Ranter’s Groove – Haiku

Forse ambient, forse field recording, decisamente Kaczynski Editions, musica che non può essere solo musica, fatta per spiazzare e per fermare il nostro sguardo schizofrenico su qualcosa di sensato.

Ritorna Ranter’s Groove, uno dei nomi di punta della squadra della toscana Kaczynski Editions, etichetta tra le più anticonformiste e fresche che abbiamo in Italia.

Come al solito per i loro lavori qui non ci sono confini, la musica è un elemento come un altro per raggiungere degli obiettivi, sono presenti anche rumori e vibrazioni che provengono sia dal mondo esteriore che da quello interiore. La cifra stilistica di questo lavoro è l’Haiku, una breve composizione poetica giapponese che risponde a determinati requisiti di metrica e che ha come scopo la brevità e la potenza delle immagini. E questi componimenti, o meglio registrazioni di alterazioni del silenzio, sono appunto haiku sonori, brevi appunti che colgono alla perfezione l’essenza di un attimo che è già passato e che non sarà mai più. Nei suoi lavori precedenti Ranter’s Groove ci aveva abituati alla pressoché totale assenza della forma canzone e qui si va ancora più a fondo in quella direzione, perfezionando la resa e soprattutto regolando ancora di più verso il magma interiore le sue antenne. In questo viaggio composto da tante piccole stazioni sentirete una voce narrante giapponese che parlerà di cose che abbiamo già visto, ma che non abbiamo capito. Il vero inconoscibile non è il cosmo o il senso della vita, cose che forse non esistono, ma è il quotidiano, quello stormo di emozioni e piccole cose che ci passano davanti e che cambiano radicalmente la nostra esistenza e che qui si palesano molto bene. Sia il caldo di un muro screpolato di campagna in una torrida estate, o una processione di organizzatissime formiche, Ranter’s Groove ci porta sempre al nocciolo del problema, sottoponendoci aspetti inediti di piccole e grandi cose. Forse ambient, forse field recording, decisamente Kaczynski Editions, musica che non può essere solo musica, fatta per spiazzare e per fermare il nostro sguardo schizofrenico su qualcosa di sensato.

Tracklist
1.行きあひし人
2.川渡りけり
3.うしろの
4.独り往き
5.日一日
6.藪の中
7.出水のあと
8.一つ落ちて
9.蟻の道
10.雲の峯硯
11.石垣崩す
12.人なし
13.釣鐘撞く
14.平家亡びし
15.血を印す
16.行燈消えて

Goodbye Kings – A Moon Daguerreotype

Goodbye Kings ci lasciano un disco che parla di sogni e di verità, di lune e di sfumature in bianco e nero, ed un suono elegante che rilascia endorfine.

I Goodbye Kings sono un gruppo milanese che costruisce la propria musica attraverso le immagini, come se dovessero musicare un film od un romanzo.

Tutto ciò lo fanno attraverso un ottimo post rock che si congiunge con l’ambient e dalla narrazione di ampio respiro. Il progetto dietro il loro terzo disco è di svelare come la fotografia abbia permesso all’uomo di indagare sé stesso e la natura in maniera differente. Il loro post rock di ampie vedute è qualcosa che lascia un bellissimo gusto retrò, uno struggimento languido e caldo, un essere preso a braccetto da qualcosa di antico e che ti vuole bene. Ascoltando i Goodbye Kings si ha l’impressione di entrare in una bolla dove si è protetti dai mali del mondo esterno. In prima battuta perché i battiti al minuto si abbassano di molto, e si dà attenzione ai piccoli momenti musicali, ai particolari che si riescono a cogliere anche grazie alla sapiente masterizzazione di James Plotkin, che mise mano a lavori di Isis e Sunn O))). Non c’è solo dolcezza, ci sono anche le asperità che si esprimono con ripartenze rabbiose e diversi momenti di maggiore pathos. Il sound dei precedenti due dischi aveva indicato la rotta, e con A Moon Daguerreotype si perfeziona la traiettoria, che è una delle più interessanti in Italia, dato che un post rock dai risvolti jazz è molto difficile da proporre e ancora di più da trovare. Un’altra particolarità del gruppo è anche l’immaginario in bianco e nero, un’indagine sulle origini della nostra modernità e sulle cose che possiamo ancora essere. Un ottimo bilanciamento fra quiete e tempesta, con momenti che lasciano lo stampo sul cuore di un’era che vede troppo ma sente molto poco. I Goodbye Kings ci lasciano un disco che parla di sogni e di verità, di lune e di sfumature in bianco e nero, ed un suono elegante che rilascia endorfine.

Tracklist
1.Camera Obscura
2.Méliés, The Magician
3.Drawing With Light
4.Phantasma
5.Giphantie
6.Space Frame Natives
7.The Ancient Camera Of Mo Zi
8.A Moon Daguerreotype

Line-up
Davide Romagnoli – electric & acoustic guitars
Matteo Ravelli – drums, fx, percussions
Luca S. Allocca – guitars, synths
Luca Sguera – keyboards, synths, percussions
Riccardo Balzarin – guitars
Francesco Panconesi – sax
Alessandro Mazzieri – bass

GOODBYE KINGS – Facebook

Order 1968 – Tears In The Snow

Un documento di gran valore, ma soprattutto un gran disco che ha finalmente una veste adeguata.

Ristampa della cassetta Tears In The Snow di Order 1968, rimasterizzata da Giovanni Indorato al Ctìyber Ghetto Studio.

Order 1968 è stato uno dei primi progetti di uno dei maggiori nomi della musica elettronica in chiave ambient ed industrial in Italia, da parte di quel Claudio Dondo che, dopo l’esperienza con Order 1968 andrà a fondare i fondamentali Runes Order, che invitiamo caldamente a scoprire o riscoprire. La cassetta uscì originariamente nel 1991, registrata nello studio casalingo di Claudio, che era anche l’unico membro del progetto, e pubblicato sull’etichetta da lui fondata, Hate Productions. La cassetta fu originariamente ristampata in 200 copie sotto il nome Runes Order dalla Oktagon Records, con lo stesso audio ed un artwork differente. Annapurna Productions ha ristampato il tutto rimasterizzandolo e con le copertine originali. Dondo è sempre un produttore geniale e notevole, in nuce qui c’è quello che poi farà con i Runes Order, ma soprattutto troviamo una concezione totale e rituale del mezzo musicale. Non è musica fatta per intrattenere, per consolare o per dare risposte, qui ci sono tenebre, domande e tormenti, ma il fatto è che sono fra le atmosfere migliori mai prodotte in Italia. Molto lontano dalle luci della musica di successo ed anche dalla musica delle pose finto alternative, c’è un universo dove ci sono persone che fanno musica per passione e per giocare con i loro demoni, e Claudio Dondo è un eminente esponente di codesta schiatta. Tears In The Snow non lo si ascolta, è il disco stesso che si insinua dentro di noi, percorre le nostre vene e torna nel cervello per celebrare il rituale della nostra estrema caducità, messa mirabilmente in sonoro qui. Tears In Snow è sia un lavoro seminale che una cosa a sé stante, un altro tenebroso episodio della carriera di Claudio, una parabola pressoché unica in Italia e che è apprezzata da chi sa e vuole farlo. Un documento di gran valore, ma soprattutto un gran disco che ha finalmente una veste adeguata.

Tracklist
1. Intro(duction)
2. Sturm
3. A Minute In The Snow
4. The Runes
5. The White Empire
6. The Key Of Pride
7. Watching The New Dawn
8. Nocturne
9. No Surrender!!!
10. A Minute In The Wind
11. Buried Blades
12. Le Bianche Valli Del Silenzio
13. Chi Ride Muore!

Padus – Diva Sporca

Diva Sporca è un disco che sa di antico, di qualcosa che si muove nelle nebbie, di sguardi impauriti al cielo verso la luna nera che sta sopra di noi da millenni, è anche ricerca musicale e passione che porta oltre.

Padus è il progetto molto particolare ed originale di Matteo Zanella, un abitante del delta del Po che suona il basso in un’orchestra di musica da ballo.

E proprio il basso come strumento è messo al centro di questa singolare opera, specialmente il basso distorto, che diventa in pratica un gruppo musicale a sé stante. Matteo Zanella è uno di quei musicisti totali e straripanti, ha la musica nel cervello e la crea in maniera ricercata ed originale. Scrive e suona tutto lui, e come genere siamo dalla parti di un doom che si incrocia con il dark ambient, ma molto forte è la connotazione teatrale del tutto, infatti le canzoni sono vere e proprie storie sceneggiate. Di solito gli strumenti impiegati sono il basso distorto per l’appunto, un organo a canne ed una batteria campionata, ma ci sono anche il vento, i tuoni ed incombe la figura del Po, questo fiume misterioso che attraversa terre antiche e difficili da decifrare. Matteo non si ferma però qui, e dato che ha anche la passione per la pittura, ha disegnato anche l’ermetica copertina del lavoro musicale. Diva Sporca è un viaggio nelle tenebre, nell’occulto e nella disperazione umana, nella vera e propria sporcizia del mistero umano, e anche in una natura che per noi è cattiva, ma semplicemente è se stessa, è l’uomo che inventa categorie di pensiero altrimenti inesistenti. Il disco è una continua sorpresa, il cantato è in italiano ed è molto incisivo, e contribuisce in maniera notevole a contribuire alla cifra stilistica del disco. La tecnica di Matteo è notevole, ma non è quella al centro del suo suono, bensì è al suo servizio. Diva Sporca è un disco che sa di antico, di qualcosa che si muove nelle nebbie, di sguardi impauriti al cielo verso la luna nera che sta sopra di noi da millenni, è anche ricerca musicale e passione che porta oltre. Ci sono anche brani sperimentali come Elocubrazione che fanno perdere le proprie attuali coordinate e conducono molto lontani, in quello stato particolare di trance leggera che solo certa musica può indurre. Si consiglia anche di seguire la pagina facebook di Padus, poiché Zanella vi posta i notevoli quadri ispirati ai pezzi del progetto.
Un disco unicamente tenebroso, un lavoro molto compiuto di un musicista che sa essere e dire molte cose differenti.

Tracklist
1 – Diva Sporca
2 – La luna nera
3 – Elocubrazione
4 – La peste
5 – La strada per l’oblio

PADUS – Facebook

Fallen – When The Light Went Out

When The Light Went Out racchiude poco più di quaranta minuti di musica che sono nutrimento per l’anima, il pretesto ideale per fermarsi un attimo e guardare dentro sé stessi senza alcun condizionamento esterno.

Ritorna ancora una volta Lorenzo Bracaloni con il suo progetto Fallen, tramite il quale ci delizia con una certa regolarità.

Anche se a un ascolto distratto la musica ambient sembra non offrire molte variazioni sul tema in realtà, è proprio ascoltando le ultime uscite a nome Fallen che si possono cogliere le sfumature che contraddistinguono i diversi album. Se, infatti, Glimpses risentiva della sua composizione durante le ore notturne e Tout Est Silencieux rispecchiava la brumosa immagine di copertina, questo ultimo When The Light Went Out tende ad evocare sensazioni meno crepuscolari e più nitide.
L’approccio del musicista toscano è come sempre ispirato a capisaldi artistici come Eno e Glass ma il tocco in più nei suoi lavori è fornito da un substrato melodico capace di raccogliere in maniera più rapida l’attenzione dell’ascoltatore.
Il resto lo fa poi la sensibilità compositiva di Bracaloni, che prende corpo attraverso sonorità cristalline, sempre punteggiate da tenui ma ben percepibili linee melodiche.
When The Light Went Out è un lavoro introspettivo ma allo stesso tempo tutt’altro che pacato in ogni suo frangente: se è un senso di pace quello che aleggia sostanzialmente lungo queste sei tracce, non mancano improvvisi sbalzi corrispondenti al turbamento di fondo che alberga nelle nostre anime e, in tal senso, un brano come Wandering Spirits Looking To Rest è abbastanza esemplificativo.
Il tocco pianistico essenziale ma elegante si intreccia con il resto della strumentazione, con i suoni e i rumori ambientali (meno presenti comunque rispetto a precedenti lavori), creando un nuovo gioiello sonoro targato Fallen: Lorenzo riesce conferire alla musica ambient una dimensione più fruibile senza che il tutto ne risenta a livello di profondità e questo è, appunto, la chiave di volta che ne rende l’operato appetibile anche a chi è avvezzo a sonorità ben differenti.
La limpidezza della title track e l’inquietudine evocata dalla conclusiva Peaceful Words Mean Everything rappresentano due delle principali sfumature riscontrabili tra le note di When The Light Went Out, opera che racchiude poco più di quaranta minuti di musica che sono nutrimento per l’anima, il pretesto ideale per fermarsi un attimo e guardare dentro sé stessi senza alcun condizionamento esterno.

Tracklist:
01 Cloudy Rooms, Oxygen and Miracles
02 When the Light went Out
03 Diamond Eyes through Darkness
04 Wandering Spirits looking to Rest
05 If your Dreams Ache
06 Peaceful Words mean Everything

Line-up:
Fallen – Piano, Organ, Electric Piano, Guitars, Synthesizers and Field Recordings (squares, traffic, television, radio, abandoned places)

FALLEN – Facebook

Empty Chalice – Mother Destruction

La musica di Empty Chalice è un qualcosa che si insinua nelle coscienze restando a lungo silente, per poi manifestarsi all’improvviso ravvivando le nostre inquietudini.

Se la musica ambient è, nell’immaginario collettivo, l’esibizione di sonorità volte ad accompagnare in modo discreto e comunque mai invasivo le diverse fasi di una giornata o di una specifica attività, in realtà ne esistono diverse varianti che sono tutt’altro che cullanti o consolatorie, ed uno degli artefici principali di questo filone in Italia è Antonine A. (Antonio Airoldi), il quale con il suo progetto denominato Empty Chalice prende le mosse dalle grandi opere pubblicate nel secolo scorso dalla mitica label svedese Cold Meat Industry.

Dopo aver parlato lo scorso anno di Ondine’s Curse, lavoro uscito per l’etichetta Ho.Gravi.Malattie, con Mother Destruction bisogna fare un passo indietro a livello temporale visto che, nonostante la recente pubblicazione da parte della Toten Schwan Records, la composizione dei brani risale al 2017 ed è quindi successiva ad Emerging Is Submerging.
E’ proprio a questo album che va in qualche modo ricollegata quest’ultima opera targata Empty Chalice, che a livello concettuale viene dedicata a chi ha perso la strada ed è costretto a vagare per lungo tempo prima di ritrovare la strada di casa.
Un certo elemento di discontinuità è fornito dalla presenza di contributi vocali sotto forma di parti recitate (in particolare quella di Thyme Nord dei Rare Form in Treblinka’s Snow) che divengono esse stesse strumenti abilmente manipolati da Antonjne A.
La dark ambient, nell’interpretazione di Empty Chalice (che si avvale anche dei contributi di altri costruttori di suoni non omologati come Rare Form, Ashtoreth e Kurgan Hors) non trova mai alcuno sfogo melodico, tramutandosi nel rumore di fondo che accompagna sensazioni spesso intrise di dolore o di angoscia ma, proprio in Mother Destruction, anche di tenui bagliori di speranza rispetto alla possibilità di ritrovare la via maestra, come avviene nella title track posta non a caso in chiusura del lavoro.
Chi ha imparato a conoscere da tempo l’opera di Airoldi non può quindi stupirsi della sua capacità di proporre sonorità che, pur non essendo provviste di una convenzionale linea melodica (anche se la drammatica Rest In Pain si avvicina a tratti alla reiterata linearità di certa ambient doom), sono in grado di attrarre fatalmente l’attenzione dell’ascoltatore, trasportandolo in una sorta di mondo parallelo nel quale i suoni non sono quelli che ascoltiamo nella vita di tutti i giorni, ma si palesano come una sorta di minaccioso rumore di fondo di un’umanità che ha molto da nascondere e altrettanto da farsi perdonare.
Se Treblinka è probabilmente il luogo dove si è raggiunto uno dei picchi di aberrazione della storia dell’umanità, almeno in epoca moderna, non resta che risorgere dalle fiamme (Qva Resvrget Ex Favilla) per riprendere un cammino doloroso ma non del tutto privo di speranza (forse meglio identificabile con un più animalesco istinto di sopravvivenza), unico appiglio al quale aggrapparsi per continuare la nostra quotidiana peregrinazione.
Se il funeral doom ha la funzione di esacerbare il dolore fino al raggiungimento di una sorta di catarsi, la dark/death ambient non lacera l’anima ma la corrode lentamente, lasciando un senso di disorientamento, molto somigliante a ciò che si prova quando si ha hanno cattivi presentimenti senza che ciò venga provocato da fatti oggettivi; la musica di Empty Chalice è un qualcosa che si insinua nelle coscienze restando a lungo silente, per poi manifestarsi all’improvviso ravvivando le nostre inquietudini.

Tracklist:
1.Unholy Light
2.Treblinka’s Snow
3.Qva Resvrget Ex Favilla
4.Rest in Pain
5.Mother Destruction

Line-up:
Antonine A.

EMPTY CHALICE – Facebook

Temple Koludra – Seven! Sirens! To a Lost Archetype

Un’ora di discesa negli antri più bui, dove il metal estremo di matrice black si impregna di misticismo indiano nel suo discendere negli oscuri antri di un tempio dimenticato in cui leggende e storie si tramandano da millenni.

Duo dedito ad un ferale black metal che non disdegna atmosfere ambient, i Temple Koludra esordiscono sulla lunga distanza con Seven! Sirens! To a Lost Archetype, lavoro che arriva dopo un paio di ep distanti sei anni uno dall’altro.

M:W, polistrumentista, e I.H. alla voce sono i sacerdoti di questo rituale estremo, oscuro e terrificante che trova la sua forza nelle ispirazioni di matrice scandinava nella parte più metallica della propria musica, soggiogata e manipolata in favore di un’aura atmosferica che valorizza gran parte dell’album.
Un’ora di discesa negli antri più bui, dove il metal estremo di matrice black si impregna di misticismo indiano nel suo discendere negli oscuri antri di un tempio dimenticato in cui leggende e storie si tramandano da millenni.
Il sound ha nelle parti atmosferiche il suo punto di forza, ma non manca di cavalcate dal crescendo di maligna brutalità: Vanja, Namarupa e la conclusiva White I Trance sono le tracce che lasciano il segno in questa ora di musica estrema che trova nel black metal mistico ed oscuro la sua massima espressione.

Tracklist
1.Trimurti
2.Vajra
3.Grey Apparition
4.Namapura
5.This Diadem Will Last
6.Vertigo
7.White I Trance

Line-up
M:W – All instruments
I.H. – Vocals

TEMPLE KOLUDRA – Facebook

A Swarm Of The Sun – The Woods

Non sono suoni per tutti, è musica che parla ad anime che sanno agire dentro la sconfitta, ma è qualcosa di davvero valido e sentito, musica che è sentimento e vita, sangue vivo che scorre lentamente e fa uscire il calore.

A volte si ascoltano cose che ti lasciano qualcosa dentro, e rarissime volte si sente un disco che in pratica parla di cosa vivi o di cosa provi.

Questo lavoro del duo svedese A Swarm Of The Sun per ognuno può essere una cosa diversa, è un disco aperto a tutto, un libero fluire della coscienza di due persone che incontra altri flussi simili ed entrano in sintonia. La coppia parte dal post rock per arrivare all’ambient, ma soprattutto creano atmosfere basse, ansiogene, si è costantemente in pericolo, la salvezza è lontana, è un requiem che suona per noi. Le canzoni sono tre e misurano ognuna più di tredici minuti, sono delle suite che si sviluppano perfettamente, tre sogni che sospendono il tempo durante l’ascolto. A Swarm Of The Sun sono giunti al quarto album, sono un gruppo conosciuto ed apprezzato e portano avanti la via scandinava al post rock, che è una cosa diversa poiché incontra in maniera importante l’ambient, soprattutto nella composizione delle canzoni. La calma di alcuni momenti è ancora più terribile, il suono rarefatto del gruppo incide l’anima e ci fa tornare indietro a pensieri antichi. Si comincia ad ascoltare la canzone e non si riesce a smettere, come quando sei sotto ad un temporale e ti stai bagnando ma non puoi farne a meno. Non sono suoni per tutti, è musica che parla ad anime che sanno agire dentro la sconfitta, ma è qualcosa di davvero valido e sentito, musica che è sentimento e vita, sangue vivo che scorre lentamente e fa uscire il calore. Le soluzioni musicali del gruppo sono molteplici e tutte molto ben approfondite, non c’è nessuna derivazione, è tutto originale. Per capire, ci sono momenti nei quali ricordano alcune atmosfere dei Radiohead, soprattutto quelle in cui l’ascoltatore capisce in profondità cosa vogliono dire e ne è partecipe. Quando entra la voce nella terza canzone è davvero difficile non piangere lacrime di consapevolezza. Un disco che come un acido ad ognuno farà un effetto diverso, ma che è oggettivamente meraviglioso.

Tracklist
1.Blackout
2.The Woods
3.An Heir to the Throne

Line-up
Erik Nilsson
Jakob Berglund

A SWARM OF THE SUN – Facebook

Cameraoscura – Quod ESt Inferius

Quod Est Inferius va ben oltre la musica, è esso stesso un simbolo che rimanda alla tradizione e alla sapienza.

Cameraoscura è un progetto di dark ambient e molto altro, che esce per una delle migliori etichette di controcultura in Italia, la Toten Schwan.

Quod Est Inferius indaga ciò che è più in profondità, è una massima ermetica che da il titolo a questo disco spiegando molto bene di cosa si tratti. Questa è musica di continua ricerca, di un andare oltre i generi e la forma canzone, per riattivare qualcosa dentro di noi che la modernità ha chiuso. L’alchimia è più di una scienza, è il codice sorgente della realtà, di ciò che vediamo e di ciò che non vediamo, ma soprattutto è la chiave per capire noi stessi e per ricercare le connessioni che abbiamo con ciò che ci circonda. Ci si perde in maniera molto piacevole dentro questo disco, che proviene e va oltre la tradizione della dark ambient ermetica italiana. La peculiarità di Cameraoscura è quello di riuscire a rendere in maniera inedita i suoni che di solito in altri ambiti sono pesanti e dissonanti. L’ottima produzione ci fa interagire al meglio con questo ottimo progetto, e i suoni ora lievi ora più grevi penetrano con molta naturalezza dentro al nostro essere, pervadendolo e portandolo in un altro luogo. Il disco segue il processo alchemico, e qui dal bandcamp della Toten Schewein troviamo la necessaria descrizione: “In un’oscura e putrescente Nigredo i suoni ribollono nel calderone alchemico (ATANOR), fino ad acquisire forma e struttura dietro le quali si cela un’essenza che si manifesta in seguito a un percorso di ricerca e conoscenza (V.I.T.R.I.O.L.). Essenza che non rifulge di aureo splendore bensì rimane nera, carica di una forza annichilente che si sprigiona in maniera (anti) catartica distruggendo (ATTERA), dissolvendo (SOLVE) fino all’ultimo, tonante battito del cuore di questa mostruosa chimera senza volto (ULTIMA NECAT).”
Nessuna descrizione può rendere come l’ascolto del disco, l’immergersi in suoni così evocativi, eterei e medioevali nella loro essenza e soprattutto nella loro simbolicità musicale. Il simbolo nel Medioevo rivestiva un’importanza immensa, serviva ad indirizzare in silenzio la ricerca, e qui i simboli musicali ci portano dove altrimenti sarebbe difficile spiegare a parole o con verba scripta. Quod Est Inferius va ben oltre la musica, è esso stesso un simbolo che rimanda alla tradizione e alla sapienza. Possiede vari livelli ed è presente anche quello meramente musicale, che è ottimo, ma è solo un particolare di un insieme composto anche da cose invisibili. Questo lavoro è anche l’occasione per conoscere il bellissimo catalogo della Toten Schwan, controcultura di alto livello.

Tracklist
1.ATANOR
2.ADMIXIO
3.V.I.T.R.I.O.L.
4.INTERITUS
5.ATTERA
6.SOLVE
7.ULTIMA NECAT

CAMERAOSCURA – Facebook

Liles/Maniac – Darkenig Ligne Claire

Il lavoro è un’esperienza sonora che ottiene un software differente usando due codici sorgenti diversi, quello del black metal e quello dell’elettronica libera.

Dimenticate totalmente il concetto di musica tradizionale, perché qui non è affatto presente.

Questa è musica totalmente sperimentale e di avanguardia, un uso di due linguaggi musicali differenti da fondere assieme e da ampliare ulteriormente in una maniera inedita. Sven Erik Fuzz Kristiansen aka Maniac è un veterano della scena black norvegese, ha anche cantato nei Mayhem durante i periodi 1986-88 e 1995-2004, quando il batterista Hellhammer decide di far rivivere i Mayhem dopo la morte dei membri Euronymous e Dead. Ha poi collaborato con Wurdalak e Bomberos, per poi fondare il gruppo Skitliv con Kvarforth, meglio conosciuto come Shining. L’altra metà di questo disco è il produttore polistrumentista nonché rumorista accanito Andrew Liles, che nella sua lunga carriera ha collaborato con i Nurse With Wound, i Current 93 e tantissimi altri, impossibile menzionarli tutti qui. Questo lavoro non è la prima collaborazione fra i due, dato che si incontrano per la prima volta durante l’edizione 2008 del Roadburn Festival curata da David Tibet (sempre lui), Liles viene successivamente invitato a unirsi alla line up dei Sehnsucht, una band fondata da Kristiansen, Ingvar e Vivian Slaughter. Una traccia di questa esperienza è l’album Wurte, registrato nel 2010. Liles e Kristiansen mantengono vivo il loro dialogo creativo fondando la band Svart Hevn e occasionalmente suonando dal vivo sia come Svart Hevn che come duo Liles/Maniac. Darkening Ligne Claire è tante cose diverse ma fondamentalmente è un disco di droni creati rimaneggiando la voce di Maniac, suoni elettronici totalmente disarmonici quassi fosse un dub in ecstasy del black metal. Il tutto nasce dalla visione delle fotografie di Christophe Szpajdel: qui la melodia non esiste e la furia del black si disperde negli eoni di una narrazione che è ancora più paranoica di quella originale. Il tutto è molto interessante e potrebbe essere la migliore colonna sonora possibile per un videogioco come Quake, con atmosfere tenebrose ma anche spaziali. Il lavoro è un’esperienza sonora che ottiene un software differente usando due codici sorgenti diversi, quello del black metal e quello dell’elettronica libera. Un mondo che viene scoperto da Liles e da Maniac e che è ancora da esplorare totalmente.

Tracklist
I – EMPEROR
II – ENTHRONED
III – FLAGELLUM DEI
IIII – SLAUGHTER MESSIAH
IIIII – SOULBURN
IIIIII – WOLVES IN THE THRONE ROOM
IIIIIII – NOCTUARY

The Magik Way & Malvento – Ars Regalis

Ars Regalis va ben oltre la somma dei valori (già molto consistenti) dei due gruppi coinvolti, perpetuando nel migliore dei modi la tradizione musicale di matrice esoterico/occulta che vede l’italia sicuramente tra le nazioni guida.

E’ davvero molto difficile parlare di lavori come questo che riunisce due realtà, a loro modo uniche, della scena musicale italiana come The Magik Way e Malvento.

Questo perché, se già l’approccio stilistico mostra tratti non comuni alla luce di una vis sperimentale che rende arduo l’inserimento in uno specifico genere di una tale offerta, un aspetto tutt’altro che secondario (anzi) è costituito da testi profondamente intrisi di quell’esoterismo al quale tutti i musicisti fanno capo.
Nello specifico, parliamo di quell’entità denominata L’Ordine della Terra, la cui anima è la dottoressa Roberta Rossignoli, la quale ha contribuito anche alla stesura dei testi in tre dei quattro brani.
Tutto questo rende Ars Regalis molto più di un semplice album rispetto al quale poter disquisire sull’aspetto prettamente musicale perché, ovviamente, quello concettuale in simili casi diviene pressoché preponderante e immergersi in certe tematiche senza possederne le conoscenze necessarie sarebbe un imperdonabile atto di presunzione.
A tale riguardo, pertanto, mi limiterò a dire che anche per i non iniziati sicuramente il contenuto lirico riveste un fascino al quale difficilmente si può restare indifferenti, e non è affatto escluso che molti, semmai, possano essere spinti ad approfondire tali tematiche, il cui rivestimento musicale diviene l’ideale strumento divulgativo.
Per il resto va specificato che, nonostante le apparenze esteriori, questo non è un classico split album bensì una collaborazione che vede The Magik Way e Malvento fondersi in una sola entità, scambiandosi le parti a livello esecutivo e compositivo. Del resto, parlando due anni fa di Pneuma, ultimo lavoro della band campana, avevo fatto cenno delle affinità proprio con la band fondata da Nequam a metà degli anni novanta, e Ars Regalis finisce per essere una sorta di naturale punto di confluenza tra due maniere oblique e peculiari di intendere una materia musicale che prende le mosse dal black metal per approdare, infine, ad una affascinante forma in costante divenire.
Tutto ciò rende l’album un qualcosa di unico, qualora non bastassero tutti gli elementi precedentemente descritti, in quanto le sonorità dark esibite nelle quattro tracce ammaliamo, ipnotizzano e comunque sia non possono lasciare indifferente alcun ascoltatore. Va detto che il lavoro cresce progressivamente in intensità per toccare il suo apice in un brano come Babalon Iridescente, il più composito musicalmente ed il più criptico a livello lirico, con il mantra conclusivo che resta a lungo impresso nella mente (come felce, come fiera, come muschio al calar della sera).
Ars Regalis va ben oltre la somma dei valori (già molto consistenti) dei due gruppi coinvolti, perpetuando nel migliore dei modi la tradizione musicale di matrice esoterico/occulta che vede l’italia sicuramente tra le nazioni guida.

Tracklist:
1. Malvento – V.I.T.R.I.O.L. (Lyrics by R. Rossignoli, music by The Magik Way)
2. Malvento – Eterno (Lyrics & music by Malvento)
3. The Magik Way – Secondo Natura (Lyrics by R. Rossignoli, music by The Magik Way)
4. The Magik Way – Babalon Iridescente (Lyrics by Nequam, music by Malvento)

Line-up:
Zin: bass & vocals
Lutrum: keyboards, synth
Nequam: vocals, bass
Azàch: drums & percussions
Nefastus: guitars
Incinerator: drums
Tlalocàn: double bass, noises
Maniac of Sacrifice: guitars
Gea Crini: female vocals

Gandalf’s Owl – Who’s The Dreamer?

Con questa prova il musicista siciliano dà riprova del suo eclettismo, dote assolutamente dai connotati positivi ma che in futuro andrebbe maggiormente incanalata per evitare di disperdere in qualche rivolo di troppo un sound decisamente pregevole.

Dopo l’esordio di qualche anno fa ritroviamo Gandolfo Ferro, vocalist degli Heimdall, alle prese con il suo progetto solista Gandalf’s Owl.

Rispetto a quell’ep, dal quale vengono riprese comunque due tracce (Winterfell e White Arbour (…The North Remembers), c’è di sicuro un elemento nuovo che è l’utilizzo della voce in alcuni brani, cosa in effetti desueta per opere di matrice ambient. Ferro ovviamente non utilizza per lo più i toni stentorei esibiti in ambito power (fa parzialmente eccezione solo A Dwarf In The Lodge Pt2) ma offre uno stile più soffuso ed adeguato al contesto.
Il lavoro oscilla tra tracce ambient tout court ai confini del rumorismo (Garmonbozia) o altre che evocano scenari naturalistici, tra voli di gabbiani e sciabordio delle onde (White Arbour), ed episodi in cui si evince un’anima più spiccatamente prog, grazie soprattutto ad un elegante e gilmouriano lavoro chitarristico senza che vengano tralasciate incursioni elettroniche.
Discorso a parte merita la cover del capolavoro de Le Orme, Il Vento, La Notte, Il Cielo, molto ben eseguita e a mio avviso opportunamente arrangiata in modo da non apparire pedissequamente uguale all’originale, a rimarcare l’impronta progressive fornita al disco in più frangenti.
Spingendosi su una distanza più probante, Ferro lascia fluire in manie ancor più libera la propria naturale ispirazione e questo lo porta talvolta a sconfinare, nel senso che arrivati al termine di un album comunque decisamente ben riuscito, non si capisce però se sia ascoltato un lavoro di matrice ambient dalla spiccata indole progressive, o viceversa; ammesso che tutto ciò sia un difetto, resta il fatto che l’unico problema di Who’s The Dreamer? È la sua difficile catalogazione anche se, considerando il comune bacino di utenza a cui il lavoro è rivolto, tutto sommato i suoi contenuti dovrebbero mettere d’accordo più persone.
Con questa prova il musicista siciliano dà riprova del suo eclettismo, dote assolutamente dai connotati positivi ma che in futuro, a mio avviso, andrebbe maggiormente incanalata per evitare di disperdere in qualche rivolo di troppo un sound decisamente pregevole.

Tracklist:
1. Winterfell
2. A Dwarf In The Lodge Pt1
3. A Dwarf In The Lodge Pt2
4. Garmonbozia
5. Between Two Worlds
6. White Arbour (…The North Remembers)
7. Sunset By The Moon
8. Coming Home
9. Il Vento, La Notte, Il Cielo (cover LE ORME)

Line Up:
Gandolfo Ferro: all instruments
Guests:
Gaetano Fontanazza:
Guitar Ambient, Keys & Tibetan Bells on tracks 1-2-3-7
Tony Colina: Keys & Organs on tracks 5-7-9

GANDALF’S OWL – Facebook

 

Anacleto Vitolo – Obsidian

Obsidian è uno studio compiuto in totale mancanza di atmosfera, un carpire rumori ed umori terreni, una continua scoperta sonora.

Nuovo lavoro per uno dei migliori esploratori sonori che abbiamo in Italia, Anacleto Vitolo.

Anacleto ha prodotto moltissimi lavori, ha dato vita e portato avanti svariati progetti, tutti con il fine di esplorare le possibilità offerte dalla musica elettronica. Quest’ultima nelle sue mani assume significati altrimenti inediti, poiché Vitolo concepisce la musica elettronica come continua spinta in avanti, inevitabile pulsione creativa frammista anche alla ricerca tecnologica. Obsidian è il capitolo più recente del suo viaggio, ed è un po’ la summa del lavoro fino a qui compiuto. Innanzitutto narrazione, esposizione delle trame più fitte degli elementi naturali, microscopio sonoro che va a ricercare le cose più minute, confermando quella congiunzione che ha fin dal titolo con il mondo minerale legandosi al sotterraneo. Il nascosto, il terreno, l’umido minerale sono concetti molto importanti per penetrare Obsidian, che è come una recondita vibrazione che giunge dalle profondità della terra, e il musicista è un medium che le traduce per noi. Ambient, dark ambient, glitch, idm, e in minima parte techno per un affresco musicale ricchissimo. Anzi qui si va oltre il concetto di musica come la conosciamo e come siamo pigramente abituati a considerarla, nel senso che si richiede una grande apertura mentale. Obsidian è uno studio compiuto in totale mancanza di atmosfera, un carpire rumori ed umori terreni, una continua scoperta sonora. Uno dei tanti pregi di Vitolo è quello di legare in maniera strutturata e credibile ciò che sarebbe incredibile ed insopportabile in altre mani, non troncando il mistero e la meraviglia ma almeno ne contorna benissimo i riquadri. Qui la geometria è assai importante, questa esperienza sonora sembra venire fuori dall’antica scuola esoterica pitagorica, dato che si mostrano forme e legami per rimandare ad un significato nascosto e che deve essere colto e compreso. I suoni infiniti che Anacleto modula sono le risultanze fisiche di ciò che non possiamo vedere ma che compone il nostro universo fisico e spirituale. Obsidian è una ricerca sonora bellissima e avanzatissima come tutte quelle fino a qui compiute da Anacleto, e si pone molto in alto nella sua già ottima discografia. Inoltre Vitolo, e come poteva essere altrimenti, è un fiero metallaro come tutti noi.

Tracklist
1 Obsidian
2 Graphite
3 Quartz
4 Coil
5 Spire
6 Membrane
7 Amethyst
8 Carbon

ANACLETO VITOLO – Facebook

Petrolio – L + Esistenze

Musica che si raccoglie in cristalli che mutano in continuazione, per un’opera che mancava da tempo nel panorama italiano, un qualcosa di grande profondità e ricerca musicale, fatta con tanti musicisti eccezionali e prodotta grazie ad una cospirazione do it yourself.

Il nuovo disco di Petrolio, aka Enrico Cerrato già bassista degli Infection Code, è un contenitore di vite musicali, esistenze terrene e viaggi onirici.

Petrolio ha esordito nel 2017 con il disco Di Cosa Si Nasce, l’inizio di un progetto ben preciso, una grande mappa di rumori ed emozioni, dove l’uomo è misura di tutte le cose che possono essere suonate. Da tempo mancava in Italia un produttore con questa cifra, un musicista che si mette in gioco prima fra le proprie mura domestiche e poi si mette insieme ad altri che la vedono come lui per continuare il viaggio. Questo disco presenta diverse visioni nate da diverse esistenze messe assieme, accomunate da un comune sentire della musica e da una totale originalità di ogni visione. Petrolio è il minimo comune denominatore, al quale si aggiungono molti ospiti tutti davvero d’eccezione e di grande resa, come Jochen Arbeit (Einstürzende Neubauten , Automat , AADK , Soundscapes ), Fabrizio Modonese Palumbo (( r ), Almagest !, Blind Cave Salamander , Coypu , Larsen , XXL ), Aidan Baker ( Nadja ), Sigillum S, MaiMaiMai e N Ran, veramente fra il meglio della scena noise elettronica. Praticamente inutile tentare di rinchiudere in qualche genere musicale ciò che viene fuori da questo lavoro, che è uno grande sforzo perfettamente compiuto, poiché riesce a coniugare diverse visioni e soprattutto da vita ad un grande disco, che si avvicina ai territori dark ambient, power electronics, ed elettronica altra ma va oltre, molto oltre. Il disco esce sia in vinile che in cassetta, e ha due tracklist differenti, in maniera che per avere il lavoro completo si devono avere entrambi i formati. Ogni pezzo ha un grande valore, ogni canzone suscita differenti emozioni, in un rimbalzo continuo fra cuore e cervello, reni e chakra, con continue vibrazioni di corpo e mente, perché tutto è collegato. Musica che si raccoglie in cristalli che mutano in continuazione, per un’opera che mancava da tempo nel panorama italiano, un qualcosa di grande profondità e ricerca musicale, fatta con tanti musicisti eccezionali e prodotta grazie ad una cospirazione do it yourself di diverse etichette.

Tracklist Vinyl/ Digital
1 Ne Tuez Pas Les Anges (Petrolio + Aidan Baker)
2 La Maladie Connue (Petrolio + Sigillum S)
Scindere 2 animes (Petrolio + Jochen Arbeit)
3 Fish Fet (Petrolio + MaiMaiMai)
4 L’eterno Non E’ Per Sempre (Petrolio + Fabrizio Modonese Palumbo)
5 Ceralacca E Seta (Petrolio + Naresh Ran)

Tracklist Tape/Digital
1 Heilig Van Blut (Petrolio + Aidan Beker)
2 Peregrinos De Almas (Petrolio + Sigillum S)
3 Wood And The Leaf Rite (Petrolio + Jochen Arbeit)
4 Cut The Moon (Petrolio + MaiMaiMai)
5 Ojos Eyes And L’Ecoute (Petrolio + Fabrizio Modonese Palumbo)
6 Vuoto A Perdre (Petrolio + Naresh Ran)

Line-up
Enrico Cerrato: synth, chitarra, elettronica
Fabrizio Modonese Palumbo: viola elettrica, chitarra, ebow.
 (Registrato da Paul Beauchamp presso l’O.F.F. Studio Torino).
Aidan Baker: chitarra, basso, occult noises
Sigillum S: piano, synth, noises, fool rhithms
Jochen Arbeit: chitarra fx
MaiMaiMai: machines e distorsioni
Naresh Ran: voce, testi, noises

PETROLIO – Facebook

Mortiis – The Song Of A Long Forgotten Ghost

Nel 1993 questo demo era un unicum nel panorama musicale estremo ed ha folgorato più di una mente, tanto che ancora adesso se ne parla molto rivestendo una grande importanza per molti, musicisti e non.

Continua la riproposizione delle perle dimenticate della prima era della carriera di Mortiis, la mitica entità musicale norvegese che sta vivendo un intenso periodo dopo anni di bassa frequenza.

The Song of a Long Forgotten Ghost fu pubblicato come demo nel lontano 1993, formato da una traccia unica figlia di una visione e che si dipana per oltre cinquanta minuti di organo, percussioni e poco altro, un qualcosa di molto esoterico ed affascinante. Questa ristampa vede per la prima volta il demo rimasterizzato, che ci rende l’autentica atmosfera che voleva offrire Mortiis.
L’ipnosi che induce questa musica è qualcosa che viene da molto lontano, dai più profondi recessi del nostro cervello, quasi come voler ritornare a sensazione che pensavamo perdute. Questo lavoro è molto importante per il sottogenere chiamato dungeon synth, che è un prodotto della fascinazione per il medioevo ed è principalmente composto da linee di organo e tastiere. Questo strano codice musicale è molto di nicchia, ma è estremamente interessante, e qui Mortiis ne dà uno dei suoi esempi migliori. Il talento musicale del norvegese mostra la via a quelli che verranno dopo, ma produce anche un lavoro davvero valido e completo, non di facile fruizione ma da ascoltare attentamente.
The Song of a Long Forgotten Ghost è un sogno, un vedere oltre i nostri sensi, un lungo viaggio fra cripte impolverate e sepolcri, fra neve e sangue che cola da pietre che hanno visto mille battaglie. Lo scopo di questa musica è di trascinare l’ascoltatore in uno spazio tempo differente, connotato dalla fisica e dai suoni dell’antichità, ed è totalmente avulso da qualsivoglia concetto di modernità. Nel 1993 questo demo era un unicum nel panorama musicale estremo ed ha folgorato più di una mente, tanto che ancora adesso se ne parla molto rivestendo una grande importanza per molti, musicisti e non. E’ un piacere vederlo in una nuova veste, con il suono riportato alla luce e con la nuova copertina frutto del grande lavoro di David Thierree, che ha espanso il concetto iniziale di Mortiis. Un ascolto non per tutti, ma che lascerà estasiato chi ama certe atmosfere.

Tracklist
1 The Song Of A Long Forgotten Ghost

MORTIIS – Facebook

MZ.412 – In Nomine Dei Nostri Satanas Luciferi Excelsi

La bellezza di In Nomine Dei Nostri Satanas Luciferi Excelsi è il fascino malato e decadente del satanismo e di anime e vite perdute, di ritmi sincopati che si spezzano per far entrare momenti molto vicini al black metal, attimi di rabbia di demoni che invocati non vogliono tornare nelle loro dimensioni.

Un vero e proprio rituale che usa la musica come mezzo per chiamare spiriti da altre dimensioni.

Gli svedesi MZ.412 sono stati uno dei gruppi di maggior spicco della Cold Meat Industry, una fra le migliori etichette mondiali di elettronica e musica altra. La Concilium Records farà uscire a gennaio 2019 la ristampa di questo capolavoro di dark black metal ambient originariamente uscito nel 1995 e diventato molto più di un classico, essendo un apripista per un sottogenere che ora frequentano in molti. L’evoluzione dei MZ.412 fu costante, partendo da un’elettronica ambient oscura e tenebrosa per immergersi in un tenebra ancora più profonda, con questo lavoro che è una vera e propria invocazione a Satana, cosa molto semplice, poiché basta descrivere l’inferno che è la nostra società odierna. Come detto poc’anzi questa è musica totalmente rituale, fatta da una dark ambient di eccelsa qualità che precipita l’ascoltatore in molti ambienti diversi, dall’apocalisse ad una cripta sottoterra, da un momento di relativa calma ad una frequenza che ronza nel cervello di non morti. Ascoltando questo lavoro ognuno si farà la propria idea, dato che questa musica evocatrice differisce da soggetto a soggetto, ma qui dentro c’è tanto male, dolore ed ansia, e se ascoltata ad lato volume questa musica diventa un qualcosa che ci entra dentro, pur essendo già insita in noi. La bellezza di In Nomine Dei Nostri Satanas Luciferi Excelsi è il fascino malato e decadente del satanismo e di anime e vite perdute, di ritmi sincopati che si spezzano per far entrare momenti molto vicini al black metal, attimi di rabbia di demoni che invocati non vogliono tornare nelle loro dimensioni. Sangue, lussuria, morte e vita che non è vita, il tutto raccontato in maniera quasi perfetta con un’elettronica che incrocia tantissime cose ed è figlia di una certa industrial inglese degli anni ottanta, specialmente di quella più maledetta. Non c’è salvezza o speranza, c’è solo l’adorazione di un angelo caduto che è quello che meglio ci rappresenta. Un capolavoro della dark ambient che rivede la luce, testimonianza di un tempo dove la creatività musicale era molto maggiore, e i risultati molto migliori. Preparatevi al rito.

Tracklist
1 In Nomine Dei
2 Salvo Honoris Morte
3 Necrotic Birth
4 Black Earth
5 Daemon Raging
6 God Of Fifty Names
7 Regie Satanas
8 Paedophilia Cum Sadismus
9 Hail The Lord Of Goats

MZ.412 – Facebook

Reptilicus & Senking – Unison

Reptilicus e Senking scrivono una pagina importante dell’elettronica più oscura e di avanguardia, ma che ha un nucleo molto classico. Sintetizzatori che vibrano formulando sogni per androidi che sono già qui fra noi, e anche musica tribale, la ripetitività di suoni antichi ormai andati persi.

Questo disco è il frutto di un incontro, di una comunione di intenti e di una session in uno studio storico come il Grant Avenue Studio in Hamilton Ontario, usato ai tempi da Brian Eno e Daniel Lanois per la loro serie di dischi ambient.

Anche qui c’è un grandissimo uso di sintetizzatori, e l’atmosfera è davvero particolare, per un’elettronica che ha una traiettoria molto diversa dal normale. Tutto comincia nel novembre 2011, quando Reptilicus, Senking (Raster-Noton), Rúnar Magnússon e Orphx dividono il palco di un concerto organizzato da Praveer Baijal, fondatore dell’etichetta di Toronto Yatra – Arts. Il concerto era stato organizzato per celebrare la prima uscita di Reptilicus dopo anni, il 7” Initial Conditions, che conteneva un remix di Senking sul lato b. Inoltre a loro si aggiunge William Blakeney, produttore esecutivo del documentario sui sintetizzatori modulari Dreams Of Wire, che era in produzione in quel momento. La session prende quindi vita, e vengono messi a disposizione di questi sciamani elettronici vari sintetizzatori modulari di tutte le epoche, come l’ EMS Synthi A, ARP 2600 + sequencer, Moog 15, Minimoog, Roland System 100 + sequencer, e la P-synth, una macchina che fa droni costruita by Guðlaugur Kristinn Óttarsson dei Gopskrit. In mezzo a tutte queste elettroniche bellezze i nostri si sentono come in paradiso, e con Runar Magnusson come terzo membro producono questo Unison, che è una bellissima e straripante esplorazione di ciò che può essere l’elettronica alternativa a quella di massa. I suoni che potete sentire qui vengono da una ricerca musicale profonda e necessaria, che è in continua progressione e non si ferma mai. Le algide e bellissime note che escono fuori da queste macchine dipingono un mondo che è assai diverso da un qualcosa fatto esclusivamente per vendere, mentre qui c’è il cuore pulsante dell’elettronica intessa nel suo senso più ortodosso ed innovatore al tempo stesso. Reptilicus e Senking scrivono una pagina importante dell’elettronica più oscura e di avanguardia, ma che ha un nucleo molto classico. Sintetizzatori che vibrano formulando sogni per androidi che sono già qui fra noi, e anche musica tribale, la ripetitività di suoni antichi ormai andati persi. Un lavoro molto credibile e di grande sostanza, che vede l’importante tocco al mixer di Bob Doidge già con Crash Test Dummies e Cowboy Junkies. Il massimo per chi ama sintetizzatori di una certa età, ed un’elettronica senza compromessi.

Tracklist
1.Steep Turns
2.Delivery
3.Inner Fish
4.Fog Frog
5.For Decades
6.Shiver
7.Independent Access to White Noise

La Tredicesima Luna – Oltre l’ultima onda del mare

Una forma di ambient dalle sonorità rarefatte, che ben si addicono al tema acquatico evocato dal titolo dell’album e di quelli dei brani che lo compongono.

A poco meno di un anno di distanza ritroviamo Matteo Brusa alle prese con il secondo capitolo del suo progetto ambient La Tredicesima Luna.

Oltre l’ultima onda del mare, così come il precedente Il Sentiero degli Dei, si discosta dal dungeon synth che ha dato una certa notorietà al musicista milanese con il monicker Medhelan; qui troviamo, infatti, una forma di ambient dalle sonorità rarefatte, che ben si addicono al tema acquatico evocato dal titolo dell’album e di quelli dei brani che lo compongono.
In effetti, viene naturale chiudendo gli occhi immaginare imbarcazioni muoversi lentamente in mare aperto circondate solo da sconfinate distese di acqua grazie ai minimali tocchi tastieristici inseriti su un avvolgente sottofondo atmosferico.
Entrambe le tracce, vicine al quarto d’ora di durata, si snodano morbidamente prefigurando un mare placido, dal moto ondoso ridotto o quasi nullo, sul quale le prue scivolano dolcemente verso una metà indefinita, anche se va detto che nella sua seconda metà La solitudine del mare infinito si impenna improvvisamente per poi placarsi nuovamente nel finale, quasi che la speranza di scorgere una terra emersa venga definitivamente frustrata dall’albeggiare che mostra solo orizzonti illimitati.
Quellla di Brisa è un’altra ottima prova da parte di un musicista che prova nuovamente a spingersi oltre lo schema  consolidato che gli ha fornito buoni consensi; l’ambient de La Tredicesima Luna è senza dubbio rivolto ad un pubblico più selezionato, ma la sua qualità lo renderà sicuramente foriero di ulteriori e meritate gratificazioni per il suo autore.

Tracklist:
1. Le terre a ovest
2. La solitudine del mare infinito

Line-up:
Matteo Brusa

LA TREDICESIMA LUNA – Facebook

Postcards From Arkham – Spirit

L’aria in questo lavoro è differente, si respira a pieni polmoni grazie a musica composta con cura e talento, per un disco che raggiunge il cuore e ci porta a stupirci nuovamente della musica, finalmente dei suoni che ci rendono la vita migliore.

Ritorna l’ottimo gruppo ceco Postcards From Arkham, che offre musica progressiva misteriosa e malinconica ispirandosi a H.P. Lovecreaft, nume immenso e tutelare di chi nelle tenebre vede meglio che nella luce piena.

Spirit è il loro ultimo lavoro ed è come sempre un piccolo grande capolavoro. Partendo dai capisaldi della letteratura lovecraftiana il disco si snoda attraverso una struttura onirica, con musiche progressive che si adattano alle situazioni da raccontare, con una voce che ci sussurra e ci racconta storie che vengono da lontano, o forse dalla foresta più vicina. Ascoltando Spirit si viene pervasi da un senso di ricongiungimento a qualcosa da cui eravamo lontani, prigionieri delle nostre false convinzioni e delle nostre assurde sicurezze. Rispetto agli altri loro dischi, che consigliamo tutti molto caldamente, Spirit è ammantato da bellissime percussioni che punteggiano i momenti più importanti, rinforzando melodie che sono particolari ed originali di questo gruppo, che è una vera gemma nascosta dell’underground europeo. Lo scopo di questo lavoro è quello di far innalzare per qualche tempo la nostra anima ascoltando questi suoni che sono magici, oscuri ma positivi, hanno dentro il post rock e suoni etnici, qualcosa del neofolk e tanto di sognante e mesmerico. Musicalmente sono sempre stati un gruppo molto avanti, ma qui si superano ed innalzano ad un livello superiore la loro musica, raggiungendo vette molto alte, infatti l’ultima bellissima traccia del disco si intitola per l’appunto Elevate. L’aria in questo lavoro è differente, si respira a pieni polmoni grazie a musica composta con cura e talento, per un disco che raggiunge il cuore e ci porta a stupirci nuovamente della musica, finalmente dei suoni che ci rendono la vita migliore. I Postcard From Arkham finalizzano il loro percorso di maturazione con un’opera molto importante e dai grandi contenuti che si pone al di là dei generi.

Tracklist
1. One world is not enough
2. From the bottom of the ocean
3. Owls not what they seem
4. 2nd of april
5. Thousand years for us
6. Polaris
7. My gift, my curse
8. Elevate

POSTCARDS FROM ARKHAM – Facebook

?Alos – The Chaos Awakening

Questo lavoro è l’esatto contrario di linearità, si avvicina per sommi capi a qualcosa che possiamo chiamare dark ambient, ci sono loop e droni ma tutto ciò è davvero oltre la musica, è come entrare in una foresta di notte in acido.

Venti minuti di un antico rituale messo in musica, suggestioni, rumori e suoni che provengono da un’altra dimensione, da un tempo nel quale l’umanità aveva una composizione fisica che si legava direttamente agli elementi naturali e non al silicio o ad una scheda madre.

?Alos è una sciamana che opera e ha operato con OvO e con Allun, e ora sta continuando la sua avventura solista. Parlare di musica è davvero superfluo in questo caso perché si va molto oltre essa, si entra in un portale dove tutto è ciò che sembra solo se si decide di essere altro da sé, come ?Alos, che ha registrato questa performance dal vivo a Valico Terminus a Ramiseto, un’azienda agricola e casa rurale per artisti sita in un crocevia fra Emilia Romagna e Toscana, dove si incontrano molte forze, come ci insegnavano gli antichi.
?Alos dopo aver trattato la Terra e L’Aria, passa ora a descrivere l’Acqua ed il Fuoco, con questa traccia unica che esplora molti tipi di femminino diversi, perché la storia dell’uomo, e soprattutto della donna, non è andata come ce la raccontano, è molto più complessa e conflittuale, e molto probabilmente non la conosceremo mai. Il titolo The Chaos Awakening dice già moltissimo sulla struttura e sulle intenzioni di Stefania Pedretti, perché pur senza adorare il caos lo descrive come unica via possibile di vita, partendo dalla profonda convinzione che non siamo affatto perfetti, ma che dobbiamo saper rapportarci a forze molto più grandi di noi e che abbiamo lasciato sopite per troppo tempo, convinti che la conoscenza scientifica lo avrebbe fatto fuggire. Questo lavoro è l’esatto contrario di linearità, si avvicina per sommi capi a qualcosa che possiamo chiamare dark ambient, ci sono loop e droni ma tutto ciò è davvero oltre la musica, è come entrare in una foresta di notte in acido. L’ultimo disco di ?Alos è fortemente catartico perché risveglia qualcosa dentro di noi che è dormiente ma che è innato, e che è stato spezzato da questa supposta superiorità del moderno rispetto all’antico visto e vissuto come un’epoca oscura e disagiata, mentre il domani non è quasi mai esistito per l’uomo; la Signorina Alos è qui per ricordarci che siamo come sopra è sotto, e che il caos è sempre in agguato.

Tracklist
1. The Chaos Awakening

Line-up
?Alos – Vocals, flute, modular synthesizer,
The Chaos Scepter, bells and other vietnamese instruments –

?ALOS – Facebook