Ribspreader – The Van Murders – Part 2

Un delirio di metal estremo old school, come la ditta Rogga Johansson insegna, perfetto nel suo genere, travolgente ed assolutamente degno della fama del suo creatore.

Questo è il periodo in cui lo stakanovista del metal estremo, Rogga Johansson, invade il mercato con le sue molteplici collaborazioni, che puntualmente ogni paio d’anni ci investono con tutta la loro attitudine ed impatto old school.

Ed infatti il buon Rogga come comune denominatore mantiene in tutti i gruppi con cui suona l’attitudine vecchia scuola, quindi anche i Ribspreader (per chi ancora non conoscesse il progetto) si collocano tra le band dal sound tradizionale.
Questo  è uno dei progetti più longevi di Johansson, essendo attivo dal 2003, con l’esordio Bolted To The Cross licenziato l’anno dopo e che vedeva all’opera al fianco del musicista svedese Andreas Carlsson ed il grande Dan Swanö.
Sono passati quattordici anni e sei lavori sulla lunga distanza e, per il settimo sigillo griffato Ribspreader, Johansson rispolvera la coppia The Cleaner e Mr. Filth, macabri personaggi apparsi sull’album licenziato nel 2011, The Van Murders.
Il titolo non poteva che essere The Van Murders-Part 2 e ad accompagnare il mastermind troviamo questa volta Kjetil Lynghaug alla chitarra solista e Brynjar Helgetun alla batteria, per mezzora di swedish death metal.
Diretto e devastante come un missile sottomarino dritto nella poppa di un transatlantico, l’album è un delirio di metal estremo old school, come la ditta Rogga Johansson insegna, perfetto nel suo genere, travolgente ed assolutamente degno della fama del suo creatore.
Una cascata di riff e solos scolpiti negli annali del death metal scandinavo, una serie di brani che, senza compromessi ci riportano ai primi anni novanta, trovano nei Ribspreader il trio perfetto per tornare a fare male, rispettosi di tutti i cliché del genere ma forniti di un songwriting per cui, dall’opener Departure LA fino alla conclusiva Travelling Band Of The Dead, l’album è un susseguirsi di spettacolari esempi di death metal made in Svezia.
Bellissimo lavoro, The Van Murders-Part 2 è sicuramente la migliore opera fin qui pubblicata quest’anno da Rogga Johansson, ma state certi che non finirà qui.

Tracklist
1.Departure LA
2.Flesh Desperados
3.Back on Frostbitten Shores
4.Equipped to Kill
5.Meat Bandit
6.The Cleaners Theme
7.The Cleaners Theme 2
8.Come Out and Play Dead
9.Travelling Band of the Dead

Line-up
Rogga Johansson – Guitars, bass, vocals
Kjetil Lynghaug – Lead guitars
Brynjar Helgetun – Drums

RIBSPREADER – Facebook

Dark Doom – Dust

L’inglese Alex Wills, dopo aver proposto in tempi piuttosto ravvicinati due ep ed un singolo, decide di compiere il passo su lunga distanza e lo fa dimostrando di possedere idee a sufficienza per reggere tale prova.

Mai farsi trarre in inganno da un monicker: se si pensa che, ascoltando questo full length d’esordio dei Dark Doom, ci si imbatterà nelle sonorità plumbee e rallentate della musica del destino si prenderà un solenne cantonata, visto che Dust è, invece, un buonissimo lavoro basato su un black death decisamente melodico e scorrevole.

Artefice di questo progetto solista è l’inglese Alex Wills, il quale, dopo aver proposto in tempi piuttosto ravvicinati due ep ed un singolo, decide di compiere il passo su lunga distanza e lo fa dimostrando di possedere idee a sufficienza per reggere tale prova.
Ovviamente la proposta del musicista di Derby non può essere annoverata tra le più originali, in quanto il sound attinge sia dalla sponda nordica (Catamenia) che mediterranea (Nightfall) del genere ma, sicuramente, più a livello di ispirazione di massima che non nella trasposizione sullo spartito, in quanto il nostro non disdegna interessanti digressioni di matrice heavy allorché propone gustosi assoli chitarristici.
E, in effetti, ciò che rende Dust un disco meritevole d’attenzione è una certa varietà ritmica che consente così di godere di brani strutturati in maniera piuttosto accattivante come l’opener Roaming Creature, oppure molto più spinti ed orientati ad un sound aspro e accelerato (Husk).
Nella parte centrale del lavoro, poi, troviamo due tracce che superano i dieci minuti di durata: un qualcosa di anomalo e, per certi versi rischioso in un genere come questo, con esiti che lasciano qualche dubbio nella meno incisiva Cosmic Dust ma che, invece, stupiscono con la splendida After The End, nella quale confluiscono passaggi più rallentati e malinconici e incalzanti crescendo melodici.
L’elegante chiusura strumentale affidata a There Could Be Hope testimonia le ottime doti compositive ed esecutive di Wills e, grazie anche ad una produzione che non lascia spazio a perplessità (come troppo spesso avviene purtroppo quando ci si imbatte in un lavoro concepito ed inciso da un solo soggetto), Dust si rivela un album davvero piacevole, ricco di ottimi spunti e meritevole d’attenzione.

Tracklist:
1. Roaming Creature
2. Meaningless
3. Husk
4. Cosmic Dust
5. After the End
6. The Struggle
7. Traveller
8. There Could be Hope

Line up:
Alex Wills- All instruments, Vocals

DARK DOOM . Facebook

Adramelech – Pure Blood Doom

Una ferale mazzata death metal vecchia scuola, un monolite estremo che non conosce pause, ispirato dai gruppi che misero l’Europa a ferro e fuoco negli anni prima dell’avvento del nuovo millennio.

Band storica della scena death metal finlandese, gli Adramelech non ebbero grossa visibilità, tormentati dai continui cambi di formazione e superati in popolarità da leggende come Amorphis, Demigod ed Impaled Nazarene.

La data di nascita del gruppo è di quelle da brividi : era infatti il 1991, in un periodo nel quale venne scritta la storia del metal estremo nord europeo, mentre nel 1996, dopo un paio di demo ed altrettanti ep, venne licenziato tramite la Repulse di Dave Rotten il debutto sulla lunga distanza Psychostasia.
Ancora due album prima del lungo silenzio non ancora terminato, di cui Pure Blood Doom è il penultimo, ora riproposto completamente rimasterizzato grazie alla Nuclear Abominations records.
Uscito originariamente nel 1999 e seguito sei anni dopo da Terror of Thousand Faces, l’album risulta una ferale mazzata death metal vecchia scuola, un monolite estremo che non conosce pause, ispirato dai gruppi che misero l’Europa a ferro e fuoco negli anni prima dell’avvento del nuovo millennio.
Parliamo di Grave, Vader e Sinister, quindi pochi riscontri con il classico sound finlandese/scandinavo e più in linea con il genere suonato nel centro Europa: Pure Blood Doom non conosce pause, tra mid tempo, riff granitici e atmosfere pesanti ed oscure.
Formato da nove terremotanti tracce che sono lo specchio del death metal suonato negli anni novanta, Pure Blood Doom fu ancora una volta frenato dai problemi interni al gruppo che non consentirono un’adeguata promozione al disco.
Un’ottima occasione per rivalutare l’album e la band finlandese vi viene data dalla Nuclear Abominations Records, quindi è d’obbligo fermarsi un attimo, guardarsi indietro e riscoprire questo gioiello estremo.

Tracklist
1.Centuries of Murder
2.Thule
3.Abomination 459
4.Season of the Predator
5.Thingstead
6.Lord of the Red Land
7.Evercursed
8.The Book of the Black Earth
9.Spawn of the Suffering

Line-up
Jarkko Rantanen – Drums
Jari Laine – Guitars, Bass
Ali Leiniö – Bass, Guitars, Vocals

https://www.facebook.com/Adramelech-216261348385371/

Descrizione Breve
Uscito originariamente nel 1999 e seguito sei anni dopo da Terror of Thousand Faces, l’album risulta

Autore
Alberto Centenari

Voto
75

Genere – Sottogeneri – Anno – Label
2018 Death Metal 7.50

Progenie Terrestre Pura – starCross

I Progenie Terrestre Pura sono un gruppo che, usando il black death metal con venature industrial ed elettroniche, porta verso l’infinito il suo messaggio di angoscia e di incessante esplorazione sia dello spazio profondo che di noi stessi.

Torna uno dei progetti più originali e congrui della scena musicale italiana e non solo con un nuovo ep.

I Progenie Terrestre Pura sono il suono dello spazio e di una razza umana futuristica, o forse è un suono che arriva da una terra come la nostra persa in un multiverso differente dal nostro. Il loro black death cosmico è un qualcosa che colpisce nel profondo, e questo ep starCross è un avanzamento ulteriore della poetica musicale. L’ep si compone di cinque pezzi basati su una storia elaborata da Davide Colladon, deus ex machina dei Progenie Terrestre Pura. Tutto nasce dal fatto che la navicella A.S. Mori segue un segnale lanciato dalla spazio profondo, e l’ep è il racconto di questa esperienza alla maniera di questo fantastico gruppo. Nella loro poetica è centrale il rapporto tra l’uomo e lo spazio, rapporto filtrato dalla tecnologia, che però non riesce ad eliminare l’angoscia dell’uomo lanciato nello spazio profondo, anzi la acuisce. Non c’è gioia od onore nell’andare nello spazio tenebroso, ma solo un’incessante lotta contro i nostri limiti fisici e spirituali, con un’intelligenza che capisce benissimo cosa sta succedendo ma è sopraffatta dalla potenza e dalla pesantezza di ciò che coglie. I Progenie Terrestre Pura sono un gruppo che, usando il black death metal con venature industrial ed elettroniche, porta verso l’infinito il suo messaggio di angoscia e di incessante esplorazione sia dello spazio profondo che di noi stessi. Il trio italiano fa una proposta musicale fuori dalle categorie e dagli schemi, con una poetica ed una potenza musicale che non ha nessun altro. starCross è il primo lavoro in inglese, scelta operata per portare al massimo numero possibile di persone il loro messaggio. Il cantato in italiano, a mio avviso, dava un valore aggiunto, ma è comunque un qualcosa che arriva da una dimensione parallela, non è musica umana ma molto di più. Continua il viaggio nello spazio profondo, e l’arrivo non si chiama salvezza.

Tracklist
1.Chant of Rosha
2.Toward a Distant Moon
3.Twisted Silhouette
4.The Greatest Loss
5.Invocat

Line-up
Davide Colladon – Guitars, Composition
Emanuele Prandoni – Vocals, Lyrics
Fabrizio Sanna – Bass, Production

PROGENIE TERRESTRE PURA – Facebook

Euphoreon – Ends Of The Earth

Primi In Flames e Dark Tranquillity, Children Of Bodom e tanto heavy metal: Ends Of The Earth convince dall’alto di un’ottima alchimia tra la tradizione classica e quella più estrema, con atmosfere incentrate su epiche cavalcate metalliche ed oscure trame estreme.

La scena melodic death metal continua a sfornare album classici, anche se il trend di questi ultimi anni tende a modernizzare il sound, avvicinandolo come impatto al metalcore per renderlo il più americano possibile.

Se questo sia un male o un bene non sta a noi giudicare tra le righe di questo articolo, atto a presentare questo duo formato da Eugen Dodenhoeft (basso, voce, chitarra ritmica e batteria) e Matt Summerville (chitarra solista e voce) che, sotto il monicker Euphoreon, ci fa partecipi di un ottimo esempio di death metal melodico ed heavy, assolutamente focalizzato sul metal più classico ed epico.
Primi In Flames e Dark Tranquillity, Children Of Bodom e tanto heavy metal: Ends Of The Earth convince dall’alto di un’ottima alchimia tra la tradizione classica e quella più estrema, con atmosfere incentrate su epiche cavalcate metalliche ed oscure trame estreme.
Sette lunghi brani vengono attraversati da umori elettrici di natura estrema ed armonie che valorizzano la scalata al monte Fato, epico traguardo che i nostri eroi raggiungono spinti dalla forza di brani come l’opener Euphoria o Zero Below The Sun.
Mirrors, brano top di questo lavoro, vive di umori orchestrali che fanno da tappeto al death/power del duo, così come la notevole Oblivion e il gran finale heavy metal di The Grand Becoming.
La voce non si schioda (fortunatamente) da un growl classico e il sound, nel suo essere estremamente melodico non manca di impatto e potenza, rendendo così Ends Of The Earth un lavoro pienamente riuscito e consigliato agli amanti del death metal melodico di stampo classico.

Tracklist
1.Euphoria
2.Ends of the Earth
3.Zero Below the Sun
4.Mirrors
5.Cravenness
6.Oblivion
7.The Grand Becoming

Line-up
Eugen Dodenhoeft – Bass, Guitars (rhythm+lead), Drums
Matt Summerville – Guitars (lead), Vocals

EUPHOREON – Facebook

Tortharry – Sinister Species

Se vi piace il genere e non ascoltate praticamente altro, i Tortharry sono una band che non tradisce e vi regalerà mezzora abbondante in compagnia del suo death metal d’assalto di scuola Suffocation, Bloodbath e Dying Fetus.

Torna dopo cinque anni dall’ultimo devastante lavoro un nome storico della scena estrema est europea, magari poco conosciuto se non ai fans incalliti del death metal, ma attivo dai primi anni novanta.

Si chiamano Tortharry, sono un terzetto che vede la luce nel 1991, anno in cui rilasciano il primo demo, mentre l’esordio sulla lunga distanza vede la luce tre anni dopo.
E’ il 1994 infatti quando cui la band licenzia When the Memories Are Free, primo di una serie di sette lavori con cui arrivano al 2013, anno di uscita dell’ultimo Follow, predecessore di questo macigno estremo e brutale intitolato Sinister Species.
Niente di clamoroso si intende, ma assolutamente valido sotto l’aspetto dell’impatto che non si attenua per tutta la durata di un’opera che si avvicina al brutal ma mantiene i piedi ben saldi nel death metal old school.
Martin “Lemy” Vacek (basso), Dan “Heatley” Pavlík (chitarra e voce) e Jiří “Panther” Rosa (batteria) il loro mestiere lo sanno fare, su questo non ci sono dubbi, magari peccano nel seguire la stessa formula in ogni brano, ma il genere è questo, i tre musicisti danno l’anima e Sinister Species risulta così il classico lavoro per chi ama il genere e non ascolta praticamente altro.
I Tortharry sono una band che non tradisce e vi regalerà mezzora abbondante in compagnia del suo death metal d’assalto di scuola Suffocation, Bloodbath e Dying Fetus: promossi con sufficienza piena.

Tracklist
1.Intro
2.Odd Man Out
3.False Superiority
4.Crossroads
5.Without a Break
6.By Devil’s Side
7.Self-Sale
8.Perpetual Delay
9.Deceitful Sermons
10.Sinister Species

Line-up
Martin “Lemy” Vacek – Bass, Vocals (backing)
Dan “Heatley” Pavlík – Vocals, Guitars
Jiří “Panther” Rosa – Drums

TORTHARRY – Facebook

Arthedain – Infernal Cadence of the Desolate

Si potrà discutere sulla relativa assenza di spunti innovativi, ma quando il compito viene eseguito con questa padronanza del genere è davvero difficile trovare qualcosa da eccepire.

Gli Arthedain sono un interessante progetto musicale dedito ad un black death melodico e di ottimo fattura, giunto al primo full length dopo una coppia di ep pubblicata nel 2014.

Artefice del tutto è il musicista statunitense Charles Wolford che, in Infernal Cadence of the Desolate, accoglie quale nuovo membro della band il chitarrista Nicolas Colvin, mentre la batteria è affidata al session Ilya “Ilyas” Tabachnik.
L’album denota fin da subito l’intento di offrire un sound intenso e piuttosto diretto, e si fa apprezzare per una buonissima resa sonora e la presenza di brani sovente ricchi di un notevole groove.
Where Nonexistence Is All, Consuming the Aurora, Infernal Cadence e Arcane Ascension sono esempi calzanti di quanto appena descritto ma, nel complesso, è tutto il lavoro che regala tre quarti d’ora di minuti di musica incisiva ed incalzante.
Poi, magari, si potrà discutere sulla relativa assenza di spunti innovativi ma quando il compito viene eseguito con questa padronanza del genere è davvero difficile trovare qualcosa da eccepire. Per cui non resta che consigliare agli appassionati del genere l’ascolto di questo primo lavoro degli Arthedain, profondo anche a livello lirico visto che Wolford affronta un tema come quello del disturbo post traumatico da stress che affligge chi è stato coinvolto in scenari di guerra, senza farsi mancare neppure riferimenti all’esistenzialismo di Schopenauer.

Tracklist:
1. A Testament to Failure
2. Where Nonexistence Is All
3. Depths of Isolation
4. Consuming the Aurora
5. Infernal Cadence
6. Arcane Ascension
7. A Garden Lies Barren
8. None Shall Remain
9. As One

Line up:
Charles Wolford – Vocals, Guitars, Lyrics, Composition
Nick Colvin – Guitars, Composition

Ilya “Ilyas” Tabachnik – Drums

ARTHEDAIN – Facebook

Ephyra – The Day Of Return

The Day Of Return si avvale di una forte componente etnica influenzata dalla tradizione orientale: il gruppo cerca negli strumenti popolari di Giappone e Mongolia una via per donare all’opera qualcosa di diverso, continuando nel suo concept narrativo che prevede quel riuscito mix dei generi descritti, diventato il proprio marchio di fabbrica.

Per molti il genere è ormai in una fase di stallo da cui difficilmente riuscirà ad uscirne, per altri invece il metal estremo melodico ha nei suoi cliché il punto di forza, specialmente se usati in modo sagace come nell’ultimo lavoro dei nostrani Ephyra.

La band lombarda, infatti, continua la sua avventura nel mondo del metal con il nuovo album intitolato The Day Of Return, il terzo in cinque anni, dal debutto Journey licenziato nel 2013, passando per il bellissimo Along The Path, di cui vi avevamo parlato sulle pagine di In Your Eyes tre anni fa.
Il nuovo album amplifica le caratteristiche degli Ephyra, band che si muove tra il death metal melodico ed il folk, e lascia alle non poche sfumature epiche il compito di esaltare gli amanti del genere crogiolandosi nella prestazione della singer Nadia Casali e del suo alter ego Francesco Braga.
Registrato negli studios di Mattia Stancioiu, The Day Of Return si avvale di una forte componente etnica influenzata dalla tradizione orientale: il gruppo cerca negli strumenti popolari di Giappone e Mongolia una via per donare all’opera qualcosa di diverso, continuando nel suo concept narrativo che prevede quel riuscito mix dei generi descritti, diventato il proprio marchio di fabbrica.
Rispetto al precedente lavoro, tutte le parti che compongono il sound Ephyra si sono accentuate, formando un muro sonoro nel quale gli strumenti classici del rock si uniscono a quelli tradizionali e le due voci, perfettamente inserite nel contesto ed aiutate da cori dal taglio power epic, contribuiscono non poco alla riuscita di una raccolta di brani che non prevedono cadute di tono.
Gli Ephyra ci provano e riescono a fare un altro passo avanti verso un sound sempre più personale, la strada è quella giusta e le molte canzoni sopra la media che compongono The Day Of Return ne sono la prova.
Il riff che apre la title track e, di fatto, l’album invita con piglio estremo e drammatico alla danza che parte ai primi ricami vocali della Casali, seguiti dal growl incisivo di Francesco Braga.
La sezione ritmica è potente e precisa, con le chitarre che rincorrono gli strumenti tradizionali in brani che mantengono il piglio estremo con naturalezza, con i vari passaggi che non risultano mai forzati, anche quando le ripartenze risultano bordate potentissime e i cambi d’atmosfera, tra le potenti cavalcate melodi death e le parti folk, spezzano il trend di brani come Wayfarer o The Spirit Of The Earth.
Lasciate da parte facili pregiudizi sul genere e godetevi questo ennesimo ottimo lavoro targato Ephyra, band che conferma l’ottimo momento della scena tricolore, mai come di questi tempi perfettamente in grado di reggere il confronto con quelle straniere.

Tracklist
01.The Day of Return
02.Your Sin
03.Run Through the Restless Fog
04.Wayfarer
05.Sublime Visions
06.Being Human
07.The Spirit of the Earth
08.Dance Between the Rocks
09.Infinite Souls
10.True Blood

Line-up
Nadia Casali – Vocals
Francesco Braga – Growl, Scream Vocals
Matteo Santoro – Guitars, Ocarina & Choirs
Paolo Diliberto – Guitars & Choirs
Patrick Segatto – Bass
John Tagliabue – Drums

EPHYRA – Facebook

Akhenaten – Golden Serpent God

Rispetto a tre anni fa la proposta della band del Colorado sembra anche meglio focalizzata ed efficace: gli intarsi etnici appaiono curati nei minimi particolari ed ogni brano possiede una propria peculiarità che in alcuni casi si esplicita in maniera fragorosa.

Nuovo lavoro pure gli Akhenaten dei fratelli Houseman, band impostasi negli ultimi anni come credibile interprete del metal estremo immerso nell’immaginario egizio.

Come già detto in occasione della precedente uscita titolo, l’abilità del duo statunitense risiede nel saper amalgamare al meglio il sound di matrice black/death con la strumentazione tradizionale.
E se, in effetti, il primo nome che viene in mente quando si parla di certe sonorità sono i Nile, va anche detto che il sound degli degli Akhenaten è molto meno brutale ma, allo stesso tempo, anche meno dicotomico nel suo alternare le due anime che lo vanno a comporre.
Rispetto a tre anni fa la proposta della band del Colorado sembra anche meglio focalizzata ed efficace: gli intarsi etnici appaiono curati nei minimi particolari ed ogni brano possiede una propria peculiarità che in alcuni casi si esplicita in maniera fragorosa, come in episodi magnifici quali Dragon of the Primordial Sea, Erishkigal: Kingdom of Death e la title track Golden Serpent God, picchi qualitativi nei tre quarti d’ora di di black death etnici che a mio avviso teme pochi rivali, rivelandosi anche superiore a quello di band operanti in ambiti analoghi ma di ben più riconosciuta fama.

Tracklist:
1. Amulets of Smoke and Fire
2. Dragon of the Primordial Sea
3. Throne of Shamash
4. Through the Stargate
5. Erishkigal: Kingdom of Death
6. Pazuzu: Harbinger of Darkness
7. Akashic Field: Enter Arcana Catacombs
8. God of Creation
9. Sweat of the Sun
10. Apophis: The Serpent of Rebirth
11. Golden Serpent God

Line up:
Jerred Houseman – All instruments
Wyatt Houseman – Vocals

AKHENATEN – Facebook

Skinned – Shadow Syndicate

Shadow Syndicate risulta un lavoro ben fatto, violento ma attento alla parte melodica, prodotto e suonato quanto basta per giocarsela alla pari con le uscite dei nomi più famosi della scena estrema tradizionale.

Band con più di vent’anni di attività alle spalle, i deathsters statunitensi Skinned tornano con un nuovo lavoro, licenziato dalla XenoKorp e prodotto da Dave Otero (Cattle Decapitation, Cephalic Carnage …).

Shadow Syndicate è il quinto lavoro del gruppo proveniente dal Colorado, fino al 2005 avaro di lavori sulla lunga distanza: un album brutale, oscuro e feroce, valorizzato da suggestivi inserti melodici in un contesto violentissimo.
Ottime le parti vocali, divise tra un growl profondo di stampo brutal ed uno scream diabolico, devastanti le parti dove la band carica a testa bassa, potentissimi i mid tempo, tonanti pezzi di granito estremi.
Wings Of Virulence apre l’album consegnandoci una death metal song dal piglio terrificante ed oscuro in cui gli inserti di pianoforte accentuano la natura dark del sound.
Il resto è un massacro senza soluzione di continuità, dove le melodie hanno non poca importanza ma sempre in un contesto brutale nel quale le chitarre edificano muri altissimi di riff e solos, e le ritmiche dettano tempi scanditi nel mondo che vede il dominio di un  Nuovo Ordine Mondiale , in un delirio di teorie cospirazioniste e misteri irrisolti a danno dell’umanità.
Shadow Syndicate risulta un lavoro ben fatto, violento ma attento alla parte melodica, prodotto e suonato quanto basta per giocarsela alla pari con le uscite dei nomi più famosi della scena estrema tradizionale.

Line-up
1.Wings of Virulence
2.As their Bodies Fall
3.Mental Deconstruction
4.We Are the End
5.Black Rain
6.Shadow Syndicate
7.Hollowed Earth
8.Led to the Trains
9.Angel’s Haarp
10.In the Mist of Dawn

SKINNED – Facebook

Nerobove – Monuments to Our Failure

I musicisti siciliani cambiano monicker alla loro creatura ma non l’impeto con cui elaborano, scandagliano e riflettono sui tempi in cui viviamo, sulla mancanza di una misura pacata nell’approccio ai problemi e l’oscillazione tra apatia ed assurda violenza.

Ci eravamo occupati dei See You Leather tre anni fa sulle pagine metalliche di IYE per parlarvi del loro ep Back To Aleph, composto da quattro brani di metal estremo, un ottimo mix di thrash/death e progressive doom.

I ragazzi sono cresciuti e si sono trasformati nei Nerobove, un’entità estrema che continua a produrre metal estremo di qualità e con ancora più impatto e convinzione.
Francesco Ciccio Paladino (batteria), Luca Longo (voce e chitarra), Salvatore Leonardi (voce e chitarra) e Liliana Teobaldi (basso) hanno deciso di cambiare monicker alla loro creatura ma non l’impeto con cui elaborano, scandagliano e riflettono sui tempi in cui viviamo, sulla mancanza di una misura pacata nell’approccio ai problemi e l’oscillazione tra apatia ed assurda violenza.
Sul fronte prettamente musicale la band, mantenendo, le coordinate stilistiche del precedente ep, consolida la sua prerogativa di band fuori dagli schemi prestabiliti dei sottogeneri che formano il mondo del metal estremo, così da lasciare chi il thrash metal progressivo su cui si basa la loro proposta venga contaminato da virus letali di death metal classico e soffocanti sfumature doom.
Sette brani medio lunghi formano Monuments To Our Failure, album dallo svolgimento impervio, una scalata difficile ed impegnativa verso la cima di un sound che non lascia nulla alla semplicità ma che la band tiene imbrigliato a suo piacimento tra lo spartito, passando con una disinvoltura sorprendente da sfuriate estreme a cavalcate progressive e crescendo arabeggianti (Of Mud And Bones), come e meglio che in passato.
La tecnica strumentale permette ai Nerobove di districarsi nelle ragnatele musicali create con una personalità che lascia senza fiato.
Entrate nel mondo letterario delle opere da cui prendono spunto i temi di brani possenti e progressivi come l’opener Nekyomanteia , La Bête Humaine o la conclusiva Gloomy Sunday, e lasciatevi travolgere dalla forza espressiva dei Nerobove, un’esperienza uditiva assolutamente da non perdere.

Tracklist
1. Nekyomanteia
2. Not Waving But Drowning
3. Diluvio
4. Of Mud And Bones
5. La Bête Humaine
6. Anamnemesis
7. Gloomy Sunday

Line-up
Luca Longo – guitar, vocals
Salvatore Leonardi – guitar, vocals
Liliana Teobaldi – bass
Francesco Paladino – drums

NEROBOVE – Facebook

Northrough – The Last Warrior

I Northrough sono la one man band del polistrumentista Dassiberan e The Last Warrior, primo lavoro sulla lunga distanza, è un concentrato di potenza death metal, all’ombra di mid tempo mastodontici e suggestive aperture melodiche.

In origine questo potentissimo lavoro uscì lo scorso anno in regime di autoproduzione, ma quest’anno, grazie alla collaborazione tra Narcoleptica Productions e Envenomed Music, The Last Warrior viene stampato in cd ed è pronto a procurar battaglia tra gli amanti del death metal, dalle ispirazioni epiche e viking.

I Northrough sono la one man band del polistrumentista Dassiberan e The Last Warrior, primo lavoro sulla lunga distanza, è un concentrato di potenza death metal, all’ombra di mid tempo mastodontici e suggestive aperture melodiche.
L’epicità intrinseca si tocca con mano, le chitarre sono asce che spezzano arti nel delirio della battaglia mentre il sangue scorre, rosso come il sole che si accende di color porpora prima di tramontare sull’ennesimo massacro.
Partiamo da qui per raccontare in poche righe un lavoro massiccio, ispirato dalle terre del nord e dal suo popolo e raccontato tramite un metal estremo epico e melodico, carico di epica fierezza e valorizzato da un ottimo songwriting.
Symphony Of Doom, la power ballad Sacrifice, le due parti di Ballad Of Brom, cuore sanguinante dell’ultimo guerriero, incendiano il campo di battaglia e valorizzano questo epico lavoro attraversato da umori di tragica epicità, sia quando le atmosfere si placano e i Northrough ci regalano splendide parti semiacustiche, sia quando Dassiberan urla al cielo il suo grido di battaglia.
Il growl ricorda non poco quello di Taneli Jarva, singer dei primi e più estremi Sentenced e il sound, pur prendendo ispirazione dal melodic death metal di stampo epico (Amon Amarth), risulta vario e personale, ma tutto The Last Warrior è pervaso da un’atmosfera guerresca molto suggestiva.
L’album non può certo mancare nella collezione dei fans del metal estremo di ispirazione epica e viking, unitevi all’ultimo guerriero e siate pronti alla battaglia!

Tracklist
1.From The Woods
2.Cold Endless Nights
3.Symphony Of Doom
4.Demons
5.Ballad Of Brom-Chapter 1
6.Sacrifice
7.Northern Sea
8.Ballad Of Brom-Chapter 2
9.Altar Of Ancient Gods
10.Northrough
11.Away Fom Here

Line-up
Dassiberan – Everything

NORTHROUGH – Facebook

MORTUARY DRAPE – NECROMANTIC DOOM RETURNS

Un salto nel passato. Un salto nel buio. La compilation contenente i primi due demo. Una perla da collezionismo.

Una band che non necessita di alcuna presentazione. Per chi, da anni, è appassionato di death/black/thrash, troverà sicuramente nella sua collezione un album di questo storico quintetto piemontese (ai tempi delle prime produzioni, quartetto).

Chi è più fortunato (e anziano) forse potrà vantare di possedere i loro primi lavori (su nastro), come Necromancy e Doom Returns (rispettivamente 1987 e 1989), i primi due storici demo-tape di una band che ha segnato ed influenzato i percorsi successivi di decine di gruppi, che hanno voluto perseguire la scia del death metal più oscuro, occulto, legato soprattutto a magia nera, esoterismo e negromanzia (si potrebbe parlare di “The dark side of the death” in questo caso…). Se non vi fosse riuscito di accaparrarvi questi due demo, alla fine degli anni ’80, ci ha pensato l’italiana Iron Tyrant (già responsabile di alcune importanti ristampe dei nostri, tra cui – su vinile e picture – il primo mitico ep Into the drape) che ci regala questa compilation, contenente appunto i primi due lavori più alcune tracce live, tra cui l’eponima Mortuary Drape e la funerea Inquisition. Si parte (dopo Intro d’obbligo che dà il nome al primo demo) con la cavalcata di Primordial, fulgido esempio di come il black/thrash/death & roll dei Venom da anni stesse mietendo vittime, nessuno escluso, nemmeno i nostri. Brividi lungo la schiena per Into the Catacomba, trito di funerei mid-tempo e riff magicamente neri, con poche accelerazioni, come nella successiva Presences che dopo un breve inizio di basso, passa in un crescendo da ritmi pesanti, ben cadenzati, a velocità tipiche del thrash ottantiano. Necromancer e Soul in Sorrow, con il loro black/thrash d’annata, ci mostrano come in quegli anni solo chi aveva coraggio prendeva strade in netta contraddizione con l’incalzare successo della spensieratezza tipica del thrash di quel periodo (si legga Caught in a Mosh del quintetto targato USA, o “parla inglese o muori” dei ragazzacci di NY), mai banalmente alla ricerca del successo facile, ottenebrando i riff, ovattando con carta carbone (quindi rigorosamente nera) ogni singola nota, lanciando messaggi di cupo, misterioso, arcaico, funereo, puro terrore. “Falling in a gloom Trance – drawing the sleep of dead” (da Medium Morte qui presente dal vivo, e che chiude questa compilation) non ci lascia dubbi, solo oscure certezze. Infine, non aspettatevi la produzione di The Astonishing dei Dream Teather. Contestualizziamo le demo-tape, siamo a fine anni ’80: qui sventola la bandiera dell’underground, finemente realizzata con drappi da camera mortuaria.

Tracklist
1.Necromancy (Intro)
2.Primordial
3.Into the Catacomba
4.Presences
5.Vengeance from Beyond
6.Obsessed by Necromancy
7.Evil Death
8.Undead Revenge
9.Necromancer
10.Pentagram
11.Obscure World
12.Soul in Sorrow
13.Intro
14.Mortuary Drape
15.Zombie
16.Inquisition
17.Medium Mortem

Line-up
Wildness Perversion – Vocals
D.C. – Lead Guitar
S.R. – Lead Guitar
S.C. – Bass Guitar
M-B. – Drums

MORTUARY DRAPE – Facebook

Grave Upheaval – Untitled

Un album per pochi, un’opera nera che più che un ascolto diventa esperienza totale, un rituale di morte e profanazione della durata di quasi un’ora in cui tutto quello che avete vissuto e creduto lascia spazio alla paura.

Il duo australiano chiamato Grave Upheaval è da un po’ che circola nella scena estrema di stampo death/doom, anche se un preciso genere per descrivere la musica del misterioso duo proveniente dal Queensland è impresa quasi impossibile.

Attivi da una decina d’anni, i Grave Upheaval hanno dato alle stampe un primo lavoro sulla lunga distanza nel 2013, senza titolo e con una tracklist numerata al posto dei titoli.
Seguendo il primo capitolo, il nuovo album risulta una discesa negli inferi davvero inquietante, i due membri provenienti da Portal, Temple Nightside ed Impetuous Ritual, creano una soffocante atmosfera di morte, descritta dalla marcia lavica di un doom/death al limite, urla e growl provenienti da un abisso di sofferenza e a tratti sferzati da accelerazioni di stampo black.
Occultismo, morte, buio millenario, la paura primordiale si fa spazio in noi, mentre la nostra anima scende sempre più in basso, lascia per sempre la luce e grida la sua disperazione ed il buio perenne inesorabilmente la avvolge.
Untitled è un’opera nera che più che diventa esperienza totale, un rituale di morte e profanazione della durata di quasi un’ora in cui tutto quello che avete vissuto e creduto, lascia spazio alla paura.
E’ molto difficile giudicare un’ opera del genere, potrebbe piacervi e rimanerne affascinati, come rigettarla dopo pochi minuti: un album per pochi, anzi, pochissimi.

Tracklist
1.II-I
2.II-II
3.II-III
4.II-IV
5.II-V
6.II-VI
7.II-VII
8.II-VIII

Line-up
– Guitars, Bass, Vocals
– Drums

GRAVE UPHEAVAL – Facebook

Memoriam – The Silent Vigil

The Silent Vigil si rivela un album di maniera, un esempio di death metal old school senza compromessi, con un’anima che guarda ai defunti Bolt Thrower con un po’ di nostalgia.

Bolt Thrower e Napalm Death su tutti, e poi Benediction, Anaal Nathrakh e Cerebral Fix: basterebbero questi nomi per fare dei Memoriam l’ennesimo super gruppo di stampo death metal.

In effetti la band Karl Willetts, voce di uno dei più grandi gruppi death metal provenienti dal regno unito, possiede dalle potenzialità enormi, alla luce del curriculum dei suoi protagonisti, anche se questo nuovo album alterna brani più riusciti a troppe cadute di tono.
Attivi da un paio d’anni ed attesi come la manna nel deserto dai fans dei Bolt Thrower, i Memoriam hanno strappato applausi e qualche critica positiva con il primo full length For The Fallen, per tornare dopo un anno con un nuovo lavoro che ne conferma la proposta senza infamia e senza lode.
The Silent Vigil si rivela un album di maniera, un esempio di death metal old school senza compromessi, con un’anima che guarda ai defunti Bolt Thrower con un po’ di nostalgia; il lavoro non vive del tutto di luce riflessa, ma stenta ad avere una sua precisa connotazione, con una serie di brani che stancamente si trascinano alla fine senza picchi in un mero esercizio di stile.
Magari due album in un paio d’anni potevano essere riassunti in un unico lavoro, fatto sta che i Memoriam questa volta faticano a convincere e The Silent Vigil lascia un po’ di amaro in bocca; l’estate sta arrivando e la band avrà di che rifarsi in sede live, dove l’esperienza e qualche gemma pescata dalla sontuosa discografia dei Bolt Thrower potrà fare sicuramente la differenza.

Tracklist
1. Soulless Parasite
2. Nothing Remains
3. From the Flames
4. The Silent Vigil
5. Bleed The Same
6. As Bridges Burn
7. The New Dark Ages
8. No Known Grave
9. Weaponised Fear

Line-up
Karl Willets – Vocals
Frank Healy – Bass
Scott Fairfax – Guitar
Andy Whale – Drums

MEMORIAM – Facebook

Necros Christos – Domedon Doxomedon

E’assolutamente da ascoltare l’opera definitiva del quartetto tedesco, un death d’annata dal fascino ancestrale immerso in aromi misteriosi e oscuri.

Non manca l’ispirazione e neanche gli attributi ai teutonici Necros Christos per rilasciare una mastodontica opera a probabile epitaffio di una lunga carriera, iniziata nel 2002 con il demo Necromantic Doom e proseguita tra vari split, EP e due full in studio fino a oggi; quasi due ore di musica divisi in tre cd e un lungo lavoro compositivo dal 2011, anno dell’eccellente “Doom of the occult”, costituiscono uno sforzo importante all’insegna di un black death oscuro e molto ispirato.

Necessitano tempo e pazienza per poter apprezzare la forza melodica e di impatto, sviluppata all’interno dell’opera; ogni cd siglato come ITH, THEI e SETH contiene solo tre brani nel senso classico del termine, ognuno attorniato da brevi intermezzi, sia strumentali con arpeggi orientali e aromi di flamenco che con vocals intitolati Temple e Gate, dove la tensione sviluppata dal death espresso dalla band si scioglie in oasi ritualistiche e di quiete (in ITH il delicatissimo Gate of Sooun, condotto dalle note misteriose di un affascinate sitar). La parte death, in definitiva nove brani tutti con importante lunghezza, tratteggia con potenza l’idea della band di “endytime death metal” dove le melodie elaborate dalle chitarre e il superbo lavoro del drummer, sempre vario, ci portano con la mente verso lidi cari ai Morbid Angel, come in He Mourn Death in Hell, o ad assaporare oscura old school in I Am Christ in cui il suono nitido della chitarra solista ci conduce verso un inaspettato break centrale semiacustico e riverberato molto atmosferico. Il lungo viaggio intrapreso mantiene coordinate affascinanti attraverso i ritmi battenti dei dodici minuti di Seven Altars Burn in Sin; grandi melodie, solos coinvolgenti, rallentamenti doom e break acustici sono la forza del brano, carico di una passione che non manca mai anche nei successivi episodi death come Exiled in Trasformation e in The Heart of King Salomon in The Sorcery dove i riff intessono trame antiche e polverose e il growl del singer Mors Dalos Ra ci conduce in sentieri impervi e dannati. Nell’ultimo cd, SETH, appare la song più lunga di tutto il lotto, In Meditation on The Death of Christ, carica di brutalità e riff taglienti e intricati su una base ritmica cangiante; le chitarre si inseguono, si inerpicano su percorsi di puro death a suggellare un’opera dal sicuro fascino. Onore a questi artisti a cui il coraggio non è di sicuro mancato con questa opera.

Tracklist
Disc 1 – ITH א
1. Temple I : The Enlightened Will Shine like the Zohar of the Sky
2. I Am Christ
3. Gate of Sooun
4. Temple II : Who Will Get Me a Drink of Water from the Cistern of Bethlehem?
5. Tombstone Chapel
6. Gate of Damihyron
7. Temple III : Unless YHVH Had Been My Help, My Soul Would Soon Have Dwelt with Dumah
8. He Doth Mourn in Hell
9. Gate of Aion Tsevaoth

Disc 2 – SETH ב
1. Temple IV : Oracle of the Man Whose Eye Is Open
2. Seven Altars Burn in Sin
3. Gate of Arba-Hemon
4. Temple V: בראשית
5. Exiled in Transformation
6. Gate of Behet-Myron
7. Temple VI : The Weight of Gold That Came to Solomon in One Year Was 666 Talents of Gold
8. The Heart of King Solomon in Sorcery
9. Gate of Sulam

Disc 3 – TEI טטט
1. Temple VII : They and All That Belonged to Them Went Down Alive into Sheol
2. The Guilt They Bore
3. Gate of Jehudmijron
4. Temple VIII : Mount Sinai Was All in Smoke, for YHVH Had Descended upon It in Fire
5. Exodos
6. Gate of Dimitrijon
7. Temple IX : A Redeemer Will Come to Zion
8. In Meditation on the Death of Christ
9. Gate of Ea-On

Line-up
The Evil Reverend N. – Guitars
Iván Hernández – Drums
Peter Habura – Bass
Mors Dalos Ra – Vocals, Guitars (electric, acoustic), Keyboards

NECROS CHRISTOS – Facebook

The Shiva Hypothesis – Ouroboros Stirs

Un debutto davvero interessante, con la band che ci investe con una serie di tempeste estreme perfettamente bilanciate con momenti di epiche melodie oscure, un lavoro ritmico di prim’ordine e passaggi atmosferici che rendono giustizia al concept religioso e filosofico che sta dietro all’opera.

La Wormholedeath non si smentisce con le sue uscite di ottima qualità e licenzia il primo album di questo notevole gruppo estremo, nato nei Paesi Bassi da diversi anni e chiamato The Shiva Hypothesis.

Il quartetto in questione suona un atmosferico mix di black e death metal, con molte sfumature dark ed una teatralità innata: il sound è valorizzato da un’anima progressiva, con strutture caratterizzate da furiosi cambi di tempo ritmici e dissonanze chitarristiche su una base estrema cupa e pregna di misticismo.
Ouroboros Stirs lascia ad un intro quasi impercettibile il compito di portarci all’attacco funesto di Ananda Tandava, primo squillo di questo misterioso lavoro; a tratti il sound dei nostri risulta intriso di quelle atmosfere dark/progressive care ai primi Arcturus, per poi lasciare spazio a violente tempeste death/black alla Behemoth, il cantato tra scream e growl interpreta i testi a sfondo religioso e filosofico in un clima di tregenda sonora, in parte smorzata dalle atmosfere oscure e pacate di cui la band è maestra.
Maze Of Delusion (uno dei brani, insieme a Caduceus e Praedormitium, che componevano il promo di cui vi avevamo parlato in passato) è uno splendido esempio di thrash/black metal che si sviluppa su tempi medi, per poi accelerare improvvisamente e tornare a calcare territori black metal puri, prima che un’intermezzo dark alla Fields Of The Nephilim incoroni il brano come il picco qualitativo di Ouroboros Stirs.
Un debutto davvero interessante, con la band che ci investe con una serie di tempeste estreme perfettamente bilanciate con momenti di epiche melodie oscure, un lavoro ritmico di prim’ordine e passaggi atmosferici che rendono giustizia al concept religioso e filosofico che sta dietro all’opera.
Ouroboros Stirs cresce con gli ascolti così da metabolizzare le varie sfumature di cui è composto: lasciatevi rapire dal suono creato dal gruppo olandese, non ve ne pentirete.

Tracklist
1.Enkindling
2.Ananda Tandava
3.Caduceus
4.Praedormitium
5.Build Your Cities on the Slopes of Mount Vesuvius
6.Maze of Delusion
7.Carrying off the Effigy
8.With Spirits Adrift

Line-up
ML – Bass, Keys, Electric & Accoustic Lead Guitar (track 5 & 8), Additional Vocals (track 3 to 7)
BN – Drums & Percussion, Additional Vocals (track 6)
JB – Electric & Accoustic Guitars, Additional Vocals (track 4)
MvS – Vocals

THE SHIVA HYPOTHESIS – Facebook

Chronic Hate – The Worst Form of Life

I Chronic Hate hanno trovato la formula per risultare personali senza perdersi nei meandri di un sound intricato e fine a sé stesso: il loro death metal è arrembante e convincente nella sua folle e violenta corsa verso la perdizione.

Nell’underground estremo nazionale strisciano nell’ombra creature estreme feroci e malvagie come i Chronic Hate, gruppo veneto attivo dal 2001 e con una lunga gavetta alle spalle fatta di cambi nella line up, concerti in giro per l’Europa dell’est (soprattutto in Polonia) ed un precedente full length (Dawn Of Fury uscito nel 2012), accompagnato da un paio di demo ed un ep.

I Chronic Hate tornano sul mercato con un nuovo lavoro, questo maligno e devastante The Worst Form of Life, album composto da dieci tracce di death metal diretto e senza fronzoli, ben prodotto così da bilanciare perfettamente l’impatto old school ed un’attitudine al passo coi tempi.
Il gruppo non le manda certo a dire, spinge fin da subito sul tasto della concretezza, dimostra che gli anni di esperienza nel sottosuolo estremo non sono passati invano e ci accoglie pieno di odio e malvagità con queste bordate di metallo oscuro e violento, tra growl e scream, ritmiche forsennate e chitarre lancinanti.
The Worst Form of Life non lascia scampo, la sua natura maligna è concentrata e lasciata sfogare in brani di un’urgenza che lascia senza fiato, corse affannose per sfuggire ad un bagno di sangue, veloci passaggi di puro male che trovano nella conclusiva Stato Di Agonia la giusta fine di una caduta nel baratro della follia.
I Chronic Hate hanno trovato la formula per risultare personali senza perdersi nei meandri di un sound intricato e fine a sé stesso: il loro death metal è arrembante e convincente nella sua folle e violenta corsa verso la perdizione.

Tracklist
1.Parasites
2.Toxic Voices
3.Bearer of Disease
4.Abstract Utopia
5.Procreators of Pain
6.Contaminations
7.Repugnance
8.Infected Breeding
9.Choose Your Bullet
10.Stato di Agonia

Line-up
Andrea – Vocals
Daniele – Guitars, Backing Vocals
Marco S. – Bass
Marco C. – Drums

CHRONIC HATE – Facebook

Kataklysm – Meditations

Oggi i Kataklysm suonano come dei Pantera che, dopo aver passato mesi ad ascoltare Soilwork ed At The Gates, si riunissero per comporre nuovo materiale, quindi lasciate che il death metal duro e puro lasci spazio al thrash, al groove e alle melodie e che Meditations faccia bella mostra di sé sul vostro scaffale, c’è comunque da divertirsi.

Torna una delle band storiche del panorama death metal mondiale, i Kataklysm di Maurizio Iacono, con il suo tredicesimo full length di una carriera discografica iniziata all’alba degli anni novanta e proseguita fino ai giorni nostri tra tanti alti e pochissimi bassi.

Tredici lavori che hanno avuto il loro picco qualitativo all’inizio del nuovo millennio, con tre album fondamentali come Shadows & Dust, Serenity In Fire e In The Arms Of Devastation.
Meditations continua l’evoluzione del gruppo verso un death metal più moderno e groovy, melodico come non ci si sarebbe mai aspettato quindici anni fa, ma altrettanto foriero di buona musica estrema.
Forse Iacono ha lasciato ai suoi Ex Deo il compito di dar battaglia con un death metal old school che, se vive di violenta epicità, e di tematiche legate alla storia, ricorda non poco il selvaggio ed arrembante sound dei vecchi Kataklysm.
Oggi la band canadese ricorda più una melodic death metal band (In Limbic Resonance), dal sound che viene sferzato da trombe d’aria thrash metal e potenziato da ritmiche groove, risultando appunto orientato verso una modernità imprevedibile all’epoca dei macigni estremi menzionati.
Meditations è un bel lavoro, e del resto i fans che seguono il gruppo potevano tranquillamente aspettarsi questa evoluzione che parte da almeno due album fa (Waiting for the End to Come ed il precedente Of Ghosts and Gods), quindi le melodie ricche di appeal di Guillotine o Outsider, poste come benvenuto all’interno di Meditations, non dovrebbero rappresentare una grossa sorpresa.
Oggi i Kataklysm suonano come dei Pantera che, dopo aver passato mesi ad ascoltare Soilwork ed At The Gates, si riunissero per comporre nuovo materiale, quindi lasciate che il death metal duro e puro lasci spazio al thrash, al groove e alle melodie e che Meditations faccia bella mostra di sé sul vostro scaffale, c’è comunque da divertirsi.

Tracklist
1. Guillotine
2. Outsider
3. The Last Breath I’ll Take Is Yours
4. Narcissist
5. Born To Kill And Destined To Die
6. In Limbic Resonance
7. And Then I Saw Blood
8. What Doesn’t Break Doesn’t Heal
9. Bend The Arc, Cut The Cord
10. Achilles Heel

Line-up
Maurizio Iacono – Vocals
JF Dagenais – Guitar
Stephane Barbe – Bass
Oli Beaudoin – Drums

KATAKLYSM – Facebook

Graveyard – Back To The Mausoleum

Back To The Mausoleum è un ep composto da quattro brani più intro che nulla aggiunge e nulla toglie ai Graveyard, band di genere che è sempre una sicurezza per gli amanti del death tradizionale di scuola nord europea.

Dalla tomba di un cimitero abbandonato in una zona imprecisa della Catalogna sorgono ancora una volta i Graveyard, band attivissima nella cena estrema iberica.

In undici anni, infatti, il gruppo proveniente da Barcellona, oltre a tre full length ha licenziato un paio di ep ed una marea di split a completare una discografia invidiabile, numericamente parlando.
Il sound è un buon esempio di death metal old school, catacombale e legato da un sottilissimo filo alla scena scandinava di primi anni novanta con tra Dismember ed Unleashed.
Niente di nuovo dunque, ma d’impatto, specialmente per chi stravede per queste storiche sonorità alle quali la band  aggiunge poche ma ottime atmosfere di lento incedere doom/death, a sottolineare ancor di più i testi incentrati su temi death/horror.
Back To The Mausoleum è un ep composto da quattro brani più intro che nulla aggiunge e nulla toglie ai Graveyard, band di genere che è sempre una sicurezza per gli amanti del death tradizionale di scuola nord europea.
Un growl che sembra uscito dall’ugola di un cadavere sepolto da centinaia di anni e tornato a camminare sulla terra, solos taglienti, armonie e rallentamenti melodici che creano melanconiche atmosfere mortifere e veloci ripartenze feroci come uno zombie accanito sulle viscere di una vittima, è tutto quello che troverete su Back To The Mausoleum, niente male tutto sommato.

Tracklist
1. Scorched Earth
2. And The Shadow Came
3. Craving Cries I Breath
4. In Contemplation
5. An Epiphany Of Retribution

Line-up
Javi – Guitars
Gusi – Drums
Julkarn – Bass & Vocals
Mark – Guitars
Fiar – Live vocals

URL Facebook
https://www.facebook.com/deathmetalgraveyard

Contenuto musicale (link youtube – codice bandcamp – codice soundcloud)

Descrizione Breve