Heroes Don’t Ask Why – Sound Of A Broken Heart

Sound Of A Broken Heart è un salto in avanti rispetto al debutto omonimo risalente a tre anni fa, ma ora il gruppo deve affrontare la prova nove rappresentata dal full length per convincere del tutto fans e addetti ai lavori.

La copertina del nuovo ep di questa giovane band finlandese potrebbe far pensare ad un sound melodico di estrazione classica, invece gli Heroes Don’t Ask Why suonano un rock moderno con qualche accenno al metalcore più commerciale, inserito in un contesto fortemente melodico.

Devo dire che il sound di queste sette tracce che vanno a formare Sound Of A Broken Heart funziona: il gruppo scandinavo non lascia mai che una delle sue due anime prenda il sopravvento sull’altra, così che rock melodico e metal moderno convivono con una certa naturalezza.
Gli Heroes Don’t Ask Why non rinnegano certo la loro provenienza da una terra di metal estremo e melodico, influenza che non manca di donare a brani come 15th Of May o Blink Of An Eye quel rude approccio metallico perfetto per non risultare solo la classica band cool mossa dal solo intento di scalare le classifiche. Sound Of A Broken Heart è un salto in avanti rispetto al debutto omonimo risalente a tre anni fa, ma ora il gruppo deve affrontare la prova nove rappresentata dal full length per convincere del tutto fans e addetti ai lavori.

Tracklist
1. Poisoned Well
2. Twisted Paradise
3. 15th of May
4. My Dear Friend
5. Wooden Box
6. Blink of an Eye
7. Sound of a Broken Heart

Line-up
Jussi Pajunpää – Vocals, Lead Guitar
Matias Kaunisvesi – Guitar, bgv
Johnny Kivioja – Bass, bgv
Kimmo Puhakka – Drums, management

HEROES DON’T ASK WHY – Facebook

Psyclon Nine – Icon Of The Adversary

Arriva l’atteso nuovo disco dei californiani Psyclon Nine, gruppo storico di aggrotech, ebm ed elettronica aggressiva e profonda, con decisi sconfinamenti in territori metal.

Arriva l’atteso nuovo disco dei californiani Psyclon Nine, gruppo storico di aggrotech, ebm ed elettronica aggressiva e profonda, con decisi sconfinamenti in territori metal.

Fondati nel 2000 a Los Angeles da Nero Bellum e Josef Heresy, inizialmente adottarono il nome Defkon Sodomy, influenzati da gruppi come i Ministry. Successivamente il gruppo si avvicinò a generi come l’ebm e l’aggrotech, mantenendo sempre una decisa impronta personale. Questo ultimo lavoro, Icon Of The Adversary, ha molte facce e tante sfaccettature, è un disco composto da diversi livelli e prodotto usando differenti codici musicali. Nel lavoro dei californiani possiamo trovare l’ebm che è alla radice del loro suono, poiché questo genere significa una fruizione diversa del concetto di elettronica Dentro però, poi, troviamo molte altre cose, come l’aggrotech, quello strano sottogenere dell’elettronica che è un po’ l’evoluzione cattiva dell’ebm, l’ideale accompagnamento per la nera visione che pervade tutto il disco. Qui non troviamo la speranza o qualcosa che possa assomigliarle, ma solo un mare nero dal quale non si può uscire ma solo nuotare. Nero Bellum, che è la continuità e la vera anima dannata dietro al progetto, ha dato sfogo alla parte più tenebrosa del suo modo di fare musica e ha colto in pieno lo spirito di questi tempi cupi. L’incedere della musica è per gran parte del disco lento e disperato, con suoni ottimamente prodotti, che fa sembrare all’ascoltatore di essere inseguito da zombie lenti ma inesorabili, con una fine già ampiamente segnata. Ci sono anche momenti industrial tendenti al metal che erano diventati il marchio di fabbrica del gruppo, ma la loro vera dimensione è una giusta lentezza mista a suoni ansiogeni, con un cantato che sembra un latrato direttamente dall’inferno. Un disco che convince e che entra fra le migliori produzioni di questo prolifico gruppo.

Tracklist
1.Christsalis
2.Crown Of The Worm
3.The Light Of Armageddon
4.Beware The Wolves
5.Warm What’s Hollow
6.Behold An Icon
7.When The Last Stars Die
8.And With Fire
9.Give Up The Ghost
10.The Last

PSYCLON NINE – Facebook

KrashKarma – Morph

Morph è un album piacevole che qualche anno fa avrebbe fatto probabilmente più proseliti, mentre oggi rischia d’essere leggermente in ritardo sulle tabelle di marcia, non così tanto però per negargli un ascolto.

I KrashKarma sono un duo statunitense, formato dalla cantante/batterista Niki Skistimas e dal chitarrista/cantante Ralf Dietel, indicato come una sorta di The White Stripes del metal che, però, con la rock band di Jack e Meg White non hanno nulla a che fare.

Niente rock’n’roll,blues o garage per la coppia, che invece ci travolge con un hard rock moderno, ispirato dall’alternative metal a cavallo dei due millenni, e da qualche più poderosa ispirazione nu metal.
Il primo vagito della band risale al 2009 con il primo ep, seguito da due full length, Straight To The Blood del 2011 e Paint The Devil del 2015 che hanno portato buoni giudizi e quel pizzico di popolarità che sicuramente verrà rimpinguata dopo l’uscita di Morph, ultimo lavoro composto da una dozzina di brani da buon appeal, con il buon uso delle voci che si alternano in tracce dure e melodiche, pregne di chorus che catturano fin dal primo ascolto.
Ai KrashKarma non manca certo la carica metallica, su cui si strutturano brani dal buon impatto, e le ispirazioni si muovono tra le top band del periodo in cui il genere faceva sfracelli sui canali e radio satellitari, con accenni più o meno espliciti a Linkin Park, Avril Levigne e Disturbed.
A tratti ci vanno giù veloci e diretti i ragazzi: Morph Into A Monster alterna infatti ritmiche veloci e dirette a chorus di pesantissimo nu metal, risultando il brano più devastante di un lotto di brani che, imperterrito, continua ad alternare melodia e violente sciabolate di hard rock moderno, con la voce della Skistimas in grado di alzare la temperatura quando si fa carico dei chorus.
Morph è in definitiva un album piacevole che qualche anno fa avrebbe fatto probabilmente più proseliti, mentre oggi rischia d’essere leggermente in ritardo sulle tabelle di marcia, non così tanto però per negargli un ascolto.

Tracklist
1. Wake Them Up
2. Stranded
3. Footsteps Of A Lemming
4. The Forgotten Man
5. R.I.O.T.
6. Mechanical Heart
7. Children Of The Never
8. Morph Into A Monster
9. Bury Me Alive
10. Way In/Way Out
11. War
12. Picture Perfect

Line-up
Niki Skistimas – Vocals, Drums
Ralf Dietel – Vocals, Guitars

KRASHKARMA – Facebook

P.H.O.B.O.S. – Phlogiston Catharsis

Nonostante le sue tetragone sembianze, Phlogiston Catharsis è un album che desta notevole interesse, a patto d’essere già abbastanza in sintonia con le devianze metalliche proveniente dalla terra francese.

Il mio ultimo incontro con i P.H.O.B.O.S. risale a qualche anno fa in occasione dello split album con i connazionali Blut Aus Nord, ma in realtà il progetto di Frederic Sacri arriva abbastanza da lontano, avendo mosso i primi passi all’inizio del nuovo millennio.

Phlogiston Catharsis è il quarto full length che, indubbiamente, conferma questa entità come un qualcosa volto a non fare sconti all’ascoltatore, tramortito dal pervicace industrial che bandisce ogni ammiccamento ritmico per lasciare al doom e al black più sperimentale il compito di fungere da base stilistica.
Volendo esemplificare al massimo, ascoltare i P.H.O.B.O.S. potrebbe essere paragonabile a quello che accadrebbe se una band sludge decidesse di coverizzare i Godflesh, rallentandone così lo squadrato ed incessante incedere ed accentuando al massimo le tonalità ribassate, tanto da produrre una sorta di rombo sullo sfondo, volto ad accompagnare sporadiche note di lancinante chitarrismo ed uno screaming malignamente filtrato e distorto.
Nonostante le sue tetragone sembianze, Phlogiston Catharsis è un album che desta notevole interesse, a patto d’essere già abbastanza in sintonia con le devianze metalliche proveniente dalla terra francese; solo così brani temibili come Igneous Tephrapotheosis (forse quello più “orecchiabile” dell’intero lavoro, il che è tutto dire) o la rituale Aljannashid avranno una chance di indurre una certa frequenza d’ascolto .
Il risultato finale è alienante il giusto per intrigare gli ascoltatori più spericolati e indurre alla fuga tutti gli altri; a Sacri penso vada benissimo così, e non c’è alcun motivo perché debba cambiare il suo disturbante modus operandi.

Tracklist:
1. Biomorphorror
2. Igneous Tephrapotheosis
3. Zam Alien Canyons
4. Aurora Sulphura
5. Neurasthen Logorrh
6. Taqiyah Rhyzom
7. Aljannashid
8. Smothered In Scoria

Line-up:
Frederic Sacri – distortion / keys / pulse / vox
Mani Ann-Sitar, distortion / keys / vox
Magnus Larssen – subs / infras / lines / pulse

P,H.O.B.O.S. – Facebook

Ehfar – Everything Happens For A Reason

Metal alternativo, hard rock progressivo, impulsi moderni e classe sopraffina al servizio delle canzoni che Titta Tani interpreta con la solita bravura e quel trasporto che sottolinea quanto di suo abbia messo in questo lavoro.

Dopo tanto scrivere e suonare per gli altri Titta Tani ha deciso di fare qualcosa di completamente proprio e sono nati gli Ehfar, quartetto che si completa con Emiliano Tessitore alla chitarra (Stage Of Reality), Matteo Dondi al basso (Theia) e Andrea Gianangeli alla batteria (Dragonhammer).

Ex di DGM ed Astra (tra gli altri), batterista dei Claudio Simonetti’s Goblin e cantante degli Architects of Chaoz, Titta Tani è sicuramente una delle figure più importanti e carismatiche nella scena metal/rock tricolore, un musicista dall’enorme talento confermato anche in questo suo nuovo progetto.
La band debutta con Everything Happens For A Reason, album composto da nove brani che spaziano tra i generi in cui il mastermind si è dedicato in questi anni: quindi nell’album troverete metal alternativo, hard rock progressivo, impulsi moderni e classe sopraffina al servizio delle canzoni che Titta Tani interpreta con la solita bravura e quel trasporto che sottolinea quanto di suo abbia messo in questo lavoro.
A Man Behind The Mask risulta la traccia più classica dell’opera, con Oliver Hartmann (Avantasia, At Vance, Iron Mask) che compare come ospite al microfono, mentre il resto dell’album mantiene un approccio moderno, progressivo e a tratti durissimo, schegge impazzite di metal tecnicamente ineccepibile, tra atmosfere drammatiche ed un approccio melodico sopra le righe.
Everything Happens For A Reason ci riserva una escalation di emozioni che dalle prime note dell’opener Shout My Name, passando per il groove della seguente Night After Night, esplodono nelle due spettacolari e bellissime tracce poste verso la fine dell’opera (Victims e Master Of Hypocrisy), le quali in pochi minuti uniscono Alice In Chains, Symphony X e Savatage nello stesso splendido e drammatico spartito, prima che il crescendo di emozioni della splendida Losing You concluda questo bellissimo lavoro.
Nel mezzo tanta ottima musica metal moderna, melodica e progressiva, dura e pulsante che vi avvicinerà al mondo di questo bravissimo musicista e songwriter nostrano.

Tracklist
01. Shout My Name
02. Night After Night
03. A Man Behind the Mask
04. Dead End Track
05. Once Upon a Time
06. Someone Save Me
07. Victims
08. Master of Hypocrisy
09. Losing You

Line-up
Titta Tani – Vocals
Emiliano Tessitore – Guitars
Matteo Dondi – Bass
Andrea Gianangeli – Drums

EHFAR – Facebook

Fear Of Domination – Metanoia

Il risultato finale è un album come detto gradevole, ammantato di una cattiveria di facciata che copre come un sottilissimo velo contenuti nella loro sostanza ben più morbidi: certo, i dischi brutti sono diversi da Metanoia, ma anche quelli che dovrebbero migliorare la vita a chi li ascolta …

Nonostante siano apparentemente ancora molto giovani, i finlandesi Fear Of Domination sono attivi da una decina d’anni e questo ultimo Metanoia rappresenta il loro sesto full length.

La band nordica è formata da ben otto elementi (con due vocalist) e questo sicuramente favorisce la costruzione di un sound piuttosto saturo, specialmente nei passaggi più robusti che sono l’espressione meglio riuscita di un sound che si muove tra un pizzico di industrial e pulsioni gothic/elettroniche che vanno a confluire in una forma di modern metal piuttosto ammiccante.
Fatte le debite premesse, non si può non rimarcare il fatto che il prodotto dei Fear Of Domination sia sicuramente ricco di un certo appeal commerciale, aspetto che è il suo pregio ma, soprattutto, il suo limite visto che, alla lunga, anche dopo diversi ascolti, rimane ben poco se non l’impressione d’aver ascoltato un album ben costruito, a tratti divertente, ma che in una fascia di ascoltatori più adulta faticherà a ricavarsi una seconda od una terza chance di passaggio nel lettore.
La sensazione è che la band provi a sondare un po’ tutte le strade del metallo più abbordabile, sia con brani che richiamano gruppi come i Deathstars ( Sick and Beautiful, We Dominate), sia proponendo ritmi più ragionati e suadenti in quota Evanescence (Shame, Ruin) sfruttando la vena della brava vocalist Sara Strömmer, ma in definitiva creando un coacervo sonoro che richiama a tratti i più nobili Linkin Park così come l’impalpabile ed adolescenziale metalcore in voga di questi tempi.
Il risultato finale è un album come detto gradevole, ammantato di una cattiveria di facciata che copre come un sottilissimo velo contenuti nella loro sostanza ben più morbidi: certo, i dischi brutti sono diversi da Metanoia, ma anche quelli che dovrebbero migliorare la vita a chi li ascolta …

Tracklist:
1. Dance with the Devil
2. Obsession
3. Face of Pain
4. Sick and Beautiful
5. Shame
6. Lie
7. We Dominate
8. The Last Call
9. Mindshifter
10. Ruin

Line-up:
Saku Solin – Vocals
Lauri Ojanen – Bass
Jan-Erik Kari – Guitars
Johannes Niemi – Lead guitars
Vesa Ahlroth – Drums
Lasse Raelahti – Keyboards
Sara Strömmer – Vocals
Miikki Kunttu – Percussions, stage monkey

FEAR OF DOMINATION – Facebook

Mantar – The Modern Art Of Setting Ablaze

La musica prodotta da un duo non è di facile composizione ed esecuzione perché se mancano il talento e le idee le soluzioni si restringono ancora di più, ma non è il caso dei Mantar che fanno canzoni dalle sempre ottime soluzioni sonore ballando fra diversi generi, partendo dal punk e dal suo derivato il black, senza dimenticare la loro forte ossatura doom e sludge.

Il duo tedesco di Brema torna con un disco infuocato ed abrasivo dopo un breve hiatus, dovuto alla partenza del chitarrista e cantante Hanno per l’assolta Florida.

L’amicizia fra i due è più che ventennale e ciò si riverbera sulla loro musica, un misto assolutamente originale di punk, black metal, doom e sludge, il tutto molto potente e corrosivo. I Mantar nel loro curriculum hanno tre dischi ed un ep, con un suono in costante evoluzione. Quando li si ascolta è difficile credere che siano solo in due, perché la loro potenza è grande e possiedono un timbro molto personale e particolare. Il disco ha un groove continuo, un uncino che ti aggancia e ti porta con sé senza mai lasciarti andare. Tutta la musica dei Mantar è costruita sulla composizione del riff di chitarra, l’architrave portante che regge la costruzione. La voce è un altro elemento molto importante perché essa stessa uno strumento che si inserisce nel flusso musicale. The Modern Art Of Setting Ablaze è un disco che parla del fuoco ed è composto dal fuoco stesso, è una materia infuocata eppure molto affascinate da sentire ad un volume molto alto. La musica prodotta da un duo non è di facile composizione ed esecuzione perché se mancano il talento e le idee le soluzioni si restringono ancora di più, ma non è il caso dei Mantar che fanno canzoni dalle sempre ottime soluzioni sonore ballando fra diversi generi, partendo dal punk e dal suo derivato il black, senza dimenticare la loro forte ossatura doom e sludge. L’immaginario di potenza e decadenza che deriva dalle loro canzoni è una suggestione molto forte ed è una componente importante della poetica del duo di Brema. Si rimane fortemente attratti da questa musica che infiamma e che non lascia indifferenti, anche grazie alla grande sicurezza esibita dai due tedeschi.

Tracklist
1. The Knowing
2. Age Of The Absurd
3. Seek + Forget
4. Taurus
5. Midgard Serpent (Seasons Of Failure)
6. Dynasty Of Nails
7. Eternal Return
8. Obey The Obscene
9. Anti Eternia
10. The Formation Of Night
11. Teeth Of The Sea
12. The Funeral

Line-up
Hanno – Vocals, Guitars
Erinc – Drums, Vocals

MANTAR – Facebook

Like A Storm – Catacombs

Catacombs è un lavoro costruito per provare il definitivo salto, almeno per quanto riguarda la popolarità: se la band ci sarà riuscita si vedrà più avanti, sicuramente non mancherà di trovare estimatori tra il popolo del rock in rotazione sui canali audio/visivi più popolari.

Terzo album per la band neozelandese Like A Storm, formata dai fratelli Brooks (Chris, Matt e Kent) più il batterista Zachary Wood.

Il gruppo, dopo il debutto uscito nel 2009 (The End of the Beginning), ha raggiunto una discreta popolarità con Awaken The Fire, lavoro che gli ha dato la possibilità di suonare in giro per il mondo di supporto alle star dell’ alternative rock Alter Bridge.
Il sound del gruppo è un post grunge animato da scariche nu metal, niente di nuovo quindi, ma perfetto per fare breccia nei cuori del fans del rock radiofonico, anche se leggermente in ritardo sulla tabella di marcia.
I fratelli Brooks hanno sicuramente il vantaggio di saper scrivere canzoni melodiche, ruffiane ma dure ed alternative quel tanto che basta per non apparire troppo adolescenziali: il rock di matrice post grunge (Alter Bridge, Nickelback) si allea con il metal moderno tra metalcore e nu metal e ne esce un album piacevole anche se non troppo personale.
I Linkin Park sono la terza band che forma il triumvirato artistico ispiratore della musica dei Like A Storm, che partono benissimo con l’opener The Devil Inside per poi inserire il pilota automatico, così da viaggiare ad andature standard, senza troppi scossoni e senza grossi sbandamenti.
All’ascolto di Catacombs si evince la ricerca di una perfezione formale, tutto è carino e al posto giusto, le sferzate metalliche, così come le melodie pop rock, si prendono a turno la scena: l’intenzione di costruire una raccolta di hits porta i Like A Storm a perdere molto in genuina attitudine e personalità, un peccato che chi segue i trend saprà perdonare ai tre fratelli neozelandesi.
Catacombs è dunque un lavoro costruito per provare il definitivo salto, almeno per quanto riguarda la popolarità: se la band ci sarà riuscita si vedrà più avanti, sicuramente non mancherà di trovare estimatori tra il popolo del rock in rotazione sui canali audio/visivi più popolari.

Tracklist
1.The Devil Inside
2.Out Of Control
3.Catacombs
4.Complicated (Stitches & Scars)
5.Solitary
6.The Bitterness
7.Until The Day I Die
8.Hole In My Heart
9.Bullet In The Head
10.These Are The Bridges You Burned Down
11.Pure Evil

Line-up
Chris Brooks – Lead vocals, guitar, didgeridoo, keys/programming
Matt Brooks – Vocals, lead guitar, keys/programming
Kent Brooks – Bass, vocals, keys/programming
Zachary Wood – Drums

LIKE A STORM – Facebook

Voodoo Diamond – Darkness Becomes It

Dieci brani vengono dati in pasto dal gruppo alle radio rock, dieci tracce perfette, tra melodie alternative, marziali ritmiche metalcore e rabbiose accelerazioni thrash, il tutto legato da una performance vocale ottima, sia nelle clean che nel vocione estremo.

Nel mondo del metal moderno ed alternativo, la linea che divide un buon lavoro dalla solita ed ormai abusata formula in uso nel metallo da classifica rischia ogni volta di spezzarsi, rivelandosi ormai sottilissima e sempre più sollecitata da opere di bassissimo livello artistico.

L’eccezione che conferma la regola è rappresentata da quei gruppi che hanno tanto da dire in termini musicali e sorprendenti protagonisti di ottimi album come quello di debutto su lunga distanza dei londinesi Voodoo Diamond, trio multietnico con base nel Regno Unito, con due ep già licenziati prima che Darkness Before It, con l’aiuto del produttore Scott Atkins (Cradle Of Filth, Amon Amarth) e di Fredrik Nordstrom (Bring Me The Horizon, Arch Enemy, Architects, In Flames, Soilwork, Opeth) per quanto riguarda mix e mastering, esploda nei lettori dei giovani appassionati dai gusti moderni in giro per il mondo.
Dieci brani vengono dati in pasto dal gruppo alle radio rock, dieci tracce perfette, tra melodie alternative, marziali ritmiche metalcore e rabbiose accelerazioni thrash, il tutto legato da una performance vocale ottima, sia nelle clean che nel vocione estremo.
Ma ovviamente chi fa la differenza in questo lavoro è il songwriting ispiratissimo, che permette all’album di non avere pause o riempitivi, solo un lotto di potenziali singoli, perfetti nei refrain, buoni nel saper alternare melodie radiofoniche a rabbiose parti core, valorizzato da un gran lavoro chitarristico che non risparmia solos di stampo heavy in un contesto moderno ed alternativo.
Deny è il singolo lanciato per far innamorare perdutamente i fans del rock/metal moderno, ma non è sicuramente da meno la splendida opener Black Ice o Trigger, tracce che non lasciano scampo, per l’alchimia perfetta tra Trivium, Killswitch Engage, Parkway Drive e Linkin Park .
Ne sentiremo parlare dei Voodoo Diamond, le carte in regola per sfondare ci sono tutte e scommetto che al prossimo giro li ritroveremo come la new sensation lanciata da qualche major: per ora resta da godersi questo ottimo debutto.

Tracklist
1.Black Ice
2.With My Hands Clenched
3.Deny
4.While She Sleeps
5.Trigger
6.Broken Mirrors
7.Forgive Me Not
8.Givin It All
9.Son Of A Bastard Sun
10.Violins

Line-up
Filipe Martins – Vocals, Guitars
Alex Dias – Vocals
Doug Rimington – Bass

VOODOO DIAMOND – Facebook

Annisokay – Arms

Gli Annisokay propongono un metalcore molto moderno e melodico, con una doppia voce, ovvero il cantato più metal e quello più pulito che funzionano molto bene assieme.

Se volete avere uno sguardo esaustivo sul metal moderno, o se volete ascoltare il meglio del metalcore insieme ad una robusta dose di elettronica o di post hardcore, Arms è il disco che fa per voi e che vi eviterà tante delusioni.

I tedeschi Annisokay sono una delle band migliori in circolazione in campo modern metal e metalcore, e hanno molto di più degli stilemi di questi due generi. Il loro nome nasce dal testo di una canzone di Michael Jackson, uno dei loro idoli che hanno anche omaggiato in passato con una cover, e più precisamente da Smooth Criminal dove si parla di una ragazza che si chiama Annie e che viene attaccata nel suo appartamento, e non se ne sa più nulla, quindi Annie is Okay ? Da qui nel 2007 da Halle an der Saale, ha inizio la storia di uno dei gruppi europei che stanno avendo maggior successo, grazie ad una molto intensa attività live, basti vedere il prossimo tour che li porterà via per molto tempo e che attraverserà in maniera massiva soprattutto gli Stati Uniti e la natia Germania, passando anche per il Giappone. I tedeschi propongono un metalcore molto moderno e melodico, con una doppia voce, ovvero il cantato più metal e quello più pulito che funzionano molto bene assieme. Uno dei tratti distintivi del gruppo sono le tastiere che sono presenti in maniera adeguata, andando ad arricchire il suono che è molto florido. Tutto il suono e quindi il disco funzionano molto bene, e oltre ad una ricerca della melodia vi è anche un ottimo bilanciamento con le parti più pesanti, ma soprattutto ci sono idee chiare. Gli Annisokay hanno la loro impronta immediatamente riconoscibile e non vanno dietro a quello che può piacere, anche se sono ottimi per il mercato statunitense. Il lavoro si fa ascoltare molto bene, ha tante ottime idee e riesce ad essere coinvolgente e caldo, con un fortissimo immaginario anni ottanta. Un ottimo disco di metal moderno, e un altro notevole gruppo nel solidissimo palinsesto della Arising Empire, sussidiaria della Nuclear Blast per il campo modern metal.

Tracklist
1.Coma Blue
2.Unaware
3.Good Stories
4.Fully Automatic
5.Sea of Trees
6.Innocence Was Here
7.Humanophobia
8.End of the World
9.Escalators
10.Private Paradise (feat. Chris Fronzak)
11.One Second
12.Locked Out, Locked In

Line-up
Dave Grunewald – Shouts
Christoph Wieczorek – Clean Vocals/Guitar
Norbert Kayo – Bass
Philipp Kretzschmar – Guitar
Nico Vaeen – Drums

ANNISOKAY – Facebook

Faction Senestre – Civilisation

Un rumorismo dronico e industriale fa da tappeto sonoro a testi declamati in lingua madre, invero molto interessanti per la loro feroce quanto esplicita critica della modernità: questo chiaramente rende il tutto affascinante quanto dannatamente ostico.

Faction Senestre è un progetto di nuovo conio formato da membri di band di un certo spicco della scena francese come Still Volk, Rosa Crux, Malhkebre e Sektarism.

Quello che ne scaturisce è un brano sperimentale della durata di oltre 20 minuti, suddiviso in quattro parti, che mette sicuramente a dura prova l’apertura mentale dell’ascoltatore medio.
Un rumorismo dronico e industriale fa da tappeto sonoro a testi declamati in lingua madre, invero molto interessanti per la loro feroce quanto esplicita critica della modernità: questo chiaramente rende il tutto affascinante quanto dannatamente ostico.
Resta il fatto che questi musicisti transalpini sanno il fatto loro e, pur scendendo su un terreno molto scivoloso, riescono a mettere in scena una riproduzione credibile di sonorità avanguardiste per quanto, ovviamente, Civilisation si vada a collocare decisamente al di fuori di quelli che sono i normali ascolti.
Difficile quindi affibbiare all’operato dei Faction Senestre le semplicistiche etichette di bello o brutto: tutto dipende dal tipo di approccio, dalla sensibilità e dal desiderio di farsi scuotere che ciascuno possiede; detto ciò, personalmente trovo Civilisation un’opera di un certo spessore, musicalmente e concettualmente, il che desta quindi una certa curiosità nei confronti di eventuali prossimi sviluppi di questo progetto.
Ta civilisation est en péril, je le prédis et tu t’enfuis

Tracklist:
1. Ta Civilisation

Hanzel Und Gretyl – Satanik Germanik

Satanik Germanik è un album non imprescindibile ma senz’altro gradevole, costellato di buone intuizioni ritmiche e melodiche: basta ed avanza per ascoltarlo con un certo interesse.

In auge fin dagli anni novanta, gli Hanzel Und Gretyl, nonostante esibiscano un monicker, i titoli degli album e, in genere, un immaginario che riporta alla Germania, sono in realtà un duo newyorchese composto da Kaizer Von Loopy e Vas Kallas.

Anche le sonorità prescelte, sotto forma di un industrial elettronico (specialmente nella prima fase della carriera), ha reso la coppia decisamente contigua a sonorità tipicamente teutoniche, portandola a supportare nei tour americani i colossi germanici Rammstein, oltre a Marylin Manson e i Prong.
Con un tale pedigree era difficile attendersi dagli Hanzel Und Gretyl un album deludente, specialmente se si hanno nelle corde certe sonorità marziali, a tratti volutamente becere ed eccessive nonché intrise di un particolare senso dell’humour.
Satanik Germanik, ottavo full length della discografia, prosegue dunque sulla falsariga del precedente Black Forest Metal, che aveva già visto un indurimento in direzione metallica del sound e va detto che questa ibridazione si rivela davvero efficace.
Ogni brano è connotato da un groove spesso irresistibile e, anche quando i ritmi si rallentano parzialmente, ne scaturiscono cose notevoli, come I Am Bad Luck, condotta dalla lasciva interpretazione di Vas Kallas.
A fare da contraltare arriva puntualmente la successiva Trinken mit der Kaizer (Die Bierz from Hell), dai riff squadrati di scuola rammsteiniana, episodio trascinante quanto antitetico ad ogni idea di raffinatezza musicale.
In generale, però, la bravura nel trattare la materia in modo tale da renderla credibile, esibita da questi collaudati musicisti, rende la raccolta una buona occasione di rifarsi le orecchie per coloro ai quali mancano dannatamente Lindemann e soci, senza dimenticare spunti provenienti dai migliori Manson, Rob Zombie o Ministry, il tutto condito in salsa germanica meglio di quanto saprebbero fare le stesse band autoctcone.
Se il rischio di scadere nel kitsch fine a sé stesso è molto alto, gli Hanzel Und Gretyl lo scongiurano brillantemente grazie ad un’attenzione alla forma canzone che rende ogni episodio degno d’attenzione, con menzione particolare per i più riusciti e coinvolgenti Black Six Order, Weisseswald e Hellfire und Grimmstone, oltre alle tracce di apertura e di chiusura, Golden Dammerung e Kinamreg Kinatas, che sono di fatto lo stesso brano basato su canti simil-gregoriani poggiat,i nel primo caso, su una base elettronica e, nel secondo, scossi invece da un più pesante riffing.
Satanik Germanik è un album non imprescindibile ma senz’altro gradevole, costellato di buone intuizioni ritmiche e melodiche: basta ed avanza per ascoltarlo con un certo interesse.

Tracklist:
1. Golden Dammerung
2. We Rise as Demons
3. Black Six Order
4. Weisseswald
5. I Am Bad Luck
6. Trinken mit der Kaizer (Die Bierz from Hell)
7. Hellfire und Grimmstone
8. Sonnenkreuz
9. Unter alles
10. 13 Moons
11. Kinamreg Kinatas

Line-up:
Kaizer Von Loopy – Guitars, Programming, Vocals
Vas Kallas – Vocals, Bass

HANZEL UND GRETYL – Facebook

Taina – Seelenfresser

Il gruppo di Brema è con questo disco al debutto, e si può dire che sia positivo, anche perché era da tempo che non si ascoltava un lavoro di industrial metal fatto con questa passione e con l’amore per la dance anni novanta come i Prodigy.

I Taina sono uno dei migliori gruppi di industrial metal tedeschi nati dopo la venuta sulla terra dei Rammstein, che hanno aperto la strada a tante band, ma ben pochi della qualità della band nata nel 2010.

Il loro suono è una commistione fra metal ed elettronica, il tutto molto veloce e con chitarre pesanti, ma con un gusto fortemente retrò, in stile Orgy per intenderci. Una cosa molto particolare sono le loro chiare e persistenti radici punk hardcore, soprattutto in ambito di costruzione e velocità della canzone. Il gruppo di Brema è con questo disco al debutto, e si può dire che sia positivo, anche perché era da tempo che non si ascoltava un lavoro di industrial metal fatto con questa passione e con l’amore per la dance anni novanta come i Prodigy. Il cantato in tedesco calza a pennello per questa musica, e poi dopo i Rammstein ciò non colpisce più, anzi l’industrial metal in tedesco è un vero e proprio genere, e se la qualità media non è per nulla eccelsa i Taina fanno eccezione. Seelenfresser è un disco che potreste giudicare come ovvio, invece non lo è affatto, ha anzi molti spunti originali pur se non si inventa nulla, ma soprattutto è divertente e non ha timore di essere ciò che vuole essere. Nel genere industrial metal è sicuramente una delle migliori uscite degli ultimi tempi e poterebbe essere una porta dalla quale potrebbero entrare nuovi estimatori che ancora non conoscono questa cyber musica. I Taina, anche grazie alla forte vena dance punk, sono diversi dal resto dei gruppi e hanno anche un vero amore per il metal. Uno dei due remix del disco, quello della canzone che dà il titolo al disco, è della figura che ha saputo coniugare maggiormente la dance al metal, ovvero Zardonic, il dj venezuelano che apprezzerete moltissimo perché fa un remix che vale il disco. Un album divertente che, senza pretese, arriva dove la band si è prefissata.

Tracklist
1.Schrei nicht
2.Pseudogott
3.Teil von mir
4.Folge mir
5.Perfekte Dunkelheit
6.Seelenfresser
7.Allein
8.Alles endet hier
9.Seelenfresser (Zardonic Remix)
10.Devil-M – Savior Self (TAINA Remix)

Line-up
WoLand – Vocals & Synths
SerZh – Guitars
Hannes – Drums
Marcel – Bass

TAINA – Facebook

2̵n̵d̵ f̷a̶c̴e̷ – Nihilum E.P.

Un altro ottimo lavoro del musicista di Mainz, pronto a prendersi lo scettro della scena elettro industrial con il suo prossimo full length: una previsione che mi sento di fare senza particolari timori d’essere smentito.

2̵n̵d̵ f̷a̶c̴e̷ è uno di quei nomi che ci consentono di spaziare in quell’elettronica che in Metaleyes trova ampio diritto di cittadinanza, specialmente quando la materia metallica si rinviene almeno nell’approccio, se non proprio a livello di sonorità.

Il progetto del tedesco Vincent Uhlig era già stato segnalato l’anno scorso in occasione del full length d’esordio Nemesis, e lo ritroviamo oggi con questo ep, grazie al quale l’idea di elettro industrial sembra ancor più raffinarsi per rendersi disponibile ad un novero maggiormente ampio di ascoltatori rispetto al passato.
Questo non significa che il sound si sia fatto più commerciale o danzereccio, bensì deriva dalla constatazione di come il singolo Nihilum si riveli una sintesi pressoché perfetta tra le pulsioni che animano lo spartito creato da Uhlig.
Long Live Humanity è l’altro pezzo forte di questo breve lavoro, dimostrandosi una traccia più intensa, meno ritmata e dalle aperture atmosferiche che donano un tocco sorprendentemente malinconico e, a tratti, addirittura drammatico.
Nuclear Winter Is Coming e Blind Wanderer sono episodi industrialmente disturbati in maniera magistrale, mentre la versione Director’s Cut della splendida Nihilum suggella un altro ottimo lavoro dell’ancora giovane musicista di Mainz, pronto a prendersi lo scettro della scena con il suo prossimo full length: una previsione che mi sento di fare senza particolari timori d’essere smentito.

Tracklist:
1.Nihilum (Essential)
2.Long Live Humanity
3.Nuclear Winter Is Coming
4.Blind Wanderer
5.Nihilum (Director’s Cut)

Line-Up:
Vincent Uhlig

2ND FACE – Facebook

None Dare Call It Conspiracy – Pawns And Kings

Groove, growl, clean vocals, accenni thrash e core, in un contesto di moderno metallo dal buon appeal, sono gli ingredienti con cui la band si presenta in modo convincente ai fans del genere.

Tramite Wormholedeath i finlandesi None Dare Call It Conspiracy danno un seguito al loro debut album uscito nel 2013 (Tales Of The Lost).

Il gruppo nativo di Helsinki ha dovuto vedersela con un continuo rimescolamento nella formazione che, in questo momento, risulta di sei elementi pronti a conquistare il proprio posto nella scena estrema metallica moderna.
Groove, growl, clean vocals, accenni thrash e core, in un contesto di moderno metallo dal buon appeal, sono gli ingredienti con cui la band si presenta in modo convincente ai fans del genere.
Pawns And Kings è composto da undici brani sparati con la potenza di un cannone ma estremamente melodici: il lavoro delle chitarre è chiaramente ispirato al melodic death metal scandinavo, mentre sono le ritmiche che, tra groove, parti cadenzate e accelerazioni, imprimono al sound sterzate stilistiche senza perdere il filo di un discorso moderno e catchy.
Vanno via che è un piacere brani come Kingmaker, Dust e Nevermore, tripletta che fulmina l’ascoltatore, sorpreso da tanta veemenza melodica; a tratti Pawns And Kings riesce a prenderci per il collo e stringere, prima che uno stacco melodico o un verso in clean ci riporti a quelle melodie che sono il pane del sound proposto dalla band finlandese.
Un album consigliato agli amanti del metal moderno ma che sa regalare ottimi spunti anche ai fans del melodic death, approfittatene.

Tracklist
1.Kingmaker
2.Dust
3.Nevermore
4.Mirrors
5.Sheep Counting
6.Rise
7.The Shaming
8.Pawns and Kings
9.Sightlines
10.Pain
11.Sacrifice

Line-up
William Torrey – Vocals
Jani Elokoski – Guitar
Johannes Oravainen – Guitar
Jere Laitinen – Guitar, backing vocals
Toni Toikkanen – Bass, backing vocals
Ville Holmström – Drums

NONE DARE CALL IT CONSPIRACY – Facebook

Bleeding Through – Love Will Kill All

Tornare dopo quattro anni dall’annuncio del tuo scioglimento (con relativo tour di addio) ti obbliga a dare più del tuo meglio, ed è quello che ha fatto il gruppo americano: Love Will Kill All può infatti essere considerato il miglior disco dei Bleeding Through, o almeno quello che racchiude le loro cose più interessanti.

Tornare dopo quattro anni dall’annuncio del tuo scioglimento (con relativo tour di addio) ti obbliga a dare più del tuo meglio, ed è quello che ha fatto il gruppo americano: Love Will Kill All può infatti essere considerato il miglior disco dei Bleeding Through, o almeno quello che racchiude le loro cose più interessanti.

Il suono non è cambiato granché, è diventato però più granitico e pesante, quasi un metalcore sinfonico molto ben composto ed eseguito con impeto e passione. I Bleeding Through sono uno dei gruppi che ha incendiato il mondo con il fuoco del metalcore, vivendone la maggior espansione possibile e dettandone anche le linee guida a partire dal 1999, ed in questo disco se ne comprende bene il perché. Love Will Kill All racchiude in sé il meglio del metalcore, melodia, cattiveria, e quel senso di colonna sonora di videogioco che è uno degli ingredienti fondamentali della ricetta. In molti disprezzano questo genere mentre chi lo ama invece lo difende a spada tratta: la soluzione sta forse nel prenderlo per quello che è, un ottimo intrattenimento e un qualcosa di aggressivo che non fa male, ma che ricrea in maniera godibile ed apprezzabile. Questi ragazzi di Orange County, California, sono tornati insieme per rimettersi in gioco e lo hanno fatto in maniera convincente, si può poi parlare per giorni sulle motivazioni; sicuramente il fattore economico è importante, ma si deve anche pensare che per questa gente il metalcore è il pane, e per i progetti solisti questo non è il tempo adatto. Il disco è il meglio che possano fare, cioè un gran bel massacro dall’inizio alla fine: davvero un gran ritorno, e nessuno sperava in fondo che potesse essere cosi positivo. Qui c’è il miglior metalcore che possiate trovare in giro.

Tracklist
1. Darkness, A Feeling I Know
2. Fade Into The Ash
3. End Us
4. Cold World
5. Dead Eyes
6. Buried
7. No Friends
8. Set Me Free
9. No One From Nowhere
10. Remains
11. Slave
12. Life

Line-up
Vocals: Brandan Schieppati
Keyboards: Marta
Guitar: Brian Leppke
Guitar: Dave Nassie
Guitar: Scott Danough
Drums: Derek Youngsma
Bass: Ryan Wombacher

BLEEDING THROUGH – Facebook

A Scar For The Wicked – The Unholy

Il sound rispecchia la parte più estrema dei suoni metallici moderni, sotto forma di un valido e brutale death metal, devastante e senza compromessi.

Dal Canada arrivano questi temibili A Scar Of The Wicked, gruppo estremamente violento che, partendo da una base death metal sviluppa il suo sound ispirandosi alla scena moderna.

Un uso particolarmente riuscito delle due voci estreme (growl e scream) ed un tasso altissimo di rabbia da sfogare in musica fanno il resto, così che i sette brani racchiusi in questo nuovo ep risultino una mazzata estrema davvero portentosa.
La storia discografica del gruppo non vede ancora full length all’attivo bensì un terzetto di ep che vedono il primo The Necrobutcher, licenziato nel 2014, seguito da Scars, uscito l’anno dopo, e infine da questo The Unholy, confermando l’impatto violentissimo che la band ha sull’ascoltatore: sette bordate di death metal moderno, tra blast beat, rallentamenti potentissimi e rabbia devastante, da parte di una macchina da guerra in arrivo da Ottawa che distrugge senza soluzione di continuità.
La scelta di licenziare lavori relativamente corti mi trova assolutamente d’accordo, ed anche The Unholy si presenta come un concentrato di terribile violenza musicale dai rimandi core, tra esplosioni e mitragliate ad altezza d’uomo.
Il sound rispecchia quindi la parte più estrema dei suoni metallici moderni, sotto forma di un valido death metal brutale, devastante e senza compromessi.

Tracklist
1.Born From The Grave
2.A Place Where Death Resides
3.The Abyss
4.Darkness Approaches
5. The Unholy
6.Malformed
7.Evil Within

Line-up
Eric Forget – Vocals
Adam Semier – Guitars, Vocals
Joe Kenyeres – Guitars
James Nopper – Bass
Nick Rodgers – Drums

A SCAR FOR THE WICKED – Facebook

Naberus – Hollow

Con una ventina di minuti in meno Hollow sarebbe stato un album pressoché perfetto, ma resta comunque consigliato agli amanti del genere per il suo impatto dinamitardo e le soluzioni melodiche molto interessanti.

Melodic thrash death metal con forti influenze core e groove, un concentrato di potenza melodica in arrivo dall’Australia: questo risulta Hollow, terzo album dei Naberus.

Il gruppo proveniente da Melbourne ci investe con tutta la sua potenza in questa ora di sunto delle sonorità che hanno demolito i padiglioni auricolari degli amanti del metal moderno, tra accelerate, ritmiche sincopate, scream e voci pulite, urla thrash ed attitudine core, con sempre la melodia protagonista e collante tra le varie anime del sound.
Mixato da Henrik Udd (Bring Me the Horizon, Architects, A Breach of Silence), Hollow è un tornado metallico potentissimo, che alterna brani devastanti come Split In Two ad altri che guardano al trend del metalcore melodico in un contesto di tensione perenne.
Il cantato non risparmia violente parti di ispirazione nu metal (Webs), quindi si passa con molta naturalezza dallo scream alla voce pulita fino a cadenze rappate che ricordano i Machine Head del controverso The Burning Red.
Prodotto alla perfezione, l’album deflagra in uno tsunami di violento metallo moderno (la title track) non facendo prigionieri, con riff che si susseguono uno più violento e potente dell’altro.
Machine Head e poi Korn, Sepultura, Soilwork e Bring Me the Horizon sono le principali ispirazioni che escono prepotentemente dal muro sonoro creato dai nostri, i quali lasciano ad una leggera prolissità l’unico difetto riscontrato all’ascolto di questo macigno sonoro.
Con una ventina di minuti in meno Hollow sarebbe stato un album pressoché perfetto, ma resta comunque consigliato agli amanti del genere per il suo impatto dinamitardo e le soluzioni melodiche molto interessanti.

Tracklist
1.Slaves
2.Space to Breathe
3.Split in Two
4.Shadows
5.Webs
6.Hollow
7.I Disappear
8.The End
9.Seas of Red
10.The Maze
11.My Favorite Memory
12.Fading
13.The Burrow
14.The Depths

Line-up
James Ash – Vocals
Dan Ralph – Guitars
Dante Thomson – Guitars
Jordan Mitchell – Bass
Chris Sheppard – Drums

NABERUS – Facebook

Meka Nism – The War Inside Ep

I Meka Nism sono un gruppo tipicamente di oltre oceano, autori di un metal moderno ed accattivante, con molto talento.

I Meka Nism sono un gruppo che coniuga molto bene le varie tendenze del metal moderno con solide radici nella tradizione: chitarre veloci, un respiro metalcore e la voce femminile di Ms. Meka che svetta su tutto.

Il suono del gruppo è tipicamente americano, con la sua sfrontata e piacevole miscela di melodia e durezza che riesce a rendere il suono radiofonico ma anche adatto alle orecchie dei metallari. Non stiamo parlando di neofiti e si sente, dato che il gruppo di Orlando è in giro dal 2010 e si può percepire tutta la loro esperienza. Con questo nuovo ep la band fa un ulteriore balzo in avanti, soprattutto per quanto riguarda la composizione delle canzoni che li porta a creare ottime atmosfere, intrise di romanticismo ma anche di visioni di un futuro che non sarà piacevole, ma che è davanti a noi. I registri sui quali opera il gruppo sono vari, dai pezzi più ritmati ad altri maggiormente melodici con l’ausilio di tastiere, riuscendo sempre a strutturare in maniera efficace i pezzi. Certamente la voce di Ms. Meka è un grande valore aggiunto, dato che è molto brava cambiare tenore e modo di cantare, ma sono tutti i musicisti ad essere tecnicamente davvero validi: tutto ciò però sarebbe nulla senza la capacità di scatenare qualcosa dentro l’ascoltatore. I Meka Nism sono un gruppo tipicamente di oltre oceano, autori di un metal moderno ed accattivante, con molto talento.

Tracklist
1.The War Inside
2.These Years of Silent Screams
3.Trailblazer
4.Arrows of Alchemy
5.Black Sky (It’s Not Over Yet)

Line-up
Ms. Meka 眼歌- Vocal Artist & Shaman
Bobby Keller – Guitar
Nick Colvin – Drums
Danny Arrieta – Guitar
Jay Adkisson – Keyboards
Jarret Robinson – Bass

MEKA NISM – Facebook