Landmvrks – Fantasy

Il disco è una prova molto matura e che esplora a fondo le tante facce del gruppo che, a seconda di cosa vuole esprimere cambia registro musicale, passando dalla potenza di un metalcore molto veloce ad un post hardcore molto melodico o da qualcosa di più hardcore a momenti di puro nu metal.

Pochi gruppi metalcore sanno essere convincenti, melodici, innovativi e soprattutto con una loro impronta originale: fra questi vi sono sicuramente i marsigliesi Landmvrks.

Nati nel 2014, hanno debuttato sulla lunga distanza nel 2016 con l’autoprodotto Hollow, che li ha portati a suonare in molti festival e con grandi nomi della scena. Questo Fantasy è la loro seconda prova la prima per la Arising Empire, la sussidiaria metalcore, punk e rock della Nuclear Blast Records. Il disco è una prova molto matura e che esplora a fondo le tante facce del gruppo che, a seconda di cosa vuole esprimere cambia registro musicale, passando dalla potenza di un metalcore molto veloce ad un post hardcore molto melodico o da qualcosa di più hardcore a momenti di puro nu metal. Tutta questa varietà non genera mai confusione, è anzi un grandissimo punto di forza, portando al suono una carica ed un particolarità molto originali. Fantasy è il disco di un gruppo giovane che però, a differenza di tanti altri gruppi metalcore, non si rivolge solo ai ragazzini ma tenta di ampliare la propria platea, riuscendovi molto bene. Tutto ciò forse perché non si tratta del canonico gruppo metalcore che fa un disco per riuscire ad entrare nella colonna sonora di qualche muscoloso film d’azione a stelle e strisce, in quanto i Landmvrks hanno fin dall’inizio un progetto musicale ben preciso in testa. Non si esclude la parte più commerciale, nel senso che questo disco è costruito per suonare bene, ma anche per essere comprato dal maggior numero di persone possibile, senza andare a ghettizzarsi. Infatti il gruppo marsigliese è conosciuto ed apprezzato anche da un pubblico diverso da quello metalcore e ascoltando Fantasy ciò lo si comprende subito. Dinamici, melodici e con una doppia cassa che regala gioie, i francesi si candidano seriamente al titolo di autori del disco metalcore dell’anno e anche in altre categorie figurano molto bene. Onestamente le opere metalcore e dintorni presenti nel catalogo della Arising Empire non sono mai sotto un certo gradino di qualità, ma questo Fantasy è al piano di sopra.

Tracklist
1. Fantasy
2. Wake Up Call
3. Scars (ft. Florestan Durand)
4. The Worst Of You And Me
5. Blistering
6. False Reality
7. Reckoning (ft. Aaron Matts)
8. Alive (ft. Camille Contreras)
9. Dead Inside
10. Kurhah
11. Disdain

Line-up
Florent Salfati – vocals
Nicolas Exposito – guitar
Rudy Purkart – bass
Nicolas Soriano – drums

LANDMVRKS – Facebook

Nefesh – Panta Rei

Come i dischi prog metal di alta qualità, Panta Rei possiede molti livelli diversi ed è una terra inesplorata che garantisce molti ascolti regalando molte gioie a chi vuole scavare dentro la musica e dentro sé stesso, perché questa è una grande opus sull’uomo e sulle sue emozioni.

Quarto album per gli anconetani Nefesh, nati dalla mente del chitarrista e compositore Luca Lampis.

La visione musicale e poetica del gruppo è molto profonda e anela ad andare molto lontano, e questo disco ne è la prova. Il disco è infatti un concept album in cui le canzoni sono concatenate in maniera diversa fra loro, e infatti lo si può ascoltare in modi differenti : chi vuole può far scorrere le tracce in sequenza anche casuale, ma il modo migliore è quello di ascoltarlo più e più volte di maniera da carpire la complessa profondità di questo lavoro, che si divide in tre trilogie di tre canzoni ciascuna. Gli stili musicali sono diversi, dal prog al thrash, al sympho metal, ma è il progressive a guidare la struttura musicale dei Nefesh. L’intreccio fra musica è ben strutturato e assai profondo, ci sono molte concatenazioni e rimandi ed il tutto è studiato fin nei minimi particolari. Personalmente trovo notevolissimi i brani in italiano, che rimandano alla nostra migliore tradizione prog, in quanto sono anche pezzi molto evocativi e speciali; i pezzi in inglese sono più veloci e potenti, sono altrettanto buoni, ma le canzoni in italiano sono superiori. Un gruppo come i Nefesh cura e valorizza ogni nota del disco, nulla è fatto per caso e dietro a tutto c’è un lavoro profondo e di qualità. Panta Rei è tante cose, ma fondamentalmente un disco sulle relazioni umane, e quindi sull’uomo. I testi, mai ovvi, colgono aspetti molto importanti di noi stessi, ma la cosa fondamentale di questo disco è che lascia aperta una porta alla speranza, cercando di trovare degli argomenti positivi volgendo il nostro sguardo verso il cielo, perché ciò che sta sopra di noi è forse la nostra unica ancora di salvezza. Come i dischi prog metal di alta qualità, Panta Rei possiede molti livelli diversi ed è una terra inesplorata che garantisce molti ascolti regalando molte gioie a chi vuole scavare dentro la musica e dentro sé stesso, perché questa è una grande opus sull’uomo e sulle sue emozioni.

Tracklist
01. Outro – Preludio Al Ritorno
02. Panic!
03. Luce Candida
04. The Hidden Sun
05. Preludio Al Divenire
06. The Hell You Are!
07. Vite Condivise
08. Please, Stay
09. Preludio Al Risveglio
10. Be Damned!
11. Costellazioni
12. A New Inner Vision
13. Intro

Line-up
Luca Lampis – Guitars/Arrangements/Lyrics
Michele Baldi – Drums
Matteo Sbrolli – Vocals

NEFESH – Facebook

BAD As – Midnight Curse

Un album per il quale vale la pena perdersi per una quarantina di minuti tra le sue trame, fatte da una ragnatela di influenze ed ispirazioni che portano il sound del gruppo a viaggiare tra diversi generi, dal rock al metal per mano alla propria anima progressiva.

Il panorama metal/rock nazionale negli ultimi anni si sta valorizzando in modo esponenziale grazie a label molto attive come la Rockshots Records, la quale non manca di dare il suo prezioso supporto a gruppi e artisti di ottimo livello (nazionali ed internazionali) che vanno ad impreziosire la scena.

I BAD As debuttano per l’etichetta con Midnight Curse, un album per il quale vale la pena perdersi per una quarantina di minuti tra le sue trame, fatte da una ragnatela di influenze ed ispirazioni che portano il sound del gruppo a viaggiare tra diversi generi, dal rock al metal per mano alla propria anima progressiva.
Il gruppo, fondato dal bassista Alberto Rigoni, si completa con Alessio “Lex” Tricarico alle chitarre, Marino De Bortoli alla batteria e Mattia Martin alla voce, protagonista come i suoi compagni di una prova sopra le righe.
Midnight Curse ci presenta una band dalla personalità debordante, con un sound che risulta un perfetto mix tra metal progressivo e rock alternativo, tradizione e modernità al servizio di una raccolta di brani potenti e melodici, supportati da una precisa e robusta base ritmica, riff e solos progressivamente metallici, ma che sanno essere taglienti e spettacolarmente heavy, il tutto legato da una prova vocale di livello assoluto.
Senza perdere la bussola i BAD As riescono a far convivere le due principali ispirazioni in tracce che brillano di freschezza compositiva: niente di originale ma talmente ben fatto che dal riff ultra heavy di Black Star in poi è un susseguirsi di spumeggianti saliscendi tra potenza e melodia, raffinato progressive ed irruente hard rock alternativo.
Una raccolta di brani diretti, mediamente corti se pensiamo all’opera come un lavoro progressivo, ma assolutamente perfetti fin dalla title track alla successiva Coming far Away, da Dream Fighter alla conclusiva Dark Element, passando per le due ballad, lo splendido crescendo emozionale di Cause Of My Poetry e This Time.
Tra le trame di Midnight Curse si può riconoscere più di una band che ha ispirato i BAD As, ma la personalità del gruppo e la qualità dei brani riuscirà a conquistare lo stesso senza troppi e spesso inutili paragoni.

Tracklist
1. Black Star
2. Midnight Curse
3. Coming Far Away
4. Shadows of the Night
5. Cause of my Poetry
6. Dream Fighter
7. Open Your Mind
8. At a Sunset
9. This Time
10. Dark Element

Line-up
Mattia Martin – Vocals
Alessio “Lex” Tricarico – Guitars
Marino De Bortoli – Drums
Alberto Rigoni – Bass

BAD AS – Facebook

Inira – Gray Painted Garden

Il quartetto nostrano si rivolge con la sua musica agli amanti del metal moderno, ed i capisaldi del genere sono tutti ben sistemati all’interno di questa raccolta fatta di undici tracce di metallo moderno e melodico che formano un’opera esplosiva e benedetta da un songwriting che ne alza non poco l’interesse.

Un sound dal taglio internazionale, così come la dimensione di questa ottima band nostrana che, partendo dal Friuli, ha prima conquistato i paesi dell’est, firmando con una delle label metal più importanti a livello underground, la Another Side/Metal Scrap, ed ora ci prova con i paesi occidentali ed il Giappone.

Gli Inira, con Gray Painted Garden licenziano il loro secondo album sulla lunga distanza, dando un seguito al debutto Revolution Has Begun, uscito otto anni fa e seguito solo dall’ep Antartide del 2013.
Per questo nuovo lavoro sono state fatte le cose in grande, non trascurando nessun dettaglio ed affidando Gray Painted Garden alle sapienti mani di Henrik Udd (Bring Me The Horizon, Architects, At The Gates, Powerwolf, I Killed The Prom Queen, Hammerfall) ai suoi Recording Studio per la masterizzazione, i suoni di batteria a Riccardo Pasini (Extrema, The Secret, Blindead, Nero Di Marte), mentre praticamente l’intero album è stato registrato dal cantante Efis Canu.
Il quartetto nostrano si rivolge con la sua musica agli amanti del metal moderno, ed i capisaldi del genere sono tutti ben sistemati all’interno di questa raccolta fatta di undici tracce di metallo moderno e melodico che formano un’opera esplosiva e benedetta da un songwriting che ne alza non poco l’interesse.
Gli Inira sono la tipica band dai molti spunti melodici, dalle ritmiche moderne, con uso della doppia voce e con molte affinità con i “nuovi” In Flames, certo, ma presentano un lotto di canzoni riuscite e dall’appeal debordante se si è amanti del genere.
Appunto la band svedese è la fonte principale a cui gli Inira si ispirano, lo si sente dai solos melodici che tra i tanti input moderni lasciano trasparire note di un passato classico, di tradizione scandinava, in cui non mancano accelerate thrash ed atmosfere impregnate di sana violenza.
Fila come un treno questo lavoro, non lasciando indietro neanche un brano tra quelli presenti tra i quali vanno citati il singolo Discarded, This Is War, The Falling Man e la devastante Oculus Ex Inferi.
Ne sentiremo ancora parlare degli Inira, almeno per quanto riguarda queste sonorità, tutt’altro che facili da suonare risultando convincenti e pesanti come accade a questa band friulana dalle grandi ambizioni.

Tracklist
1. Gray Painted Garden
2. Discarded
3. This Is War
4. Sorrow Makes for Sincerity
5. Venezia
6. Zero
7. The Falling Man
8. The Path
9. Universal Sentence of Death
10. Oculus Ex Inferi
11. Home

Line-up
Efis Canu – Vocals
Marco Bernardon – Bass
Daniele Bressa – Guitars
Gabriele Boz – Drums

INIRA – Facebook

Codename : Delirious – The Great Heartless

I Codename: Delirious potrebbero suonare benissimo sia il metalcore e l’elettro metal così come il deathcore o il nu metal, invece scelgono la via più difficile, ovvero quella della sintesi originale e personale.

Debutto per gli italiani Codename: Delirious, propugnatori di un metalcore con molto groove e dagli importanti inserti di elettronica.

Il disco ha una sua struttura portante ben definita, sebbene alcuni passaggi siano ancora titubanti. Il gruppo milanese sforna un lavoro che è assai difficile da ascoltare in Italia, con moltissime cose dentro, mostrando ancora notevoli margini di miglioramento. Ci sono molti generi dentro a The Great Heartless, dal metalcore al numetal, fino ad un nuovo ibrido fra metal ed elettronica. Il gruppo stesso si definisce dubmetal e non sbaglia certamente, anzi il dub visto come cambio open source di un suono è proprio il termine adatto. La resa globale è di buona qualità, ma soprattutto il tutto è molto vario ed amalgamato bene. Inevitabilmente, mettendo molta carne al fuoco, ci sono dei momenti di confusione, delle vie ancora da esplorare e alcune titubanze su quale prendere, ma ciò è nulla in confronto a quanto di buono si ascolta qui. La caratteristica migliore del disco è il suo continuo mutare, l’essere perennemente in bilico fra elettronica e metal, con il cantato che detta la linea e il resto del gruppo che fa benissimo il resto. Dal punto di vista del metal questo è sicuramente un lavoro moderno, fatto da giovani curiosi e molto capaci nel plasmare diversi materiali a proprio piacimento. Inoltre il disco è molto divertente da ascoltare, perché si vaga e mentre lo si ascolta si viene piacevolmente presi per mano e condotti a distanza di sicurezza dalla realtà. I Codename: Delirious potrebbero suonare benissimo sia il metalcore e l’elettro metal così come il deathcore o il nu metal, invece scelgono la via più difficile, ovvero quella della sintesi originale e personale. Un buon debutto che lascia intravedere un fulgido futuro.

Tracklist
1 – Act So Tough (HVRD RMX)
2 – Ryo/Leon
3 – Dr. Braun
4 – …chissà
5 – Lost At Sea
6 – Love Song (for people who don’t feel a thing)
7 – Worst Of Me
8 – He Gotta Know The Name
9 – Bridge Over Alpha-Z

Line-up
Luca – Consolle
Marco – Bass/Backing Vocals
Dario – Guitar
Omar – Voice
Chris – Drums

CODENAME: DELIRIOUS

Lacuna Coil – The 119 Show-Live In London

The 119 Show-Live In London immortala la band sul palco del O2 Forum Kentish Town nella capitale inglese, con Cristina Scabbia e compagni accompagnati dal gruppo circense Incandescence, per quello che risulta uno spettacolo sonoro e visivo straordinario.

Questo articolo sarebbe stato più completo se alle note avessimo potuto godere del supporto video, perché i Lacuna Coil hanno fatto le cose in grande per festeggiare i loro vent’anni nella scena metal/rock, un ventennio di soddisfazioni per loro e per chi ha a cuore la scena tricolore, che ha messo a tacere chi ha sempre guardato al gruppo con malcelata invidia.

Praticamente da sempre con Century Media, segno del valore assoluto della band e della propria discografia, la band viene glorificata in questa uscita che possiede tutte le caratteristiche dell’evento; una fama cresciuta dal 1998 attraverso una serie di ottimi lavori che hanno fatto scuola, otto full length che hanno accompagnato il metal moderno dalle tinte dark/gothic del gruppo nel nuovo millennio, con una Cristina Scabbia lanciata anche nel mondo della TV (è da poco passata la sua partecipazione al programma The Voice Of Italy) ed un ultimo album (Delirium, licenziato un paio di anni fa) che ha confermato i Lacuna Coil tra tra i massimi esponenti del genere.
The 119 Show-Live In London immortala la band sul palco del O2 Forum Kentish Town nella capitale inglese, con Cristina Scabbia e compagni accompagnati dal gruppo circense Incandescence, per quello che risulta uno spettacolo sonoro e visivo straordinario.
L’opera esce nelle versioni: Blu-ray+DVD+2CD, 2CD+DVD, Digital Album e sicuramente non deluderà chi ha sempre seguito la band italiana, protagonista di uno spettacolo assolutamente perfetto con i due vocalist ed i loro compagni d’avventura in perfetta forma.
I Lacuna Coil, che sono probabilmente il gruppo più famoso e seguito in tutto il mondo tra quelli battenti bandiera tricolore, nel momento della loro piena maturazione regalano questo racconto della propria vita artistica in ventotto splendidi brani che hanno fatto la storia del genere a cavallo del nuovo millennio.
Troviamo quindi tutti quelli che hanno portato alla band il successo mondiale, ma anche qualche chicca suonata per l’occasione, toccando tutte le tappe di una lunga carriera per una celebrazione del verbo Lacuna Coil che diventa essenziale per il fans quanto per chi cerca un qualcosa che ne riassuma l’operato in tutte le sue sfumature.
Non resta che fare i complimenti ai Lacuna Coil per lo straordinario traguardo raggiunto, che è anche quello di rappresentare l’orgoglio dell’anima rock/metal del nostro sempre più bistrattato paese.

Tracklist
1. Intro
2. A Current Obsession
3. 1.19
4. My Wings
5. End Of Time
6. Blood, Tears, Dust
7. Swamped
8. The Army Inside
9. Veins Of Glass
10. One Cold Day
11. The House Of Shame
12. When A Dead Man Walks
13. Tight Rope
14. Soul Into Hades
15. Hyperfast
16. I Like It
17. Heaven’s A Lie
18. Senzafine
19. Closer
20. Comalies
21. Our Truth
22. Intermezzo
23. Falling
24. Wide Awake
25. I Forgive (But I Won’t Forget Your Name)
26. Enjoy The Silence
27. Nothing Stands In Our Way
28. Final Credits
II Behind The Curtains
III Enter The Coil

Line-up
Cristina Scabbia – Female Vocals
Andrea Ferro – Male Vocals
Marco Coti-Zelati – Bass Guitar, Guitars, Keyboards, Synths
Ryan Blake Folden – Drums
Diego Cavallotti – Guitars

https://www.facebook.com/lacunacoil

Chuggaboom – Trinity

I Chuggaboom giocano in tutto e per tutto, ma lo fanno molto bene e alla fine offrono un metalcore vicino al nu metal davvero piacevole.

Gli inglesi Chuggaboom si nascondono dietro delle maschere, si sono auto proclamati miglior gruppo metalcore della Terra, e probabilmente hanno ragione.

Di loro si sa solo appunto che sono inglesi e che hanno un’ironia molto marcata: i Chuggaboom giocano in tutto e per tutto, ma lo fanno molto bene e alla fine offrono un metalcore vicino al nu metal davvero piacevole. Poi se un gruppo sulla sua pagina mette fra i propri interessi Gary Lineker, direi che siamo già sulla buona strada. Le melodie sono ottime, le parti aggressive sono notevoli e il tutto funziona molto bene ed è fatto per poi essere portato nella dimensione dal vivo. I testi sono da seguire perché sono di un’ironia molto tagliente, che va a colpire al cuore la scena metalcore e le sue pose, tra esistenzialismo e machismo. Una delle cose che più manca al genere è appunto la capacità di uscire dal cortocircuito di pose machiste per cantare poi di incredibili depressioni amorose: certamente una grossa fetta del pubblico metalcore è costituita da adolescenti brufolosi e carichi di ormoni, ma ogni tanto prendersi un po’ in giro farebbe bene. I Chuggaboom ci sono per questo, per ironizzare su tante cose e già che ci sono suonano un gran bel metalcore, che poi sarebbe il principale argomento di discussione. Vale davvero la pena ascoltare i testi e la musica di questi misteriosi inglesi, che continuano la bellissima tradizione dello humour musicale albionico che parte dai Monty Python e continua con gli Spinal Tap e speriamo vada oltre i Chuggaboom. La qualità del disco è molto buona, scorre tutto bene ci si diverte proprio nell’ascoltarlo. Andate a sentirvi anche i lavori precedenti perché meritano tutti, come la geniale cover della canzone di Euro 96 giocato proprio in Inghilterra, e diventerete un chuggalo.

Tracklist
1. Phony
2. Growing Pains
3. Awkward Erections
4. The Song That Saved Your Life
5. Illumiparty
6. What’s The Time‽

Line-up
Vocals – Levi Taurus “♉”
Guitar – John Virgo “♍”
Guitar – Leo Carter “♌”
Bass – Avira Caprica”♑”
Drums – Castor Holland “♊”

CHUGGABOOM – Facebook

MZ.412 – In Nomine Dei Nostri Satanas Luciferi Excelsi

La bellezza di In Nomine Dei Nostri Satanas Luciferi Excelsi è il fascino malato e decadente del satanismo e di anime e vite perdute, di ritmi sincopati che si spezzano per far entrare momenti molto vicini al black metal, attimi di rabbia di demoni che invocati non vogliono tornare nelle loro dimensioni.

Un vero e proprio rituale che usa la musica come mezzo per chiamare spiriti da altre dimensioni.

Gli svedesi MZ.412 sono stati uno dei gruppi di maggior spicco della Cold Meat Industry, una fra le migliori etichette mondiali di elettronica e musica altra. La Concilium Records farà uscire a gennaio 2019 la ristampa di questo capolavoro di dark black metal ambient originariamente uscito nel 1995 e diventato molto più di un classico, essendo un apripista per un sottogenere che ora frequentano in molti. L’evoluzione dei MZ.412 fu costante, partendo da un’elettronica ambient oscura e tenebrosa per immergersi in un tenebra ancora più profonda, con questo lavoro che è una vera e propria invocazione a Satana, cosa molto semplice, poiché basta descrivere l’inferno che è la nostra società odierna. Come detto poc’anzi questa è musica totalmente rituale, fatta da una dark ambient di eccelsa qualità che precipita l’ascoltatore in molti ambienti diversi, dall’apocalisse ad una cripta sottoterra, da un momento di relativa calma ad una frequenza che ronza nel cervello di non morti. Ascoltando questo lavoro ognuno si farà la propria idea, dato che questa musica evocatrice differisce da soggetto a soggetto, ma qui dentro c’è tanto male, dolore ed ansia, e se ascoltata ad lato volume questa musica diventa un qualcosa che ci entra dentro, pur essendo già insita in noi. La bellezza di In Nomine Dei Nostri Satanas Luciferi Excelsi è il fascino malato e decadente del satanismo e di anime e vite perdute, di ritmi sincopati che si spezzano per far entrare momenti molto vicini al black metal, attimi di rabbia di demoni che invocati non vogliono tornare nelle loro dimensioni. Sangue, lussuria, morte e vita che non è vita, il tutto raccontato in maniera quasi perfetta con un’elettronica che incrocia tantissime cose ed è figlia di una certa industrial inglese degli anni ottanta, specialmente di quella più maledetta. Non c’è salvezza o speranza, c’è solo l’adorazione di un angelo caduto che è quello che meglio ci rappresenta. Un capolavoro della dark ambient che rivede la luce, testimonianza di un tempo dove la creatività musicale era molto maggiore, e i risultati molto migliori. Preparatevi al rito.

Tracklist
1 In Nomine Dei
2 Salvo Honoris Morte
3 Necrotic Birth
4 Black Earth
5 Daemon Raging
6 God Of Fifty Names
7 Regie Satanas
8 Paedophilia Cum Sadismus
9 Hail The Lord Of Goats

MZ.412 – Facebook

Vitja – Mistaken

Siamo nel più classico prodotto di genere, molto melodico, contraddistinto dall’uso della doppia voce come da copione e composto da un lotto di brani accattivanti, radiofonici e perfetti per non deludere i pruriti metallici degli adolescenti votati alla dannazione eterna del rock.

Il metalcore non molla la presa sui giovani del nuovo millennio che, oltre alle moltissime proposte underground, possono avvalersi di uscite importanti anche da parte delle più importanti label mondiali, almeno per quanto riguarda il metal e i generi affini.

La Century Media, per esempio, licenzia il nuovo album dei Vitja, giovane band al terzo lavoro dopo il buon successo di Digital Love, precedente lavoro uscito lo scorso anno.
Siamo nel più classico prodotto di genere, molto melodico, contraddistinto dall’uso della doppia voce come da copione e composto da un lotto di brani accattivanti, radiofonici e perfetti per non deludere i pruriti metallici degli adolescenti votati alla dannazione eterna del rock.
Perfetto in fase di produzione, spettacolare nei suoni ed altrettanto innocuo, Mistaken è l’album che tutti si aspettavano dai ragazzi dei Vitja, i quali non deludono le aspettative e sparano i loro proiettili rigorosamente a salve, facendo tanto rumore per nulla.
E’ lontana chilometri la furia estrema del deathcore e di certo metal moderno, in Mistaken tutto è studiato per arrivare ai cuori dei giovani kids, fagocitati dal web e dalle sue diavolerie, dunque abituati al freddo emozionale di una musica che ripete all’infinito la stessa formula, recitando un copione assolutamente perfetto.
Mistaken, Down, Black And Blue, ma potrei nominarveli tutti e nessuno, sono i brani migliori di questo lavoro, perfetto per il suo compito, ma avaro di emozioni.
Se non arrivate ai vent’anni e vi piace il metalcore da classifica, troverete sicuramente ottimi motivi per fare vostro questo lavoro, altrimenti rivolgete la vostra attenzione altrove, i Vitja non fanno per voi.

Tracklist
1. Mistaken
2. Overdose (feat. Andy Dörner)
3. Friends Don’t Lie
4. Down
5. Anxiety
6. Black and Blue
7. High on You
8. To the Moon
9. Sedamine
10. Filthy
11. Kings of Nothing

Line-up
David Beule – Vocals
Mario Metzler – Bass
Vladimir Dontschenko – Guitar
Daniel Pampuch – Drums

VITJA – Facebook

Atlas – Primitive

Il disco funziona molto bene, non ha momenti di stanca e gli Atlas presentano notevoli margini di miglioramento rivelandosi una delle maggior sorprese in campo metalcore degli ultimi tempi.

Potente e melodico album di metalcore dalla Finlandia per il debutto degli Atlas, un gruppo che si inserirà molto bene nel movimento del metal moderno.

Mutuando in linguaggio sportivo, gli Atlas fanno bene entrambe le fasi, sia quella più aggressiva e legata al metal che quella più melodica che è caratteristica del metal moderno. L’album è stato in lavorazione dal 2015 al 2017 e c’è dentro tutta la prima fase della carriera della band e i suoi sforzi notevoli, soprattutto in fase di composizione che è la di sopra della media. La caratteristica migliore del gruppo è il saper incastonare pezzi più duri con ventate melodiche e con inserti di elettronica molto azzeccati e funzionali, con le tastiere che entrano sempre al momento giusto. Gli Atlas sono molto più fisici e reali della maggior parte dei gruppi metalcore che interpreta un canovaccio ormai trito e ritrito: il genere richiede maggior talento di prima, perché tante cose sono state dette e fatte e non rimane granché da aggiungere, se non la volontà di essere originali. Primitive è un disco indirizzato alla platea metalcore, ma che richiede un ascolto più attento rispetto alla maggioranza dei dischi di quel genere. La resa sonora è ottimamente orchestrata da Tuomas Yli-Jaskari alla produzione e da Buster Odeholm alla masterizzazione; il disco funziona molto bene e non ha momenti di stanca, il gruppo presenta notevoli margini di miglioramento rivelandosi, una delle maggior sorprese in campo metalcore degli ultimi tempi. Ascoltando il lavoro si possono trovare anche spunti vicini al post rock, e queste cose le fa solo una band che ha talento, inventiva e voglia di mettersi in gioco, senza fare sempre il solito disco metalcore.

Tracklist
1. Skinwalker
2. Feel
3. Kaamos
4. On Crooked Stones
5. Primitive
6. Pareidolia
7. Pendulum Swing
8. Bloodline (feat. Ben English)
9. Rust

Line-up
Patrik Nuorteva – Vocals
Leevi Luoto – Vocals & Bass
Tuomas Kurikka – Guitar
Aleksi Viinikka – Guitar
Aku Karjalainen – Drums

ATLAS – Facebook

Sick of It All – Wake the Sleeping Dragon

Ritorno in gran spolvero da parte di una band davvero leggendaria all’interno della scena hardcore e skate punk newyorkese.

Dodicesimo album per la storica hardcore band di New York, che ancora una volta si conferma per mezzo di un grandissimo disco.

A oltre trent’anni dalla nascita – sono sorti nel 1985 – i Sick of It All rappresentano uno dei pochi elementi di continuità con la gloriosa tradizione hardcore e skate punk della Grande Mela anni Ottanta. Anche in questo nuovo lavoro il sound resta granitico, ferocissimo e pesante, non scendendo mai a compromessi. Duri e puri, nonché abili tecnicamente, gruppi come i Sick of It All non sono del resto mai stati succubi della tendenza a logiche di tipo commerciale e per ciò meritano il massimo rispetto e la più alta considerazione. Possiamo credo parlare di album della definitiva maturità, meditato ed articolato, irruento e furioso, avvincente ed ineccepibile. Insomma, l’ulteriore dimostrazione di una coerenza ed integrità estreme nell’applicare i propri principi di vita e di musica, non lontano dall’etica straight edge. Parliamo inoltre di una band che, in Our Impact Will Be Felt (2007), ha visto il tributo di Ignite, Hatebreed, Madball, Napalm Death, Pennywise, Rise Against, Sepultura, Walls of Jericho ed Unearth. I Sick of It All sono oramai un pezzo importante di storia e queste ultime canzoni lo attestano inequivocabilmente. Inoltre, ci ricordano qualcosa d’assai importante ed anzi fondamentale: senza l’hardcore – ed il loro è sempre molto metallizzato – non ci sarebbero stati né il thrash, né il death, né il grind che ne sono derivati.

Track list
1- Inner Vision
2- That Crazy White Boy Shit
3- The Snake
4- Bull’s Anthem
5- Robert Moses Was a Racist
6- Self Important Shithead
7- To the Wolves
8- Always With Us
9- Wake the Sleeping Dragon
10- 2+2
11- Beef Between Vegans
12- Hardcore Horseshoe
13- Mental Furlough
14- Deep State
15- Bad Hombres
16- Work the System
17- The New Slavery

Line up
Pete Koller – Guitars
Lou Koller – Vocals
Armand Majidi – Drums
Craig Setari – Bass

SICK OF IT ALL – Facebook

Project Silence – Infinity

Ascoltare Infinity sarà molto piacevole per chi ama questa aggressività musicalmente trasversale, ma anche per chi vuole scoprire qualcosa di nuovo in campo metal altro.

Tornano i finlandesi Project Silence, storici fautori di un industrial metal cattivo e ben suonato.

L’idea originale del gruppo nato a Kuopio era quella di fondere insieme aggrotech, metal e industrial, ed in questi dieci anni di vita ci sono riusciti egregiamente, come possiamo ascoltare qui in questo maxi ep. La loro proposta musicale non è inedita ma fa parte di un genere fortemente di nicchia ma dalla scorza durissima, nel senso che può contare su di uno zoccolo di ascoltatori sparsi in tutto il mondo e molto fedeli. Il nuovo disco pubblicato da Sliptrick Records ce li mostra al massimo della forma, con una notevole capacità di creare canzoni ed atmosfere aggressive, con ottimi cambi di tempo ed una tecnica che non si nasconde dietro la potenza, ma che anzi la domina. Le atmosfere sono molto cupe e parlano di un futuro che potrebbe essere già stato il nostro passato, nel quale le macchine dominano e l’uomo è dominato dalle sue creazioni, che replicano la degenerazione dell’essere umano, moltiplicandola all’infinito. Le canzoni sono costruite molto bene ed in maniera incisiva, hanno uno svolgimento che si ritrova raramente in un gruppo di questo genere. Molto forte la presenza del metal che svolge il compito importante di essere la colonna portante di tutto, al quale si aggiungono poi l’aggrotech ed una forte dose di ebm. Ascoltare Infinity sarà molto piacevole per chi ama questa aggressività musicalmente trasversale, ma anche per chi vuole scoprire qualcosa di nuovo in campo metal altro.

Tracklist
01. We Will Rise
02. From Beyond
03. No More
04. Forgotten
05. Pulse
06. Anthropophagite
07. Day Of Reckoning

Line-up
Delacroix – Vocals/Keyboards/Programming
J – Guitar
S – Guitar
Silve_R – Drums
Sturmpanzerjäger – Bass/Backing vocals

PROJECT SILENCE – Facebook

Rise Of The Northstar – The Legacy Of Shi

Un disco che è meravigliosamente devastante dall’inizio alla fine, e che conferma i Rise Of The Northstar come il miglior gruppo di crossover al mondo, sia per originalità che per resa.

I Rise Of The Northstar sono un caso unico nel panorama metal mondiale.

Nati nel 2008 nell’area di Parigi, i Rise Of The Northstar hanno sviluppato una poetica totalmente legata al crossover e alla cultura giapponese anni ottanta e novanta.
Unicamente con le loro forze hanno promosso i due ep autoprodotti come il primo disco su lunga distanza Welcame, che verrà poi ristampato dalla Warner Bros. I francesi hanno dimostrato di avere una visione molto precisa di come sarebbe stata la loro carriera, rifiutando qualche contratto e continuando ad autopromuoversi, soprattutto con i loro devastanti concerti. Alla fine è riuscita ad accaparrarseli la Nuclear Blast, una delle poche major metal rimaste. Il loro stile musicale è un crossover furioso e assolutamente originale, con una grande dose di hip hop, soprattutto nel cantato. Il precedente Welcame era un disco che aveva mostrato molto bene chi erano i Rise Of The Northstar, ovvero uno dei gruppi più clamorosi del nuovo metal. Quando erano usciti i primi singoli del nuovo album, ovvero Boom e This Is Crossover, era stata la netta sensazione che si sarebbero superati con il nuovo disco, e così è stato. Legacy Of Shi è un’opera devastante con tantissime cose dentro. La maturazione dal già ottimo Welcame è stata notevole, essendosi giovati anche della grande produzione di Joe Duplantier (Goijra)
Poi ci sono molti motivi che rendono unico questo disco. Innanzitutto l’unione tra Giappone e occidente, con la cultura del Sol Levante che domina ancora i testi, con le storie dei Furyos e dei Bosozoku, i teppisti di strada che hanno grossa importanza per i Rise Of The Northstar. Musicalmente il disco è più maturo e composto in maniera più fine rispetto a Welcame, ma la potenza è rimasta intatta, anzi forse è maggiore. Questo gruppo ha un tiro micidiale, come impatto si può paragonare alle prime cose degli Slipknot, perché sono una ventata di aria freschissima. Pochi gruppi hanno il controllo totale del suono e dello sviluppo della canzone come i Rise Of The Northstar. In questo nuovo disco sono maggiori i riferimenti musicali agli anni ottanta, soprattutto per quanto riguarda le chitarre, mentre il cantato compie un ulteriore passo in avanti. Tutte le canzoni sono di ottimo livello, non ci sono riempitivi o cose fatte con minore convinzione. Ce n’è per tutti i gusti, da chi ama il crossover anno novanta a chi apprezza il nu metal più virato al rap. Legacy Of Shi racconta una storia che l’ascoltatore dovrà scoprire, ovviamente in pieno stile giapponese. Un disco che è meravigliosamente devastante dall’inizio alla fine e che conferma i Rise Of The Northstar come il miglior gruppo di crossover al mondo, sia per originalità che per resa. Saranno a breve in tour con gli olandesi Dope D.O.D. uno dei gruppi hip hop migliori degli ultimi tempi, anche loro abituati a saltare fra i generi come i Rise Of The Northstar.

Tracklist
1 – The Awakening
2 – Here Comes The Boom
3 – Nekketsu
4 – Kozo
5 – Teenage Rage
6 – Step By Step
7 – This Is Crossover
8 – Cold Truth
9 – All For One
10 – Furyo’s Day
11 – The Legacy Of Shi

Line-up
VITHIA – Vocals
EVANGELION-B – Lead Guitar
AIR ONE – Guitar
FABULOUS FAB – Bass
PHANTOM – Drums

RISE OF THE NORTHSTAR – Facebook

Heart Of Jordan – Heart Of Jordan

Heart Of Jordan è un album che, nel calderone dell’alternative metal moderno, riesce a strappare un sorriso, per l’effettivo impatto e per le ottime melodie che caratterizzano i vari brani.

Il debutto degli Heart of Jordan arriva sul mercato in regime di autoproduzione, ma i cinque musicisti del Michigan non avranno grosse difficoltà a trovare un label disposta a prendersi cura di questo buon esordio omonimo fondato su un mix tra alternative metal, hard rock moderno ed irruenza core.

Preceduto dal singolo Deny, l’album irrompe sul mercato underground con le carte in regola per non passare inosservato, grazie ad un buon impatto, potente e ricco di groove e ad un’attitudine melodica che accresce di molto l’appeal di questi dieci brani firmati Heart Of Jordan.
Aperto dall’incendiaria Throne Alone, l’opera scorre che è un piacere tra i cliché del genere, non brillando quindi per originalità ma lasciando comunque ottime sensazioni.
Enorme è la prova vocale del singer Preston Mailand, una iena nelle parti estreme (growl e scream) e dotato di una voce pulita davvero coinvolgente e dal mood radiofonico, assecondato da un gruppo di musicisti perfetti nel seguire le orme dei gruppi più famosi che del genere sono i portabandiera (Killswitch Engage, Bullet for my Valentine).
Echi di Soil e di altre realtà provenienti dall’alternative metal del secolo scorso fanno capolino tra i vari brani, tra i quali segnalo, oltre all’opener, la devastante No Escape, il singolo strappa consensi Deny, e Echoes Still Remain, hard rock moderno tra groove, core e melodie e perfetto esempio del credo musicale del gruppo statunitense.
Heart Of Jordan risulta così un album che, nel calderone dell’alternative metal moderno, riesce a strappare un sorriso, per l’effettivo impatto e per le ottime melodie che caratterizzano i vari brani.

Tracklist
1.Throne Alone
2.Shade
3.No Escape
4.Schizo
5.Deny
6.Eye
7.Your Vengeance
8.Deaf Ears
9.Echoes Still Remain
10.Enslaved

Line-up
Preston Mailand – Vocals
Eric TenEyck – Guitar
Elijah White – Guitar
Daniel Ray Fell Jr. – Bass
Andrew Everett – Drums
URL Facebook

HEART OF JORDAN – Facebook

Soulfly – Ritual

Come una squadra con un certo palmares le cadute contano doppio, e sebbene la loro carriera sia sempre stata su buoni livelli era il momento di una riscossa, e Ritual è proprio il disco giusto.

Ritual, il nuovo lavoro dei Soulfly, cattura il gruppo capitanato da Max Cavalera nel momento migliore degli ultimi anni.

I Soulfly sono una band che non deve innovare nulla, ma che in compenso hanno il durissimo compito di essere sempre all’altezza del loro blasone e della loro fama. Come una squadra con un certo palmares le cadute contano doppio, e sebbene la loro carriera sia sempre stata su buoni livelli era il momento di una riscossa, e Ritual è proprio il disco giusto. L’aggressività musicale sale di livello e si torna ai Soulfly più veraci, con una produzione che riesce a valorizzare il tutto. Il suono cambia leggermente soprattutto nel maggior respiro delle canzoni, che sono più ampie e con elementi diversi al loro interno, sviluppando maggiormente la composizione rispetto agli episodi precedenti. Una delle maggiori peculiarità è Zyon Cavalera alla batteria: il figlio di Max è davvero un batterista interessante e molto intenso, forse non ancora del livello e della ricchezza musicale dello zio Igor, ma ci stiamo avvicinando.
L’ultima fatica di Max e compagnia ha un suono molto incattivito che attinge pienamente dalle radici metal del gruppo, mentre i temi trattati sono quelli di sempre, ma declinati in maniera maggiormente oscura e marcatamente horror. La scelta del titolo, Ritual, calza a pennello perché come dice lo stesso Max, il metal è un rituale che ha i suoi tempi e i suoi modi, e questo disco è un rituale della famiglia Soulfly, che include chi sta sopra e sotto il palco. Max è in forma come non lo era da tempo, ed il resto del gruppo lo segue molto bene per un risultato che rende Ritual uno degli album migliori dei Soulfly.
Intensità, velocità, cattiveria, incisività, e capacità di far divertire e pensare con il metal, questi sono i Soulfly e tutto ciò è dentro Ritual.

Tracklist
1. “Ritual”
2. “Dead Behind the Eyes” (featuring Randy Blythe)
3. “The Summoning”
4. “Evil Empowered”
5. “Under Rapture” (featuring Ross Dolan)
6. “Demonized”
7. “Blood on the Street”
8. “Bite the Bullet”
9. “Feedback!”
10. “Soulfly XI” (instrumental)

Line-up
Max Cavalera – Vocals and Rhythm Guitar
Marc Rizzo – Lead Guitar
Mike Leon – Bass Guitar
Zyon Cavalera – Drums

SOULFLY – Facebook

Venues – Aspire

Molti gruppi dello stesso genere hanno meno talento dei Venues e Aspire è un debutto che li porterà lontano, facendosi apprezzare da chi ama una certa deriva melodica e molto radiofonica del metal moderno, tutto sommato però altrettanto innocua.

Dalla Germania, terra assai feconda per il modern metal ed il post hardcore, arrivano i Venues, carichi di pop e tanto sentimento.

Definire post hardcore questo disco non è propriamente corretto, perché le coordinate corrette sono pop e un pizzico di metal, con una produzione abbastanza piatta, sbilanciata fortissimamente verso un pubblico di giovanissimi a cui il disco piacerà moltissimo ed è giusto così. La maggior parte degli ascoltatori di questo lavoro saranno ragazzi e ragazze molto giovani ed è a loro che è diretto questo feuilleton, melenso solo per un pubblico più anziano, mentre invece qui c’è molta energia e tantissima melodia, in qualche passaggio fin troppa e forzata. Aspire è un disco nel quale la voce di Nyves regala aggressività femminea e dolcezza e si bilancia benissimo con il cantato maschile. Anche il loro look è molto giovane ed attuale, e tutto ciò ha sicuramente la sua parte, come ha sempre avuto nel metal, dove anche la trascuratezza spesso è calcolata, a seconda del pubblico al quale ci si deve rivolgere. Funziona tutto molto bene in questo debutto del gruppo tedesco, ed è infatti un ottimo prodotto per un pubblico selezionato, rischiando alla fine d’essere solo confezionato molto bene ma senza cuore, almeno l’impressione è appunto questa. Molti gruppi dello stesso genere hanno meno talento dei Venues e Aspire è un debutto che li porterà lontano, facendosi apprezzare da chi ama una certa deriva melodica e molto radiofonica del metal moderno, tutto sommato però altrettanto innocua.

Tracklist
1 – We are one
2 – Lights
3 – The longing
4 – Fading away
5 – The epilogue
6 – Dilemma
7 – My true North
8 – Star children
9 – Nothing less
10 – Shades of memory
11 – Silence
12 – Ignite

Line-up
Nyves – Vocals
Robin – Vocals
Constantin – Guitar
Toni – Guitar
Flo – Bass
Dennis – Drums

https://www.facebook.com/VENUESofficial/

Closer – Event Horizon

Un bellissimo lavoro di metal moderno, potente e melodico, ben costruito e ottimamente arrangiato, da parte di una band da tenere d’occhio.

Quello dei Closer è un metal moderno, fatto di potenza e di melodia, attento alle scelte timbriche e davvero molto ben suonato, oltre che ottimamente prodotto.

La band è nata a Verona nel 2011 ed è al secondo lavoro, dopo il debutto autoprodotto (My Last Day, 2014). I Closer suonano un heavy di rara intensità, spesso arricchito da inflessioni post-grunge – qualcuno ricorda i Chamber 69 dell’ex Coroner e Kreator Tommy Vetterli? – e molto epico, non lontano per capirci dagli Alter Bridge. Non ci sono letteralmente pause in Event Horizon e il disco scorre molto bene, in tutti i suoi dodici brani, con un ottimo songwriting e liriche non banali. I suoni sono squadrati e quasi geometrici, con basso e batteria che sostengono, puntualmente, il lavoro delle due chitarre. Un tappeto sonoro sul quale si staglia la bellissima voce di Simone Rossetto. Idee, qualità, belle armonie in stile Metallica, tocchi più moderni alla 30 Seconds to Mars e Nickelback arricchiscono questo come-back, di quelli da non lasciarsi davvero scappare.

Tracklist
1- Here I Am
2- Illusion
3- The Call
4- Mistakes
5- Battle Within
6- Beyond the Clouds
7- Wait For Me
8- Masquerade
9- Untouchable
10- Sand in Hand
11- Moments and Eternity
12- Event Horizon

Line-up
Simone Rossetto – Vocals
Andrea Bonomo – Guitars
Nicola Salvaro – Guitars
Manuel Stoppele – Bass
Danilo Di Michele – Drums

North Of South – New Latitudes

Trovare paragoni per quanto suonato in questo album è alquanto difficile, sicuramente New Latitudes troverà estimatori negli amanti del metal tecnico, del progressive moderno e di chi apprezza la musica underground di alto livello.

Davvero tanto carne al fuoco in questo esordio discografico targato North Of South, progetto solista del chitarrista e compositore spagnolo Chechu Gomez.

Le nuove latitudini musicale del nostro abbracciano una moltitudine di generi diversi uniti in un unico sound che, a dispetto, dell’enorme quantità di ispirazioni funziona, anche se l’orecchio che serve per apprezzare la musica di Gomez è di quello più aperto ad ogni esperienza uditiva.
New Latitudes risulta così un’esperienza di ascolto totale, passando dal metal al rock latino di Santana, dal jazz al pop, dal punk al progressive senza ovviamente dimenticare la tradizione spagnola nel suono della chitarra acustica, che emerge a tratti unendo le varie atmosfere che cambiano ad ogni nota.
Uno spartito in piena burrasca creativa, un mare in tempesta che porta a riva note stravolte su relitti di generi assolutamente distanti, mentre facilmente vengono in mente i maestri Cynic negli angoli strumentali che guardano al metal estremo.
Sono attimi, perché in brani originali come l’opener The Human Equation o Balance Paradox le intuizioni di Gomez portano a confondere l’ascoltatore travolto dalle onde create sul pentagramma di New Latitudes.
Anche in questo lavoro, la tecnica strumentale di livello assoluto viene messa al servizio delle già intricate canzoni, così che l’ascoltatore è portato a concentrarsi sui vari generi e cambi di atmosfere piuttosto che seguire evoluzioni fine a sé stesse.
Trovare paragoni per quanto suonato in questo album è alquanto difficile, sicuramente New Latitudes troverà estimatori negli amanti del metal tecnico, del progressive moderno e di chi apprezza la musica underground di alto livello.

Tracklist
01. The Human Equation
02. Nobody knows
03. Balanced Paradox
04. Before we die
05. Crystal Waters
06. There’s no Glamour in Death
07. Time will tell
08. Faith is not Hope
09. Montreux

Line-up
Chechu Gòmez – Guitars

NORTH OF SOUTH – Facebook

Beartooth – Disease

Disease conferma i Beartooth quale potenziale new sensation dell’alternative rock/metal a stelle e strisce, grazie ad una raccolta di brani inattaccabili e imperdibili per gli amanti di queste sonorità.

I Beartooth sono una alternative rock/punk metal statunitense nata inizialmente come one man band dell’ex Attack Attack! Caleb Shomo, ad oggi band a tutti gli effetti con Kamron Bradbury e Zach Huston alle chitarre e la sezione ritmica composta da Oshie Bichar al basso e Connor Denis alla batteria.

Per Red Bulls Records esce Disease, il terzo lavoro sulla lunga distanza, dopo gli ottimi riscontri ed il successo diel debutto Disgusting licenziato nel 2014 e soprattutto del secondo album uscito un paio di anni fa ed intitolato Aggressive.
I Beartooth sono la classica band alternative da classifica che amalgama metal moderno, punk, un pizzico di cattiveria hardcore e melodie rock dall’appeal radiofonico, quindi con l’aspettativa di fare un buon bottino di dollari e diventare uno dei gruppi più amati dai kids mondiali dai gusti che guardano ai canali rock satellitari.
Caleb Shomo è il guru del progetto Beartooth, cantante dalla voce che convince, tra rabbiose parti scream e toni melodici che più ruffiani di così non si può, che attira su di sé l’attenzione dei fans e da abile songwriter riesce a creare una raccolta di brani piacevoli e con le potenzialità per fare sfracelli.
Disease non aggiunge e non toglie niente ai lavori di genere: dodici tracce tra grinta rock/metal e melodie pop, rock alternativo dal successo assicurato, a suo modo ben strutturato ed in possesso di un talento per cori e refrain di facile presa che sono la strada per il successo.
L’album scorre che è un piacere, la formula è quella usata a suo tempo da chi di questi suoni è maestro e la lista dei brani da top ten parte dall’opener Greatness Or Death per arrivare alla conclusiva Clever, passando per la title track, You Never Know ed Enemy.
Disease conferma i Beartooth quale potenziale new sensation dell’alternative rock/metal a stelle e strisce, grazie ad una raccolta di brani inattaccabili e imperdibili per gli amanti di queste sonorità.

Tracklist
1.Greatness or Death
2.Disease
3.Fire
4.You Never Know
5.Bad Listener
6.Afterall
7.Manipulation
8.Enemy
9.Believe
10.Infection
11.Used and Abused
12.Clever

Line-up
Caleb Shomo – Vocals
Kamron Bradbury- Guitar
Zach Huston – Guitar
Oshie Bichar – Bass
Connor Denis – Drums

BEARTOOTH – Facebook

Nookie – Exceptions

Tredici brani per cinquanta minuti di musica non sono pochi nel genere, ma i Nookie sanno bene come tenere alta l’attenzione dell’ ascoltatore non abbassando mai la guardia con brani che si alternano tra rock diretto e scariche di intricatissime ritmiche metalliche.

Nookie è lo pseudonimo con cui la cantante Daria Stavrovich degli alternative rockers russi Slot si cimenta con la band che prende il suo nome.

La Sliptrick Records licenzia il loro terzo album, una raccolta di brani alternative rock, con qualche sporadico salto nel new metal, senza però andare oltre ad una grinta controllata e radio friendly.
Exceptions è comunque un buon lavoro, nel quale il gruppo asseconda con bravura il talento vocale di Nookie, bravissima nel saper variare la sua voce a seconda dell’atmosfera di ogni canzone, proponendo sfumature vocali che vanno dalla rabbia, alla disperazione, dalla dolcezza alla mera esecuzione, davvero sorprendente quando gareggia tra intricate ritmiche con gli strumenti.
Exceptions è nel suo complesso un buon lavoro di genere, l’urgenza del metal moderno si alterna con trame rock di chiara matrice statunitense, le influenze si dipanano per i brani senza però dare quel senso fastidioso di deja vu, anche perché rapiti dall’interpretazione della singer a tratti rimembrante la pantera Skin.
Tredici brani per cinquanta minuti di musica non sono pochi nel genere, ma i Nookie sanno bene come tenere alta l’attenzione dell’ ascoltatore non abbassando mai la guardia con brani che si alternano tra rock diretto e scariche di intricatissime ritmiche metalliche.
Magari poco conosciuta nel mercato occidentale, la band russa ha invece le carte in regola per piacere ai fans dell’alternative metal/rock a cui va il consiglio di non perdersi questo lavoro.

Tracklist
01.Au
02.Before I Die
03.Isklyucheniya
04.Vverkh
05.Znaki
06.Myprostoest
07. In-Yan
08.Vremennaya
09.Samim soboy
10.Prodolzhaem dvizhenie
11.Tantsuy, kloun, tantsuy
12.Yadovitaya
13.Kosmos

Line-up
Nookie – Lead Vocals
Sergey Bogolyubskiy – Guitar
Andrey Ostrav – Bass
Alexander Karpukhin – Drums

https://www.facebook.com/nuki.space/