Hidden Lapse – Butterflies

Con Butterflies l’asticella della qualità si è alzata non di poco, a conferma delle enormi potenzialità degli Hidden Lapse.

La vena melodica e progressiva dei nostrani Hidden Lapse non si è ovviamente esaurita con Redemption, lavoro uscito un paio di anni fa, e la band torna a scrivere un’altra pagina della sua storia con questo nuovo album, intitolato Butterflies e licenziato ancora dalla Rockshots Records.

Questo nuovo lavoro conferma tutte le buone parole spese per l’album precedente, risultando leggermente più metallico ma sempre elegante e sinuoso, valorizzato da melodie splendidamente incastonate in un sound che a tratti risulta di una forza d’urto devastante.
La band è ancora più compatta e sfoggia, oltre alla notevole interpretazione della cantante Alessia Marchigiani e al gran lavoro del chitarrista Marco Ricco, una sezione ritmica potentissima, più presente e potente rispetto al passato e tecnicamente ineccepibile.
Romina Pantanetti al basso e Alessio Monacelli alla batteria sono l’arma in più di Butterflies, anche se, come scritto in precedenza, la sensazione di essere al cospetto di un gruppo compatto è forte come dimostrano i nove brani.
Butterflies parte deciso, Dead Jester è un opener power progressiva devastante, la splendida voce della singer ricama linee melodiche su un sound che ricorda i Dream Theater più metallici dell’ultimo Distance Over Time.
The Letter 0 si avvicina più ai maestri Symphony X, brano che risulta un piccolo capolavoro prog metal con la track list che non inciampa, regalando qualche spunto elettronico come nel precedente album (Glitchers) e corre dritta verso il traguardo, tra qualche accenno alla scena tricolore (Vision Divine) e bordate di power metal tecnico da applausi (Grim Poet, Cruel Enigma).
Con Butterflies l’asticella della qualità si è alzata non di poco, a conferma delle enormi potenzialità degli Hidden Lapse.

Tracklist
1. Dead Jester
2. Third
3. The Letter 0
4. Stone Mask
5. Glitchers
6. Grim Poet
7. Sleeping Beauty Syndrome
8. Cruel Enigma
9. Dust
10. Silent Sacrifice (rearmed) – Bonus Track

Line-up
Alessia Marchigiani – Vocals
Marco Ricco – Guitars and Vocals
Romina Pantanetti – Bass
Alessio Monacelli – Drums

HIDDEN LAPSE – Facebook

Brutofuzz – Every Drop

A parte le definizioni che lasciano sempre davvero il tempo che trovano, e forse anche meno, i Brutofuzz sono un gruppo come pochi, diretto, potente e molto particolare.

Un trio di ragazzi come noi non più giovanissimi, che fanno un ottimo noise rock distorto e dalla notevole creatività, con ogni canzone che racchiude elementi notevoli.

Questo ep porta con sé una storia particolare, dato che originariamente era nato come lavoro strumentale a nome Sun@9 e intitolato Italian Breakfast, e che un’etichetta americana di nome M.W.A.I.A. voleva pubblicare a nome Brutofuzz. Ciò diede l’occasione al gruppo di riarrangiare i pezzi per metterci la voce, e bisogna dire che il risultato è molto buono, e pure che gli americani ci avevano visto lungo. Il gruppo era rimasto inattivo dal 2014 al 2017 per gravi problemi di salute di uno dei ragazzi, problema fortunatamente risolto, e torna con questo ep che gli garantisce un bel posto al sole. Ci sono tante cose qui dentro, dal noise allo stoner, a partenze alla Rage Against The Machine quando meno te lo aspetti e tanto altro, ma soprattutto una maniera di fare musica mai ovvia e scontata. Si sente molto chiaro lo spirito di Les Claypool, ovvero tecnica musicale, lavoro in saletta e suonare senza escludere un labor limae successivo. Every Drop è un flusso di coscienza musicale, un correre e saltare senza mai fermarsi, rinnovando una tradizione italiana del tutto particolare, che si potrebbe riassumere con free rock molto rumoroso. A parte le definizioni che lasciano sempre davvero il tempo che trovano, e forse anche meno, i Brutofuzz sono un gruppo come pochi, diretto, potente e molto particolare. Purtroppo sono stati tre anni fuori dai giochi, ma questo ep servirà a riportarli nella mischia perché tirano colpi non da poco. Prima della loro pausa forzata (che denota anche dei valori perché piuttosto si ferma tutto se un membro della famiglia ha dei problemi) si stavano creando il loro meritato e giusto spazio sia su disco che dal vivo, ma ora sono tornati meglio di prima.

Tracklist
1. Toy Man
2. Celebrate
3. Orgasmic Cosmo
4. Mask Of Hate
5. Burning On My Skin

Line-up
Luca “barbadrum” Stocco – batteria
Federico “brutobass” Leo – basso
Federico “fuzzfaith” Lorigiola – chitarra

BRUTOFUZZ – Facebook

Legacy Of Silence – Our Forests Sing

In virtù di un buon songwriting la band offre agli ascoltatori un lavoro vario, incentrato sul magico suono del flauto, ma dalle atmosfere che passano agevolmente dal fiabesco all’epico, fino a più robuste e combattive impennate death metal.

La Volcano Records ci sorprende ancora una volta, licenziando il debutto dei Legacy Of Silence, band folk/death metal di Torino.

Il gruppo, attivo dal 2014, dopo vari cambi nella line up, un ep ed una manciata di singoli pubblicati arriva all’esordio su lunga distanza, un’opera curata nei minimi dettagli intitolata Our Forests Sing.
Ispirato dai luoghi montani della loro terra, il concept dell’album ruota intorno alla natura, alla sua forza e all’influenza che ha su chi ancora riesce a viverci in simbiosi, ed il sound non può che essere un death metal melodico, di matrice nord europea e dalla forte componente folk.
Ormai il genere non fa più notizia, ma in virtù di un buon songwriting la band offre agli ascoltatori un lavoro vario, incentrato sul magico suono del flauto, ma dalle atmosfere che passano agevolmente dal fiabesco all’epico, fino a più robuste e combattive impennate death metal.
Our Forests Sing, le foreste cantano, intonando note d’altri tempi e con Witchwood si entra nel mondo dei Legacy Of Silence, fatto di rispettoso silenzio davanti alla maestosità dei luoghi dove le varie Bloodhunt o Misfortune ci accompagnano, mentre le ritmiche salgono, il growl si inspessisce e l’atmosfera si contorna di un’aura austera ed epica nello spartito di Heresy e Nightfall.
Le band di riferimento sono quelle ormai classiche del genere, con la componente estrema di matrice Amon Amarth ad irrobustire il suono dell’epico silenzio di cui si fanno portavoce i Legacy of Silence.

Tracklist
1.Witchwood
2.Bloodhunt
3.Misfortune
4.Torment
5.Heresy
6.Inquisition
7.J.A.W.S.
8.Nightfall
9.Rebirth

Line-up
Alberto Ferreri – Batteria
Luca Capurso – Flauto
Gianluca Mondo – Chitarra Main e Voce
Mark Greyowl – Voce Leader
Simone Macchia – Chitarra Leader
Alberto Ferrero – Basso

LEGACY OF SILENCE – Facebook

Ontborg – Within The Depths Of Oblivion

Within The Depths Of Oblivion non ha nulla di originale, ma a forza di spallate potentissime sfonda le nostre resistenze, ci travolge con un quel sound diventato leggenda e ci regala cinquanta minuti di melodie incastonate tra devastanti ripartenze e mid tempo, atmosfere oscure e una raccolta di tracce praticamente perfette.

Difficile non essere d’accordo con le note biografiche presenti nel promo kit riguardante il debutto degli Ontborg, band nata nel 2017 dalle ceneri dei Voices Of Decay, ed ora pronta ad entrare con Within The Depths Of Oblivion nei cuori degli amanti del death metal old school di scuola scandinava.

Con base a Merano, trasformata in una piccola Göteborg dal quartetto, gli Ontborg si incuneano nell’ underground estremo tricolore con un lavoro decisamente riuscito, un tributo al genere con le carte in regola per accasarsi nei lettori cd di chi, ancora oggi, ad ogni uscita che riguarda il death metal nord europeo festeggia come fosse Natale.
Within The Depths Of Oblivion non ha nulla di originale, ma a forza di spallate potentissime sfonda le nostre resistenze, ci travolge con un quel sound diventato leggenda e ci regala cinquanta minuti di melodie incastonate tra devastanti ripartenze e mid tempo, atmosfere oscure e una raccolta di tracce praticamente perfette.
Dall’opener Living Is A Torture, passando per la title track, è un susseguirsi di brani di altissimo livello che, come scritto non muovono un passo fuori dal periodo 90′-95 ma che stendono al primo colpo, grazie a spettacolari mid tempo come Entwined In Darkness o alla clamorosa This Time, per poi accelerare i tempi fino al confine con il black metal e sfornare autentici gioielli come Die To Be Alive, facendo infine confluire il tutto in Snow Of Lethe.
L’artwork di Juanjo Castellano, artista conosciutissimo nella scena death metal, in linea con le leggendarie copertine di quel periodo, e con Dismember, Necrophobic, Entombed e primi Edge Of Sanity a fornire l’imprimatur al tutto, Within The Depths Of Oblivion si candida come una delle più belle sorprese dell’ultimo periodo per quanto riguarda lo swedish death.

Tracklist
1. Living Is A Torture
2. Within The Depths Of Oblivion
3. Entwined In Darkness
4. A Storm Breaks The Silence
5. This Time
6. Die To Be Alive
7. Snow Of Lethe
8. No Memories Beyond
9. The Long Awaited Winter
10. Black Garden

Line-up
Lukas Flarer – vocals, guitars
Florian Reiner – guitars
Harald Klenk – bass
Christoph Flarer – drums

ONTBORG – Facebook

Old Night – A Fracture in the Human Soul

Siamo al cospetto di un gruppo che riesce a fondere mirabilmente, con il proprio sound, il dolente incedere del doom con l’impatto melodico vibrante del migliore hard’n’heavy ossequiando al meglio la tradizione, da qualsiasi punto di vista lo si voglia guardare, senza che il tutto faccia mai sorgere dubbi sia sulla freschezza compositiva, sia sulla personalità esibita.

A Fracture in the Human Soul è il secondo full length  per gli Old Night, band croata che si era rivelata agli appassionati di doom con lo splendido esordio Pale Cold Irrelevance di due anni fa.

Questo nuovo lavoro offre la necessaria continuità a quanto fatto in precedenza e se da un lato viene meno quell’effetto sorpresa derivante dalla scoperta di un nuovo gruppo di tale spessore, dall’altra non si può fare a meno di constatare quanto il livello continui ad essere ben al di sopra della media.
I cinque lunghi brani offerti sono un altro magnifico esempio dell’ideale incontro tra il doom evocativo dei Procession e le soluzioni vocali e melodiche degli Alice In Chains e, sinceramente, non ci può essere notizia migliore per chi, come il sottoscritto, adora sia la band cilena che i giganti di Seattle .
Il viaggio degli Old Night nel lato nascosto della mente umane non avviene evocando il dolore e la disperazione del doom più estremo, ma si snoda in maniera malinconica e ugualmente dolente, pur sotto le sembianze di canzoni ben memorizzabili e canoniche nel loro sviluppo, nonostante la lunghezza.
Il gruppo istriano, guidato da Luka Petrovic, componente anche di una band storica delle scena doom croata come gli Ashes You Leave, offre una soluzione compositiva che dovrebbe essere apprezzata da un ampio bacino di ascoltatori perché, anche chi non adora il doom nella sua accezione più classica, può comunque trovare grande soddisfazione in questo lavoro, che vede come in quello precedente la magnifica interpretazione vocale di Matej Hanžek stagliarsi sul sound a tratti roccioso ma più spesso avvolgente costruito dai propri compagni, con passaggi di chitarra solista ben posizionato ed efficaci ad impreziosire ogni traccia.
La bellezza rara quanto abbagliante di una canzone come Hearken and Remember è forse il picco, negato a molti, raggiunto dagli Old Night nel corso di un lavoro che grazie ad altre quattro gemme come Entwined, Elder, Glacial e The Reaping of Hearts, li rende decisamente molto più di una band in forte ascesa come era accaduto in occasione del primo full length; qui siamo al cospetto di un gruppo che riesce a fondere mirabilmente, con il proprio sound, il dolente incedere del doom con l’impatto melodico vibrante del migliore hard’n’heavy ossequiando al meglio la tradizione, da qualsiasi punto di vista lo si voglia guardare, senza che il tutto faccia mai sorgere dubbi sia sulla freschezza compositiva, sia sulla personalità esibita. Gli Old Night sono oggi, semplicemente, una delle migliori band europee, non solo in ambito doom.

Tracklist:
1. Entwined
2. Hearken and Remember
3. Elder
4. Glacial
5. The Reaping of Hearts

Line-up:
Luka Petrović – Bass, Vocals, Songwriting, Lyrics
Nikola Jovanovic – Drums
Bojan Frlan – Guitars (lead)
Ivan Hanžek – Guitars (lead), Vocals
Matej Hanžek – Vocals (lead), Guitars

OLD NIGHT – Facebook

Stanley Rubik – Tuttoècomesembra

Musica come portale per sensazioni vere mediate da un esoterismo quotidiano e per questo ancora più misterioso, per uno dei più interessanti gruppi italiani.

La proposta musicale dei romani Stanley Rubik viene rappresentata almeno in parte dalla loro auto definizione di Post Electro, ma c’è molto di più.

Il loro suono è un insieme di piccole visioni di apocalissi quotidiane, di rivoluzioni dei nostri sensi, trecentosessanta gradi di vite cangianti, archetipi e visioni altre. Il gruppo ha pubblicato il primo disco nel 2016, Lapubblicaquiete, su Cosecomuni per poi approdare su Inri con il secondo lavoro Kurtz Sta Bene del 2015, acquisendo una notevole credibilità e visibilità. In Tuttoècomesembra il gruppo romano traccia traiettorie molto interessanti e raramente battute in Italia, canzoni con musica inusuale, ansiogena e a volte in disaccordo con la parte cantata, l’effetto è straniante e molto affascinante. Questo disco sancisce la dolorosa consapevolezza della scissione fa il nostro corpo e la nostra anima, e nulla può essere rassicurante o salvifico, ci si può solo analizzare per disegnare una caduta migliore, e questo è quanto, questo è tutto. Nella cosiddetta scena indie italiana i Stanley Rubik sono un’isola magnifica ed infelice, un qualcosa che ricorda cose già sentite, ma è tutta un’altra cosa. Tuttoècomesembra è incentrato sui tarocchi, che sono la rappresentazione di un qualcosa di molto antico, archetipi che hanno attraversato la storia della razza umana, perché sono già dentro di noi, e qui vengono usati come bussole, ma anche come stelle guardate per perdersi. Ci sono momenti in cui è bellissimo lasciarsi cadere sugli scogli disegnati dagli Stanley Rubik. In pochi hanno usato l’elettronica come questo gruppo, totalmente asservita ad una poetica che atterrisce e ammalia, come una tempesta dei poeti romantici. Musica come portale per sensazioni vere, mediate da un esoterismo quotidiano e per questo ancora più misterioso, per uno dei più interessanti gruppi italiani.

Tracklist
1. ROBERTO
2. AGOSTO
3. I MOSTRI DI BOSCH
4. PERSONA
5. KREUZBERG
6. TEMPESTA
7. A COSA STAI PENSANDO?
8. LUNGO ESTESE ORBITE
9. KINTSUGI
10. MONOLITE

Line-up
Dario
Gianluca
Andrea

STANLEY RUBIK – Facebook

Circle Of Witches – Natural Born Sinners

Quasi cinquanta minuti di metal diretto, epico e roccioso grazie ad una serie di tracce che hanno nel songwriting e nell’impatto il loro punto di forza.

Nuovo full length per i campani Circle Of Witches, quartetto attivo dal 2004 e con un paio di album alle spalle, di cui l’ultimo (Rock The Evil) uscito cinque anni fa.

Natural Born Sinners, mixato agli Alpha Omega Studios da Alex Azzali e prodotto assieme a Nicholas Barker (Cradle of Filth, Brujeria, Testament) è un buon lavoro di heavy metal dalle ispirazioni stoner/doom, molto vicino a quanto proposto dai Grand Magus, leggermente meno evocativo ma possente ed epico quanto basta per non lasciare indifferenti chi ama questi suoni.
Riff e mid tempo potenti fanno da struttura a brani di buona fattura, la voce del cantante Mario “HELL” Bove si alza fiera verso montagne su cui dimorano gli dei del metal classico, qui lasciato nelle mani di quattro musicisti che nei loro ascolti non si sono fatti mancare la discografia dei Candlemass.
Il sound degli undici brani facenti parte della tracklist del disco si potrebbero semplicemente riferire alle due citate band svedesi, ma è pur vero che i nostri eroi ci mettono del proprio, confezionando un’opera assolutamente convincente.
Il genere è questo dunque, un heavy metal potenziato da ritmiche possenti e groove, squarciato da lampi chitarristici di matrice ottantiana e valorizzato da una serie di brani che esaltano l’anima guerriera che è in ognuno di noi, come in Spartacus (Prophecy Of Riot), una delle tracce più riuscite di questo monumentale lavoro.
Quasi cinquanta minuti di metal diretto, epico e roccioso grazie ad una serie di tracce che hanno nel songwriting e nell’impatto il loro punto di forza.

Tracklist
01. Tongue Of Misery
02. The Black House
03. Giordano Bruno
04. The Oracle
05. First Born Sinner
06. Spartacus (Prophecy of Riot)
07. Your Predator
08. Deus Vult
09. Death To The Inquisitor
10. You Belong To Witches
11. Cult Of Baphomet

Line-up
Mario “HELL” Bove – Vocals, Guitars
Joe “WISE MAN” Dardano – Guitars
Tony “FARAWAY” Farabella – Bass
Joey “HELMET” Coppola – Drums

CIRCLE OF WITCHES – Facebook

Necrofili – Immaculate Preconception

Immaculate Preconception si rivela un ep davvero suggestivo, tra i più riusciti ultimamente nel suo ambito: i Necrofili con sagacia sanno manipolare la materia creando un sound che, anche se a tratti può ricordare i Necrodeath, risulta ugualmente personale e molto coinvolgente.

Tornano con un nuovo ep i laziali Necrofili, attivi dal 2005 e con alle spalle due lavori su lunga distanza, il debutto omonimo uscito proprio nell’anno di inizio attività e The End Of Everything licenziato nel 2017, dodici anni dopo il precedente lavoro.

Il gruppo capitanato da Carlo Pelliccia (voce e chitarra) e Marco Dalmasso (batteria), dopo vari cambi di line up oggi si completa oggi con Alessandro Fusacchia (chitarra) e Gianluca Marchionni (basso).
Immaculate Preconception presenta cinque brani di notevole death/thrash, devastante ma dalle aperture melodiche che ne accentuano atmosfere e sfumature, con un intro suggestiva che riporta le parole di Giordano Bruno, frate francescano, filosofo e scrittore del XVI secolo, condannato dalla chiesa per eresia.
Infaithcted esplode in una serie di accelerazioni death/thrash, con lo scream che ne potenzia l’indole estrema, cambi di tempo e cavalcate metalliche mettono in evidenza l’ottima tecnica di cui si può fregiare il quartetto.
Campo de’ Fiori è un crescendo thrash progressivo, dai rallentamenti possenti che ne accentuano l’atmosfera drammatica e le tematiche che riguardano la morte sul rogo dello stesso Giordano Bruno; The Shapeless Thing è invece un brano thrash/black ad un primo ascolto più lineare ma anch’esso pervaso da una serie di cambi di tempo micidiali, mentre Army Of The Ripper risulta un brano dalle ispirazioni heavy metal, meno abrasivo ed estremo dei brani precedenti e valorizzato da una serie di aperture melodiche accentuate dalla comparsa della voce pulita.
In conclusione Immaculate Preconception si rivela un ep davvero suggestivo, tra i più riusciti ultimamente nel suo ambito: i Necrofili con sagacia sanno manipolare la materia creando un sound che, anche se a tratti può ricordare i Necrodeath, risulta ugualmente personale e molto coinvolgente.

Tracklist
1. A Lullaby for Reason
2. Infaithcted
3. Campo de’Fiori
4. The Shapeless Thing
5. Army of the Reaper

Line-up
Carlo Pelliccia – Vocals & Guitars
Alessandro Fusacchia – Guitars
Gianluca Marchionni – Bass
Marco Dalmasso – Drums

NECROFILI – Facebook

Ship of Theseus – The Paradox

Un gioiello di splendore metallico, realizzato da musicisti tanto preparati quanto colti, autori di un lavoro variegato ed intrigante.

Per certi gruppi la definizione di power prog metal è quanto mai banale e riduttiva. Sicuramente, lo è per i nostrani Ship of Theseus, formati da ex componenti di Extrema e Temperance tra gli altri.

La libertà da vincoli espressivi pare realmente essere la prola d’ordine di questo super-gruppo, creativo come pochi, responsabile di un approccio stilistico al metal quanto mai vario e composito, in grado, ogni volta, di abbinare potenza ed eleganza. Gli Ship of Theseus sono cupi e possenti, introspettivi e melodici, romantici e devastanti a seconda dei frangenti sonori dei vari brani. Le composizioni sono elaboratissime e possono, a seconda dei momenti, richiamare alla mente i Threshold più oscuri, certe trame fra progressive e techno-thrash dei primi Sieges Even e Nevermore, quando non addirittura il genio elettronico-sperimentale di Devin Townsend. I passaggi più sinfonici deliziano invece coloro che amano l’intelligente pomposità di Magellan, Vanden Plas e Shadow Gallery. Esplosivi, teatrali, virtuosistici, delicati o deflagranti a seconda del contesto, a volte onirici ed eterei; e tutto questo – si badi bene – senza soluzione di continuità: gli Ship of Theseus si rivelano epici e cerebrali al pari dei migliori Alter Bridge. Quando il metal è durezza evocativa, e senza scomodare i Dream Theater. Tra gli ospiti, inoltre, brilla il grande Gregg Bissonette.

Tracklist
1- The Paradox
2- Reborn
3- Time Has Come
4- Hear Me Out
5- Blue
6- Suspended
7- Like a Butterfly
8- The Promise
9- Reflections in the Mirror
10- The Cage
11- Wounded
12- Ending

Line up
Giorgio Terenziani – Bass
Paolo Crimi – Drums
Michele Guaitoli – Vocals
Marco Cardona – Guitars
Alessandro Galliera – Guitars

SHIP OF THESEUS – Facebook

Handful of Hate – Adversus

La Code666 Records ha di nuovo fatto centro. Adversus è un album completo, perfetto ed armonioso, nella sua aggressiva e rabbiosa struttura musicale. Nulla viene lasciato al caso: un album studiato nei minimi dettagli, che dovrebbe essere riposto nelle collezioni di ogni blackster, tra un Immortal ed un Marduk.

Dalla lontana Scandinavia… pardon, dalla vicina Toscana, ci giunge tra le mani questo Adversus, settimo full length degli Handful Of Hate, quartetto di stanza in quel tratto di terra, che dalle colline lucchesi giunge sino al mar Tirreno, e più precisamente a Livorno. Toscana, terra di sole, di campagne sterminate, di campi in fiore e di dorati terreni coltivati, ove i vivaci colori della primavera quasi bruciano il cuore e le torride estati infiammano l’anima.

Sole? Cuore? Colore? Mai tali termini sono stati utilizzati così impropriamente, per identificare questo combo, che pare provenire più che dalla terra del Chianti, dal gelido Finnmark norvegese. La Scandinavia a casa nostra, potrebbe essere il corretto termine per disegnare il percorso musicale di Nicola Bianchi e soci. Freddo, rigido, quasi polare, il suono degli Handful Of Hate. Vero, puro, genuino, il Black Metal dei Nostri. L’album dipanato su 10 tracce, ci proietta alla velocità della luce in un mondo di occulti vizi e perverse maligne attitudini sessuali, tematiche che costituiscono un po’ una costante, nei testi dei ragazzi toscani.
Un Black suonato alla perfezione, che denota una padronanza degli strumenti fin troppo rara, oggigiorno, nel guazzabuglio musicale di band che nascono, suonano (si fa per dire) e muoiono, in sordina, come mosche effimere, senza lasciare alcuna traccia per i vivi e per i posteri. Qui, il discorso è (per fortuna) completamente differente. Grazie anche ad una produzione veramente all’altezza (la Code666 Records di Imola, non è proprio un’etichetta nata ieri. E’ dal 1999 che ci delizia, producendo band del calibro di Negura Bunget, Aborym, Manes e Konkhra), canzoni come la marziale An Eagle Upon My Shield (Veteris Vestigia Flammae), la norvegese Severed and Reversed (Feudal Attitude) o l’atmosferica Down Lower (Men and Ruins) divengono gioielli, quasi inattesi, incastonati alla perfezione nel collier di oro nero, che potrebbe adornare maleficamente il candido collo di perfide principesse o regine come Fredegonda, la spietata regina dei Franchi, Maria Tudor, detta “la sanguinaria”, o la nostra cara Elizabeth Bathory (cosa vi aspettavate? Cenerentola forse?). Potenza, velocità (sempre sotto controllo), cattiveria che spurga da ogni singola nota, un crudele scream (complimenti a Mr. Bianchi), sottile, venefico, maligno, costituiscono i petali della corolla, di un nero fiore, che non appassirà mai, dove la grande creatività dei Nostri rappresenta il gambo, su cui si sorregge stabilmente , ben radicato, in un terreno di capacità tecniche e padronanze musicali non comuni. L’imperversare di scale Death, ordite su una trama di vero genuino Black, mai banale, rendono tracce come Celebrate Consume… Burn! o Thorns to Redemption (Gemendo Germinat), vere gemme musicali che indurrebbero un ascoltatore poco attento e svogliato, con cartina politica dell’Europa sotto mano, a cimentarsi nell’ardua (e sicuramente inutile) ricerca della città di provenienza degli Handful Of Hate, errando tra le fredde Terre del Nord, colpevolmente inconsapevole che dovrebbe volgere lo sguardo più in basso, e col dito tracciare una linea immaginaria, quasi perpendicolare, che da Oslo giunge quasi magicamente in Toscana.
Complimenti quindi a questi scandinavi toscani, che nulla hanno da imparare dai soci vichinghi ma che, forse, qualcosa hanno da insegnare.

Tracklist:
1. An Eagle Upon My Shield (Veteris Vestigia Flammae)
2. Before Me (The Womb of Spite)
3. Carved in Disharmony (Void and Essence)
4. Severed and Reversed (Feudal Attitude)
5. Down Lower (Men and Ruins)
6. Celebrate Consume… Burn!
7. Toward the Fallen Ones (Psalms to Discontinuity)
8. Thorns to Redemption (Gemendo Germinat)
9. Idols to Hung
10. Icons with Devoured Faces

Line-up:
Nicola Bianchi – Guitars, Vocals
Aeternus – Drums
Andrea Toto – Guitars, Bass

HANDFUL OF HATE – Facebook

Helligators – Hell III

Hell III conferma gli Helligators come una delle migliori realtà in un genere che è rock’n’roll duro e puro, magari potenziato da tonnellate di riff dal groove fenomenale ed attraversato da un’attitudine southern/blues metal da far impallidire una buona fetta di realtà d’oltreoceano.

Quattro anni dopo lo spesso e potente Road Roller Machine, tornano i rockers romani Helligators con il loro terzo album intitolato Hell III, sempre sotto l’ala della Sliptrick Records, un altro muro sonoro di groove, hard rock, southern metal pesante come un macigno, grasso di watt e devastate come l’impatto di un asteroide sulla terra.

In questi ultimi quattro anni la band non si è certo fermata, tra singoli, video, tributi, ed un ep, licenziato due anni (Back To Life) in cui venivano presentati due brani inediti (Nomad e Servant No More), ed intanto si andavano a formare i nuovi brani che compongono la tracklist di questo nuovo assalto sonoro marchiato Helligators.
Hell III conferma il gruppo come una delle migliori realtà in un genere che, come affermano i protagonisti, è rock’n’roll duro e puro, magari potenziato solo un poco da tonnellate di riff dal groove fenomenale ed attraversato da un’attitudine southern/blues metal da far impallidire una buona fetta di realtà d’oltreoceano.
Con queste premesse Hell III non può che entrare tra gli ascolti abituali come un treno impazzito in una stazione ferroviaria nel periodo vacanziero, una valanga di rock’n’roll che dall’opener Rebellion non lascia tracce di resti al suo passaggio.
Le prime tre tracce, la già citata Rebellion, Here To Stay e Bleeding rappresentano un inizio formidabile per impatto e appeal; la semi ballad Where I Belong, che tanto sa di Black Label Society, concede pochi minuti per riprendere le forze prima che l’album riparta ancora più deciso e possente con le due parti di Confession, Until I Feel No More e la conclusiva Pedal To The Metal.
Con l’ingresso nel raggio d’azione di Black Label Society, Corrosion Of Conformity, Down e Pantera, le linee guida del sound degli Helligators si sono leggermente spostate, abbandonando quel poco di doom classico che aveva caratterizzato qualche momento del precedente lavoro, ma Hell III rimane decisamente un gran bel sentire.

Tracklist
01. Rebellion
02. Here To Stay
03. Bleeding
04. Where I Belong
05. Born Again
06. The Prison (Confession pt.1)
07. Gone (Confession pt.2)
08. Until I Feel No More
09. Bassthard Session III
10. Even From The Grave
11. Pedal To The Metal

Line-up
Simone “Dude” – Lead Vocals
Mik “El Santo” – Guitar & Backing Vocals
Alex – Drums
Kamo – Lead Guitar & Backing Vocals
Pinna “Yeti” – Bas

HELLIGATORS – Facebook

Good Moaning – The Roost

La dolcezza qui è presente, ma è più un leccarsi le ferite, un cercare di andare avanti cercando strade alternative, che è poi ciò che fanno questi ragazzi con la loro musica, cercare altro.

Album di esordio per i baresi Good Moaning che fanno un bellissimo dream pop a tinte psichedeliche, molto intimo e delicato.

The Roost è un disco che non lascia indifferenti, innanzitutto per la capacità di entrare dentro al nostro cuore e di non lasciarlo più, con il suo incedere trasognato e comunque disilluso: ci sono i sogni ma bisogna fare bilanci e stare attenti, molto attenti. Si guarda alla grande tradizione americana, che è certamente la prima fonte di ispirazione, ma ci sono molte cose fluttuanti in questo album. Il gruppo barese è pressoché inedito a queste latitudini perché fa un dream pop che in Italia non siamo molto capaci a proporre, mentre a loro riesce benissimo aggiungendoci anzi molto di loro, ad esempio con una psichedelia latente che esplode quando meno te lo aspetti ad arricchire il tutto. Ascoltando The Roost si capisce che questi ragazzi hanno una conoscenza molto ferrata della materia, ma sono al contempo dei notevoli creatori di musica e il loro disco di esordio funziona come un film, in cui si procede sceneggiatura per sceneggiatura e non ci si riesce a staccare molto facilmente. La dolcezza qui è presente, ma è più un leccarsi le ferite, un cercare di andare avanti cercando strade alternative, che è poi ciò che fanno questi ragazzi con la loro musica, cercare altro. Ogni canzone ha più di un motivo di interesse, e tutto il disco è ben al di sopra della media, proprio perché nella media non ci rientra, è ostinatamente altro, anche nell’uso di qualche elemento di elettronica. C’è una canzone quasi alla fine del disco, Curtain, che è uno dei migliori esempi di come si possa creare un’atmosfera raccontando in poco più di tre minuti di come giocavamo a calcio sotto la pioggia, e di come ora nidifichiamo in angoli che cerchiamo di tenere al riparo dall’acqua che monta, ma non è facile. Ecco, The Roost è una raccolta di momenti così, che ognuno interpreterà come vuole, perché questa in fondo è musica evocativa. E non è poco.

Tracklist
1. mother-door
2. suitcase
3. incubus
4. the roost
5. cornwall
6. scarecrow
7. curtain
8. yousuck

Line-up
Edoardo Partipilo – vocals / guitar
Lorenzo Gentile – guitar
Marco Menchise – bass
Davide Fumai – drums / keyboards

GOOD MOANING – Facebook

Rustless – Awakening

Awakening non delude le aspettative dei fans del gruppo e degli amanti del genere, rivelandosi un lavoro emozionante, ricco di passaggi strumentali di altissimo livello e di ottime canzoni.

Stefano Tessarin, Lio Mascheroni e Ruggero Zanolini sono tre quinti dei leggendari Vanadium, negli anni ottanta la più popolare ed importante band heavy metal nata sul suolo italico.

A metà degli anni novanta, dopo la pubblicazione dell’album Nel Cuore Del Caos (1995) la storia dei Vanadium si conclude e dopo qualche anno inizia quella dei Rustless, con il debutto licenziato nel 2008 ed intitolato Start From The Past, seguito da altri due lavori (Silent Scream e Guardian Angel) rilasciati rispettivamente nel 2010 e nel 2014.
Oggi la formazione dei Rustless, oltre ai tre storici musicisti, si completa con Roberto Zari alla voce ed il giovane bassista (allievo di Steve Tessarin) Andrea Puttero: Awakening è il titolo del nuovo album, che si colloca perfettamente nell’hard rock suonato negli anni settanta ed arrivato in perfetta forma nel decennio successivo, ricco di ispirazioni progressive e con la carta d’identità anglo/italiana (si sentono nei brani del disco suoni appartenenti tanto alla scena hard prog del Regno Unito che a quella hard & heavy tricolore).
I musicisti di provata esperienza e dieci brani di ottima musica heavy, raffinata e dalle di grandi melodie, che passano agevolmente dai Deep Purple agli Yes, dai Rainbow ai Rush, ed una raccolta di canzoni sopra la media, fanno di Awakening un album imperdibile per chi ama ascoltare chitarre graffianti, grandi melodie e passaggi progressivi in cui ritmiche e tastiere producono brividi a non finire.
La partenza è di quelle che tolgono il fiato, la title track risulta un brano purpleiano, dove il suono dei tasti d’avorio ispirati al Lord di Perfect Strangers segna indelebilmente tutto l’album, che continua la sua corsa verso il cuore dei fans del genere con altre perle come; Message To God, Invisible, il pomp rock di Light To Pain e i due capolavori rilasciati per il gran finale, la più ruvida Ride With The Wind e la progressiva Take The Sun.
Tirando le somme, Awakening non delude le aspettative dei fans del gruppo e degli amanti del genere, rivelandosi un lavoro emozionante, ricco di passaggi strumentali di altissimo livello e di ottime canzoni.

Tracklist
1.Awakening
2.Message to God
3.Heart’s on Fire
4.Invisible
5.Light into Pain
6.I Wanna Rock You
7.What Kind of Love
8.Tell Me
9.Ride with the Wind
10.Take the Sun

Line-up
Stefano Steve Tessarin – guitars & vocals
Ruggero Ruggy Zanolini – keyboards
Lio Mascheroni – drums
Roberto Zari – muscles & vocals
Andrea Puttero – Bass

RUSTLESS – Facebook

Skanners – Temptation

Temptation, che si affianca alle ultime migliori uscite del genere. è prodotto benissimo e presenta una serie di brani incendiari, melodici e orgogliosamente classici.

Il metal tricolore gode di ottima salute di questi tempi, non solo grazie alla moltitudine di band ed artisti che si sono affacciati sulla scena, ma anche per il ritorno di quei gruppi che ne hanno scritto la storia, come gli Skanners.

La band di Bolzano ha scritto pagine gloriose nella storia del metallo classico del nostro paese, in anni in cui tutto era molto più difficile e la credibilità di fans e addetti ai lavori si conquistava con sudore, lavoro ed attitudine.
Quasi quarant’anni sono passati dal primo demo, poi sei full length, un live ed ora questo nuovo album intitolato Temptation e licenziato dal gruppo tramite la Alpha Omega Management, un lavoro composto da undici brani all’insegna dell’heavy metal di stampo tradizionale, potenziato da ritmiche power e perfettamente in grado di dire la sua in questi primi vent’anni del nuovo millennio.
L’heavy metal è vivo e vegeto ed album come Temptation sono qui per dimostrarlo, rinverdendo i fasti passati non solo degli Skanners, ma di tutto un genere.
Temptation, che si affianca alle ultime migliori uscite del genere. è prodotto benissimo e presenta una serie di brani incendiari, melodici e orgogliosamente classici, in cui Claudio Pisoni dà lezione di come si canta su un album heavy metal, Fabio Tenca ci prende a rasoiate con la sua chitarra e tutta la band gira a mille con Davide Odorizzi alla batteria, Tomas Valentini al basso e Walther Unterhauser alla chitarra.
Già dall’opener e singolo In Flammen 666 si viene travolti dalla carica della band altoatesina, tra refrain e chrous dall’alto appeal, ritmiche e solos che sono vangelo per i fans del genere.
I brani si susseguono regalando per tutta la durata dell’album grande heavy metal, da Rays In The Darkness alla tellurica Cut Of My Heart, passando per il power di Demons Of Tomorrow e l’hard & heavy di Back To The Past.
Altro ottimo lavoro targato Skanners e imperdibile per gli amanti dell’heavy metal duro e puro, Temptation segna il grande ritorno di uno gruppi storici del metal italiano.

Tracklist
1.In Flammen 666
2.Rays in the Darkness
3.Rolling in the Fire
4.Cut My Heart
5.Demons of Tomorrow
6.The Eye
7.Lost in Paradise
8.The Letter
9.Back to the Past
10.Pray with My Angel
11.Always Remember

Line-up
Fabio Tenca – Guitars
Claudio Pisoni – Vocals
Walther Unterhauser – Guitars
Davide Odorizzi – Drums
Tomas Valentini – Bass

SKANNERS – Facebook

Duel – Valley Of Shadows

I Duel ci portano in un territorio che non è di questo mondo, trattando della tradizione esoterica, con una musica molto coinvolgente e sempre in bilico fra doom, heavy metal ed hard rock, catturando il nostro cervello ed il nostro cuore.

Torna il combo texano chiamato Duel, con il suo splendido occul doom rock dal groove speciale e senza eguali.

Chi già li conosce sa che la loro musica ha il potere di farti varcare le porte del tempo per approdare in quella particolare stagione del rock dove tutto sembrava possibile, dove lo scopo era superare le proprie percezioni per andare oltre. La loro musica gronda di riferimenti esoterici, e ha la forma di un doom psych rock da banda di motociclisti, e questa è una delle loro peculiarità più importanti. Questa illuminata fusione di doom e hard rock è una miscela speciale che solo loro sanno fare, e ogni disco è una continua evoluzione, e questo ultimo Valley Of Shadows ne è il punto più alto. Ogni riff è studiato e ricopre un compito ben preciso, ogni movimento del gruppo concorre a formare un groove particolare ed ipnotico, fatto di potenza e di una forte influenza di hard rock ed heavy metal nella sua accezione maggiormente ritmica. Se si va ad ascoltare la discografia passata del gruppo si può sentire che fin dall’inizio questo gruppo aveva qualcosa in più, un quid che li accompagna tuttora e che in questo ultimo lavoro ha raggiunto il suo apice. I Duel sono un gruppo importante nel panorama della musica pesante e questo disco è la loro definitiva consacrazione. Il titolo Valley Of Shadows, con una copertina molto simile ai quadri surrealisti, rappresenta bene di cosa tratti questo lavoro, ovvero della valle delle ombre, che può essere interpretata in molti modi. Una delle letture possibili è che la valle delle ombre possa essere il nostro mondo, dove quella che ci appare come ineluttabile realtà non lo sia, e anzi sia un qualcosa che non possiamo comprendere. O la valle delle ombre è dove riposano i morti, o potrebbe essere altre mille cose. I Duel ci portano in un territorio che non è di questo mondo, trattando della tradizione esoterica, con una musica molto coinvolgente e sempre in bilico fra doom, heavy metal ed hard rock, catturando il nostro cervello ed il nostro cuore. Un’altra grande uscita targata Heavy Psych Sounds.

Tracklist
1. Black Magic Summer
2. Red Moon Forming
3. Drifting Alone
4. Strike And Disappear
5. Broken Mirror
6. Tyrant On The Throne
7. I Feel No Pain
8. The Bleeding Heart

Line-up
Tom Frank – guitar,vocals
Shaun Avants – bass, vocals
Justin Collins – drums
Jeff Henson – guitar

https://www.facebook.com/DUELTEXAS/

Vereor Nox – Vereor Nox

Vereor Nox è una gemma del black metal underground, un disco che lega mondi diversi, tutti molto interessanti, e soprattutto figlio di una passione smisurata e pura.

Incredibile concept album sul videogioco Dark Souls, pieno di ottimo symphonic black metal e di archetipi eterni come la Luce e la Tenebra.

Ascoltando l’ultimo lavoro dei Vereor Nox si viene catapultati all’istante in una miriade di mondi , risucchiati dalla Fiamma nell’eterna lotta fra Luce e Tenebra, fra bene e male, ma con molte più sfumature. Il gruppo è attivo dal 2014 su idea di Kronos (Gianluca Moreo) e Fenrir (Beatrice Traversin), con lo scopo di suonare black metal e trattare temi introspettivi ma anche mitologici, e gli uni non escludono affatto gli altri, anzi. Questo ultimo lavoro, il secondo su lunga distanza per il gruppo, richiede molta attenzione perché musicalmente possiede una varietà e una ricchezza non comuni, oltre ad uno studio sui testi davvero notevole. Il punto di partenza è il videogioco giapponese Dark Souls, che volendo dare una definizione disperatamente riduttiva è un rpg dark fantasy, ma in realtà è molto di più ed infatti in questo disco c’è un grande approfondimento. In pratica i Vereor Nox, intorno all’universo del videogioco compongono, un’opera ispirata dal black metal mediterraneo classico, e molto forte è la componente sinfonica che, come un coro greco, interviene nelle situazioni di maggior pathos. Come detto c’è un grande lavoro concettuale dietro il lavoro, ma la musica non è da meno, rafforzata da un grande padronanza tecnica; c’è solo una cosa che non è al suo massimo livello in questo disco, ed è la produzione, perché senza questa sbavatura saremmo davanti forse al disco dell’anno italiano in tale ambito. I Vereor Nox riescono sempre a trovare la soluzione adatta, aiutati da un grande senso della melodia, e producono un album che merita ripetuti ascolti per cogliere il tutto, perché è sterminato quanto l’universo di Dark Souls. Ogni canzone ha molteplici passaggi nascosti, c’è un bel ritornello e sotto si trova una linea di basso ipnotica, oppure una doppia cassa incessante mentre la chitarra esegue degli arpeggi da sogno. Molto adeguata è anche la durata delle canzoni, che non debordano mai. Vereor Nox è una gemma del black metal underground, un disco che lega mondi diversi, tutti molto interessanti, e soprattutto figlio di una passione smisurata e pura.

Tracklist
1. Within The Flames
2. My Dear Sister
3. Born Under The Moon
4. The Crossbreed
5. The Silence In The Cathedral
6. Void
7. Dense Of Nothingness
8. Your Grave

Line-up
Fenrir (Beatrice Traversin) – vocals & lyrics
Gwyn (Emiliano Bez) – guitars, backing vocals, main composer
Seath (Ivano Lo Iacono) – bass, composer

VEREOR NOX – Facebook

Fulci – Tropical Sun

L’album nel genere è uno dei più riusciti tra quelli ascoltati ultimamente in senso assoluto, quindi per tutti gli amanti del metal estremo il consiglio è di non perdere Tropical Sun, perché potrebbe rivelarsi una piacevole sorpresa.

Le sorprese non mancano di certo nell’underground metallico tricolore, anche quando si parla di metal estremo, come nel caso del brutal death offerto dai casertani Fulci.

Il trio, insieme dal 2013, arriva al secondo album tramite la Time To Kill Records intitolato Tropical Sun, ispirato dalla trama di Zombie 2, pellicola del grande regista Lucio Fulci da cui viene prevedibilmente tratto il monicker.
Quale argomento migliore se non gli Zombie ed il cinema horror/splatter per un sound di matrice brutal death? Infatti Tropical Sun risulta un gran bel lavoro, impreziosito da suoni sintetici che creano atmosfere terrificanti in un contesto brutale, tra accelerazioni e mid tempo, riff death metal e cascate di sangue che sporcano spartiti estremi di matrice Dying Fetus, Suffocation e Cannibal Corpse.
Con ritmiche perfettamente leggibili nel massacro perpetuato dagli affamati zombie e un songwriting che nel genere si dimostra vario e ben delineato, Tropical Sun si sviluppa in mezzora abbondante di ottimo brutal inframezzato da spezzoni vocali tratti dal film (uscito nel 1979) e da altre trovate tutte da scoprire.
L’album nel genere è uno dei più riusciti tra quelli ascoltati ultimamente in senso assoluto, quindi per tutti gli amanti del metal estremo il consiglio è di non perdere Tropical Sun, perché potrebbe rivelarsi una piacevole sorpresa.

Tracklist
01. Voodoo Gore Ritual (instrumental)
02. Tropical Sun
03. Apocalypse Zombie
04. Splatter Fatality
05. Matul Tribal Cult
06. Legion Of The Resurrected
07. Palms By The Cemetery
08. Witch Doctor (instrumental)
09. Genetic Zombification
10. Eye Full Of Maggots
11. Church Of The Undead
12. Blue Inferno
13. Immortality Virus (instrumental)
14. March Of The Living Dead (instrumental)

Line-up
Dome – Guitars, Synth
Fiore – Vocals
Klem – Bass

FULCI – Facebook

TIR – Metal Shock

L’album è un convincente sunto del metal più tradizionale ispirato dagli eroi britannici degli anni ottanta, ma che possiede quell’orgoglioso tocco tricolore a ricordare il valore di una solida scena nazionale.

Band storica della scena metal della capitale, i TIR danno alle stampe il loro secondo lavoro su lunga distanza intitolato Metal Shock.

Nata nel 1980, la band romana stampa il primo album solo nel 2011 (Heavy Metal), poi altri otto anni di silenzio prima che questa raccolta di brani cantati in lingua madre tornino a far parlare di new wave of british heavy metal secondo i TIR.
Il quintetto, ora formato da Sergio Bonelli (chitarra), Giuseppe Cialone (voce), Danilo Antonini (chitarra), Dino Gubinelli (basso) e Piero Aironi (batteria), ha dato vita ad un buon esempio di heavy metal ottantiano ispirato alla scena britannica, e il perfetto uso della nostra lingua caratterizza questa nuova raccolta di brani che tanto richiama Saxon e Judas Priest, quanto la Strana Officina nei brani in cui prende corpo tiratissimo hard rock (Crazy Mama e la travolgente Beat 150).
Giuseppe Cialone, già cantante degli epici Rosae Crucis, il suo mestiere lo conosce bene, così come i compagni d’avventura che vanno a formare una band compatta e di elevata esperienza.
Con la veloce e diretta Città In Fiamme, il potentissimo mid tempo di Banche Armate, il metallo incendiario della title track, l’album è un convincente sunto del metal più tradizionale ispirato dagli eroi britannici degli anni ottanta, ma che possiede quell’orgoglioso tocco tricolore a ricordare il valore di una solida scena nazionale.

Tracklist
1. Città In Fiamme
2. La Sfida
3. Banche Armate
4. La Luna Nel Cerchio
5. Crazy Mama
6. Dentro Il Vuoto
7. Lasciateci Fare
8. Metal Shock
9. Beat 150
10. Mitra
11. Memoria (Faber)

Line-up
Sergio Bonelli – Guitars
Danilo Antonini – Guitars
Dino Gubinelli – Bass
Piero Arioni – Drums
Giuseppe Cialone – Vocals

TIR – Facebook

Fungus Family – The Key Of The Garden

The Key Of The Garden è uno dei migliori album ascoltati di recente in ambito progressive e non ha assolutamente nulla da invidiare né a più pubblicizzate produzioni straniere, né a quelle dei nomi storici della nostra scena.

La storia dei Fungus Family, band genovese che, non solo a mio parere, meriterebbe ben altra fama rispetto a quella ristretta agli appassionati più puri e duri del progressive, si arricchisce di un nuovo capitolo discografico, The Key Of The Garden, che va a chiudere la trilogia iniziata con Better Than Jesus (2010), seguito da The Face Of Evil (2014).

Il percorso del gruppo, che i più conoscono e continuano a chiamare semplicemente Fungus, è stata funestata dalla prematura scomparsa del fondatore e principale compositore AJ Blissett nel 2015, per cui non deve stupire se sono stati necessari cinque anni per dare un seguito al bellissimo precedente album.
AJ continua giustamente ad essere accreditato nelle note di presentazione come membro effettivo in qualità di compositore, e questo non deve apparire un semplice omaggio o un artificio retorico, perché appare evidente dall’ascolto di The Key Of The Garden come sia stata data grande continuità al suo impulso creativo sfruttando, probabilmente, molta della musica mai pubblicata che egli stesso ha lasciato in eredità, integrandola al meglio con un lavoro di squadra (ecco il senso di “Family” appunto) non così scontato in ambito progressive.
Del resto il sound dei Fungus incarna al meglio ciò che si intende per progressivo nell’accezione più pura del termine: i brani sono spesso in costante divenire, sorta di jam psichedeliche che lasciano spazio anche a evoluzioni strumentali che non scadono mai in onanistici virtuosismi, ma ciò non preclude la presenza di passaggi dall’enorme impatto melodico ed emotivo che rendono più facilmente assimilabile di quanto possa apparire un lavoro pur così sfaccettato.
Con l’imprimatur di un mito come Nik Turner, che suona il flauto in Eternal Mind (brano a dir poco meraviglioso, peraltro) ed il sax in Becoming to Be, Dorian Deminstrel e soci tra i gruppi contemporanei possono trovare un possibile, quanto puramente indicativo, termine di paragone nei folli e altrettanto psichedelici Bigelf, mentre loro stessi ci suggeriscono quali siano le loro band di riferimento coverizzando i Pink Floyd (See Emily Play) e i Family (The Weaver’s Answer), a cui possiamo aggiungere, volendo pescare nel mazzo, i Van Der Graaf Generator e gli imprescindibili King Crimson sessantiani, ma da sonorità talmente caleidoscopiche ed imprevedibili ognuno può rinvenire altri molteplici richiami.
Ciò che conta è che The Key Of The Garden si rivela un viaggio a ritroso nel tempo che non appare affatto nostalgico, in quanto sonorità che traggono linfa dagli anni d’oro del progressive vengono rielaborate con una freschezza ed una personalità che tengono alla larga quell’autoreferenzialità che spesso affligge diversi musicisti dell’epoca allorché si ripropongono ai giorni nostri.
Le lunghe Suite n. 5 (part 1) e 1q84 si rivelano ampiamente esaustive riguardo al talento e alle doti dei Fungus, i quali offrono un’ora circa di musica che non è per nulla facile da descrivere, per cui mi limito a dire che questi suoni appagano l’udito e l’anima, ma non solo; infatti, avendo avuto la possibilità di assistere alla presentazione dal vivo dell’album circa due mesi fa, la sensazione è stata che sul palco l’offerta della band acquisti, se possibile, ulteriore forza e profondità, grazie alla personalità del frontman e alla tecnica impeccabile dei suoi compagni d’avventura.
In definitiva, The Key Of The Garden è uno dei migliori album ascoltati di recente in ambito progressive e non ha assolutamente nulla da invidiare né a più pubblicizzate produzioni straniere, né a quelle dei nomi storici della nostra scena.

Tracklist:
1 Suite n. 5 (part 1)
2 Eternal Mind
3 Demo-crazy
4 1q84
5 Becoming to Be
6 Suite n. 5 (part 2)
7 See Emily Play (Pink Floyd Cover)
8 Holy Picture
9 The Weaver’s Answer (Family Cover)

Line-up:
Alejandro J. Blissett: Composer
Dorian Deminstrel: Lead & Backing Vocals, Acoustic Guitar
Carlo “ZeroTheHero” Barreca: Bass & Noises
Alessio “Fuzz” Caorsi: Electric Guitar
Claudio Ferreri: Organ, Piano & Keyboards
Cajo: Drums

featuring:
Nik Turner: Space Saxophone (Becoming to Be) & Magic Flute (Eternal Mind)
Daniele Barreca: Percussions (The Weaver’s Answer)

FUNGUS FAMILY – Facebook

Deorc Absis – The Nothingness Transfiguration

Il suono dei Deorc Absis oscilla tra black e death metal, con un’importante parte sinfonica che arricchisce molto il tutto.

Black death metal dissonate e schizofrenico, molto tecnico e davvero inusuale.

L’esordio degli italiani Deorc Absis per l’etichetta americana Redefining Darkness Records è uno di quei dischi che colpiscono duro e che stupiscono. La levatura tecnica è elevata, come notevole è la capacità compositiva, le tre canzoni sono strutturate in maniera labirintica, e dentro ci sono molte cose. Il loro suono oscilla tra black e death metal, con un’importante parte sinfonica che arricchisce molto il tutto. Il gruppo ha un impatto violento, ma non esibisce solo la potenza, preferendo l’effetto dell’insieme alla singola voce musicale. E il risultato è un suono molto originale, che crea un effetto cinematografico sull’ascoltatore, nel senso che il racconto procede per racconti di immagine, e la lunga durata delle tracce permette uno sviluppo esauriente delle stesse. Si potrebbe pensare che tre pezzi possano essere pochi, ma tre canzoni con questa intensità e con questa densità richiedono un’attenzione speciale, con un occhio di riguardo per la qualità, che con un numero maggiore di pezzi potrebbe diluirsi, mentre qui rimane inalterata. Una ricerca notevole permea questo disco, e la poetica musicale messa in campo qui è rivolta verso il futuro, usando elementi del passato ma guardando sempre avanti.
Il lavoro del gruppo è notevole, una menzione speciale va all’incredibile basso di Marcello Tavernari che costruisce fisionomie mostruose, colonna portante del suono dei Deorc Absis. L’esordio è notevole e merita attenzione, musica estrema fatta con passione e competenza.

Tracklist
1.Stasis
2.Epanastasis
3.Metamorphosis

Line-up
Claudio Miniati: Vocals
Alessandro D’Antone: Guitars
Marcello Tavernari: Bass
Marco Taiti – Drums

DEORC ABSIS – Facebook