Emphatica – Metamorphosis

Metamorphosis fa parte di quelle opere di musica totale, che lasciano stupefatti, un’esperienza di viaggio che ci fa perdere in una marea di suoni e sensazioni molte volte difficili da interpretare.

Emphatica è la creatura di Gerardo Sciacca, musicista campano dal grande talento che, con il suo progetto solista, nel giro di poco più di due anni ha dato alle stampe ben sette lavori, di cui quattro nel 2014 (“Winterscape”, “Atlas Of The Universe”, “Minimal Clouds” e Metamorphosis), per lo più strumentali ai quali probabilmente l’etichetta di symphonic metal sta stretta, almeno per i canoni del genere.

Metamorphosis fa parte di quelle opere di musica totale, che lasciano stupefatti, un’esperienza di viaggio che ci fa perdere in una marea di suoni e sensazioni molte volte difficili da interpretare; musica senza tempo che esce fuori dai binari dell’usa e getta, ormai abitudine anche nei generi meno popolari, e si eleva ad opera d’arte.
Ho immaginato, all’ascolto dell’album, di attraversare il corridoio di un museo, volgendo lo sguardo alle opere esposte, ora quadri, ora sculture, ed accomunando ad ognuna di esse un momento di questo capolavoro, così che la musica di Gerardo potesse avere un volto, un paesaggio, una storia.
Di solito queste sensazioni si manifestano leggendo, nel raffigurarsi volti e luoghi descritti dallo scrittore che il lettore, senza volerlo, disegna nella sua mente, proprio per dare una fisionomia a personaggi ed eventi: sensazioni che la musica racchiusa in Metamorphosis esalta, portando l’ascoltatore a lavorare di fantasia.
Molto vicino ad un’opera classica, questo lavoro non aggiunge elementi sinfonici al metal, ma li amalgama sapientemente, facendo risultare il tutto un’unica stupenda sinfonia di musica a 360°, e creando un mastodontico caleidoscopio di suoni dove la voce risulterebbe superflua, come se potesse rompere l’incantesimo, fragile opera di cristallo di cui la conclusiva The Time Traveler è un manifesto di celestiale armonia di note.
Un album consigliato a tutti gli amanti della buona musica: tra le sue note (tanto per darvi dei riferimenti) ho rinvenuto echi di progressive settantiano, gothic, metal prog, qualche digressione elettronica e naturalmente musica classica, il tutto amalgamato per creare un lavoro sublime. Non lasciatevelo sfuggire.

Tracklist:
1.The Abstract Manifesto
2.Metamorphosis
3.Once In A Lifetime
4.Northern Stars
5.Anima
6.The Eyes Of Darkness
7.The Time Machine
8.The Time Traveler

Line-up:
Gerardo Sciacca- All Instruments

EMPHATICA – Facebook

No-Chrome – Feel The Rust

Questo lavoro rimarrà nei vostri principali ascolti per un bel po’, specialmente se siete affascinati dalla vita on the road e dalle atmosfere che il mondo delle motociclette sa regalare, ovviamente con il rock, quello duro, ignorante e alcolico, a farvi da colonna sonora.

Entrate nel vostro garage, togliete il telo alla vostra preziosa motocicletta, accendete il motore ed alle prime note di Burning Nipples, opener di questo esplosivo lavoro targato No-Chrome, date gas e lasciate che la gomma posteriore lasci tanto del suo battistrada sull’asfalto del vostro cortile.

Hard rock, rock’n’roll, qualche sfumatura southern capace di trasformare le strade del Piemonte nella Route 66 e Feel The Rust è servito: sporco, cattivo, irriverente con le sue regole e i suoi riti di una vita on the road.
I No-Chrome arrivano come missili sulle loro Harley dalla provincia di Cuneo, suonano rock duro, prima come cover band, poi con brani loro, che vanno a comporre nel 2009 l’ep Among The Dust.
Nel 2011 l’uscita dell’album Carburator permette alla band di aprire per Adam Bomb, Strana Officina e le rockers svedesi Crucified Barbara, mentre il tempo non concede tregua come la pioggia di ritorno da un viaggio su due ruote e siamo già a questi ultimi due anni e al completamento di Feel The Rust.
Rock’n’roll ipervitaminizzato da scariche hard rock, pelle in perenne sudorazione da birra e asfalto, bocca che si asciuga dal vento che ci schiaffeggia il viso sporco di polvere, ed ecco che siamo già nel vortice rock creato da brani assolutamente irresistibili come Drink Before To Die, Godzilla, con il basso che pulsa e segue il ritmo dei pistoni che scivolano nel cilindro in Carburator e nel ritmo festaiolo di Summer Boobies.
Non ci sono semafori ne autovelox, l’album tiene alte velocità, con la mano che non ne vuol sapere di mollare l’acceleratore e i brani che a turno ci esaltano fino all’inno conclusivo Masterpiece Of Rock’n’Roll.
Assolutamente da vivere, questo lavoro rimarrà nei vostri principali ascolti per un bel po’, specialmente se siete affascinati dalla vita on the road e dalle atmosfere che il mondo delle motociclette sa regalare, ovviamente con il rock, quello duro, ignorante e alcolico, a farvi da colonna sonora.

Tracklist
1.Burnin Nipples
2.Drink Before To Die
3.Godzilla
4.Carburetor
5.Summer Boobies
6.Rabbit Kill Again
7.Raise Your Hate
8.Motor Pinball
9.Bleeding On The Rockfalls
10.Masterpiece Of Rock’n’roll

Line-up
Luca Peirone (Hellbastard) – Vocals, Guitars
Gianluca Fruttero (Hollywood Mostriciattoli) – Bass
Alessandro Dalmasso (Dalma) – Drums

NO-CHROME – Facebook

Plurima Mundi – Percorsi

Percorsi è un magnifico spaccato di musica contemporanea: abbiatene cura, perché questa è arte nel senso più autentico del termine.

A conferma di come il rock progressivo sia la musica che, in tutte le sue centinaia di atmosfere e sfumature, più di ogni altra ha nobilitato la scena musicale italiana dal 1970 ad oggi, vi presentiamo Percorsi, seconda opera dei Plurima Mundi, creatura musicale del violinista e compositore Massimiliano Monopoli che, con l’aiuto di Massimo Bozza (basso), Grazia Maremonti (voce), Silvio Silvestre (chitarra), Lorenzo Semeraro (pianoforte) e Gianmarco Franchini (batteria) e dei testi scritti da Maria Giuseppina Pagnotta, dà un seguito alla prima opera Atto I risalente al 2009.

Ovviamente l’opera valorizza non poco il violino del maestro pugliese, specialmente nel bellissimo brano di apertura, la suite strumentale Eurasia, un crescendo entusiasmante di musica che dal classico passa al rock, mentre per godere della notevole interpretazione della cantante Grazia Maremonti bisogna attendere la successiva e progressiva E Mi Vedrai… Per Te.
Partiture lazz, intro che ricordano gli Yes (L… Tu Per Sempre), fughe strumentali che riportano alla mente la P.F.M,, sono parte integrante del bagaglio storico musicale immesso in questi cinque brani, anche se la personalità dei Plurima Mundi è fuori discussione, con le loro poetiche sonorità capaci di ipnotizzare l’ascoltatore.
La musica dei Plurima Mundi è un magico insieme di note provenienti da generi diversi ma inglobate in un sound progressivo che mantiene il suo approccio classico, così da ricordare i maestri settantiani, cambiando sfumature ed atmosfere in ogni passaggio e con il violino che si confronta con gli altri strumenti in un virtuale duello sullo spartito.
Percorsi, seconda bellissima opera di Massimiliano Monopoli e della sua splendida creatura, è un magnifico spaccato di musica contemporanea: abbiatene cura, perché questa è arte nel senso più autentico del termine.

Tracklist
1.Eurasia
2.E Mi Vedrai…Per Te
3.L…..Tu Per Smpre
4.Male Interiore…La Mia Età
5.L…Tu Per Sempre Single version

Line-up
Massimiliano Monopoli – violino
Grazia Maremonti – voce
Massimo Bozza – basso
Silvio Silvestre – chitarra
Gianmarco Franchini – batteria
Lorenzo Semeraro – pianoforte

PLURIMA MUNDI – Facebook

Premarone – Das Volk Der Freiheit

A due anni dal bello e tenebroso Obscuris Vera Involvens, arriva un disco che lascerà spiazzate anche le menti più aperte, e potrebbe essere facilmente l’uscita dell’anno italiana nel campo della musica pesante e pensante.

Tornano nell’etere le pesanti e psichedeliche note dei Premarone, notevolissimo gruppo psych doom alessandrino.

A due anni dal bello e tenebroso Obscuris Vera Involvens, arriva un disco che lascerà spiazzate anche le menti più aperte, e potrebbe essere facilmente l’uscita dell’anno italiana nel campo della musica pesante e pensante. Das Volk Der Freiheit è la colonna sonora più adeguata alla crepuscolare fine che noi chiamiamo vita, alla nostra folle corsa verso una distopica dittatura dove noi saremo felici di essere tecno zombie. Questa opera è davvero un capolavoro di musica sociale, nel senso che riesce a cantare la nostra italianità attraverso i nostri difetti e le nostre quotidiane tragedie. L’Italia è un paese terribile, tanto bello quanto bastardo e corrotto, molle e sempre con dei soldi in mano insieme al cazzo che non si rizza nemmeno più. I Premarone ci portano in giro per la nostra psiche collettiva, ispirandosi ad un altro bellissimo viaggio lisergico del passato, il debutto della krautrock band German Oak, una comune hippie di cinque membri di Dusseldrorf, che registrò un disco eccezionale sulla Germania in un bunker. I Premarone partono da lì per spaziare tantissimo, usando la formula della jam, e ci regalano molta gioia e molta inquietudine. Das Volk Der Freiheit è un viaggio potentissimo che va affrontato senza paure, bisogna immergersi in questo lungo flusso di coscienza dove si può ritrovare il gusto del krautrock nell’esplorare senza timore, la forza del doom, il cantato in italiano con stile molto Cccp e Disciplinatha, per raccontare ciò che viviamo ogni giorno. La bellezza di questo lavoro è la sua totale e brutale sincerità, riuscendo ad arrivare dove è difficile spiegare, in quell’intrico di merda e sangue che è l’Italia. La produzione è curata assai bene, supporta benissimo la narrazione. Ci sono anche droni e momenti di stasi, anche perché questo disco ha una fisicità molto importante, è come viaggiare su un tappeto magico e ci sono cose sotto e sopra di te. I Premarone sono dei fantastici narratori, non perdono un colpo, dilatano e restringono il campo visivo del nostro terzo occhio a loro piacimento, spiegando in forma quasi subliminale concetti altresì difficilmente esplicabili. Un disco di psichedelia pesante fatto per farci pensare e per portarci lontano, sopra questo mare di dolorosa plastica tricolore.

Tracklist
1.Intro – Mani pulite
2.Parte I – D.V.
3.Interludio – Interferenze
4.Parte II – D.F.

Line-up
Pol – Bass
Ale – Drums
Fra – Guitars, Vocals
Mic – Keyboards

PREMARONE – Facebook

Babel Fish – Follow Me When I Leave

Post rock in linea con quanto offerto nel mondo del rock alternativo in questi anni, intimista e scandito da crescendo che portano ad esplosioni elettriche, con le chitarre che a tratti mostrano tracce sanno di noise e sfumature dark wave.

I modenesi Babel Fish licenziano il loro secondo lavoro, un ep di quattro brani dal titolo Follow Me When I Leave, pregno di sonorità alternative e post rock.

La band nasce nella provincia modenese nel 2015, dall’unione di quattro musicisti dalle svariate esperienze nella scena underground, con lo scopo di portare in giro la propria musica.
Il primo demo è il passo obbligato per Gabriele Manzini (voce, chitarra), Edoardo Zagni (chitarra), Matteo Vezzelli (basso) e Giordano Calvanese (batteria), per dare il via alla storia del gruppo che si snoda tra esperienze live e la scrittura di questo secondo lavoro.
Lo stile offerto è il  post rock, in linea con quanto offerto nel mondo del rock alternativo in questi anni, intimista e scandito da crescendo che portano ad esplosioni elettriche, con le chitarre che a tratti mostrano tracce sanno di noise e sfumature dark wave.
In Follow Me When I Leave troviamo quattro brani per una ventina di minuti in atmosfere di liquido rock alternativo ispirato ai Radiohead, dall’opener Morning Birds fino alla conclusiva title track, con pochi guizzi e tanta maniera; in ogni caso la musica della band modenese potrebbe essere un buona scoperta per i fans del genere, con le note ci passano davanti come se fossero posate delicatamente sul letto di un fiume che sfocia nel mare della scena rock attuale, rischiando però di perdersi tra le onde.

Tracklist
1.Morning Birds
2.TGD
3.Veins
4.Follow Me When I Leave

Line-up
Gabriele Manzini – Voice and Guitar
Edoardo Zagni – Guitar
Matteo Vezzelli – Bass
Giordano Calvanese – Drums

BABEL FISH – Facebook

Tony Tears – Demons Crawl At Your Side

Un lungo monologo dell’orrore integrato da camei presi da opere cinematografiche e che, come da tradizione nella musica proposta da Tony Tears, alterna dark metal, elettronica e parti progressive dettate da tasti d’avorio che creano sfumature di inquietante musica dannata.

Torna il polistrumentista genovese Tony Tears con una nuova opera che segue di circa tre anni il precedente Follow The Signs Of The Time.

Demons Crawl At Your Side è un altra sinfonia dell’orrore targata Tony Tears, un musicista che ha contribuito in modo importante al metal/rock underground dalle tinte dark progressive con le tante collaborazioni illustri e le sue partecipazioni a progetti e tributi.
Aiutato dalla stessa formazione che lavorò sull’album precedente, e quindi composta da Regen Graves (batteria, basso – Abysmal Grief), David Krieg (voce – Soul of Enoch) e Sandra Silver (voce – ex Paul Chain), Tony Tears ci fa dono di un altra colonna sonora per i nostri incubi, tra possessioni e profondo terrore in un’atmosfera penetrante come la nebbia demoniaca che entra in noi e diabolicamente ci possiede.
Demons Crawl At Your Side è un lungo monologo dell’orrore, integrato da camei presi da opere cinematografiche e che, come da tradizione nella musica proposta da Tony Tears, alterna dark metal, elettronica e parti progressive dettate da tasti d’avorio che creano sfumature di inquietante musica dannata.
Tony Tears è un sacerdote diabolico che racconta il mondo dell’orrore attraverso una musica totale, legata da un filo invisibile alla cultura musicale e cinematografica del genere sviluppatasi in Italia negli anni settanta e ottanta (ottenendo poi uno status di culto anche a livello internazionale) che ha influenzato inevitabilmente generazioni di sceneggiatori, scrittori e musicisti.
Goblin, Death SS, The Black, Paul Chain, Black Hole sono gli artisti che più si avvicinano concettualmente all’esperienza sonora di Tony Tears che, ricordo, ormai da quasi trent’anni è dedito alla creazione di musica influenzata dalle proprie visioni spirituali, quindi profondamente personali ed uniche.
L’album viene licenziato dalla storica label Minotauro Records, in formato cd, ed in vinile dalla Blood Rock Records, un’opera che non può mancare nella discografia degli amanti del rock nero come la pece.

Tracklist
01. Psychic Exorcism
02. In Lilith’s Day
03. The Beast Inside The Beast
04. Fury Of Baphomet
05. Predication
06. Archangel Warrior
07. The Thin Shroud Of Moloch
08. Demon Always Stands At The Darkness Of Fear
09. Eternal Conflict

Line-up
Regen Graves – Drums
David Krieg – Vocals
Tony Tears – Guitars, Keyboards
Sandra Silver – Vocals

TONY TEARS – Facebook

Infection Code – Dissenso

Ogni minuto di questo disco è stato composto, lavorato e pensato per cancellare la forza della matrice che governa le nostre vite

Arriva un nuovo capitolo della vitale lotta del rumore nelle nostre vite, tornano gli Infection Code.

Il gruppo piemontese sforna il nuovo disco di una lunga carriera, ed è il suo episodio migliore, una gemma oscura che sanguina e mette molto in chiaro la nostra situazione, per chi non la volesse ancora vedere per quella che è. Portando avanti la politica, perché la loro musica  è un atto politico cominciato con il precedente La Dittatura del Rumore, gli Infection Code con Dissenso tentano di rompere la sacca di liquido amniotico ed amnesiaco che circonda le nostre vite. I testi del cantante Gabriele Oltracqua sono incisivi, scritti con il rasoio di Occam e rendono benissimo il riverbero fastidioso della distopia nella quale viviamo. La musica raggiunge il punto più alto della loro carriera, andando a toccare molti aspetti che nell’altro disco erano in nuce e che qui si esplicano completamente. Non ci sono generi ma una complessa commistione di elementi che combaciano perfettamente, tra metal, elettronica, un industrial di lotta e tanto altro. Il riferimento forse più vicino potrebbero essere i Killing Joke, anche per quanto riguarda la parte concettuale, ma invece è tutto Infection Code. Forte rimane la radice hardcore punk del loro suono, poiché questa è un’evoluzione della lotta, e soprattutto nei testi troviamo un iperrealismo molto accentuato, tra citazioni di Aldo Moro e molto altro. Dissenso è un disco che parla di tante cose, ma fondamentalmente è una richiesta di aprire gli occhi, di buttarsi nel rumore per potersi pulire dalla merda che abbiamo attorno e dentro di noi. Ogni minuto di questo disco è stato composto, lavorato e pensato per cancellare la forza della matrice che governa le nostre vite. I musicisti che compongo gli Infection Code possiedono una grande tecnica, ma soprattutto funzionano molto bene quando sono assieme, come se fossero quattro inneschi per l’incendio perfetto, quello che non si può spegnere. Come non si può silenziare il rumore, solo noi possiamo non volerlo sentire. Splendida, come al solito, e molto calzante la copertina ed il retro copertina ad opera di Marco Castagnetto.

Tracklist
01. Santa Mattanza
02.Costretti a Sanguinare
03. Macerie
04. Dssn
05. In Assoluto Silenzio
06. Ad Nauseam
07. Strategie
08. Sentenza

Line-up
Enrico – Bass & Keyboards
Gabriele – Voices
Riki – Drums
Paolo – Guitars

INFECTION CODE – Facebook

Fish Taco – Il Suono Dei Campi

I Fish Taco traggono ispirazione dal grunge e dal rock alternativo anni novanta, eruttando in una maniera del tutto inaspettata, anche grazie a testi che si possono definire sconvolgenti per sincerità e potenza.

Ci sono momenti nei quali, pur ascoltando molta musica la maggior parte della quale senza molto gusto, ci si trova a pensare a quale disco, a quale commistione di suoni farebbe piacere dedicare uno o più ascolti.

Missione non semplice, perché raramente arriva il colpo di fulmine, oppure l’innamoramento dopo un lungo corteggiamento. E invece, quando meno te lo aspetti arriva nelle tue orecchie un disco gigantesco, un insieme di opera parole e musiche che ti danno una scossa. I fautori di tutto ciò sono i Fish Taco da Ardea, e il disco si chiama Il Suono dei Campi. Il disco suona benissimo, con la prepotenza ed i sentimenti del rock, una fortissima ossatura grunge e molti sconfinamenti nello stoner. La produzione fa risaltare un rock distorto che nasce da un impasto sonoro molto bene congegnato, che è davvero personale. I Fish Taco traggono ispirazione dal grunge e dal rock alternativo anni novanta, eruttando fuori in una maniera del tutto inaspettata, anche grazie a testi che si possono definire sconvolgenti per sincerità e potenza. Ci sono dei passaggi sull’immigrazione, che viene vista da noi solo come tale, ovvero come entrata nel nostro paese, e mai come uscita degli individui dal loro habitat e dai loro affetti. I testi ci portano a ragionare, sono amari e spronano a vivere come pochi altri gruppi. In Italia è difficile avere un gruppo come i Fish Taco, sia per la loro bravura musicale, sia per la loro brutale sincerità, perché chi racconta la verità in maniera cruda dura poco in Italia, la patria del meglio non vedere o sentire. Qui entra in gioco l’ascoltatore, che ascoltando e valorizzando questo disco ha innanzitutto la possibilità di godere di un disco notevolissimo, ed inoltre può effettuare una precisa scelta di campo, schierandosi dalla parte di chi si guarda dentro e fuori anche se ciò fa male.
Un album che in un’altra galassia sarebbe un disco epocale, o anche in un mondo normale.
Attenzione, questo disco vi guarda dentro, e non vi lascia come eravate prima d’averlo sentito.

Tracklist
1.Lampedusa
2.Ardea
3.Zero gradi
4.Confine
5.Magnete
6.L’aratro
7.Lorenzo
8.Polyphemus
9.La prospettiva di chi perde
10.1992

Line-up
Salvatore Tortora
Matteo Gherardi
Daniele Picchi
Umberto Andreacchio
John Mezza

FISH TACO – Facebook

Machine Gun Kelly – No Easy Way Out

Con The Boogey Man scorrono i titoli di coda su questo fiammeggiante ritorno del gruppo ligure, che consolida la sua reputazione con l’album più riuscito della sua discografia, consigliato senza indugi agli amanti dell’hard & heavy di scuola classica.

I rockers savonesi Machine Gun Kelly firmano per Sliptrick Records e licenziano dopo tre anni dall’ultimo lavoro (Lady Prowler) il loro terzo lavoro sulla lunga distanza, intitolato No Easy Way Out, accompagnato da un artwork dalle fattezze di una cartolina con i saluti dalla prigione di Alcatraz.

Non è facile uscire da uno dei penitenziari più famosi del mondo, a ameno che non si facciano saltare sbarre e catene a colpi di hard rock/metal, coinvolgente e ricco di refrain che entrano in testa per folgorarci come scosse provenienti da una sedia elettrica.
I primi cinque brani risultano uno più bello dell’altro, i Machine Gun Kelly sanno come muoversi nel genere e ogni brano ha una sua ispirazione che va dai sempre presenti Motorhead ad Alice Cooper, dall’heavy rock ottantiano al rock ‘n’ roll più moderno e dai natali nord europei.
Fino alla ballad Hard Times, MG Miche e compagni galeotti accendono fuochi d’artificio sulla baia di San Francisco, prima con l’hard & heavy della travolgente Broadcast King, con il basso che pulsa prima di lasciare spazio alla chitarra nel classico metallo anni ottanta che compone Aileen.
No Easy Way Out riprende la sua corsa con Stand Or Fall, mentre è già tempo del riff della itle track, un mid tempo sanguigno che cede poi il passo all’ esplosiva Take What You Need, rock’n’roll dinamitardo che apre una breccia nell’altissimo muro di cinta che divide i nostri dalla libertà.
Con l’heavy metal di The Boogey Man scorrono i titoli di coda su questo fiammeggiante ritorno del gruppo ligure, che consolida la sua reputazione con l’album più riuscito della sua discografia, consigliato senza indugi agli amanti dell’hard & heavy di scuola classica che danno anche la giusta importanza a quello che è successo nel rock dalla fine degli anni ottanta in poi.

Tracklist
01. Broadcasted Humanity
02. Broadcast King
03. Aileen
04. Eye Of The Storm
05. Nothing Ever Changes
06. Hard Times
07. Stand Or Fall
08. No Easy Way Out
09. Take What You Need
10. The Boogeyman

Line-up
MG Miche – Vocals
Jan – Guitar
Alabarda – Drums
Umberto – Bass/Guitar

MACHINE GUN KELLY – Facebook

[‘selvǝ] – D O M A

Due lunghe immense jam, con le quali i [‘selvǝ] fermano un attimo della loro catarsi, perché i [‘selvǝ] non sono solo musica, sono emozione e smarrimento.

I [‘selvǝ] sono un gruppo che va ben oltre la mera indicazione di qualche genere, producono suoni che non possono essere collegati, un cavalcare un flusso furioso di emozioni e di forze che stanno dentro e fuori di noi.

Nati nel 2013, sono un’entità in continua evoluzione, dal primo Life Habitual al successivo Eléo, dove ogni nuovo lavoro marca un’ulteriore passo in avanti nella loro poetica. Ora arriva D O M A ed il viaggio verso nuovi pianeti sonori continua, dato che il loro suono sta mutando di nuovo, e ciò sta avvenendo senza forzature, facendo divenire il tutto molto naturale e precisamente come hanno intenzione che sia. Il trio di Lodi ha suonato due pezzi di lunga durata in questo disco, e forse ciò potrebbe sembrare poco alle menti poco aperte, mentre invece c’è tutto quanto deve esserci, anche di più. I [‘selvǝ] sono fondamentalmente un gruppo da gustare dal vivo, chi li ha visti capirà cosa intendo, e D O M A ne è un’ulteriore conferma. Questo disco è uno dei migliori esempi di come si possa fare un hardcore mutato, che diventa post black metal o potentissimo screamo. E forse la definizione migliore potrebbe essere proprio screamo black metal, ma come detto poc’anzi provare a definire questa musica è davvero poco importante. Ciò che deve importare del disco è la sua durezza, il suo sputarti in faccia per provare a svegliarti dal sonno in rete nel quale viviamo. Ci sono molti modi di descrivere le nostre vie, i [‘selvǝ] scelgono la loro musica, che è un dono molto prezioso ed importante, basta ascoltare questi due capolavori, che partono da basi conosciute per andare davvero molto lontano, andando oltre il grigio per calarsi nella nera realtà. D O M A è la prova fin qui migliore di questo gruppo, ed uno dei migliori dischi degli ultimi di black metal inteso in senso largo, anche perché il black non può essere inteso in un senso solo. Due lunghe immense jam, con le quali i [‘selvǝ] fermano un attimo della loro catarsi, perché i [‘selvǝ] non sono solo musica, sono emozione e smarrimento, ed è bellissimo.

Tracklist
1) silen
2) joy

Line-up
Alessandro Andriolo – Guitars, Voice
Andrea Pezzi – Bass, Voice
Tommaso Rey – Drums

[‘selvǝ] – Facebook

The Big Blue House – Binne My

Binne My è un ottimo ritorno per il gruppo toscano, che replica l’alta qualità della musica contenuta nel debutto dello scorso anno, candidandosi come realtà da seguire con passione da parte degli amanti del rock blues classico.

Capita sempre più spesso (fortunatamente) di occuparci di blues rock, padre di una buona fetta dei generi trattati dalla nostra webzine, e con Binne My ritroviamo una band nostrana, i The Big Blue House dei quali vi avevamo presentato Do It, debutto uscito lo scorso anno.

La band toscana torna dunque a riempire di note le giornate fredde e uggiose di questo primo scorcio del nuovo anno con otto nuovi brani di splendido blues rock, sanguigno e viscerale, elegante ma allo stesso tempo ruvido e maschio: si riaprono le porte della grande casa blu, dove a darci il benvenuto con Liar (scelta dal gruppo come singolo e video) troviamo Danilo Staglianò (voce, chitarra), Luca Bernetti (basso), Sandro Scarselli (tastiere, hammond) e Andrea Berti (batteria).
Blues d’autore ed elettricità rock confluiscono nelle vene e nel sangue di chi ascolta e i temi sono quelli cari alla band: amore con tutti i suoi annessi e connessi già ampiamente sviluppati nel primo lavoro, rifiutare facili compromessi e affrontare le difficoltà e le sconfitte anche con l’aiuto della musica.
Si gira per le stanze della grande casa blu incontrando personaggi e musicisti che sono le ispirazioni del quartetto, con porte che si aprono sulle note di Moments Of Rain, con in evidenza i tasti d’avorio di Sandro Scarselli che sanguinano blues rock, o l’emozionante Black Eyes, ballatona dal lento incedere che lascia spazio al talento di uno Staglianò sulle orme di Gary Moore e Steve Ray Vaughan.
Play This Tune è creata su  un tappeto ritmico coinvolgente, così come The Middle Of Passage torna alle radici del genere e i nostri piedi sono bagnati dall’acqua del grande fiume.
Difficile poi non emozionarsi sulle note tragiche di To Leave This World o su quelle semiacustiche della title track, brano che ricorda i migliori episodi del Clapton solista.
Binne My è un ottimo ritorno per il gruppo toscano, che replica l’alta qualità della musica contenuta nel debutto dello scorso anno, candidandosi come realtà da seguire con passione da parte degli amanti del rock blues classico.

Tracklist
1.Liar
2.Moments Of Rain
3.Black Eyes
4.Playing This Tune
5.The Middle Passage
6.Binne My
7.I’m Not On Sale
8.To Leave This World

Line-up
Danilo Staglianò – Guitar, Voice
Luca Bernetti – Bass
Sandro Scarselli – Keyboards, Hammond
Andrea Berti – Drums

THE BIG BLUE HOUSE – Facebook

https://youtu.be/JHam2ha-Kmo

Trevor And The Wolves – Road To Nowhere

Un album che non ha cadute di intensità, da gustare come una corposa birra rossa, o da sentire mentre si cammina soli nei boschi, esperienza da fare perché la natura ha tanto da dirci, così come Road To Nowhere.

Album solista per Trevor, il cantante dei Sadist. Trevor And The Wolves è un progetto musicale nato fra le montagne dell’appennino ligure, luoghi al quale Trevor è molto legato.

Lo stile musicale è quello dell’hard rock classico, con incursioni nel blues e qualche intarsio folk. Ascoltandolo si potrebbe dire che assomigli molto alle prime cose degli Ac/Dc, gruppo molto amato dal frontman dei Sadist, ma qui c’è molto di più. Come uno spirito che non veda l’ora di farsi conoscere e di interagire con il mondo, questo Road To Nowhere esplode con forza sotto il nostro sederino, sa di neve, terra fresca e cieli lividi, il tutto condito dalla classe di Trevor e dei musicisti che ha scelto, come si può vedere nel magnifico video diretto da Matteo Siri. Il disco è molto aderente all’ultimo periodo di vita di Trevor, che passa più tempo nei boschi che nelle città, ma questo non è un chiudersi, anzi è un aprirsi alla propria natura. Lungo tutto l’album si percepisce una forza molto possente ma totalmente calma, ed il motivo potrebbe essere la totale sincerità di un lavoro che mostra Trevor per quello che è, senza molte pose o necessità di apparire diverso. Si assapora un gusto di musica vera e sentita, un divertimento nell’essere sé stessi, anche omaggiando un paese lontano ma vicino come la Scozia. La voce di Trevor è in gran forma e fa vedere di cosa sia capace, complice la grande esperienza e la grande forza che ha. La produzione è del sempre magistrale Tommy Talamanca, quindi semplicemente perfetta, facendo risaltare tutto il bouquet del disco. Sentimenti, durezza, amicizia e voglia di prendere la vita dal verso giusto, anche se ciò non è mai semplice. Un album che non ha cadute di intensità, da gustare come una corposa birra rossa, o da sentire mentre si cammina soli nei boschi, esperienza da fare perché la natura ha tanto da dirci, così come Road To Nowhere. Alcuni ritornelli sono clamorosi, ma tutto l’album regge davvero molto bene.

Tracklist
1. FROM HELL TO HEAVEN ICE
2. BURN AT SUNRISE
3. RED BEER
4. BLACK FOREST
5. BATH NUMBER 666
6. SPIRITUAL LEADER
7. ROADSIDE MOTEL
8. WINGS OF FIRE
9. LAKE SLEEPING DRAGON
10.UNFORGIVABLE MISTAKE

Line-up
Trevor Sadist – Voice
Francesco Martini – Lead Guitars
Alberto Laiolo – Rhythm Guitars
Aluigi Antonio – Bass
Emanuele Peccorini – Drums

TREVOR – Facebook

Mind Enemies – Revenge

Revenge è un album che, con una produzione più cristallina ed un cantante adatto a valorizzarne le trame, avrebbe avuto sicuramente più chance di far breccia nei cuori degli appassionati sparsi per lo stivale.

I Mind Enemies sono la creatura del polistrumentista pugliese Giuseppe Caruso, nata nel 2011 e con una storia fatta di cambi di line up, viaggi verso Genova e gli studi della Nadir (dove è stato inciso l’ep Darkest Way nel 2013) ed un album di cover intitolato Hard Rock Tribute, licenziato pochi mesi prima l’uscita di Revenge, primo full length nel quale Caruso ha fatto tutto da solo.

Revenge parla la lingua del metal classico, anche se intricate parti progressive ed atmosfere più legate all’hard rock fanno capolino in alcuni brani; Caruso varia molto l’atmosfera di ogni brano e questo è forse il maggior pregio dell’album che ha nella varietà della proposta il suo punto di forza, con momenti ora più diretti, ora più vicino al prog metal, ora potenziati da un groove di ispirazione statunitense che avvicina il sound all’alternative metal.
Purtroppo l’impatto dei brani perde leggermente la sua forza per una produzione molto underground, il che fa suonare Revenge come se fosse stato inciso vent’anni fa, e per un uso della voce non sempre all’altezza della situazione, specialmente sui toni alti.
Diciamo che il buon Caruso risulta bravissimo con gli strumenti (anche se qualche assolo dalle reminiscenze shred stona nell’economia di qualche brano), ma lascia a desiderare come cantante, facendo sì che canzoni dal buon tiro come Goya, My World, la sabbathiana The Dark Life, o la conclusiva title track fatichino a decollare.
Revenge risulta così un album che, con una produzione più cristallina ed un cantante adatto a valorizzarne le trame, avrebbe avuto sicuramente più chance di far breccia nei cuori degli appassionati sparsi per lo stivale.

Tracklist
1.The Black Warrior
2.Goya
3.Wild Existence
4.My World
5.Dream Time
6.The Dark Life
7.Angel Of Consciousness
8.The (Rock) Rite
9.Revenge

Line-up
Giuseppe Caruso – All instruments, Vocals

MIND ENEMIES – Facebook

Led Green – God Is An Alien

Mancava da tempo un disco di elettronica come questo che riesca a trasmettere qualcosa attraverso una musica molto ben composta ed organica.

Industrial, elettronica e tanta ebm con una bellissima voce femminile per comunicarci che non siamo soli, e che qualcosa di più grande ci osserva.

Secondo disco per questa entità che ci mostra come noi siamo tutt’al più una curiosa formina da guardare. Led Green è un polistrumentista che nasce come batterista, per poi trasferirsi in Inghilterra dove continua a fare musica. Questo progetto è per ampliare ulteriormente lo spettro della sua musica. Lui fa tutta la parte strumentale, e la splendida e versatile voce di Vanessa Caracciolo fa il resto, congiungendosi benissimo con la sfera musicale. Il risultato è un riuscito connubio di elettronica in quota ebm, ma che non si esaurisce in questo, anzi è un qualcosa che diviene il mezzo per andare avanti. Ci sono moltissimi suoni dentro questo disco, e il suo incedere è molto elettronica anni novanta, epoca nella quale si narrava un qualcosa attraverso la musica puntando ad espandere la propria coscienza. La poetica di questo disco è la convinzione che gli alieni siano i nostri creatori e che continuino ad osservarci, quasi come un curioso esperimento. Tutto ciò riprende la teoria di Zecharia Sitchin e di altri, che teorizzavano che gli abitanti del pianeta scomparso Nibiru ci abbiano creato per lavorare nelle loro miniere, e poi ci abbiano mantenuto in vita per sfruttarci. Certamente in questo disco, grazie ad una sapiente composizione, è musicalmente tangibile l’oppressione che grava sul genere umano, ma soprattutto questo lavoro è un invito a guardare in su e non in giù. La batteria, vista anche la formazione musicale di Led Green, la fa da padrone e guida lo spettacolo che è molto buono. Mancava da tempo un disco di elettronica come questo che riesca a trasmettere qualcosa attraverso una musica molto ben composta ed organica, facendo dimenticare l’orrenda copertina. Se resisti, esisti.

Tracklist
01) Planet Earth Destiny
02) The Neverending Universe
03) They’re Checking Us
04) Misery Hate&Pain
05) One More Time
06) If You Resist You Exist (Betty)
07) Last Chance
08) Better World

Line-up
Led Green – Music, Drums, Bass, Synths
Vanessa Caracciolo – Vox, Lyrics

LED GREEN – Facebook

Humanity Is A Curse – Raging For A Lighthouse

Alzano le barricate gli Humanity Is A Curse e su queste combattono la loro guerra, mitragliando e bombardando senza pietà per venticinque minuti di metal estremo dall’impatto brutale.

Nel mondo del metal le sorprese sono piacevoli ed inaspettate, ancor di più se si scava nell’underground estremo, universo mai totalmente esplorato anche per una webzine attenta come la nostra.

In arrivo dalle umide notti berlinesi gli Humanity Is A Curse sono un trio italo/tedesco composto da M alla sei corde ed alla voce, xGx al basso e G, che i lettori di MetalEyes conoscono sotto altro nome quale picchiatore instancabile nei grindsters palermitani Cavernicular.
Con un simile monicker la band va esplicitamente contro un’umanità ormai allo sbando, devastata moralmente e distruttrice del mondo che le sta intorno, il tutto a colpi di grind/crust core, ricco di rallentamenti sludge e con un mai domo spirito hardcore, formando un sound violentissimo.
Alzano le barricate gli Humanity Is A Curse e su queste combattono la loro guerra mitragliando e bombardando senza pietà per venticinque minuti di metal estremo dall’impatto brutale, una furia che parte pesantissima con le prime mastodontiche note di Photic, per poi riversare sull’ascoltatore tutta la sua rabbiosa denuncia.
Un muro sonoro avanza e travolge senza fermarsi e si presenta nella sua parte più sludge, prima di mollare le briglie (Pelagic, Abyss, Hadal) ed abbattersi senza freni sull’audience.
I generi che compongono il sound di Raging For A Lighthouse sono i più estremi e senza compromessi del vasto mondo del metal, le ispirazioni pertanto vanno ricercate di conseguenza, alimentando una proposta inevitabilmente  indirizzata agli appassionati dalla consolidata familiarità con questi suoni.

Tracklist
1.Photic
2.Pelagic
3.Aphotic
4.Bathyal
5.Abyss
6.Demersal
7.Hadal
8.Benthic

Line-up
M – Guitar, vocals
xGx – Bass
G – Drums

HUMANITY IS A CURSE – Facebook

Damnation Gallery – Black Stains

Ottimo esordio su lunga distanza per questa eccellente band italiana di metal occulto. Un vero must per chi ama Death SS e Mercyful Fate ed in generale i suoni anni Ottanta.

Nuovo gruppo italiano, di Genova per la precisione, alla ribalta. E nuovo, validissimo debutto su lunga distanza.

Abbiamo potuto apprezzare i Damnation Gallery già al Teatro Carignano del capoluogo ligure, a inizio maggio 2017, occasione nella quale la band presentò di fatto il proprio mini cd d’esordio. Ora quei brani, risuonati e remixati, figurano accanto a nuove tracce su questo ottimo Black Stains, all’insegna di un solido e tradizionale dark metal, che sa rileggere la grande eredità (musicale ed iconografica) dei Death SS e dei Mercyful Fate – tematiche horror incluse, pertanto – sposandola ad elementi black, thrash e HM classico anni Ottanta. Il disco è quindi vario, la scrittura musicale già matura, le qualità tecniche di sicuro pregio, la voce della bravissima Scarlet tanto inquietante quanto splendida. Oscuri e melodici, cadenzati e potenti, oppure veloci ed aggressivi a seconda delle situazioni, i Damnation Gallery ci regalano un tributo in musica al fascino delle tenebre che, sin dal primo impatto, colpisce nel segno e promette ulteriori e interessanti sviluppi sonori. Pezzi come l’iniziale Equilibrium et Chaos, Transcendence Hymn, la title-track, Dark Soul e la kantiana Noumeno illuminano un percorso – sia artistico, sia lirico – davvero notevole e da seguire con la dovuta attenzione. Un gran bel disco e non solo per gli appassionati di doom e dintorni.

Tracklist
1. Equilibrium et Chaos
2. Damnation Gallery
3. Black Stains
4. Evil Supreme
5. Transcendence Hymn
6. Rest in Pestilence
7. Dark Soul
8. Noumenon
9. Addiction
10. Psychosis

Line-up
Scarlet – Vocals
Lord Edgard – Guitars
Low – Bass
Lord of Plague – Guitars
Coroner – Drums

DAMNATION GALLERY – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=VdV6DVUvwhc

Walk In Darkness – Welcome To The New World

Gli Walk In Darkness mantengono un approccio solenne al genere proposto, il concept sulla descrizione della condizione umana, vista dal mondo parallelo creato dal gruppo, conferisce all’opera una sorta di funzione di denuncia delle miserie umane, mentre il sound a tratti guarda al passato, ricordando ad un orecchio allenato le band gothic metal che muovevano i primi passi all’inizio degli anni novanta tra il Regno Unito e i Paesi Bassi.

Arrivano al secondo full lenght i misteriosi Walk In Darkness, band nostrana che lascia alle luci dei riflettori solo la bravissima cantante Nicoletta Rosellini, già splendida interprete del symphonic power metal dei Kalidia.

Nascosti nell’ombra, i musicisti di cui non si conoscono le generalità danno vita a questo ottimo lavoro intitolato Welcome To The New World, che segue di un solo anno il debutto In The Shadows Of Things.
E, come l’album precedente, questa fantomatica quanto enigmatica realtà nostrana ci delizia con un gothic metal dall’anima sinfonica, oscuro ed epico, estremo nella sua natura ma assolutamente godibile, anche per le straordinarie melodie epico-melanconiche di cui è composto.
Nicoletta Rosellini è protagonista di un’interpretazione intensa ed emozionale, dando non solo un volto al gruppo, ma diventando il centro su cui la musica si sviluppa, sempre in bilico tra melodie gotiche e rudezza estrema ben sottolineata dalla splendida Persephone’s Dance.
Gli Walk In Darkness mantengono un approccio solenne al genere proposto, il concept sulla descrizione della condizione umana, vista dal mondo parallelo creato dal gruppo, conferisce all’opera una sorta di funzione di denuncia delle miserie umane, mentre il sound a tratti guarda al passato, ricordando ad un orecchio allenato le band gothic metal che muovevano i primi passi all’inizio degli anni novanta tra il Regno Unito e i Paesi Bassi.
Welcome To The New World è un lavoro a tratti monumentale, composto da almeno una manciata di perle gotiche come l’opener Crossing The Final Gate, seguita dalla malinconica Sailing Far Away, l’epica Rome e Flame On Flame, sempre in bilico tra la raffinatezza del gothic/dark e l’irruenza del metal estremo.
Album imperdibile per gli amanti dei suoni oscuri e sinfonici, Welcome To The New World conferma il valore assoluto di questa misteriosa band nonché della scena gotica tricolore.

Tracklist
1. Crossing the Final Gate
2. Sailing Far Away
3. Welcome to the New World
4. Rome
5. I’m the Loneliness
6. Persephone’s Dance
7. Flame on Flame
8. A Way to the Stars

Line-up
Nicoletta Rosellini – Vocals

WALK IN DARKNESS – Facebook

Steve Remnant “Metal Remnants” – Night Of The Wolves

Veloci cavalcate, solos graffianti ed heavy, ritmiche telluriche e sfumature progressive sono le parti più importanti di questo nuovo progetto presentato dalla Volcano Records, non ci resta quindi che aspettare di sapere qualcosa di più, magari con l’arrivo di un primo lavoro sulla lunga distanza.

Ricoperto da un velo di oscuro mistero, esce per l’attivissima label campana Volcano Records il progetto del mastermind Steve Remnant, Metal Remnants, dal titolo Night Of The Wolves, ep composto da quattro brani di heavy metal melodico dalle reminiscenze old school e dagli ottimi inserti power/prog, che formano un sound classico ma allo stesso tempo al passo coi tempi.

Il progetto viene presentato come il tentativo da parte del misterioso musicista di riassumere l’essenza di un genere musicale controcorrente e profondamente antimassificato nel “suburbano”, nel “dimesso”, nel cacofonico “non farsi notare”, rispetto alla moda dell’esser sempre presenti e partecipi, protagonisti della cosiddetta civiltà moderna.
Fates Warning e primi Queensryche le band che più si sono fatte spazio nella mente del sottoscritto all’ascolto dei due singoli, (la splendida Night Of The Wolves e la graffiante The Abandon), con l’uso nel refrain del cantato in falsetto nella seconda traccia, mentre l’opener risulta un crescendo epico melodico, dalle tinte oscure e dalla raffinata eleganza progressiva.
I due brani restanti (Randome e Lydia), spostano il tiro verso un heavy/power più diretto e d’impatto aggiungendo quali fonti di ispirazione ai due già importanti nomi fatti in precedenza Iron Maiden e Judas Priest.
Veloci cavalcate, solos graffianti ed heavy, ritmiche telluriche e sfumature progressive sono le parti più importanti di questo nuovo progetto presentato dalla Volcano Records, non ci resta quindi che aspettare di sapere qualcosa di più, magari con l’arrivo di un primo lavoro sulla lunga distanza.

Tracklist
1. Night of the wolves
2. The Abandon
3. Randome
4. Lydia

Line-up
Steve Remnant

VOLCANO PRMOTION – Facebook

Embryo – A Step Beyond Divinity

A Step Beyond Divinity è un’opera dal taglio internazionale che incolla l’ascoltatore alle cuffie, un dirompente fiume metallico che straripa tra debordanti e possenti passaggi estremi, orchestrazioni epiche ed apocalittiche e chitarre che sanguinano melodie.

Il nuovo lavoro dei deathsters nostrani Embryo è il classico album con il quale supportare la scena metal tricolore (non solo quella estrema, ovviamente) diventa non solo un dovere ma un grande piacere.

Al quarto album la band di Cremona estrae dal cilindro l’opera perfetta, quella che prendendo il meglio dal precedente omonimo lavoro, lo porta ad un livello ancora più alto regalando cinquanta minuti di death metal moderno, in un susseguirsi di emozionanti saliscendi tra tradizione melodica e moderno death metal dal piglio apocalittico.
Le orchestrazioni questa volta raggiungono vette altissime, la parte americana del sound del gruppo è ancora più potente, un macigno estremo che dai Fear Factory prende l’atmosfera epica da fine del mondo, mentre la cascata di solos guardano sempre verso nord e al melodic death metal.
Il concept si ispira alla figura di un genio come Leonardo Da Vinci, quindi anche in questo caso la band cerca una via intellettuale ai testi per valorizzare un songwriting sopra le righe.
Il bellissimo artwork è stato lasciato nelle mani dell’artista e musicista Spiros Antoniou alias Seth Siro Anton (Septic Flesh) mentre masterizzazione, registrazione e mix sono stati eseguiti da Simone Mularoni ai Domination Studio, con la band ad affiancarsi al noto produttore e musicista italiano (DGM) in fase di produzione.
Tutto questo rende A Step Beyond Divinity un’opera dal taglio internazionale che incolla l’ascoltatore alle cuffie, un dirompente fiume metallico che straripa tra debordanti e possenti passaggi estremi, orchestrazioni epiche ed apocalittiche e chitarre che sanguinano melodie.
Vanguard For The Blind, The Greatest Plan e la devastante Leonardo spiccano sulle altre tracce, ma vi consiglio di fermarvi per un’oretta scarsa e lasciare che gli Embryo vi raccontino del Da Vinci a modo loro.

Tracklist
1. The Same Difference
2. Overwhelming your Disgust
3. Vanguard for the Blind
4. Painting Death
5. Looking for the Divine
6. Solitaria 1519
7. Leonardo
8. The Greatest Plan
9. Bastard of the Brood
10. Mouth of Shame
11. Witness of your Life
12. The Horror Carved

Line-up
Roberto Pasolini – Vocals
Eugenio Sambasile – Guitars
Simone Solla – Keyboards
Danilo Arisi – Bass
Enea Passarella – Drums

EMBRYO – Facebook

Headcrasher – Nothing Will Remain

Ristampa a lungo attesa dello storico esordio, targato 1989, di una band fondamentale nel panorama thrash-core italiano di fine anni Ottanta.

La Punishment 18, da oltre dieci anni, porta avanti un serio e professionale lavoro di valorizzazione del patrimonio underground, tanto italiano, quanto estero, specie in ambito thrash-death-black.

Ne è l’ulteriore ed eccellente riprova la realizzazione di questo Nothing Will Remain, ristampa – a lungo attesa, davvero – di un disco realmente storico del panorama nostrano, pubblicato nel 1989, e subito diventato oggetto di autentico culto. Il quartetto italiano proponeva, infatti, uno speed-thrash metal, ottimamente elaborato e notevolissimo sotto il profilo tecnico, che da un lato guardava al messaggio tradizionale (ed inevitabile) dei primi giorni della Bay Area, soprattutto ai Metallica di Kill ‘Em All, dall’altro lo contaminava con intelligenti e sempre molto costruite aperture di stampo hardcore (sia quello inglese dei Discharge, sia quello americano, di area newyorkese, il che rende gli Headcrasher apprezzabili anche da parte di quanti adorano Anthrax e Nuclear Assault). Come si diceva, i dodici brani di Nothing Will Remain sono assai strutturati e vari, ancorché rocciosi e granitici. Né mancano variazioni sul tema, come l’opener fantascientifico Blood From the Sky, il grind aspro e inatteso (di scuola Napalm Death) di F.F.W., il rap-core screziato di funk metal di Bath Man, a metà strada fra i Death Angel di Act III e i Faith No More della pietra miliare The Real Thing. Il gruppo riusciva nel non facile intento, alternando sfuriate veloci ed opportuni rallentamenti, di aggiungere qua e là una vaga attitudine fun e skate-punk ad una proposta complessiva, altrimenti, legata al miglior thrash e all’allora nascente metal-core. Un disco veramente pionieristico e personale, oltretutto si se pensa al fatto che esso risale alla fine degli Eighties, per di più in Italia. I quattro possedevano, senza dubbio, doti compositivo-esecutive superiori alla norma ed erano artefici di un sound possente e quasi epico nella sua insopprimibile rabbia di fondo. La riedizione della Punishment è resa ancor più succulenta dalla presenza di un secondo CD, che contiene i sei pezzi dell’inedito promo registrato nel 1991 e in più, come bonus-track, In Our Times, appositamente incisa, nel 2017, da tre quarti della formazione originale degli Headcrasher. Mai banali, ancora oggi, aggressivi ed articolati come i Megadeth. Ora, il pubblico ha finalmente la possibilità di riscoprire questo seminale gruppo calabrese, che, sorto nel 1984, ha fatto la storia ed ha saputo anche anche emozionare, come nella toccante e indimenticabile Good Morning Amazzonia o nell’inno Dead in the USA.

Tracklist
1. Blood From the Sky
2. Live Or Die
3. Waiting 4 an Answer
4. FFW
5. Bath Man
6. The Cemetery of the Lost Cross
7. Overlook Hotel
8. SK8 Life
9. Good Morning Amazzonia
10. Dead in the USA
11. The Final Attack
12. Flebo’s Country
13. In Our Times
14. Lost Money
15. HIV
16. Selling Happiness
17. Childhood Stairs
18. Subliminal Pain
19. Within the Mirror

Line-up
Gianpaolo Brunetti – Guitars
Claudio Gentile – Vocals
Roby Vitari – Drums
Italo Le Fosse – Bass

HEADCRASHER – Facebook