in maniera personale.

Tracklist
1.Ode To The Ocean
2….But Secretly We Thirst
3.Fog
4.Madness Dream
5.Censer

Line-up
Matteo Tagliaferri – Drums
Davide Maglia – Guitars
Silvio Bergamaschi – Bass
Luca Beloli – Vocals

POLYMORPHIA – Facebook

At The Dawn – The Battle To Come

Gli At The Dawn hanno indurito il sound senza perdere quell’approccio melodico e raffinato, marchio di fabbrica della scena italiana, facendo sì che il lavoro offerto sia quanto mai coinvolgente.

Tornano con un nuovo album ed una formazione per due quinti rinnovata gli At The Dawn a confermare il buon stato di salute della scena tricolore nel genere.

Il terzo album della band imolese si intitola The Battle To Come, è stato registrato, prodotto e mixato dalla coppia Simone Mularoni (DGM) e Simone Bertozzi (Arcana13, Ancient Bards) ai Domination Studio e vede all’opera, oltre ai chitarristi Michele Viaggi, Michele Vinci e al cantante Stefano De Marco, la sezione ritmica nuova di zecca composta da Andrea Raffucci al basso e Antero Villaverde alla batteria.
Il nuovo album vede il quintetto sterzare verso un sound più power ed epico, sempre ispirato da un’anima più progressiva, ma sicuramente più potente e diretto rispetto a quello offerto fin qui.
Cavalcate heavy/power potenti, crescendo epici, tastiere che ricamano trame sinfoniche su mid tempo rocciosi, fanno di The Battle To Come un album diretto e metallico, raffinato come da tradizione dei gruppi nostrani e quindi assolutamente godibile.
Ovvio che il genere per sua natura non lascia spazio a nulla che non sia già stato scritto e suonato, ma gli At The Dawn, grazie ad un buon mix tra songwriting, perizia tecnica e produzione regalano ai fans del genere un gioiellino musicale.
Dopo l’intro è di Brotherhood Of Steel il compito di aprire le porte e darci il benvenuto in un nuovo album che non registra attimi di stanchezza, anche nei brani più melodici e lineari come l’elegante power/aor di A Rose In The Dark.
Il power/heavy/prog metal trova la sua naturale incarnazione nelle possenti e suggestive Anthem Of Thor, The Call, The Forsaken Ones, con la nuova sezione ritmica sugli scudi e Viper Of The Sands potente brano dai ricami prog metal.
Gli At The Dawn hanno indurito il sound senza perdere quell’approccio melodico e raffinato, marchio di fabbrica della scena italiana, facendo sì che il lavoro offerto sia quanto mai coinvolgente.

Tracklist
01. The Battle To Come
02. Brotherhood Of Steel
03. Cadaver Synod
04. Anthem Of Thor
05. Dragon Heart
06. A Rose In The Dark
07. The Call
08. Torquemada (The Hand Of God)
09. The Forsaken Ones
10. Viper Of The Sands
11. King Of Blood And Sand

Line-up
Michele Viaggi – guitars
Michele Vinci – guitars
Stefano De Marco – vocals
Andrea Raffucci – bass
Antero Villaverde – drums

AT THE DAWN – Facebook

Africa Unite / Architorti – In Tempo Reale

Prima avvertenza: questo non è un disco reggae. Seconda avvertenza: è uno dei dischi più innovativi ed importanti di sempre della scena italiana. Terza avvertenza: tratta dei social media e della nostra vita online.

Gli Africa Unite tornano con un disco disponibile sia in download libero sul loro sito che in edizione fisica con canzoni bonus acquistabile sempre sul loro sito.

Prima avvertenza: questo non è un disco reggae. Seconda avvertenza: è uno dei dischi più innovativi ed importanti di sempre della scena italiana. Terza avvertenza: tratta dei social media e della nostra vita online. Come dicono loro stessi, gli Africa Unite scelgono la via più difficile per fare il disco nuovo, e chiamano al loro fianco gli Architorti, una formazione di archi per nulla convenzionale. Il risultato è qualcosa di meraviglioso, un disco che fluttua in una dimensione tutta sua, un suono minimale e ricchissimo, le forme musicali non esistono, tutto si risolve in una compenetrazione fra elettronica ed archi, con le voci di Bunna e Madaski che si fondono magnificamente. La stessa voce di Bunna è uno strumento, suona in una maniera come non l’abbiamo mai sentita, dato che è dub di per sé stessa, nel senso che si è spogliata di tutti gli altri elementi. Che Madaski fosse uno dei geni musicali più umili e creativi che abbiamo in Italia è cosa nota, ma qui si supera andando a fare una sintesi musicale che penso abbia sempre avuto in testa e che qui sublima. Gli Architorti sono sempre stati un ensemble totalmente nuovo in fatto di musica classica e ben oltre, e qui si integrano molto bene con gli Africa Unite alchemizzati in un qualcosa di diverso. Il gruppo piemontese da anni sta portando avanti un discorso creativo e di politica musicale che non ha eguali in Italia, facendo uscire dischi in download libero che servono per invogliare la gente a vederli in concerto, che è poi il luogo dove si possono trovare le risorse per andare avanti. Questo album racchiude autentici tesori, ad esempio L’Impero Del Nord dovrebbe essere l’inno nazionale, ed è un balsamo contro l’odio dello stilista delle felpe, il capitano di un popolo sempre più socialmente alla deriva, ed è qualcosa di bellissimo soprattutto per la scioccante strofa di Madaski. Le altre canzoni hanno testi di una lucidità e sincerità incredibili e d analizzano in maniera mai banale la vita online e quella poca che rimane offline. La voce di Bunna è la massimo della sua forma, e non canta ma suona la sua stessa voce con una metrica inedita che si fonde con gli Architorti che in alcuni momenti sembrano un coro. Anche il video di NIN (Nuove Intrusioni Notevoli) è innovativo e molto ben centrato. Nonostante gli Africa Unite siano sempre stati un gruppo innovativo e di qualità, questo disco è davvero epocale e potrebbe essere molto importante per il panorama musicale italiano, se non fossimo attirati dal clic della prossima emozione online.

Tracklist
01 – Hopptiquaxx!
02 – NIN (nuove intrusioni notevoli)
03 – La Morsa del Ragno
04 – L’impero del Nord
05 – Peculiarità
06 – La Differenza
07 – Rughe Indelebili 019
08 – Il Mio Pensiero Lucido

AFRICA UNITE – Facebook

Sandness – Untamed

I Sandness piazzano undici irresistibili hit che faranno la gioia dei fans del metal anni ottanta, in un contesto assolutamente moderno, facendo sì che Untamed nella sua natura old school risulti comunque un’opera targata 2019.

Al terzo album in undici anni i Sandness fanno centro con Untamed, nuovo spumeggiante lavoro che aggiusta il tiro, mira al cuore dei melodic rockers e non fa prigionieri.

Rispetto al precedente Higher & Higher, uscito tre anni fa, il sound del trio risulta infatti più diretto e melodico, animato da tonnellate di attitudine sleazy, chorus che entrano in testa al primo colpo e riff che, se come da tradizione rimangono legati all’heavy metal classico, sono benedetti da un songwriting ispirato.
Mark Denkley (basso e voce), Metyou ToMeatyou (batteria e cori) e Robby Luckets (chitarra, voce e cori) piazzano undici irresistibili hit che faranno la gioia dei fans del metal anni ottanta, in un contesto assolutamente moderno, facendo sì che Untamed nella sua natura old school risulti comunque un’opera targata 2019.
D’altronde il genere, tornato a far parlare di sé in questi ultimi tempi dopo il successo di The Dirt, versione cinematografica della biografia dei Mötley Crüe, nell’underground non ha mai smesso di far divertire i propri fans. con il nostro paese a dare il proprio contributo di gruppi e album di spessore.
Con Untamed i Sandness piantano radici sul podio di queste sonorità, grazie ad una raccolta di brani freschi, melodici e con l’anima rock’n’roll che esce prepotentemente dai solchi del singolo Tyger Bite, London, Never Givin’Up, l’irresistibile Tell Me Tell Me e tutte le altre lascive ed irriverenti tracce rivestite di spandex attillatissimi e animate da una sola parola d’ordine: divertimento.
Passi da gigante dunque per il trio nostrano con questo nuovo lavoro, consigliato senza riserve a tutti gli amanti dell’hard & heavy e delle sonorità sleazy.

Tracklist
01. Life’s a Thrill
02. Tyger Bite
03. London
04. Never Givin’ Up
05. Easy
06. Pyro
07. Radio Show
08. Tell Me Tell Me
09. Only The Youth
10. The Deepest Side Of Me
11. Until It’s Over

Line-up
Mark Denkley – Bass guitar, lead and backing vocals
Metyou ToMeatyou – Drums and backing vocals
Robby Luckets – Guitars, lead and backing vocals

SANDNESS – Facebook

Starbynary – Divina Commedia – Purgatorio

Divina Commedia – Purgatorio è un altro lavoro che merita applausi a scena aperta dal primo all’ultimo minuto di musica offerta dagli Starbynary.

Finalmente i notevoli Starbynary pubblicano la seconda parte della trilogia dedicata alla Divina Commedia e, ovviamente, dopo essere partiti con l’Inferno tocca ora al Purgatorio, raccontato attraverso le note create dai cinque musicisti nostrani.

La band continua nella sua straordinaria opera con un altro capitolo tutto da ascoltare, dopo gli sfavillanti e precedenti lavori, dal debutto Dark Passenger uscito nel 2014 ed appunto Inferno, bellissimo album del 2016 che dava il via alla trilogia incentrata sull’opera dantesca.
Il cantante Joe Caggianelli ed il chitarrista Leo Giraldi tornano accompagnati dal tastierista Luigi Accardo, dal bassista Sebastiano Zanotto e dal batterista Alfonso Mocerino, con uno spettacolare e magniloquente album di power progressive metal che, se da una parte risulta di chiara ispirazione Symphony X (ricordo che nel primo album Mike Lepond fu ospite d’eccezione al basso), deborda di una personalità marcata, di grande fascino e di un songwriting che rimane di altissimo lungo la sua intera durata.
Per oltre un’ora si va su e giù per scale progressive tra solos metallici eleganti, raffinati, ma che non si fanno pregare quando l’atmosfera drammatica richiede un impatto graffiante, ritmiche al cardiopalma ed un sontuoso uso dei tasti d’avorio, mai come in questo album protagonisti così come la prestazione del cantante.
A tratti gli Starbynary ci vanno davvero pesante: Underneath the Stones è squarciata da parti estreme, le ritmiche di Running And Screaming si avvicinano pericolosamente al thrash, così come la sontuosa Laying Bound alterna richiami sinfonici a schiaffi power metal feroci.
Walking Into Fire è una metal song progressiva che, se non fosse cosa pressoché scontata, mette in mostra la notevole tecnica degli Starbynary, mentre Eden e Stars calmano le acque, aprendosi ad un sound che si scrolla la tensione ed i ritmi serrati e ci porta verso le porte del Paradiso, prossima ed obbligatoria tappa del viaggio che la band ha intrapreso nelle pagine di una delle opere letterarie più importanti di tutti i tempi.
Divina Commedia – Purgatorio è un altro lavoro che merita applausi a scena aperta dal primo all’ultimo minuto di musica offerta dagli Starbynary.

Tracklist
01 – On The Shores Of Purgatory
02 – Miserere
03 – Underneath The Stones
04 – Blindness
05 – In The Smoke
06 – Running And Screaming
07 – Laying Bound
08 – The Suffering
09 – Walking Into Fire
10 – Eden
11 – Stars
12 – Ary (Bonus Track)

Line-up
Joe Caggianelli – Vocals
Leo Giraldi – Guitars
Luigi Accardo – Keyboards
Alfonso Mocerino – Drums
Sebastiano Zanotto – Bass

STARBYNARY – Facebook

Black Thunder – All My Scars

Con All My Scars, album massiccio, potente e diretto, i Black Thunder firmano dieci brani tellurici e compatti sicuramente meritevoli d’attenzione.

Secondo lavoro per i Black Thunder, trio lombardo fondato da Andrea Ravasio (batteria e voce) e Davide Ferrandi (chitarra e voce), raggiunti in seguito da Ivan Rossi (basso e voce).

All My Scars segue di cinque anni il primo album (Dominant Idea), esce in versione digitale per Club Inferno Ent. e risulta composto da dieci brani dal sound legato alla scuola tradizionale di matrice hard & heavy, anche se non manca di groove nel suo marciare inarrestabile, pregno di mid tempo e cori diretti di stampo hardcore/thrash.
Le ritmiche, per niente scontate, cuciono ragnatele di riff in continua evoluzione, le accelerazioni ricordano l’heavy thrash di scuola americana, mentre i solos sono 100% di matrice heavy.
Nel sound di All My Scars vivono molte anime che i Black Thunder riescono a domare creando un macigno sonoro niente male: i brani si susseguono senza soluzione di continuità, con reminiscenze panteriane che escono prepotentemente da brani potentissimi come Try To Break Me, dalla pachidermica Stop The Abuse e dalla thrashy Unrecognized Citizen.
Con All My Scars, album massiccio, potente e diretto, il trio lombardo, inarrestabile come un blindato, firma dieci brani tellurici e compatti sicuramente meritevoli d’attenzione.

Tracklist
1. Devil In My Bones
2. Try To Break Me
3. Angry Man
4. Stop The Abuse
5. Disorder And Pain
6. Days Could Stop To Run
7. Fly Away
8. Black Rain
9. Unrecognized Citizen
10. Anyway Have To Be Better

Line-up
Andrea “Andre” Ravasio – Drums, lead vocals
Davide “Ferdy” Ferrandi – Lead and rhythm guitars, backing vocals
Ivan Rossi – Bass, backing vocals

BLACK THUNDER – Facebook

Fleshgod Apocalypse – Veleno

Il disco maggiormente metal della loro collezione, un esempio molto vicino all’optimum di ciò che può essere il metal.

Nuovo episodio nella discografia di uno dei migliori gruppi italiani di metal, i Fleshgod Apocalypse.

Il loro quinto album si intitolo Veleno e sarà uno spartiacque decisivo nella carriera di questa band che tende sempre a raggiungere non tanto la perfezione, quanto una totale onestà musicale. I Fleshgod Apocalypse nei loro precedenti dischi hanno proposto una singolare sintesi di gran valore fra la tradizione della musica classica europea ed italiana con il metal, in particolare con il death metal. Il gruppo perugino è diventato una delle cose più fresche ed innovative della musica estrema degli ultimi anni, producendo dischi sempre all’altezza della situazione. Il precedente King, del 2016, aveva iniziato una rivoluzione nel loro suono che con Veleno continua in maniera ancora più marcata. Innanzitutto il nuovo lavoro è stato composto partendo dalla chitarra e non dall’orchestra come usuale per il gruppo, ed è infatti maggiormente centrato sul metal e meno sull’orchestrazione, comunque presente in maniera eccellente. Inoltre è il primo disco con la nuova formazione. dato che Cristiano Trionfera e Tommaso Riccardi hanno lasciato il gruppo nel 2017 per motivi personali, così il batterista Francesco Paoli è passato alla chitarra e al canto, e sono subentrati David Folchitto degli Stormlord alla batteria e Fabio Bartoletti dei The Deceptionist alla chitarra. Ciò che colpisce sempre dei Fleshgod Apocalypse è la qualità della loro musica, frutto di un lavoro immenso, in cui ogni nota è studiata e calibrata, per una musica che è davvero oltre la nostra dimensione. Veleno è la loro opera più aggressiva ed è il manifesto perfetto, un’aggressione sonora di molti elementi che sarebbero discordanti ma che il gruppo umbro maneggia e miscela alla perfezione. L’album ha la magnificenza dei suoi predecessori, la solita potenza sonora, ma si sente chiaramente fin dalla prima nota che qui la questione è diversa, e che i Fleshgod Apocalypse hanno molto in più da offrire. Veleno è la fusione di molti mondi, di un modo di fare metal che è estremo e genuino, ma che non può e non vuole prescindere da un’immensa preparazione tecnica, mai fine a sé stessa. Se possibile il suono della band qui migliora, arrivando a vette più aggressive e quasi perfette. Il disco maggiormente metal della loro collezione, un esempio molto vicino all’optimum di ciò che può essere il metal.

Tracklist
01. Fury
02. Carnivorous Lamb
03. Sugar
04. The Praying Mantis’ Strategy
05. Monnalisa
06. Worship and Forget
07. Absinthe
08. Pissing On The Score
09. The Day We’ll Be Gone
10. Embrace The Oblivion
11. Veleno

Line-up
Francesco Paoli – Vocals, Guitars, Drums (studio)
Paolo Rossi – Vocals, Bass
Francesco Ferrini – Piano, Orchestrations

LIVE:
Veronica Bordacchini – Soprano vocals
Fabio Bartoletti – Lead guitar
David Folchitto – Drums

FLESHGOD APOCALYPSE – Facebook

Die On Friday – Revolution

I Die On Friday danno alle stampe un macigno metallico in cui non mancano sfuriate estreme, mid tempo dalle melodie mainstream ed atmosfere che ci portano aldilà dell’oceano: un sound ambizioso e dal buon appeal, ruvido il giusto per piacere anche a chi è abituato ad ascolti più in linea con la tradizione metallica.

Si può praticamente considerare una sorta di super gruppo questo nuovo progetto metallico che, con il monicker Die On Friday, vede all’opera membri di storiche realtà tricolori come Drakkar e In.si.dia.

Il quintetto debutta per Buil2Kill Records con Revolution, sorprendendo chi si aspettava un sound classico dovendo, invece, vedersela con un metal moderno dai rimandi statunitensi.
I Die On Friday, infatti, danno alle stampe un macigno metallico in cui non mancano sfuriate estreme, mid tempo dalle melodie mainstream ed atmosfere che ci portano aldilà dell’oceano: un sound ambizioso e dal buon appeal, ruvido il giusto per piacere anche a chi è abituato ad ascolti più in linea con la tradizione metallica.
Revolution non rinnega del tutto il background dei suoi creatori, bensì lo elabora unendolo ad un impatto moderno, con le linee vocali del bravissimo Gianluca Barbieri che, pur rimanendo graffianti e potenti, mantengono un certo fascino al servizio di una serie di brani aggressivi ma al contempo ben fruibili.
Guardando agli States è innegabile l’ispirazione data da quelle band che hanno fatto la storia del metal moderno a cavallo dei due millenni, quindi in Revolution è inutile cercare chissà quale spunto originale, perché si troverà “solo” del potentissimo e compatto metal del XXI secolo.
I vari sussulti di adrenalinico modern metal rinvenibili nella title track, nel brano autointitolato e in Knock Down Myself e Repentance offrono una serie di validi motivi per non lasciarsi sfuggire questo ottimo album di debutto dei Die On Friday.

Tracklist
01. Rise Again
02. Revolution
03. Knock Down Myself
04. MMI
05. New Born Man
06. Repentance
07. Chaos T.
08. Born Without Hope
09. Die On Friday
10. Last Night
11. Alice

Line-up
Gianluca Barbieri – Vocals
Dario De Carlo – Guitars
Manuel Merigo – Guitars
Manuel Maffi – Bass
Paolo Pirola – Drums

DIE ON FRIDAY – Facebook

X-PLICIT – Like A Snake

Like A Snake è composto da una decina di esplosioni sleazy/street rock metal che vi faranno saltare come grilli, un rock’n’roll che viaggia spedito sul Sunset Boulevard illuminato come ai bei tempi: trascinante, melodico e sfacciato, insomma, una vera goduria per i tanti fans di queste sonorità.

Nel panorama underground rock/metal tricolore i suoni hard rock di matrice street/sleaze hanno sempre regalato ottimi lavori ed altrettante band, supportate da varie etichette tra cui ultimamente la coppia Sneakout Records e Burning Minds Music Group, facenti parte della famiglia Atomic Stuff.

Sempre attente alle nuove proposte riguardanti il genere che più di tutti ha marchiato a fuoco gli anni ottanta, e tornato alla ribalta con l’uscita di The Dirt, il biopic sui Motley Crüe, queste label si prendono cura degli hard rockers X-PLICIT, quartetto fondato dal chitarrista Andrea Lanza, già agli onori della cronaca rock con il progetto Skill In Veins, raggiunto da Sa Talarico (Aeternal Seprium) al basso, Giorgio Annoni (Longobardeath, Homerun) alla batteria e dal cantante Simone Zuccarini (Generation On Dope, Razzle Dazzle, Norimberga, Torque, The Wetdogs).
Like A Snake è composto da una decina di esplosioni sleazy/street rock metal che vi faranno saltare come grilli, un rock’n’roll che viaggia spedito sul Sunset Boulevard illuminato come ai bei tempi: trascinante, melodico e sfacciato, insomma, una vera goduria per i tanti fans di queste sonorità.
I musicisti coinvolti, tutti dal background vario, fanno squadra e compatti come un bolide rock’n’roll ci martellano con una potenza di fuoco niente male, e bisogna arrivare ad Angel, brano numero otto, per tirare il fiato con una ballad di matrice Extreme.
Il resto del disco è una cascata di travolgente hard rock, con tutti i crismi per non sfigurare sul palco di qualche locale nella città degli angeli: fin dalle prime battute Lanza risulta una macchina spara riff micidiale, supportato da un sound che, rimanendo ad alta tensione non lesina melodie irresistibili, tra il party scatenato delle varie Hell Is Open, The Great Show, Shake Up You Life e Free.
Parlare di influenze è superfluo, basti sapere che premendo il tasto play come d’incanto si riaccenderanno le luci del Sunset e dei suoi selvaggi party notturni.

Tracklist
01. Hell Is Open
02. The Great Show
03. You Don’t Have To Be Afraid
04. Shake Up Your Life
05. Deep Of My Soul
06. I’m Original
07. Free
08. Angel
09. Don’t Close This Bar Tonight
10. Like A Snake

Line-up
Simone Zuccarini – Vocals
Andrea Lanza – Guitars
Sa Talarico – Bass
Giorgio Annoni – Drums

X-PLICIT – Facebook

Burning Gloom – Amygdala

I Burning Gloom costruiscono un possente groove sonoro che travolge l’ascoltatore e, cosa non affatto facile, tengono molto alta la tensione per tutto il disco.

I Burning Gloom da Milano sono la nuova veste degli ex My Home On Trees, gruppo attivo dal 2012 al 2018 che ha cambiato per cominciare una nuova avventura.

L’inizio di questa nuova avventura è notevole, i milanesi propongono uno stoner con voce femminile, ruvido e molto ben suonato, mai ovvio, cosa non facile in un genere trito e ritrito come questo. Rispetto all’incarnazione precedente e al suo stoner blues, qui le atmosfere diventano più tenebrose e i ritmi si fanno più serrati. Il gruppo ha affermato di essere fiero del risultato e ne hanno tutte le ragioni, dato che Amygdala è un disco estremamente godibile, prodotto molto bene e costruito ancora meglio. La voce potente e versatile di Laura si completa al meglio con uno stoner desertico molto incalzante e che non lascia tregua. La musica di Amygdala è la perfetta colonna sonora per narrare storie di disordini mentali che provengono in gran parte proprio dall’Amygdala del titolo, e che sono un po’ il nostro pane quotidiano. I Burning Gloom costruiscono un possente groove sonoro che travolge l’ascoltatore e, cosa non affatto facile, tengono molto alta la tensione per tutto il disco. Ci sono momenti in cui il gruppo crea un climax sonoro e rituale nel quale ci si perde e si sta benissimo. Con la gradita presenza come ospite nella traccia Nightmares della sempre ottima Mona Miluski dei tedeschi High Fighter, Amygdala è un album che rimane in testa, contribuendo a creare un bel disordine nei nostri cervelli, un abito sonoro che si indossa benissimo. Un disco sulle cui canzoni non si può fare skip, perché le sorprese sono dietro l’angolo in ogni momento.

Tracklist
1. The Tower I
2. The Tower II
3. Eremite
4. Modern Prometheus
5. Nightmares (feat. Mona Miluski of High Fighter)
6. Warden
7. Beyond The Wall
8. Obsessive-Compulsive Disorder

Line-up
Laura Mancini – Vocals
Marco Bertucci – Guitar
Marcello Modica – Drums
Giovanni Mastrapasqua – Bass

BURNING GLOOM – Facebook

Sidechain – Sidechain

In questo lavoro c’è un po’ tutto quello che il rock ha regalato a cavallo dei due secoli, che il gruppo marchigiano fa suo e con sagacia lo amalgama in una ricetta musicale vincente e matura.

Altro nome di cui risentiremo parlare in futuro è quello dei marchigiani Sidechain.

La band, dopo gli iniziali aggiustamenti nella line up, trova l’assetto definitivo nel quartetto composto da Simone Tedeschi alla voce, Matteo Nardinocchi alla chitarra, Mario Bianchini al basso e Danilo Innocenti alla batteria.
L’ep omonimo licenziato tramite la Volcano Records presenta cinque brani molto interessanti, poco inclini a facili melodie ed incentrati sulla parte più metallica e progressiva del rock alternativo degli anni novanta.
Chi si aspetta una manciata di canzoni dal ritornello carino, magari dal taglio post grunge ed in linea con il sound radiofonico alla Nickelback, verrà invece travolto da un sound potente, che non manca di pesanti note stoner e valorizzato da un grande lavoro ritmico dai rimandi progressivi.
In questo lavoro c’è un po’ tutto quello che il rock ha regalato a cavallo dei due secoli, che il gruppo marchigiano fa suo e con sagacia lo amalgama in una ricetta musicale vincente e matura.
Si parte dal metal al moderno rock progressivo, attraverso l’alternative rock tra lo spartito dell’opener My Master, di Horrible Tentacle e soprattutto della conclusiva Flame, brano simbolo del sound Sidechain, tra Tool, Alice In Chains ed Alter Bridge.
Cinque ottimi brani (l’ep si completa con Wars Today e Last Redemption Of My Soul) che ci presentano una band avviata a dire la sua nella scena underground rock odierna.

Tracklist
1. My Master
2. Horrible Tentacle
3. Wars Today
4. Last Redemption of My Soul
5. Flame

Line-up
Simone Tedeschi – Vocals
Matteo Nardinocchi – Drums
Mauro Bianchini – Bass
Danilo Innocenti – Drums

SIDECHAIN – Facebook

Order 1968 – Tears In The Snow

Un documento di gran valore, ma soprattutto un gran disco che ha finalmente una veste adeguata.

Ristampa della cassetta Tears In The Snow di Order 1968, rimasterizzata da Giovanni Indorato al Ctìyber Ghetto Studio.

Order 1968 è stato uno dei primi progetti di uno dei maggiori nomi della musica elettronica in chiave ambient ed industrial in Italia, da parte di quel Claudio Dondo che, dopo l’esperienza con Order 1968 andrà a fondare i fondamentali Runes Order, che invitiamo caldamente a scoprire o riscoprire. La cassetta uscì originariamente nel 1991, registrata nello studio casalingo di Claudio, che era anche l’unico membro del progetto, e pubblicato sull’etichetta da lui fondata, Hate Productions. La cassetta fu originariamente ristampata in 200 copie sotto il nome Runes Order dalla Oktagon Records, con lo stesso audio ed un artwork differente. Annapurna Productions ha ristampato il tutto rimasterizzandolo e con le copertine originali. Dondo è sempre un produttore geniale e notevole, in nuce qui c’è quello che poi farà con i Runes Order, ma soprattutto troviamo una concezione totale e rituale del mezzo musicale. Non è musica fatta per intrattenere, per consolare o per dare risposte, qui ci sono tenebre, domande e tormenti, ma il fatto è che sono fra le atmosfere migliori mai prodotte in Italia. Molto lontano dalle luci della musica di successo ed anche dalla musica delle pose finto alternative, c’è un universo dove ci sono persone che fanno musica per passione e per giocare con i loro demoni, e Claudio Dondo è un eminente esponente di codesta schiatta. Tears In The Snow non lo si ascolta, è il disco stesso che si insinua dentro di noi, percorre le nostre vene e torna nel cervello per celebrare il rituale della nostra estrema caducità, messa mirabilmente in sonoro qui. Tears In Snow è sia un lavoro seminale che una cosa a sé stante, un altro tenebroso episodio della carriera di Claudio, una parabola pressoché unica in Italia e che è apprezzata da chi sa e vuole farlo. Un documento di gran valore, ma soprattutto un gran disco che ha finalmente una veste adeguata.

Tracklist
1. Intro(duction)
2. Sturm
3. A Minute In The Snow
4. The Runes
5. The White Empire
6. The Key Of Pride
7. Watching The New Dawn
8. Nocturne
9. No Surrender!!!
10. A Minute In The Wind
11. Buried Blades
12. Le Bianche Valli Del Silenzio
13. Chi Ride Muore!