Kazah – Feed Your Beast

All’unisono i musicisti ungheresi si scagliano contro l’ascoltatore e lo affrontano a forza di colpi inferti da riff pesantissimi, otto pugni nello stomaco, otto aggressioni sonore che non fanno prigionieri sotto l’aspetto dell’impatto e dell’attitudine.

I Kazah arrivano dall’Ungheria, sono un quintetto nato nel 2014 e suonano hardcore, potenziato da riff di moderno metallo pesantissimo: il loro esordio si chiama Feed Your Beast, licenziato dalla nostrana Ghost Label Record alla fine dello scorso anno.

Niente di nuovo, ma sicuramente d’impatto questo album, composto da otto bombe sonore cariche di groove, dalla durata medio lunga che rende il quadro generale leggermente prolisso.
Il resto lo fanno una predisposizione per ritmiche panteriane, sfumature estreme di scuola Meshuggah ed una cascata di violenza sonora ben calibrata, con la tensione che sale a livelli pericolosissimi già dall’opener Puppets e non scende fino all’ultima nota della conclusiva XIS.
Nel mezzo partenze devastanti di scuola hardcore, si alternano a monoliti metallici, fuori dai soliti schemi core tanto cari ai giovani fans del genere e più in linea con il sound dei gruppi citati.
All’unisono i musicisti ungheresi si scagliano contro l’ascoltatore e lo affrontano a forza di colpi inferti da riff pesantissimi, otto pugni nello stomaco, otto aggressioni sonore che non fanno prigionieri sotto l’aspetto dell’impatto e dell’attitudine.
Un buon esordio, con ancora qualche dettaglio da perfezionare ma sicuramente in grado di soddisfare gli amanti del metal estremo di scuola moderna e hardcore.

Tracklist
01. Puppets
02. Never Look Back
03. Straight Ahead
04. Before I Die
05. Modern Slave
06. Another Me
07. Hope And The Truth
08. XIS

Line-up
Bodnár Péter – Vocal
Szabácsik István – Guitar ( Cort guitars endorser )
Adamcsik Zsolt – Guitar ( Cort guitars endorser )
Stephen Ollak – Bass
Németi Zsolt – Drums – ( Bigstick and Diril Cymbals endorser )

KAZAH – Facebook

While My City Burns – Prone To Self Destruction

Prone To Self Destruction è un macigno metalcore valorizzato dall’uso della melodia in buona quantità, con i brani che si susseguono senza grandi scossoni ma neppure senza cadute, mantenendo l’ascolto interessante e consigliato agli amanti del genere.

Le vie del metal moderno sono infinite ed arrivano fino all’estremo nord, in Islanda, dove ad attenderci per devastare in nostri padiglioni auricolari ci sono i While My City Burns, quintetto di Reykjavík che propone un buon esempio di metalcore.

La band, attiva dal 2013, debutta per Wormholedeath con Prone To Self Destruction, un vulcano che erutta metallo potente, moderno e vario, contaminato da inserti elettronici e sferzate hardcore.
Ottimo l’uso delle voci, e devastante l’approccio con la sezione ritmica che martella senza pietà, ed un’atmosfera “nervosa” come una fiera tenuta a fatica tra le briglie.
L’album è quindi il classico lavoro di genere, ma con qualche buona idea che lo distingue dalle solite uscite: i brani si snodano rabbiosi con la melodia sempre presente e di matrice post hardcore, alternandosi a muri di watt.
Un’urgenza che si esprime tramite un sound estremo, sorprendente se si pensa alla provenienza del gruppo, che più che natio di quelle epiche e fredde terre pare essersi formato tra le strade di una qualche metropoli statunitense.
Prone To Self Destruction risulta così un macigno metalcore valorizzato dall’uso della melodia in buona quantità, con i brani che si susseguono senza grandi scossoni ma neppure senza cadute, mantenendo l’ascolto interessante e consigliato agli amanti del genere: le ispirazioni sono quelle classiche dei gruppi di punta, senza che ciò renda i While My City Burns poco personali o mere fotocopie.

Tracklist
1.Intro
2.New beginnings
3.Alligator char
4.Monument
5.Dear dad
6.Stranger things
7.You know who you are
8.Heartbreaker
9.Wolves are among us
10.Vivens mortua
11.Where do we go from here
12.Best of me – Bonus Track
13.Out of my mind – Bonus Track

Line-up
Gauti Hreinsson – Vocals
Alexander Glói Pétursson – Guitar ,Vocals
Úlfar Alexander Úlfarsson – Guitar
Kristófer Berg Sturluson Paraiso – Bass
Guðjón Trausti Skúlason – Drums

WHILE MY CITY BURNS – Facebook

A Tear Beyond – Humanitales

Il talento nel saper costruire brani dal forte impatto emotivo, sorprendendo l’ascoltatore ad ogni passaggio, è l’arma in più di questa splendida realtà nostrana che richiama la scuola teatrale tedesca e ci trasporta per quasi un’ora nel suo mondo oscuro.

Gli A Tear Beyond avevano impressionato non poco il sottoscritto all’indomani dell’uscita del loro secondo album, Maze Of Antipodes, licenziato tre anni fa.

Il gruppo vicentino torna con un nuovo lavoro intitolato Humanitales, un’altra spettacolare e tragica opera dal sound che racchiude gothic, dark, extreme, industrial e symphonic metal e lo elabora secondo una personale  visione.
Capitanata dal cantante ed interprete Claude Arcano, la band rispetto al lavoro precedente (il primo album Beyond, diede inizio all’avventura nel 2012) accentua in parte l’atmosfera orchestrale e cinematografica su cui si poggia il proprio universo musicale che mantiene una forte componente teatrale, in un quadro nel quale i colori mantengono le tonalità del nero.
Il talento nel saper costruire brani dal forte impatto emotivo, sorprendendo l’ascoltatore ad ogni passaggio, è l’arma in più di questa splendida realtà nostrana che richiama la scuola teatrale tedesca e ci trasporta per quasi un’ora nel suo mondo oscuro.
Humanitales coniuga come da tradizione i generi citati e ci regala una nuova manciata di splendide trame su cui il singer costruisce un’altra performance da applausi, con l’ascoltatore che, chiudendo gli occhi, si ritroverà al cospetto di un palcoscenico sul quale gli A Tear Beyond danno vita alle atmosfere di brani capolavoro come Tale, quindici minuti di nobile e tragico metallo sinfonico, gotico e concettualmente estremo nel saper unire molte anime musicali dalle tinte dark.
Devil Doll, Rammstein e Moonspell fanno parte sicuramente del bagaglio musicale del gruppo che aggiunge una sua ormai consolidata e debordante personalità in un crescendo artistico sorprendente: per gli amanti di queste sonorità un’opera imperdibile.

Tracklist
1.Humanitales
2.Frolic
3.Sentence (Forgiveness act II)
4.So Deep Out There
5.Angels Out of Grace
6.Inugami
7.Damned Paradise
8.Inadequacy
9.Tale
10.The Frozen Night (rebirth bonus)

Line-up
Claude Arcano – Vocals
Ian – Guitars
Undesc – Guitars
Cance – Bass
Phil – Keybs and Orchestra
Skano – Drums

A TEAR BEYOND – Facebook

Viperium – Antropofobia

Maturo quel tanto che basta per non lasciare nulla di facile all’ascoltatore, Antropofobia è un grido lancinante diviso in nove capitoli, una linea musicale che ci separa dal baratro.

Il sound che sul finire degli anni novanta scalzò definitivamente il grunge dal trono della musica rock ha ispirato molte più band di quelle che i suoi detrattori potessero pensare.

Il nu metal, tacciato come semplice moda, è diventato uno dei modi più convincenti per descrivere l’animo umano, sempre in lotta con i propri demoni, le proprie paura e la follia.
I Viperium provano a raccontarcelo, tramite Antropofobia, debutto licenziato dalla Volcano Records, composto da nove brani di oscuro e pesante metallo moderno ispirato alle band che fecero tremare il mercato sul finire degli anni novanta.
Korn e Deftones sono le maggiori influenze della band foggiana che ci travolge con un sound ossessivo e claustrofobico, dominato dalla sezione ritmica, massiccia ed in evidenzia, ed un cantato che sembra davvero uscire dall’anima tormentata di un uomo moderno, in conflitto perenne con le sue fobie.
Maturo quel tanto che basta per non lasciare nulla di facile all’ascoltatore, Antropofobia è un grido lancinante diviso in nove capitoli, una linea musicale che ci separa dal baratro.
I Viperium ci martellano per più di mezzora, ci investono con la forza di tracce che producono dolore come Evil Inside, Insanity (e qui Jonathan Davis si impossessa dell’anima del singer Valeriano Castelgrande) ed il singolo I’m Drug, un lacerante brano che deflagra in mille dissonanze.
Un esordio interessante per questa giovane band nostrana, assolutamente in grado di tenere botta con un album pesantissimo e per niente scontato di questi tempi.

Tracklist
1.Nituwe
2.Evil Inside
3.Fear
4.Despair
5.Deaf Dumb
6.Insanity
7.I’m Drug
8.Brainwash
9.Eyes Of The Devil

Line-up
Valeriano Castelgrande – Vocals
Alessandro Sarni – Drums
Antonio Quatrale – Guitars
Francesco Catalano – Guitars
Aurora Corcio – Bass

VIPERIUM – Facebook

Ostura – The Room

Gli strumenti tradizionali e classici guidano la musica verso territori inesplorati e la forza del metal, come tempeste di sabbia nel deserto, si unisce alle orchestrazioni ed alle atmosfere suggestive di cui è composto The Room per un risultato sbalorditivo, avvicinandosi alla perfetta sintesi di quanto abbiamo ascoltato in questi anni in campo sinfonico e metallico.

Certo che ci vuole del coraggio per affermare che quello che esce oggi in ambito rock/metal non sia all’altezza delle opere passate, specialmente quando ci si finge sordi e si ignorano lavori di livello altissimo come The Room, ultima fatica e capolavoro della progressive symphonic metal band libanese Ostura.

Il gruppo, formato nel 2009 ed arrivato al secondo album dopo il debutto Ashes of the Reborn, licenziato nel 2012, è formato da cinque musicisti che si fanno accompagnare in questa nuova avventura musicale da una serie di ospiti internazionali di assoluta garanzia di qualità come Arjen Anthony Lucassen, Marco Sfogli e Ozgur Abbak alla chitarra, Michael Mills alla voce, Thomas Lang alla batteria, Dan Veall al basso,  Yamane Al Hage e Jokine Solban al violino, Nobuko Miyazaki al flauto, Mohannad Nassr all’oud e Roger Smith al violoncello, ai quali si aggiungono due orchestre, la City of Prague Philharmonic Orchestra e la The Lebanese Filmscoring Ensemble.
Un mastodontico lavoro di oltre settanta minuti di musica progressiva che ingloba qualsiasi tipo di spirazione arrivi ai musicisti, dal power metal alla musica orientale, dal symphonic metal all’industrial, in un susseguirsi di sorprese pescate dal cilindro musicale del gruppo come farebbe un prestigiatore per intrattenere gli astanti, rapiti dall’eleganza dei movimenti in un clima di magia.
The Room ha un taglio cinematografico, un suono bombastico e pieno, un approccio progressivo senza assomigliare troppo ad alcuna band, ma che se vogliamo si avvicina più alle colonne sonore e per l’approccio vario ed originale alle ultime produzioni dei Pyogenesis, però in un ambito molto più sinfonico.
Gli strumenti tradizionali e classici guidano la musica verso territori inesplorati e la forza del metal, come tempeste di sabbia nel deserto, si unisce alle orchestrazioni ed alle atmosfere suggestive di cui è composto The Room per un risultato sbalorditivo, avvicinandosi alla perfetta sintesi di quanto abbiamo ascoltato in questi anni in campo sinfonico e metallico.
Le sfumature prese dalla musica tradizionale e gli elementi progressivi aggiungono ulteriore poesia ed atmosfere suggestive a momenti di una bellezza straordinaria, come i dodici minuti di Duality o le trame classiche di Let There Be o della spettacolare The Sourge.
Cori epici, sontuose parti orchestrali, metal tra forza power e ricami progressivi, musica elettronica e folk, in questo lavoro c’è di tutto e di più, perfettamente plasmato in un unico sound, e per quanto mi riguarda sarà difficile fare meglio nel genere per quest’anno.

Tracklist
1.The Room
2.Escape
3.Beyond (The New World)
4.Let There Be
5.Erosion
6.Only One
7.Mourning Light
8.Deathless
9.Darker Shade of Black
10.The Surge
11.Duality
12.Exit the Room?

Line-up
Elia Monsef – Vocals, Production, Media
Danny Bou-Maroun – Keyboards, Orchestration, Production
Youmna Jreissati – Vocals
Alain Ibrahim – Guitars
Alex Abi Chaker – Drums (Live)

OSTURA – Facebook

Bleed From Within – Era

Era si presenta come un lavoro duro come la roccia, il sound bilancia potentissimi mid tempo ad accelerate tipiche di certo thrash metal targato 2018, tra rabbiose frustate estreme e melodie ben inserite nella struttura del sound senza perdere un grammo in impatto e violenza.

Che gli scozzesi Bleed From Within non fossero più dei novellini si capiva dall’anno di inizio attività (2005) e dalla discografia che contava tre full length più una manciata di lavori minori, prima che Era arrivasse tramite la Century Media a portare un po’ di freschezza ad un genere prigioniero dei suoi cliché ed in crisi qualitativa ormai da qualche tempo.

Non che l’album, atteso dai fans cinque lunghi anni, brilli di chissà quale novità stilistica particolare, ma dalla sua la band ha un talento non comune nell’amalgamare aggressività e melodia in un unico devastante sound.
D’altronde i Bleed From Within hanno un passato da gruppo deathcore e la frangia più estrema del death metal moderno continua fortunatamente ad ispirare la band scozzese.
Era si presenta come un lavoro duro come la roccia, il sound bilancia potentissimi mid tempo ad accelerate tipiche di certo thrash metal targato 2018, tra rabbiose frustate estreme e melodie ben inserite nella struttura del sound senza perdere un grammo in impatto e violenza.
Afterlife, la vibrante Shiver, il tornado Bed Of Snake, elevano il gruppo ad ottimi mestieranti del genere suonato, come scritto senza tocchi originali di sorta ma suonato con il cuore e senza le ruffianerie che indeboliscono l’atmosfera delle opere odierne, impegnate più a convincere l’ascoltatore di essere al cospetto della new sensation del momento che far male come conviene e come riesce quel piccolo gioiellino di I am Oblivion, Pt.II.
Scott Kennedy e soci continuano il loro percorso con la naturalezza di chi è convinto dei propri mezzi ed è in possesso della giusta attitudine, risultando un gruppo con un sound personale, e soprattutto onesto.
Era è un buon lavoro che gli amanti del genere non dovrebbero ignorare, sono troppo pochi i lampi metalcore sul mercato odierno per trascurare un album come l’ultimo lavoro dei Bleed From Within.

Tracklist
1. Clarity
2. Crown of Misery
3. Cast Down
4. Afterlife
5. Shiver
6. Bed of Snakes
7. I am Oblivion, Pt. II
8. Alone in the Sun
9. Gatekeeper
10. Ruina
11. Alive

Line-up
Scott Kennedy – Vocals
Ali Richardson – Drums
Craig “Goonzi” Gowans – Guitar
Steven Jones – Guitar
Davie Provan – Bass

BLEED FROM WITHIN – Facebook

Charlotte In Cage – Times Of Anger

L’album coinvolge con la sua altalena tra i generi e le ispirazioni che hanno portato le Charlotte In Cage alla realizzazione di questa raccolta di brani, sicuramente consigliati agli amanti dei suoni alternativi ma che potrebbero risultare soddisfacenti anche a chi è abituato a musica più estrema.

Non è poi così semplice convogliare in un unico sound alternative metal, atmosfere gothic e reminiscenze post grunge, perché la sfida potrebbe risultare più difficile del previsto ed il flop è dietro l’angolo.

Le Charlotte In Cage, gruppo nostrano tutto al femminile, in arrivo con il debutto Times of Anger su Sliptrick Records, ci sono riuscite creando un proprio suono che accoglie tra le sue trame di tutto un po’ da questi generi, con puntate nel metal estremo dettate dal growl che appare come un’anima nera quando la tensione sale alta e rabbiosa.
La band, nata a Salerno tre anni fa, ha già avuto diversi avvicendamenti nella line up che ad oggi vede Marianna Forino (chitarra), Susanna Angelino (basso e responsabile del growl) e Annalisa Barra alla batteria.
L’album parte alla grande con due brani che affondano le radici nel metal/rock degli anni novanta: Liar e I Hate Myself sono la perfetta sintesi di quello che le Charlotte In Cage suonano, accomunando sotto lo stesso tetto stilistico Hole, Nymphs, Kittie e Sentenced.
Times of Anger vive in questo labile equilibrio di stili con tutta l’attitudine da riot girl delle musiciste campane, cantrici delle problematiche delle donne con una raccolta di brani che non lasciano trasparire cali di tensione, anche quando i suoni si fanno più pacati e vicini all’alternative gothic rock (Dionysus).
Con la sua intensa mezz’ora scarsa di durata, l’album coinvolge con la sua altalena tra i generi e le ispirazioni che hanno portato le Charlotte In Cage alla realizzazione di questa raccolta di brani, sicuramente consigliati agli amanti dei suoni alternativi ma che potrebbero risultare soddisfacenti anche a chi è abituato a musica più estrema.

Tracklist
01. Liar
02. I Hate Myself
03. Yours Faithfully
04. Dionysus
05. 13 Years Old
06. Times Of Anger
07. Monster I Became
08. The Plastic Beast

Line-up
Marianna Forino – guitar
Susanna Angelino – bass/back vocals
Annalisa Barra – drums
Antonella Della Monica – Vocals

CHARLOTTE IN CAGE – Facebook

Hot Box – White Trash

Se cercate un bel disco di rapcore nu metal, divertente, diretto e che garantisca molti ascolti avete trovato il titolo giusto.

Il nu metal è un genere strano, che è comparso quasi dal nulla, anche se i suoi prodromi ci sono da tempo: sembra morto ma riesce sempre a rispuntare da qualche parte, seppure non in ambito mainstream.

Questa volta il nu metal, o forse meglio rapcore in questo caso, ci porta in Israele, paese che musicalmente riserva molte sorprese e gli Hot Box sono sicuramente una di queste. Il loro sound è sinuoso, bello potente e deciso, con dei bei giri funky, che aprono la strada a chitarre in puro stile rapcore. I ragazzi cominciano a fare musica nel 2012 nelle città di Arad e Be’er Sheva, facendosi presto un nome nell’underground isrealiano che è molto vivo e ha una grande passione per l’hip hop. Ascoltando White Trash ci si accorge subito che questi israeliani hanno un flow ed un passo molto diverso rispetto alla maggioranza dei gruppi rapcore. La loro musica sembra rimbalzare, con un groove continuo ed incessante, guidati da un basso davvero potente e che struttura tutta le loro composizioni. I pezzi di questo ep sono un ottimo biglietto di visita per questo gruppo che diverte moltissimo e che ha un suono davvero interessante. Dispiace che questo sia solo un ep, ma ripensandoci meglio così perché un lavoro ristretto come questo è ancora più dirompente. Gli Hot Box hanno molte soluzioni sonore e possiedono anche un’attitudine hardcore politicamente scorretta che è un ulteriore valore aggiunto. Se cercate un bel disco di rapcore nu metal, divertente, diretto e che garantisca molti ascolti avete trovato il titolo giusto. I ragazzi israeliani riescono a cambiare registro con facilità e sono sempre in controllo e soprattutto fanno musica con il cuore, e il loro è un cuore grande. Con un disco così la sconfitta non esiste.

Tracklist
1.Intro (sketch – not mixed)
2.Rap Guillotine
3.Big Bag Johnny
4.ShellShock
5.Ugh!
6.Use a friend

Line-up
Dave AKA Cise2 – Vocals
Eddie AKA Flippa – Guitars
Elick AKA SixPack – Bass
Danny AKA Skinny – Drums

HOT BOX – Facebook

Various Artists – New Nu Metal, Vol. 1

Se ancora nel vostro mp3 circolano quei due o tre nomi che guidarono l’invasione nu metal sul finire del secolo scorso, questa raccolta di band sconosciute ma meritevoli d’attenzione è assolutamente consigliata.

Uno dei generi più discussi, amati e odiati degli ultimi vent’anni ha ormai lasciato le classifiche e le prime pagine delle riviste di settore, scaraventato ai margini del mercato dalle spallate inferte dai suoni core e dall’alternative metal .

Ovviamente si parla del nu metal che, dopo il successo mondiale a cavallo del nuovo millennio e dopo aver arricchito un buon numero band ed addetti ai lavori, di questi tempi si deve accontentare d’essere ricordato da quegli appassionati che continuano a prediligere le sonorità crossover, tanto care a Korn, P.O.D, Deftones, Disturbed e Limp Bizkit (tanto per nominarne alcune).
Noah “Shark” Robertson, oltre ad essere il batterista di Motograter e The Browning, è pure fondatore della Zombie Shark Records (label specializzata nel genere), ed ha contribuito in maniera importante al libro Nu Metal: Resurgence, scritto da Matt Karpe.
New Nu Metal Vol.1 è una compilation, curata da Robertson e dalla sua label, che offre una piccola panoramica sulle realtà nu metal che si muovono nell’underground odierno, radunando band da ogni parte del mondo, alcune della quali trattate qualche tempo fa come i floridiani NoSelf ed i texani Addiction.
Undici brani per undici gruppi di classico nu metal di fine secolo scorso, quindi sonorità metal e rap che si incontrano tra reminiscenze industrial, qualcuna più estrema, altre molto più melodiche ed un tempo cool.
Ne esce una panoramica ovviamente limitata per ora a queste realtà, che comunque fornisce un assaggio della salute di cui gode il genere, anche fuori dal music biz con almeno un altro paio di band di notevole caratura,  oltre alle due citate, come i Keychain dal Canada, che aprono l’album con l’irresistibile funky new metal di Prime Time, e gli Amerakin Overdose, provenienti dall’Oregon e che con Cyber Superstar danno vita ad un mix di Marilyn Manson, P.O.D e Limp Bizkit.
In mezzo tanti  buoni gruppi che mantengono in vita lo spirito crossover degli anni che furono, magari fuori tempo massimo, ma di qualità maggiore di molti gruppi che all’epoca cavalcarono l’onda e si persero alla prima caduta dal surf, nel mare del crudele mercato discografico.
Se ancora nel vostro mp3 circolano quei due o tre nomi che guidarono l’invasione nu metal sul finire del secolo scorso, questa raccolta di band sconosciute ma meritevoli d’attenzione è assolutamente consigliata.

Tracklist
Keychain – “Prime Time” (Canada)
Frontstreet – “Bad Habit” (Netherlands)
Come to Dolly – “Prevent the Cure” (New Zealand)
NoSelf – “Outatime” (Florida)
Dirty Machine – “Discord” (California)
Amerakin Overdose – “Cyber Superstar” (Oregon)
Lethal Injektion – “Blinding Light” (Arizona)
HotBox -“Rap Guillotine” (Israel)
Natas Lived – “Good Dope” (Utah)
Add1ction – “Crashing Down” (Texas)
10/31 – “The Wrath” (Michigan)

ZOMBIE SHARK RECORDS – Facebook

L’Ora X – Sottovoce

E’ innegabile il fatto che i fratelli Mangano siano riusciti ad usare in modo assolutamente perfetto la lingua italiana in un sound dal taglio internazionale, tra rabbiosi growl, sentite parti melodiche e ritmati passaggi rap metal, così da creare un lavoro piacevole, duro, melodico e composto da undici bellissime canzoni.

In ritardo sull’uscita targata 2017, il primo lavoro dei fratelli Mangano (Gabriele e Ilario, degli Yattafunk) merita sicuramente di essere portato all’attenzione dei lettori di MetalEyes dai gusti alternativi.

Sottovoce, infatti,  è un album composto da dieci brani (più la cover di Non é Francesca di Battisti) che formano un concept sull’amore e le sue sfumature, raccontato dal duo tramite un sound che si nutre di quel nu metal che fece sfracelli tra la fine del secolo scorso e l’alba del nuovo millennio, senza perdere di vista l’alternative rock tricolore.
Cantato (benissimo) in lingua madre, Sottovoce vede la partecipazione in studio di Wahoomi Corvi (responsabile degli arrangiamenti), che i lettori conoscono per il suo importantissimo lavoro in tante opere targate Wormholedeath, e Mika Jussila, alle prese con il master ai Finnvox Studios in Finlandia.
L’album mantiene le promesse, in un susseguirsi di atmosfere che vanno dalla rabbia alla malinconia, dalla disperazione alla gaudente felicità che l’amore porta inevitabilmente con sé, e la musica accompagna questo saliscendi emozionale tra esplosioni metalliche, rock e rap.
E’ innegabile il fatto che i fratelli Mangano, con il marchio L’Ora X, siano riusciti ad usare in modo assolutamente perfetto la lingua italiana in un sound dal taglio internazionale, tra rabbiosi growl, sentite parti melodiche e ritmati passaggi rap metal, così da creare un lavoro piacevole, duro, melodico e composto da undici bellissime canzoni.
Difficile trovare brani meritevoli d’attenzione più di altri, Sottovoce va ascoltato nella sua interezza, e se magari può sembrare in ritardo di qualche anno a livello di sound, vi apparirà davvero intenso se godete della musica aldilà delle mode del momento.
Ed allora, tra le trame di Lebbracadabra, Io Ci sarò, Quello Che I Miei Occhi Non vedono e Daimyo troverete splendide note accostabili a Limp Bizkit, Adema, Non Point e Timoria, quindi niente di originale, ma davvero ben fatto.

Tracklist
1.Animae
2.Lebbracadabra
3.Gaius Baltar
4.Non é Francesca
5.Io Ci sarò
6.Quello Che I Miei Occhi Non vedono
7.Sweet Home Roma est
8.Che Sarà Di Noi
9.Daimyo
10.X
11.Sottovoce

Line-up
Gabriele Mangano- Voce, Chitarra, Batteria, Tastiere
Ilario Mangano – Chitarra, Basso

Arrangiamenti: Ilario Mangano, Gabriele Mangano, Wahoomi Corvi

L’ORA X – Facebook

Society’s Plague – Call To The Void

Sarebbe stato davvero un peccato perdere per strada questo gruppo, che fa una miscela interessante di metal moderno e metal maggiormente epico.

La storia degli americani Society’s Plague è una narrazione di tenacia e di amore per il metal, come tanti gruppi che vanno avanti spinti dall’amore per la musica in mezzo a tante difficoltà.

Nati nel 2007 in quel di Lexington, nel Kentucky, questi ragazzi hanno un sound moderno tra metalcore e metal più epico, con una forte melodia e composizioni molto buone. Questo disco è il secondo episodio sulla lunga distanza nella loro discografia ed è stato totalmente autoprodotto, e in seguito il gruppo si è accasato presso l’Eclipse Records che non si è lasciata scappare questo disco, che oltre che essere valido, è un ponte fra passato e presente e futuro del metal, soprattutto di quello americano. Infatti il suono di Call To The Void è adatto ad essere mandato in onda dalle radio americane di rock duro, cosa che qui in Europa ci manca. I ragazzi del Kentucky sono molto connotati nella loro personalità musicale e riescono a fare sempre ottime cose anche grazie all’intervento delle tastiere, che hanno una parte importante nel loro suono, e che insieme agli altri strumenti rendono un buon amalgama. La seconda prova del gruppo non era scontata, poiché il gruppo ne viene da una pausa dal 2013 al 2015, per poi tornare con un concerto sold out nella loro città. Sarebbe stato davvero un peccato perdere per strada questa band, che fa una miscela interessante di metal moderno e metal maggiormente epico. Un disco che offre spunti molto interessanti, è solido e possiede elementi originali.

Tracklist
1. Ashes For Air
2. Whispers
3. Distant Waves (feat. Bjorn “Speed” Strid)
4. The Fall
5. Broken By Design
6. Paramnesia
7. Fear Is Failure
8. Abomination (feat. Michael Smith)
9. 1:01
10. Rise Of The Eidolon

Line-up
Matt Newton – Vocals
Joe Royer – Guitar
Roger Clem – Guitar
James Doyle (JD) – Drums
Aaron Sheffield – Bass

SOCIETY’S PLAGUE – Facebook

Last Resistance – A World Painted Grey

Un EP all’insegna del decadentismo, che crea sensazioni angoscianti senza mancare di potenza.

Secondo lavoro per i Last Resistance, il gruppo di Brindisi fondato nel 2013 che si presenta al pubblico come una band Metalcore e che porta alla luce questo A World Painted Grey, un EP composto da 4 tracce che di certo non delude le aspettative dell’ascoltatore. La potenza non manca, la sostanza nemmeno.

A differenza di Last Resistance (l’EP pubblicato alla fine del 2014), la band si lascia trasportare verso un metalcore probabilmente più adatto ai temi trattati nei testi. Nonostante siano molto chiari i riferimenti a gruppi come Drowning Pool e Killswitch Engage, il sound porta con sé anche moltissimi elementi del ben più cupo melodic death metal: in svariati momenti si possono sentire melodie decadenti, che richiamano le sonorità tipiche di gruppi come Solution 45 e In Mourning e non mancano i momenti oscuri, che creano ansia e senso di distruzione nell’ascoltatore.
Un EP carico di anguste emozioni decadentiste che richiamano inesorabilmente i poeti maledetti della Belle Époque francese, quando la società portava alla ricerca dell’individualismo, dell’egoismo e dell’alibi per non affrontare una realtà grigia e senza stimoli.
D’altronde la tematica dell’album è proprio la distruzione della società, causata dagli stupidi comportamenti umani che l’hanno portata alla deriva e con cui ci si deve trovare a fare i conti. Tutto l’EP è curato nei minimi dettagli, persino la copertina rappresenta la situazione che viene poi espressa nei testi: il fronte rappresenta una città grigia ed anonima mentre il retro ne rappresenta la sua vera faccia, in rovina ed ormai irrecuperabile.
I Last Resistance insomma convincono e lasciano poco spazio a commenti negativi. Ci auguriamo che possano tornare presto sulla scena con un album completo che ci racconti il nefasto futuro che la società odierna ci riserva.

Tracklist
1. Karma Violence
2. Misfortune
3. Point of No Return
4. Enslaved

Line-up
Vito Mingolla – Voce
Lorenzo Valentino – Chitarra
Luca Greco – Chitarra
Andrea Caiulo – Basso
Mino Mingolla – Batteria

LAST RESISTANCE – Facebook

Niamh – Corax

Corax è un buon lavoro, l’appeal e il taglio internazionale del sound rendono consigliato l’ascolto di una raccolta di canzoni che richiamano tanto la band del compianto Chester Bennington, quanto i Deftones in versione metalcore.

Alternative metal di buon livello è il sound proposto dai Niamh, gruppo proveniente da Vercelli composto da musicisti con passate esperienze in band come Indigesti e Arcadia.

La band piemontese offre un metal moderno ed alternativo ispirato al sound dominante nei primi anni del nuovo millennio, bilanciato con spaccati metalcore: questo troverete in Corax, album composto da sette tracce inedite più la cover di Maniac, brano tratto dalla colonna sonora del film Flashdance.
Rock, metal e non poche divagazioni elettroniche sono la ricetta con cui i Niamh deliziano i palati dei fans del genere, le sfuriate metalcore sono addolcite da un uso abbondante di melodie accattivanti di scuola Linkin Park, rendendo vario l’ascolto.
Davvero ottime le linee vocali, specialmente (e non è così scontato nel genere) nei ritornelli ultra melodici, colme di groove le ritmiche che quando alzano il muro di mattoni core fanno male.
Corax è un buon lavoro, l’appeal e il taglio internazionale del sound rendono consigliato l’ascolto di una raccolta di canzoni che richiamano tanto la band del compianto Chester Bennington, quanto i Deftones in versione metalcore; un esordio che piace per una band che ha già trovato una sua strada ben delineata, per farsi spazio nel mondo affollato dell’alternative metal.

Tracklist
1. Putting The Fun In FUNeral
2. The WOW Effect
3. Eat. Pray. Kill.
4. Mrs Fletcher’s Relatives
5. My Antichrist Anaemia
6. The Voices Made Me Do It
7. Paracetamolotov
8. Maniac

Line-up
Bellix – Drums
Mike – Vocals
Tommy – Guitars
Mateja – Bass

NIAMH – Facebook

Rebirth Of Enora – Revelation 8

Revelation 8 è composto da dieci brani, tutti sopra la media, ognuno con la propria anima e con il proprio carico di sofferenza e drammaticità, con la band che riesce a non fossilizzarsi su una sola formula e regala ottimo rock moderno e suggestivo.

Ormai il metal moderno parla quasi esclusivamente la lingua del metal core, eppure c’è ancora chi suona alternative metal, genere salito agli onori della cronaca negli anni a cavallo del nuovo millennio, oggi messo in ombra dalle più rabbiose e più cool sferzate modern metal, ma sicuramente più vario e aperto a sperimentazioni, più o meno riuscite.

Un esempio perfetto risulta questo ottimo lavoro, il primo sulla lunga distanza dei ferraresi Rebirth Of Enora, quartetto alternative metal attivo dal 2011 che bene aveva fatto scrivere gli addetti ai lavori, specialmente all’indomani dell’uscita di Downgrading, ep uscito nel 2015.
La band torna dunque con Revelation 8, ispirato dalla Bibbia e al libro dell’Apocalisse di San Giovanni, trasportato al giorno d’oggi e alle paure intrinseche dell’uomo: un concept importante, affrontato dal gruppo con un sound maturo, un metal/rock che si nutre di input orchestrali, tracce di quel nu metal ormai scomparso dalle radio, e di un rock dal piglio drammatico e dark.
Revelation 8 ha momenti davvero intensi sotto l’aspetto emotivo, non così scontati nel genere, con i Rebirth Of Enora che si tengono lontani dai mid tempo pesanti ma freddi del metal core, restando più legati ad un concetto di rock che passa agevolmente tra i generi elencati, mantenendo alta una tensione tangibile come quella dell’uomo in preda alle sue paure.
Ottimo è l’uso della voce, d’impatto gli arrangiamenti elettro/orchestrali che spesso fanno da tappeto alle scorribande elettriche degli strumenti tradizionali: Revelation 8 è composto da dieci brani, tutti sopra la media, ognuno con la propria anima e con il proprio carico di sofferenza e drammaticità, con la band che riesce a non fossilizzarsi su una sola formula e regala ottimo rock moderno e suggestivo.

Tracklist
1.Inside My Brain
2.The Phantom of Myself
3.World on Fire
4.I Would Never
5.When, Where, Why
6.See You
7.Uniforms
8.Take Me On
9.These Words We Say
10.The End Is Getting Closer

Line-up
Daniele Finardi – Lead Vocals, Guitars
Nicola Franciosi – Backing Vocals, Guitars
Francesco Gessi – Backing Vocals, Drums
Enrico Dolcetto – Backing Vocals, Bass, Orchestrations and Programming

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Exalt Cycle – Vindicta

L’amalgama funziona molto bene, e il risultato è un suono che ha parti di Deftones, un po’ di groove metal, una forte impronta grunge e tanta melodia che si sposa benissimo con un’oscura durezza.

Violenza, melodia e una grossa ispirazione dagli anni novanta e duemila.

Tutte cose positive se si vuole fare un disco di metal moderno come questo Vindicta degli Exalt Cycle da Milano. Il disco arriva quattro anni dopo il precedente Revelations ed è un passo molto importante per il gruppo, il cui zoccolo duro è formato dal duo Zack e Andy, rispettivamente cantante e bassista, ai quali si sono aggiunti Aimer alla chitarra e Marco alla batteria. L’amalgama funziona molto bene, e il risultato è un suono che ha parti di Deftones, un po’ di groove metal, una forte impronta grunge e tanta melodia che si sposa benissimo con un’oscura durezza. La dolcezza c’è ma bisogna trovarla in questo ciclo di vendette che chiamiamo vita. L’incedere del disco è molto piacevole, e la terra d’elezione è sicuramente l’America, ma il progetto è originale e pressoché unico almeno alle nostre latitudini. I ragazzi sanno come si va veloci, ma sanno anche mettere su molta melodia ed un grande impianto sonoro. In certi momenti ci si avvicina al metalcore, ma poi si torna sempre su posizioni originali, di ricerca musicale. Le varie stratificazioni sonore sono frutto di un grande lavoro in fase di composizione e di produzione. Ci sono ancora alcuni punti da rivedere, come la durata eccessiva di certe canzoni, ma il risultato è notevole e di qualità. Gli Exalt Cycle ci mostrano come la melodia possa sposare un’oculata durezza ed essere assolutamente non commerciali o peggio, piacioni. Questo disco sarebbe andato fortissimo su Rock Fm, perché il suono di gruppi come questo è ancora importante, ma a quell’epoca era praticamente quotidiano.

Tracklist
1. Welcome To The Circus Of Hell
2. Vindicta
3. Black Butterfly
4. Lions
5. Sickened
6. Resistence
7.VS
8.Gravity
9. Predator
10. My Last Day
11.The War Of Nowhere
12.Babylon

Line-up
Zack : Voice
Keine : Bass
Marco : Drum
Aimer : Guitar

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Neck Of The Woods – The Passenger

I Neck Of The Woods sono ancora lontani dal luogo in cui è nascosto il santo graal dell’originalità, ma sicuramente sono riusciti con personalità e buone idee a creare un album affascinante e per nulla scontato, tagliando il cordone ombelicale che li teneva legati al metalcore e quindi liberi di creare musica progressivamente metallica ma dall’approccio moderno.

I canadesi Neck Of The Woods rilasciano il primo album sulla lunga distanza, questo ottimo lavoro che conferma quanto sia diventata sottile la linea che separa un certo modo di fare prog metal con il metal moderno di estrazione core.

La band, nata nel 2013 e con il classico demo di inizio carriera, seguito da un ep omonimo licenziato un paio di anni fa, con The Passenger conferma questo trend che porta i gruppi dell’ultima ondata progressiva ad amalgamare suoni introspettivi e dilatati, con frustate metalliche di estrazione core allargando i confini dei due generi.
Non sono sicuramente l’unica band che prova a suonare qualcosa di meno scontato nel panorama odierno, ma è pur vero che The Passenger, visto dai due lati contrapposti, rilascia ottime sensazioni, portando con sè atmosfere suggestive, e melanconiche in un sound estremo e valorizzato dall’ottima tecnica in possesso dei cinque musicisti.
The Passenger, fin dalle prime note dell’opener Bottom Feeder, passando per il death metal tecnico e melodico di Nailbiter e la forza espressiva della notevole You’ll Always Look the Same to Me esprime un’urgenza di arrivare all’ascoltatore senza per forza usare i soliti cliché ormai abusati nel metal moderno, ma ci investe con una serie di solos entusiasmanti, ci accarezza delicatamente, pregno com’è di sfumature melanconicamente dark e ci travolge a tratti con la furia controllata di un metalcore che ha in sé residui hardcore.
I Neck Of The Woods sono ancora lontani dal luogo in cui è nascosto il santo graal dell’originalità, ma sicuramente sono riusciti con personalità e buone idee a creare un album affascinante e per nulla scontato, tagliando il cordone ombelicale che li teneva legati al metalcore e quindi liberi di creare musica progressivamente metallica ma dall’approccio moderno.

Tracklist
1. Bottom Feeder
2. Nailbiter
3. White Coats
4. Open Water
5. You’ll Always Look the Same to Me
6. Face of the Villain
7. Drift
8. Foothills
9. Before I Rest

Line-up
Jeff Radomsky – Vocals
Dave Carr – Guitars
Travis Hein – Guitars
Jeremy Gilmartin – Drums
Jordan Kemp – Bass

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This Broken Machine – Departures

Per chi non conosceva ancora la band, l’album risulta una vera sorpresa, perché si va oltre il compitino ormai abusato nel metalcore, per abbracciare influssi nu metal dai toni dark e a tratti progressivi, colpiti da micidiali mazzate estreme.

Un sound maturo, alternativo e a tratti estremo, con le atmosfere che cambiano veloci, tra parti più intimiste e melodiche, altre più nervose e dalle reminiscenze nu metal, per arrivare a bordate di moderno metal estremo dalle sincopate ritmiche metalcore.

Departures è il nuovo album dei This Broken Machine, band milanese che si presenta sul mercato in questa prima parte dell’anno, dopo un primo ep uscito nel 2007 ed intitolato Songs About Chaos e l’album The Inhuman Use of Human Beings licenziato sei anni fa.
Per chi non conosceva ancora la band, l’album risulta una vera sorpresa, perché si va oltre il compitino ormai abusato nel metalcore, per abbracciare influssi nu metal dai toni dark e a tratti progressivi, colpiti da micidiali mazzate estreme.
Testi profondi affrontano il tema di alcuni stati d’animo come distacco, separazione e smarrimento che provocano inevitabili cambiamenti, tra dolore e sofferenza, il tutto sovrastato da sound vario ma drammatico, che porta l’ascoltatore ad intraprendere un viaggio musicale molto suggestivo, con il metal e la sua parte più moderna quale  perfetta colonna sonora del male di vivere che diventa spesso compagno quotidiano dell’uomo.
Departures è una raccolta di brani che continuano senza soluzione di continuità ad alternare parti pacate ed introspettive  a poderosi assalti sonori, perfettamente inglobati nel sound per richiamare la rabbia e l’opprimente dolore che soffoca l’individuo fino alla svolta e alla ricerca di una speranza.
Si rivela ottimo l’uso delle due voci, protagoniste di interpretazioni da brividi, come nel capolavoro Distant Stars, brano di un’intensità straordinaria e picco di questo bellissimo lavoro che non concede un solo attimo di calo qualitativo.
Deftones, Tool e Gojira sono i possibili riferimenti, ma è difficile e forse ingiusto fare dei nomi, anche se si parla di icone del metal moderno, perché Departures vive di luce propria, anche se ci parla delle più oscure ombre dell’umano vivere.

Tracklist
1.Departing
2.Weight
3.The Tower
4.Return to Nowhere
5.Distant Stars
6.This Grace
7.As You Fall
8.…And That Would Be the End of Us

Line-up
Fabrizio – Guitar
Luca – Guitar, Vocals
Andrea – Bass, Vocals
Matteo – Drums

THIS BROKEN MACHINE – Facebook

Levania – The Day I Left Apart

Il gruppo ferrarese torna con un ottimo lavoro ed un sound in parte rinnovato, spostando le coordinate del metallo dalle reminiscenze gothic metal verso un più moderno e coinvolgente dark rock che si potenzia di elettronica industriale, valorizzato da una particolare cura per arrangiamenti e produzione.

La storia dei Levania si arricchisce di un altro capitolo: il nuovo ep licenziato dalla Sliptrick Records ed intitolato The Day I Left Apart.

Il gruppo ferrarese torna con un ottimo lavoro ed un sound in parte rinnovato, spostando le coordinate del metallo dalle reminiscenze gothic metal verso un più moderno e coinvolgente dark rock che si potenzia di elettronica industriale, valorizzato da una particolare cura per arrangiamenti e produzione.
Dei Lacuna Coil in versione industrial, divisi tra atmosfere estreme e parti più danzereccie che farebbero scatenare un branco di vampiri nel club di qualche oscura metropoli del film Underworld, questi sono i nuovi Levania e quello che sprigionano questi cinque brani racchiusi in The Day I Left Apart.
Still e Fade hanno portato qualcosa del loro progetto elettro/pop Deplacement nella musica dei Levania, l’elettronica quindi prende il sopravvento ma, mentre nella musica del duo si richiamavano il dark rock e la new wave anni ottanta, qui il sound è spogliato di quell’eleganza insita nella musica oscura suonata trent’anni fa per un approccio diretto e metallico, lasciando che l’ottima voce di Ligeia duetti con il growl, per un contrasto bianco/nero sempre in primo piano nei brani che compongono l’album.
I Levania hanno fatto centro e sono pronti a spiccare il volo: Rising, opener straordinaria, apre le danze nel vero senso della parola: tappeti industriali, ritornelli gothic, synth su cui è strutturata la song, fanno parte del mood che torna nei brani successivi, con una Trace dal ritornello che è una vera bomba melanconica, i ritmi forsennati e sintetici di Dried Blood, l’irresistibile ritornello di Total Recall e via fino all’ultima nota della conclusiva Your Eyes And My Fear, brano conclusivo di questa potenziale bomba commerxiale contenente industrial, alternative, dark e gothic metal.
Il sound del gruppo si è sicuramente trasformato non poco, diventando qualcosa di più diretto, moderno, ma dalla presa che risulta fatale, specialmente per chi esce la sera con una sete di sangue da soddisfare.

Tracklist
01. Rising
02. Trace
03. Dried Blood
04. Total Recall
05. Your Eyes And My Fear

Line-up
Ligeia – Lead vocals
Still – Keyboards & Vocals
Richie – Guitars
Fade – Bass
Markus – Drums

LEVANIA – Facebook

Escaping Amenti – Awakening

Industrial, death metal, orchestrazioni e cori declamatori formano la colonna sonora di un’apocalisse della quale l’uomo è il maggiore responsabile, odioso colpevole di questo totale disfacimento.

Il metalcore, quando decide di far male è un mostro musicale che senza pietà infligge mazzate di potentissimo metallo moderno, a tratti attraversato da un mood estremo industriale che ci catapulta in un futuro apocalittico e post atomico assolutamente inumano.

Gli svedesi Escaping Amenti hanno creato un sound che rappresenta tutto questo, composto per il proprio debutto, un salto nell’anno 2370 dove il mondo come lo conosciamo non esiste più, lasciato all’oscurità ed alla distruzione.
Industrial, death metal, orchestrazioni e cori declamatori formano la colonna sonora di un’apocalisse della quale l’uomo è il maggiore responsabile, odioso colpevole di questo totale disfacimento.
Awakening ha nella sua ora di duratal’unico difetto, un po’ troppo per sopportare colate di lava core che inibiscono i padiglioni auricolari e che lasciano qualcosa in termini di scorrevolezza dei brani, ma per il resto l’album dona dignità ad un genere usato ultimamente solo per raccogliere qualche dollaro tra i ragazzetti a stelle e strisce.
Guerra, odore di distruzione, una potenza estrema che si può toccare, sono le caratteristiche di brani nati per raccontare un mondo neanche troppo lontano da noi, in un lotto di tracce come The Gathering, Nuclear o This Will Never End.
A tratti, nella musica dei sette musicisti scandinavi, sono riconoscibili influenze industrial che vanno dai Fear Factory ai Ministry, racchiusi in questo mostruoso esempio di metalcore che si specchia nel deathcore e nel thrash moderno.
Awakening, come dettocon una quindicina di minuti in meno sarebbe stato un lavoro quasi perfetto per il genere, ma rimane comunque una bella mazzata da infilare a forza nelle orecchie dei fans di gruppetti pericolosi come un criceto nella gabbietta.

Tracklist
1.Awakening
2.The Gathering
3.Our World
4.Nuclear
5.Riptide
6.This Will Never End
7.Voice of Mankind
8.First Blood
9.Diary, Pt. 1 (Seth vs Horus)
10.Memories
11.The Depths of Amenti
12.Echoes of the Void
13.The Secrets of the Past

Line-up
Strife – Vocals
Umbra – Vocals
A̸҉͢n̛͞im͏͜u͝s̡͜͡ – Bass, Keys
Ranzal – Guitar
Shemseth – Guitar
Anaktïsi – Guitar
Mangler – Drums

ESCAPING AMENTIA – Facebook