Altar of Perversion – Intra Naos

Intra Naos è un lavoro magnifico che, sebbene sia consigliato a chiunque si professi appassionato di black metal, per le sue caratteristiche è rivolto soprattutto ad una fascia di ascoltatori che abbia una certa familiarità con la nera arte, la quale in questa occasione trova una sorta di sua sublimazione.

Per presentarsi sulla scena con un album di black metal della durata di quasi due ore distribuite su sei soli pezzi bisogna avere un grande coraggio, moltissimo da dire e grande convinzione dei propri mezzi.

Agli Altar Of Perversion, band italiana della quale si attendeva un nuovo full length da ben diciassette anni, tutte queste caratteristiche non mancano e , visto il risultato, la scelta sembrerebbe pagare almeno dal punto di vista prettamente qualitativo.
Un’operazione di questo genere in un’epoca come quella corrente, nella quale il tempo medio di attenzione di qualsiasi persona è drasticamente diminuito, sembrerebbe una sorta di suicidio commerciale, se non fosse che il black metal per sua natura non possiede queste finalità, quanto meno non nel senso più comune del termine che è quello di raggiungere il maggior numero di persone con un prodotto leggero, di fruizione immediata e dalla durata effimera.
Intra Naos è invece un qualcosa composto per immergere chi ne abbia tempo e voglia in un universo parallelo, nel quale Calus e Laran ci introducono con un’interpretazione del genere che non lascia spazio ad aperture melodiche o atmosferiche ma che vede, ovviamente, un’attenzione particolare al contenuto lirico, del quale preferisco lasciare il piacere dalla scoperta a chi ascolterà il disco, visto che argomenti filosofici ed esoterici così profondi e complessi non meritano d’essere liquidati in poche parole e, inevitabilmente, in maniera superficiale.
Veniamo invece a parlare dell’aspetto musicale di un sound che è intriso di un black metal tradizionale, reso a suo modo peculiare, però, dal costante ricorso a sonorità chitarristiche dissonanti che non appesantiscono affatto l’ascolto divenendone piuttosto il tratto e distintivo.
Davvero, nonostante la sua lunghezza (che può essere un problema solo per chi ritiene che ascoltare musica non sia un piacere ma una perdita di tempo), fatico a trovare un punto debole in un lavoro di rara intensità, capace di mantenere sempre elevato il livello di tensione anche grazie a variazioni ritmiche che talvolta riportano al doom (almeno la prima metà di Cosmic Thule, Inner Temple la si può definire tale senza alcun dubbio).
Gli Altar Of Perversion si muovono in direzione ostinata e contraria ad ogni regola o convenienza, facendo uscire un nuovo album dopo una vita (non solo in senso musicale) e riversandovi una mole di note degna più di maestri del funeral doom come Mournful Congregation o Esoteric che non delle band dedite canonicamente al black metal.
Intra Naos è un lavoro magnifico che, sebbene sia consigliato a chiunque si professi appassionato di black metal, per le sue caratteristiche è rivolto soprattutto ad una fascia di ascoltatori che abbia una certa familiarità con la nera arte, la quale in questa occasione trova una sorta di sua sublimazione.
Il black metal è appunto questo, musica eseguita senza calcoli né limitazioni, espressione di un sentire ben lontano dalle convenzioni ed alle codificazioni imposte dalla modernità; una sorta di oasi temporale nella quale rifugiarsi lasciando ad altri tutto ciò che appare più futile ed effimero.

Tracklist:
Disc 1
1. Adgnosco Veteris Vestigia Flammae
2. She Weaves Abyssal Riddles and Eorthean Gates
3. Behind Stellar Angles II

Disc 2
1. Cosmic Thule, Inner Temple
2. Subcosmos Archetypes
3. Through Flickering Stars, They Seep

Line-up:
Laran – Drums
Calus – Vocals, Guitars, Bass

Drudkh – Їм часто сниться капіж’ They Often See Dreams About The Spring

Ascoltando Їм часто сниться капіж si viene rapiti e portati in un luogo lontano, ma che sta dentro di noi, e questa musica catartica dischiude qualcosa che avevamo dimenticato; molto grande è la cura nel preparare questo disco, ogni parola non cade a caso, mentre le note si sviluppano senza forzare mai nulla.

Per parlare del gruppo ucraino di black metal Drudkh non basterebbero ore, e forse nemmeno un libro.

Ogni definizione con loro è semanticamente sbagliata, poiché bisognerebbe solo chiudere gli occhi ed ascoltarli, con una traduzione dei loro testi dall’ucraino. La loro è poesia messa in musica, un immenso e disperato tentativo di carpire qualcosa dall’animo umano, e come per qualcosa di estremamente bello, si viene quasi colpiti violentemente da questa musica, che va ben oltre il black metal. Per intenderci, i Drudkh sono uno dei migliori gruppi della storia del black metal, ma questo non è sicuramente il loro scopo, non rilasciano interviste o fanno foto e non suonano dal vivo, per loro parlano i loro dischi, come è giusto che sia. In ogni disco i Drudkh fanno qualcosa di nuovo cambiando in continuazione le loro coordinate musicali, e sono tutti capolavori. Questo ha forse un lato melodico più accentuato, il suono scorre benissimo e le canzoni hanno un’altissima intensità. I testi sono come al solito di grande livello, con estratti dalle poesie dei poeti ucraini Bohdan Ihor Antonych, Maik Yohansen, Vasyl’ Bobyns’kyi e Pavlo Fylypovych. I versi calzano a pennello alla musica dei Drudkh, un afflato vitale che porta molto lontano. Ascoltando Їм часто сниться капіж si viene rapiti e portati in un luogo lontano, ma che sta dentro di noi, e questa musica catartica dischiude qualcosa che avevamo dimenticato. Molto grande è la cura nel preparare questo disco, ogni parola non cade a caso, mentre le note si sviluppano senza forzare mai nulla. Chi ama questo gruppo non sa cosa aspettarsi musicalmente, ma è sicuro che sarà un grande lavoro. Recensire i Drudkh è praticamente impossibile, perché la loro musica parla benissimo per loro. Emozioni e pura poesia, per uno dei migliori black metal possibili.

Tracklist
01. Nakryta Neba Burym Dakhom…
02. U Dakhiv Irzhavim Kolossyu…
03. Vechirniy Smerk Okutuye Kimnaty…
04. Za Zoreyu Scho Striloyu Syaye…
05. Bilyavyi Den’ Vtomyvsya I prytykh

Line-up
Roman Sayenko: guitars
Thurios: guitar, vocals
Krechet: bass
Vlad: drums, keyboards

DRUDKH – Facebook

Wyrms – Altuus Kronhorr – La monarchie purificatrice

“Anscullfussian Black metal since 2007” è il motto rabbioso di questi artisti transalpini: suoni vibranti e melodie di chiaro stampo nordico impregnano la loro terza opera.

Tuoni, suoni d’ organo e tamburi battenti danno il via al terzo full dei francesi, di Orleans, Wyrms, bella realtà dell’underground, attiva fin dal 2008 con il demo Seigneur des Sommets, proseguita con altri due album (Aashanstys – Rêves et peines d’un misanthrope del 2010 e Morcar Satoric – Les VI chemins du crépuscule del 2013) e uno split con i Fhoy Miore nel 2015.

Testi e vocals in francese, ma rabbia e furia scandinava, continuano a impregnare le note della loro discografia di alcuni disegni o foto e nel bel booklet allegato riecheggiano vecchi capolavori del black norvegese. Grandi ritmi fino dall’opener Tyrannique fist fucking (gran titolo) assalgono l’ascoltatore e lo trasportano in zone della propria memoria mai sopite; lo scream acido, diretto, cattivo segue il rincorrersi delle chitarre che delineano atmosfere evocative e fredde (Les viviers du diable), vibranti, furenti e incompromissorie. La band persegue la propria idea di black metal “ansculfussien” (mascolino\virile) fino dal 2007 e riesce a trasmettere una notevole carica, pur seguendo strade già abbondantemente tracciate, presentando un’opera che fa dell’onestà di intenti il suo punto di forza. Circa cinquanta minuti di musica che scorrono fluidi, dove le chitarre attraverso riff diretti e qualche dissonanza disegnano gelide e convincenti melodie (Dysgenic imperial vortex) che si sfrangiano in rari momenti di quiete per poi ripartire senza freni.
La grande rabbia accumulata si scioglie nella delicata Ma geoliere solitude che conclude il disco e tratteggia oasi di sconfinata tristezza: in definitiva un buon disco devoto all’arte nera e per questo meritevole di ascolto.

Tracklist
1. Tyrannique Fist Fucking
2. Grande épuration humanitaire
3. Les viviers du Diable
4. Les échos du passé
5. Mes fantômes de jouvence
6. Le vide avant la mort
7. Dysgenic Imperial Vortex
8. Ma geôlière solitude

Line-up
Zayl – Drums
MAX – Bass
Tedd – Guitars, Vocals

WYRMS – Facebook

NIHILI LOCUS – Lyaeus Nebularum

Interessante retrospettiva sui Nihili Locus, band che si mise in una certa evidenza negli anni novanta con un death dagli influssi doom e, in parte, black.

La Terror From Hell pubblica questa interessante retrospettiva sui Nihili Locus, band italiana che si mise in una certa evidenza negli anni novanta.

La raccolta comprende tutti i brani pubblicato nella sua storia dal gruppo piemontese, comprendendo quindi il singolo Sub Hyerosolyma (1992), il demo …Advesperascit… (1994) e soprattutto l’ep …Ad Nihilum Recidunt Omnia (1996), più due brani inediti registrati nel 1997.
Sono proprio i tre brani contenuti in …Ad Nihilum Recidunt Omnia ad aprire la compilation, rappresentando quello che, all’epoca, pur con tutte le variabili di una produzione perfettibile, era parso un notevole primo approccio per una band che possedeva le potenzialità per diventare uno dei nomi di punta a livello nazionale in ambito death doom.
Questo non si è verificato, purtroppo, anche perché dopo diverse vicissitudini ed una lunga stasi la band si sciolse nel 2003 per poi riprendere vita cinque anni dopo con una formazione a tre che compose quello che sarebbe dovuto essere il primo full length, Mors, che di fatto però non vide mai la luce.
Come detto il fulcro dell’album sono Silvara e le due parti di Memoriam Tenere, brani nei quali il Nihili Locus dimostravano d’essere sulla strada giusta per giungere alla quadratura di un death/black doom ricco di spunti notevoli e piuttosto vario sotto diversi aspetti, incluso l’utilizzo della voce femminile; Lyaeus Nebularum non segue, come forse sarebbe stato più auspicabile, un ordine cronologico nella collocazione dei brani in tracklist, per cui dopo le tracce di …Ad Nihilum Recidunt Omnia troviamo le due che erano presenti in Sub Hyerosolyma, dove il sound viveva ancora di un’accentuata dicotomia tra le parti melodiche e quelle death tout cort, per poi giungere alla più compiuta scrittura di…Advesperascit… , dove un brano come Canto (of a Nightly Jewel) attirava fatalmente nel gorghi più profondi del death doom.
I due inediti, infine, sono evidentemente frutto di registrazioni approssimative e provvisorie, tali da rendere inopportuno ogni possibile giudizio; d’altro canto, anche se in misura decisamente meno accentuata, la produzione dei lavori dei Nihili Locus non è mai stata ottimale, impedendo peraltro di attenuare le sbavature a livello strumentale e, soprattutto, le stonature dei contributi vocali femminili (ma, d’altro canto, nei primi anni novanta non era facile trovare nel nostro paese qualcuno che fosse in grado di gestire al meglio tutto il processo di incisione e registrazione di un album metal).
L’operazione risulta nel complesso assolutamente utile e gradita: vediamo se il tutto possa essere propedeutico, magari, alla sospirata pubblicazione di Mors o ancora meglio di materiale di nuovo conio, visto che ufficialmente i Nihili Locus risultano ancora attivi, per cui sperare non costa nulla.

Tracklist:
1. Memoriam Tenere
2. Silvara
3. Memoriam Tenere (Rigor Mortis)
4. Ancient Beliefs Forgotten
5. Deathly Silence Nebulae
6. Gloomy Theatre of Ruins
7. Canto (of a Nightly Jewel)
8. Dance of the Crying Soul
9. …Advesperascit…
10. Buio/XII Touches
11. Tectum Nemoralibus Umbris
12. Lugubri Lai
13. La Notte Eterna
Tracks 1-2-3 taken from ‘…Ad Nihilum Recidunt Omnia’ MCD
Tracks 4-5 taken from ‘Sub Hyerosolyma’ EP
Tracks from 6 to 11 taken from ‘… Advesperascit…’ Demo
Tracks 12-13 never released before (recorded in 1997)

Line-up:
Bruno Blasi – vocals
Valeria De Benedictis – guitars, keyboards, vocals
Mauro Veronese – guitars, vocals
Massimo Currò – bass
Roberto Ripollino – drums, vocals
Simone Fanciotto – keyboards

NIHILI LOCUS – Facebook

Malnàtt – Pianura Pagana

Musicalmente è forse l’album più maturo del collettivo, molto completo dal punto di vista compositivo, e quasi pronto per essere trasposto in una piece teatrale, perché in fondo questo dei Malnàtt è teatro con musica pesante.

Il collettivo bolognese Malnàtt è molto più di un gruppo metal, è un’idea messa in musica pesante.

L’opera del collettivo è sempre stata di alto livello qualitativo e con messaggi molto forti, e anche in questo disco l’approfondimento è notevolissimo. Pianura Pagana è la dimostrazione che il metal può essere arte che nasce dal basso e si propaga per far meglio comprendere ciò che c’è sotto la superficie, ed in questo caso di marcio ce n’è davvero molto. La proposta musicale dei Malnàtt spazia nel mondo del metal, dal black al death, passando per pezzi più prog e sfuriate quasi thrash. In questo progetto la musica è al servizio del messaggio, ma essa stessa è messaggio e da un valore aggiunto molto importante. Tutta l’opera dei bolognesi è di agitazione culturale, quasi fossero una propaggine del collettivo culturale Wu Ming in campo metal. Pianura Pagana è un disco che sa di antico, un sentire con la mente libera da preconcetti e dai tarli della nostra consumistica esistenza. Il disco è una chiara dichiarazione di intenti, un continuo carnevale in senso medioevale, poiché quando suonano questi signori diventano altro da ciò che sono tutti i giorni, come spiegato nella splendida canzone Il Collettivo Malnàtt, che illustra molto bene cosa sia questa entità davvero unica. Il cantato in italiano rende moltissimo e fa l’effetto di una messa pagana senza alcun simbolo, solo l’andare contro la comune morale cristiana e borghese, ricercando il senso della vita e la sua forza, sempre più nascoste in questo mondo di plastica. Musicalmente è forse l’album più maturo del collettivo, molto completo dal punto di vista compositivo, e quasi pronto per essere trasposto in una piece teatrale, perché in fondo questo dei Malnàtt è teatro con musica pesante. Vengono anche smascherati i nostri tic, le normali aberrazioni che ogni giorni imperano in tv, creando quel cortocircuito che nasce mentre vediamo la morte in diretta mangiando tranquillamente con i nostri familiari, sentendoci al sicuro; ma non lo siamo affatto, perché il nemico peggiore siamo noi stessi, siamo noi gli assassini, siamo noi che abbiamo affidato le nostre speranze alla gente sbagliata da più di 2000 anni. Pianura Pagana va ascoltato nota per nota, parola su parola, immagine per immagine, perché è un piccolo capolavoro di coscienza, come li faceva una volta Pasolini; infatti qui i Malnàtt mettono in musica Alla Mia Nazione, e lì dentro c’è tutto.

Tracklist
1. Almanacco pagano
2. Io ti propongo
3. Il Collettivo Malnàtt
4. E lasciatemi divertire
5. Cadaverica nebbia
6. Alla mia nazione
7. Intervallo pagano
8. Qualche parola su me stesso
9. Posso
10. Chiese chiuse
11. Dialogo di marionette

MALNATT – Facebook

Serum Dreg – Lustful Vengeance

Per i due figuri dell’Oregon il black deve essere un espressione intrisa di oscura malignità, con il compito principale di disturbare e, perché no, disgustare tramite un’offerta fatta di sonorità sporche, dirette ma nel contempo piuttosto assimilabili.

Tra le varie forme interpretative del black metal non viene mai meno quella che aderisce alla sua essenza primaria, offrendo un sound scarnificato ed essenziale.

E’ il caso appunto di questi Serum Dreg, provenienti da Portland e formati da una coppia di musicisti attiva anche con i più noti Ash Borer, che decidono di muoversi in direzione ostinata e contraria rispetto ad ogni idea di contaminazione del genere: questo primo ep offre pochi più di venti minuti che non faranno la storia del back metal ma che senz’altro la rievocano con buona proprietà e chiarezza di intenti.
Per i due figuri dell’Oregon il black deve essere un espressione intrisa di oscura malignità, con il compito principale di disturbare e, perché no, disgustare tramite un’offerta fatta di sonorità sporche, dirette ma nel contempo piuttosto assimilabili.
Valga così l ascolto di una traccia come l’opener Rotten Pillar / Lustful Vengeance che, dopo un canonico intro, riporta di peso a sonorità che vanno all’indietro, anche oltre la codifica scandinava del genere come lo conosciamo, andando a ripescare il proto black strettamente avvinghiato al trash degli anni ottanta, oppure la più immediata Holy Disease, tralasciando la furibonda title track, incalzante ma afflitta da un parossismo che lambisce il caos.
L’operato dei Serum Dreg è soddisfacente se si ricerca una forma di black semplice e di consumo immediato, versante palla lunga e pedalare, lo è un po’ meno se si predilige un sound appena un po’ più elaborato e con qualche minima variazione sul tema.

Tracklist:
1. Rotten Pillar / Lustful Vengeance
2. Edifice of Hatred
3. Holy Disease
4. Death Ritual
5. Impure Ceremony
6. Blasphemic Black Death Noise

Line-up:
Ad Infinitum – guitars, bass, keyboards, vocals
Conjure of Plague – drums, vocals

Angor Animi – Cyclothymia

Cyclothymia è un lavoro rivolto a chi l”angor animi” se lo porta dentro fin dalla nascita, pur se in maniera latente: solo così allora può concretizzarsi questa sorta di scambio emozionale che porta l’ascoltatore a condividere gli stati d’animo evocati dalla musicista.

Kjiel è una delle musiciste più attive nonché tra le interpreti di spicco all’interno della scena nazionale gravitante attorno al depressive black, in virtù della sua militanza negli ottimi Eyelessight e di diverse collaborazioni con band italiane e non.

Angor Animi è il monicker del suo progetto solista che vede la luce con questo magnifico Cyclothymia, lavoro con il quale la musicista abruzzese può dare ancor più liberamente sfogo alla sua sensibilità artistica volta ad esplorare gli anfratti più bui dell’animo umano.
Per fare tutto ciò Kjiel si avvale della presenza in qualità di ospite di Déhà, un nome che è una sorta di marchio di qualità non solo per tutti i suoi innumerevoli progetti personali (tra i quali ricordiamo per affinità agli Angor Animi quelli denominati Yhdarl e Imber Luminis), ma anche per quelli altrui ai quali si trova a fornire il suo personale contributo.
Va detto per amor di precisione che in Cyclothymia il musicista belga si occupa dell’intera parte ritmica e di alcune parti di chitarra in qualità di ospite, lasciando a Kjiel l’intero il peso compositivo oltre alla possibilità di esprimersi al meglio con la sei corde e con la sua lancinante interpretazione, integrata anche dall’apporto della voce maschile di HK (Eyelessight), dell’altra femminile di Tenebra (Dreariness) e dal piano di Maylord (Dark Haunters).
Il risultato di tutte queste componenti è un album di un’intensità portata alle estreme conseguenze, che dal DSBM mutua soprattutto l’impostazione vocale, mentre a livello strettamente musicale siamo sul piano di un black/post metal atmosferico e dall’enorme impatto emotivo.
Cyclothymia è un lavoro rivolto a chi l”angor animi” se lo porta dentro fin dalla nascita, pur se in maniera latente: solo così allora può concretizzarsi questa sorta di scambio emozionale che porta l’ascoltatore a condividere gli stati d’animo evocati dalla musicista.
Kjiel, con questo suo personale progetto, si conferma come una delle interpreti migliori e più credibili di questo particolare sottogenere, rivolto sicuramente ad una nicchia di appassionati che non hanno il timore di essere sopraffatti dal disagio e dalla sofferenza che si fanno musica.

Tracklist:
01 – Quantum
02 – Matter
03 – Hyle
04 – Cosmi
05 – Lumis
06 – Ifene
07 – Fractals
08 – Divide
09 – Entropia

Line-up:
1. Prelude to an End;
2. Everlasting Lethargy
3. After Years of Broken Dreams
4. Melanchomania
5. Cleithrophobia
6. Longing My Life Away
7. Cyclothymia
8. Self-Deception
9. No Way Out(ro)

Line-up:
Kjiel – Vocals, Guitars

Guests:
HK – Vocals
Déhà – Guitars, Bass, Drums
Maylord – Piano
Tenebra – Vocals

ANGOR ANIMI – Facebook

Nigredo – Flesh Torn – Spirit Pierced

Rispetto ai canoni tipici della scuola greca mancano del tutto le venature epiche, le quali vengono abbondantemente compensate da una ferocia degna del miglior black di matrice scandinava : tutto questo rende il lavoro dei Nigredo un passo oltre il livello standard al quale ci ha abituato il genere.

Anche per il duo ateniese denominato Nigredo giunge il momento del debutto su lunga distanza a tre anni dall’ep Facets of Death.

I musicisti coinvolti sono abbastanza conosciuti all’interno della scena ellenica e non stupisce quindi il fatto di trovarsi al cospetto di un lavoro maturo e senza dubbio interessante; Flesh Torn – Spirit Pierced solo apparentemente può sembrare una semplice esibizione di un furente black’n’roll perché, in realtà, troviamo quel qualcosa in più che si mostra sotto forma di dissonanze che non vanno a scalfire il tiro di un sound impietoso quanto coinvolgente, che si muove sulla scia di band più ortodosse come Norse o Impiety da un lato, e la consueta accoppiata transalpina Deathspell Omega/Blut Aus Nord dall’altra.
Va detto che in casi come questo la formazione a due, con un batterista in carne ed ossa, completa non poco il lavoro di A. (Ravencult), visto che Maelstrom (martello degli dei nei mitici Thou Art Lord, oltre che che in un’altra decina di band elleniche) offre il travolgente contenuto ritmico del quale necessita una proposta strutturata il tal modo.
Se si può fare qualche appunto rispetto ad una varietà piuttosto ridotta, chi apprezza la frangia del genere più martellante ed orientata al trash troverà di che divertirsi in questi tre quarti d’ora che non prevedono pausa né cedimenti di alcun genere, con il valore aggiunto di suoni dalla resa ottimale per le medie del genere e di una prestazione, come detto, del tutto convincente offerta da questa coppia di torturatori uditivi.
Rispetto ai canoni tipici della scuola greca mancano del tutto le venature epiche, le quali vengono abbondantemente compensate da una ferocia degna del miglior black di matrice scandinava : tutto questo rende il lavoro dei Nigredo un passo oltre il livello standard al quale ci ha abituato il genere.

Tracklist:
1. Ten Repellent Antiforces
2. Necrolatry
3. Choronzon Possession
4. Mental Glimpses At Cosmic Horrors
5. Saturnian Death Cult
6. Sons Of Worthlessness
7. Towards The Monolith
8. Raging Tides Of Time

Line-up:
A. – Vocals, Guitars, Bass
Maelstrom – Drums

NIGREDO – Facebook

W.A.I.L. – Wisdom Through Agony into Illumination and Lunacy vol. II

Quello dei finlandesi W.A.I.L. è un approccio decisamente trasversale alla materia estrema, definibile in qualche modo progressivo nel senso che i frequenti cambi di ritmo e di umore, all’interno di due brani che assommano complessivamente un’ora di durata, depone a favore di una costruzione del sound in costante divenire.

Quello dei finlandesi W.A.I.L. è un approccio decisamente trasversale alla materia estrema, definibile in qualche modo progressivo nel senso che i frequenti cambi di ritmo e di umore, all’interno di due brani che assommano complessivamente un’ora di durata, depone a favore di una costruzione del sound in costante divenire.

Partendo da una base soprattutto doom, questo quintetto dà un seguito dopo ben nove anni al primo full length avente lo stesso titolo, Wisdom Through Agony into Illumination and Lunacy, continuando con questa sua seconda parte a percorrere i sentieri lirici basati su un un concept filosofico piuttosto profondo nonché intricato, basato sostanzialmente sulla volontà di dimostrare che bene e male non sono entità a sé stanti bensì fortemente interconnesse tra loro, smentendo quello che di fatto è un meccanismo mentale precostituito della mente umana.
Se il concept non è semplice da decrittare non è che la musica sia da meno, anche se in effetti i W.A.I.L. cercano sempre di dare un senso logico ad ogni svolta sonora, offrendo anzi in più di un caso passaggi dalle parvenze melodiche.
La descrizione di un’opera cosi strutturata è quanto mai complessa e dagli esiti improbabili, per cui non resta che godersi queste due lunghe tracce che sicuramente sono in grado di soddisfare gli ascoltatori più esigenti, tra il black doom piuttosto ruvido della prima parte di Through Will to Exaltation Whence Descent into a Bottomless Black Abyss, che nel suo lungo finale si stempera in liquidi passaggi acustici, e il doom atmosferico dell’incipit di Reawakening through Anguish into Gestalt of Absolute, nella quale sono racchiusi anche cinque minuti di delicato neoclassicismo pianistico, prima di chiudere il lavoro con una dissonante cavalcata.
Un gran bel lavoro, dunque, a patto d’avere la pazienza necessaria per lavorarlo per un tempo commisurato alla sua ritrosia nello svelarsi durante i primi approcci.

Tracklist:
1. Through Will to Exaltation Whence Descent into a Bottomless Black Abyss
2. Reawakening through Anguish into Gestalt of Absolute

Line-up:
A.E. – Guitars, vocals
S.F. – Drums, percussions, bass, additional solo guitars, kantele, recorder, didgeridoo, synthesizer, grand piano
J.I. – Bass, recording, mixing, mastering
P.R. – Main vocals
L.L. – Violin
Main vocals on “Absolute” and all vocals on “Reawakening” by A.E.

Altars Of Grief – Iris

Iris gode di una produzione eccellente, che ne esalta sia i toni cupi che le parti più aggressive, e favorisce quell’amalgama tra i musicisti che è uno dei segreti della riuscita di questo lavoro, senza dimenticare ovviamente l’alchimia di una band autrice dell’opera perfetta, un qualcosa che accade solo a pochi nell’arco di un’intera carriera.

I canadesi Altars Of Grief sono nati nel 2013, fondamentalmente come progetto estemporaneo per Evan Paulson e i suo compagni, per poi diventare di fatto per tutti loro la band principale nella quale convogliare ogni sforzo.

Se già il full length d’esordio forniva segnali incoraggianti sul potenziale del gruppo ed il successivo split con i Nachtterror rafforzava non poco tali impressioni, è con il meraviglioso Iris che i ragazzi dello Saskatchewan esplodono letteralmente, dando alle stampe quello che rischia seriamente d’essere in assoluto uno degli album migliori di quest’anno.
Gli Altars Of Grief non sono da considerarsi una doom band nel senso più puro del termine, visto che gli influssi black entrano pesantemente in scena a livello ritmico, creando così un’alternanza tra momenti  ruvidi ed altri relativamente melodici resa con grande fluidità e, soprattutto, sempre avvolta da una cappa di disperazione che aleggia su tutto il lavoro (il piano emotivo sul quale si snoda il disco è quello di Canto III degli Eye Of Solitude, tanto per fornire un esempio tangibile).
Del resto il concept su cui si basa Iris non lascia spazio a bagliori di ottimismo, in uno snodarsi di testi che raccontano di malattia, abbandono, morte e disincanto religioso, divenendo parte integrante e fondamentale dell’album e non solo un grazioso orpello.
La bravura della band canadese risiede appunto nel suo riuscire a sintetizzare al meglio ogni diverso aspetto di una proposta artistica curata nei particolari, esibendo anche il contributo in buona parte dei brani del violoncellista Raphael Weinroth-Browne, abile con il suo strumento a fornire quell’ulteriore tocco decadente ad un album che sovente scorre rabbioso, prima di stemperarsi in momenti di struggente malinconia.
Isolation inaugura l’opera nella maniera migliore, rivelandosi un brano di rara intensità nel quale possiamo già apprezzare l’ottima alternanza tra growl e clean vocals offerta dall’ottimo ed espressivo Damian Smith, andando a creare un percorso di dolorosa bellezza, mentre Desolation è una sorta di quintessenza del black doom, nel suo scorrere su ritmiche forsennate ma sempre intrise di quel sentire dolente che è il tratto dominante dell’intero lavoro.
La title track cambia registro, avviandosi con un incedere che ricorda le migliori band di death doom melodico ma è uno spunto che si riscontra soprattutto in tale frangente, perché le sfuriate in doppia cassa subentrano impetuose a creare quel carico di insostenibile tensione emotiva che si confà alla perfezione ad un brano nel quale il racconto trova il suo climax emotivo, evocato anche da una splendida linea chitarristica.
Qui si chiude il trittico iniziale, fatto di canzoni di un livello tale da rendere il resto dell’album impercettibilmente meno efficace ma, come detto, ciò è dovuto alla bellezza di quelle tracce, perché già Broken Hymns fa capire che l’album non scenderà mai al di sotto di quella soglia di eccellenza che gli Altars Of Grief, soprattutto nella persona del principale compositore Evan Paulson, hanno costruito con pazienza nel corso egli anni, mettendo la loro ispirazione al servizio di un sound vario ma sempre contraddistinto da un’intensità capace di fare la differenza.
I nostri fanno tesoro delle proprie radici canadesi e, così, nel loro sound possiamo trovare qualche riferimento a connazionali di un certo peso come i magnifici Woods Of Ypres, a livello musicale, mente gli Into Eternity di un album drammatico come The Incurable Tragedy, probabilmente, hanno aperto una strada importante nella costruzione di un concept terribilmente crudo, per la sua espressione dello sgomento di fronte al dolore legato alla malattia, al terrore provocato dalla paura della morte e all’angoscia derivante da tutte le incognite di un “dopo” tanto auspicato quanto temuto.
Iris gode di una produzione eccellente, che ne esalta sia i toni cupi che le parti più aggressive, e favorisce quell’amalgama tra i musicisti che è uno dei segreti della riuscita di questo lavoro, senza dimenticare ovviamente l’alchimia di una band autrice dell’opera perfetta, un qualcosa che accade solo a pochi nell’arco di un’intera carriera.

Tracklist:
1. Isolation
2. Desolation
3. Iris
4. Broken Hymns
5. Child of Light
6. Voices of Winter
7. Becoming Intangible
8. Epilogue

Line-up:
Donny Pinay – Bass, Vocals (backing)
Zack Bellina – Drums, Vocals (on track 5)
Evan Paulson – Guitars, Programming, Vocals (backing)
Damian Smith – Vocals
Erik Labossiere – Guitar, Vocals (backing)

Cello on tracks 1, 4, 5, 6 and 7 written and performed by Raphael Weinroth-Browne
Track 8, “Epilogue” written and performed by Raphael Weinroth-Browne

ALTARS OF GRIEF – Facebook

Coldawn – …In The Dawn

Questo disco è la testimonianza che il black metal può davvero sposarsi con tutto, essere un terreno fertile per molte sperimentazioni e fusioni sonore, ma soprattutto servono la fantasia ed il talento dei musicisti, cosa presente in maniera massiccia in questo caso.

Chi fa parte di una band sa quanto sia difficile provare e suonare, anche se si è vicini di casa o a distanza di pochi chilometri.

Davvero difficile immaginare come sia gestire un gruppo dislocato in tre continenti, ovvero Sudamerica, Europa e Oceania. Eppure, sicuramente grazie al fondamentale aiuto della rete, ecco qui il buon disco di debutto dei Coldawn: la band suona un black metal molto arioso e con forti innesti musicali classici, quasi un’orchestrazione, per poi esplodere in cavalcate in stile blackgaze, una definizione molto alla moda ma che rende abbastanza bene l’idea. Per capire meglio il tutto bisogna assolutamente ascoltare con attenzione questo …In The Dawn, perché racchiude in sé una grande melodia ed un grande lavoro musicale e di composizione. La visione dei Coldawn è grande e potente, questo disco è solo l’inizio di un percorso musicale che sarà fecondo, perché già ascoltando questo lavoro si viene trasportati lontano, si chiudono gli occhi e si va lontano. Il titolo è assai azzeccato, perché tutto il lavoro dà l’impressione di un qualcosa che si apre sotto le prime luci del sole, e la speranza seppur malconcia c’è ancora. I Coldawn disegnano un bell’affresco sonoro, con colori molto particolati e grande sapienza compositiva, dando l’impressione di avere molto da dire. Questo disco è la testimonianza che il black metal può davvero sposarsi con tutto, essere un terreno fertile per molte sperimentazioni e fusioni sonore, ma soprattutto servono la fantasia ed il talento dei musicisti, cosa presente in maniera massiccia in questo caso. Tre continenti, un esordio che fa sognare e che lascia molto soddisfatti.

Tracklist
1.Spectral Horizon
2.My Escape
3.The Essence
4.Only Moments
5.La Primavera No Llegara Esta Vez
6….In the Dawn
7.This: Over
8.My Destiny

Line-up
Ausk
B.
Tim Yatras
B. M.

COLDAWN – Facebook

Lychgate – The Contagion in Nine Steps

La terza opera della band albionica incute soggezione, non tanto per la mole quanto per la grande quantità di idee, di personalità, di suoni presenti nei sei brani; un vortice di atmosfere vincolate a un suono funeral e black molto personale, cangiante e che non ha eguali nell’attuale scena musicale.

La terza opera della band albionica incute soggezione, non tanto per la mole quanto per la grande quantità di idee, di personalità, di suoni presenti nei sei brani; un vortice di atmosfere vincolate a un suono funeral e black molto personale, cangiante che non ha eguali nell’attuale scena musicale. Sono attivi dal 2013 con l’omonima opera e nel 2015 avevano rifinito la loro idea di musica con Antidote for the Glass Pills, ma ora con questa opera raggiungono un ulteriore livello di arte.

Tutti i testi e la musica sono opera di Vortigern (J.C.Young), drummer in un vecchio progetto black greco, i The One, autori nel 2008 di un buon lavoro come I,Master, che ora suona la chitarra, mentre le vocals sono appannaggio di un grande artista come Greg Chandler (mastermind degli Esoteric); l’unione tra questi due artisti ha generato una creatura sinistra e affascinante che con questa terza opera ci lascia attoniti di fronte alla grandeur, alla magnificenza del loro suono che si nutre di tanti ingredienti per mostrare la propria forza: aromi gotici, heavy-progressive, funeral doom, black impregnano tutti i brani che sono scritti con grande ispirazione. L’uso dell’organo, del piano e del mellotron aggiunge grande potenza, maestosità e teatralità fino dall’opener Republic (per un gioco di suggestioni l’inizio mi ha ricordato il film horror del 1971 – L’abominevole dr. Phibes, con un grande Vincent Price) che incede lenta squarciata dal growl di Chandler a rivaleggiare con il suono oppressivo dell’organo. Un sound stratificato, avanguardistico, permea Unity of Opposites dove oscure linee di basso conducono la danza e permettono all’organo di ricamare suoni in sottofondo; il tocco romantico e lunare dei riff di chitarra accende Atavistic Hypnosis (brano magnifico), che si snoda per quasi nove minuti, coinvolgendo fortemente in un’atmosfera oscura e surreale. Ispirato dal libro The Invincible di Stanislaw Lew (anche i russi Below the Sun sono stati ispirati da questo autore con lo splendido Alien World del 2017) l’opera procede con gli strali dark di Hither Comes the Swarm, altro brano dove giganteggia l’organo e nel quale si assiste all’unica breve sfuriata black nel senso classico del termine, e con The Contagion, dai toni aspri e personali. La più breve Remembrance con toni corali e con una melodia carica di spiritualità chiude un’opera d’arte di gran livello, il cui ascolto è necessario per nutrire il proprio spirito di grandi sensazioni.

Tracklist
1. Republic
2. Unity of Opposites
3. Atavistic Hypnosis
4. Hither Comes the Swarm
5. The Contagion
6. Remembrance

Line-up
A.K. Webb – Bass
S.D. Lindsley – Guitars
T. J. F. Vallely – Drums
J. C. Young “Vortigern” – Guitars
Greg Chandler – Vocals

LYCHGATE – Facebook

Lumnos – Ancient Shadows Of Saturn

Lumnos imprime alla sua musica una forza notevole, andando oltre il concetto di black metal atmosferico qui ampiamente superato per un qualcosa di nuovo e di ancora più avanti come concetto.

Black metal che si unisce ad una musica dal respiro cosmico, e qui la musica del male diventa uno fra gli elementi in gioco, non il più importante, perché l’attenzione deve essere catturata dall’insieme.

Lumnos è un progetto di Breno aka Putrefactus, un brasiliano che suona molte cose, e che ha diversi progetti musicali in piedi, tra i quali Lumnos per l’appunto. Questo disco è il suo esordio con questo nome, e per l’occasione ha arruolato per incidere B.M. dai Sky Forest and Unknown dai Lost Sun, i quali danno un buon valore aggiunto all’opera. Il disco è un viaggio cosmico, lento e poderoso verso pianeti lontani, la meta non è importante, la cosa fondamentale è gustarsi il viaggio. Lumnos imprime alla sua musica una forza notevole, andando oltre il concetto di black metal atmosferico, qui ampiamente superato per un qualcosa di nuovo e di ancora più avanti come concetto. I sintetizzatori e il piano hanno un ruolo molto importante, e il black metal è la base per partire verso nuovi orizzonti musicali, alcuni passaggi sono quasi orchestrali e forse con il supporto di un’orchestra il disco sprigionerebbe una potenza ancora maggiore. Nonostante questo la sua spazialità è immensa, il suono è anche molto intimo e potrebbe essere un sottofondo per meditare, totalmente slegati dalla zavorra della nostra quotidianità, soli con l’arma più potente che abbiamo : il nostro pensiero. Le tracce sono cinque e tutte di lunga durata, e ciò grazie alla bravura di Breno diventa un pregio e non un difetto, perché ci si immerge davvero in questo spazio immenso. L’elettronica si bilancia perfettamente con il black metal e con la parte più classica, in un modo al quale molti hanno accennato, ma che solo qui si compie pienamente. Un disco rarefatto e di una delicatezza incredibile, al contempo forte e poderoso come un corpo umano che tenta di rimanere attaccato al suo pensiero ormai volato lontano. Un esordio molto positivo, una prova che va ascoltata molte volte e ogni volta mostrerà una faccia diversa: una scelta azzeccata per l’esordio della sublabel della Avantgarde Music, la Flowing Downward.

Tracklist
1.I am Born From a Star
2.Primordial Darkness
3.Ancient Shadows of Saturn
4.No Soul Is Near
5.Existentialism
6.Crystal Clouds, Diamond Sun (Bonus Track)

LUMNOS – Facebook

Škan – Death Crown

Come avrà modo di scoprire chi vorrà ascoltare Death Crown, l’idea di black metal negli Škan è ben più ampia e variegata in virtù di un sound in continua trasformazione ed evoluzione.

Per fortuna non sempre la musica segue percorsi predefiniti: per esempio non era per nulla prevedibile ascoltare sonorità di questo tipo da una band texana inserita nell’ampio calderone del black metal.

Gli Škan, in realtà, partono da quella base stilistica per diramare la loro proposta verso territori molti lontani anche per immaginario da quelli normalmente battuti da chi proviene da oltreoceano.
Non sono quindi impronte cascadiane quelle che risultano impresse in Death Crown, bensì meno visibili ma più profonde tracce di uno spirito inquieto che molto attinge in tal senso nella cultura dei nativi americani fin dal monicker: da questo ne deriva un sound che mostra diversi volti, da quelli più introspettivi (che sono la maggioranza) a quelli più robusti che sono sovente lanciati su ritmi medi e inframezzato da ottimi passaggi di chitarra solista.
Anche per questo la definizione di band dedita al black death sta un po’ stretta agli Škan, i cui intenti per volere del leader Joseph Merino sono ben più ampi sia dal punto di vista musicale che concettuale: se Death Crown può sembrare una canonica sfuriata black metal, sebbene arrivi dopo un intro che già promette sonorità poco convenzionali, la sua parte finale ci dice già che da ogni brano della band è lecito attendersi variazioni di ritmo e di atmosfere, tanto più che le diverse tracce sono collegate tra loro a creare una sorta di continuum sonoro, che sfocia poi in un brano magnifico come The Womb, dove predomina un suono di chitarra molto particolare inserito in un contesto dai tratti psichedelici.
La stessa Iron & Blood si muove su coordinate molto simili prima di sfociare nei due brani più lunghi dell’album, Father Qayin, per certi versi la canzone più ritmata e immediata del lotto, e For The Love Of Death, nella quale vengono ancora disegnate pennellate chitarristiche struggenti che conducono al termine di un disco bellissimo e sorprendente, non tanto per un suo insito carico innovativo quanto per la capacità di Merino e soci di mutare le carte in tavola senza perdere mai di vista la propria idea di metal; come avrà modo di scoprire chi vorrà ascoltare Death Crown, questa è infatti ben più ampia e variegata in virtù di un sound in continua trasformazione ed evoluzione nel corso dell’album.
Uno splendido lavoro, consigliato a prescindere dagli steccati di genere

Tracklist:
1. Initium
2. Death Wish
3. A Mort
4. The Womb
5. Au Dela
6. Iron & Blood
7. Father Qayin
8. For The Love Of Death

Line-up:
Joseph Merino – Guitars, Vocals
David Baxter – Drums
Rob Zim – Bass
Ron van Herpen – Guitars

SKAN – Facebook

Throneum / Necrosadist / Empheris / Witchfuck – Night of Terror

La resa audio del live è terribilmente deficitaria e di sicuro questo non rende giustizia all’impegno delle band coinvolte, trattandosi di una registrazione men che amatoriale.

La Unpure Records pubblica questo split in formato cassetta che immortala dal vivo quattro band estreme della scena polacca, registrando parte dello show tenutosi durante il Night of Terror tenutosi a Chorzów lo scorso 21 ottobre.

Di per sé l’operazione non sarebbe affatto male, visto che in un colpo solo ci sarebbe la possibilità di ascoltare due brani ciascuno di gruppi dalla storia già abbastanza lunga come Throneum, Empheris e Necrosadist, o più recente come i Witchfuck, tutte comunque dedite ad un black/thrash piuttosto diretto e genuino.
Il grosso problema è che la resa audio del live è terribilmente deficitaria, nel senso che siamo al livello di un bootleg di scarsa qualità , anche se è possibile che il nastro restituisca un minimo di profondità in più rispetto al formato mp3 in mio possesso: di sicuro questo non rende giustizia all’impegno delle band coinvolte, trattandosi di una registrazione men che amatoriale.
Personalmente provo massima stima e rispetto per chi sta cercando di riportare in auge le musicassette e di chi se ne strafotte della perfezione sonora privilegiando l’impatto sonoro ed i contenuti, però in questo caso si scende al di sotto di un’ipotetica soglia di tollerabilità. In definitiva, ritengo che Night of Terror possa essere un prodotto appetibile solo per chi si trovava quel giorno al concerto, avendo così la possibilità di conservarne un ricordo “fisico”, mentre chi volesse approfondire la conoscenza di queste quattro band è meglio che si rivolga ad uscite più canoniche.

Tracklist:
Side A
1. Throneum – Exhibition of Abomination
2. Throneum – Godless Antihuman Evil
3. Empheris – Black Mirror of Unknown
4. Empheris – The Return of Derelict Gods Pt. IV
Side B
5. Necrosadist – Night of Sodomy
6. Necrosadist – Infernal Ritual
7. Witchfuck – Disgusting Rock’N”Roll
8. Witchfuck – Unholy Cunt

Line-up:
Throneum
Armagog – Bass
The Great Executor – Guitars, Vocals
Diabolizer – Drums

Necrosadist
Necroführer – Guitars, Vocals (backing)
Thot – Drums
Morbid G. – Bass, Vocals (backing)
Cuntreaper – Vocals

Empheris
Bonif – Bass
Adrian – Vocals
Tomasz Dobrzeniecki – Guitars
Giorgi Tchutchulashvli – Guitars
Szymon Żbikowski – Drums

Witchfuck
BeerTerror – Guitars
Hellscreamaross – Vocals, Lyrics
Count W. – Bass
M.D. – Drums

The Negative Bias / Golden Dawn – Temple of Cruel Empathy / Lunar Serpent

Questo split album, che riunisce due entità austriache dedite al black metal, offre diversi motivi di interesse a chi abbia voglia di approfondire e riscoprire quella scena tutt’altro che marginale.

Questo split album, che riunisce due entità austriache dedite al black metal, offre diversi motivi di interesse a chi abbia voglia di approfondire e riscoprire quella scena, tutt’altro che marginale visto che ha fornito band dello spessore di Belphegor, Abigor e Summoning, tra le altre.

I The Negative Bias li conosciamo già in virtù del loro ottimo album rilasciato qualche mese fa, con il quale il duo formato da I.F.S. e S.T. esibiva per la prima volta su lunga distanza la propria interpretazione cosmica ed atmosferica del black metal, e confermano in pieno le ottime impressioni fornite in quell’occasione con un traccia valide come The Temple of Cruel Empathy. In questo split album lo stesso S.T. (al secolo Stefan Traunmüller) occupa la seconda metà con il suo progetto solista Golden Dawn, attivo dalla metà degli anni ’90, presentando invece il genere in una versione più melodica e a suo modo raffinata, con il ricorso soluzioni ritmiche inusuali ed un utilizzo piuttosto originale delle tastiere, il che rende Lunar Serpent un brano di grande spessore, testimonianza della competenza in materia di un musicista tra i più credibili in ambito black, non soltanto sul suolo austriaco.
In definitiva, per chi predilige questo tipo di formato il connubio tra The Negative Bias e Golden Dawn potrebbe rivelarsi molto appetibile.

Tracklist:
1. The Negative Bias – The Temple of Cruel Empathy
2. Golden Dawn – Lunar Serpent

Line-up:
Golden Dawn
Dreamlord – Vocals, Guitars, Bass, Keyboards

The Negative Bias
S.T. – Bass, Guitars, Drums
I.F.S. – Vocals

THE NEGATIVE BIAS – Facebook

Antlers – Beneath.Below.Behold

Gli Antlers spaziano con disinvoltura tra pulsioni epiche ad aperture atmosferiche, addolcendo il tutto con delicati intermezzi pianistici e queste caratteristiche, fatte coesistere al meglio, rendono Beneath.Below.Behold un lavoro degno di ritagliarsi uno spazio di rilievo all’interno di una scena ricca come quella tedesca.

Ancora dalla fertile Germania, questa volta nei suoi contrafforti che furono orientali Lipsia giunge il secondo full length degli ottimi Antlers, autori di un black metal caratterizzato da un grande equilibrio nonché buon gusto compositivo.

Gli Antlers spaziano con disinvoltura tra pulsioni epiche ad aperture atmosferiche, addolcendo il tutto con delicati intermezzi pianistici e queste caratteristiche, fatte coesistere al meglio, rendono Beneath.Below.Behold un lavoro degno di ritagliarsi uno spazio di rilievo all’interno di una scena ricca come quella tedesca.
L’album arriva tre anni dopo il full length l’esordio e ripropone un sound ancor meglio focalizzato, diretto senza essere scontato, malinconico ed evocativo senza eccessi melodici, con il solo vezzo di presentare tre intermezzi acustici decisamente di buon gusto e tutt’altro che fuori luogo.
Fulcro ideale dell’album è l’accoppiata centrale formata da Beyond The Golden Light e Metempsychosis, solenne ed avvolgente la prima, impetuosa nel suo incedere la seconda, salvo un breve break centrale.
Ottime anche l’opener Theom ed una più “scandinava” Off With Their Tongues, con la chitarra che si fa spazio tra una muraglia sonora tessendo magnifiche linee metodiche, ma in generale è tutto il lavoro che si rivela privo di pecche, lasciando trasparire potenzialità di prim’ordine da parte degli Antlers, i quali avevano bisogno di un album di questo spessore per ricavarsi un minimo in più di spazio ed entrare a far parte del novero delle band da tenere sotto stretta osservazione fin da oggi.

Tracklist:
1. Theom
2. Heal
3. Nengures
4. Beyond The Golden Light
5. Metempsychosis
6. Drowned In A Well
7. Off With Their Tongues
8. The Tide
9. Lug´s Waters

Line-up:
Pablo C. Ursusson – Guitar, Classical Guitar, Zanfona
Ntx – Guitar, Keyboards, Vocals
M – Drums, Percussion
Mts – Bass, Vocals

ANTLERS – Facebook

Power From Hell – Blood’n’Spikes

Metal da battaglia, ignorante, veloce e senza compromessi, ma interpretato con un’attitudine che fa del gruppo una realtà convincente nel panorama underground legato a questo genere di suoni.

Un’altra band molto attiva in patria (Brasile), e che si è costruita una solida reputazione a colpi di black/thrash metal old school, sono i Power From Hell, trio attivo dal 2004 ed arrivato al traguardo del quinto album più una serie di lavori minori che vanno a formare una nutrita discografia.

Sodomic (chitarra e voce), Tormentor (basso) e Death (batteria) raccolgono tutti i demoni sparsi in Sudamerica e li nutrono a sague e black/thrash metal, quello nato negli anni ottanta, rigorosamente ispirato ai Venom, ai Possessed e compagnia di adoratori del diavolo: un metal da battaglia, ignorante, veloce e senza compromessi, ma interpretato con un’attitudine che fa del gruppo una realtà convincente nel panorama underground legato a questo genere di suoni.
Blood’n’Spikes è un ep formato da sei brani di metallo estremo vecchia scuola: le anime dannate dei gruppi classici del genere sono racchiuse in questi venti minuti di roboante sound fortemente anticristiano e maligno.
Ritmiche thrash, scream profondo e abissale, chitarre black, rallentamenti e ripartenze sono i soliti cliché che la band usa e abusa a suo piacimento, mentre l’odore di zolfo aumenta di brano in brano e sul muro della stanza si forma come d’incanto il malefico ghigno del malvagio caprone.
Nulla che non sia ad esclusiva dei fans del genere, ma una citazione particolare la merita la cover dei Judas Priest Freewheel Burning, suonata in Motorhead style e via verso l’inferno, accompagnati dai Power From Hell.

Tracklist
1.Hell’s Gang Bang
2. Swallowed By Darkness
3. Obscure Creation
4. Altars of the Black Rites
5. Into the Void of Death
6. Freewheel Burning (Judas Priest – Cover)

Line-up
Sodomic – Vocals, Guitars
Tormentor – Bass
Death – Drums

POWER FROM HELL – Facebook

Thy Feeble Saviour – And Darkness Fell

Il black offerto dal duo statunitense è crudo ed essenziale, con sconfinamenti nel grind testimoniati anche dalla brevità dei quattordici brani inseriti nella tracklist il cui fatturato in termini di durata supera di poco la mezz’ora.

Dopo una storia iniziata quasi quindici anni fa, i Thy Feeble Saviour approdano al full length d’esordio, dopo gli accenni mostrati a metà dello scorso decennio nella configurazione di progetto solista di Francisco Pulido ed una ripresa dell’attività nel 2015 con l’ingresso in formazione del drummer Matt Hefner.

Il black offerto dal duo statunitense è crudo ed essenziale, con sconfinamenti nel grind testimoniati anche dalla brevità
dei quattordici brani inseriti nella tracklist il cui fatturato in termini di durata supera di poco la mezz’ora.
Pulido, in spregio al suo cognome, esprime la sua idea di metal estremo con sonorità ruvide e tutt’altro che limpide, vomitando le proprie blasfemie con un growl animalesco che riesce comunque a sovrastare l’apocalisse strumentale che viene riversata nella quasi totalità di And Darkness Fell.
L’album non è ovviamente roba per palati fini, e tutto sommato lo ritengo più adatto a chi ascolta grind piuttosto che black, pur essendo quest’ultima di base la matrice sonora, proprio per l’urgenza e la sintesi espressiva che sono tratto comune dell’intero lavoro, fatto salvo qualche morboso quanto efficace rallentamento (a tratti in Obscenity of the Cross e nella title track).
Ad emblema dell’album proviamo ad estrapolare Procession to Calvary, leggermente meno parossistica nel suo incedere ma ugualmente devastante, con il tentacolare Hefner che mette costantemente a rischio l’integrità del suo strumento.
Un lavoro come questo, intriso di un sound quanto mai primitivo e diretto, difficilmente porterà in auge il nome dei Thy Feeble Saviour, ma il solo sapere che ci sono ancora in giro figuri come questi mi provoca uno strano senso di benessere …

Tracklist:
1. Corpse of the Crucified
2. Engulfed in Abhorrence
3. Torture Stake
4. And Darkness Fell
5. Provoked Crucifixion
6. Procession to Calvary
7. Destruction of the Holy Sepulchre
8. Scourge Him
9. Obscenity of the Cross
10. Carrion for Beasts
11. Disgrace the Throne
12. Darkest Path to Death
13. Crurifracture (The End)
14. Mocked and Despised

Line-up:
Francisco Pulido – Guitars, Bass, Vocals
Matt Heffner – Drums

THY FEEBLE SAVIOUR – Facebook