Drastic Solution – Thrash ‘Till Death

Questi sono i Drastic Solution e questo è Thrash ‘Till Death, un concentrato di thrash old school da barricate, una violenta raffica di brani che dal vivo attaccano al muro o spezzano ossa in mosh sfrenati.

Eccoci ancora una volta a parlare di thrash metal, oggi più che mai suonato come se non ci fosse un domani sul suolo nazionale e precisamente in Puglia, terra di provenienza dei Drastic Solution.

Siamo alla seconda prova del trio che si aggira a far danni nella provincia di Taranto da cinque anni e che da almeno tre non dava più notizie. discograficamente parlando, all’indomani dell’uscita del loro debutto Thrashers.
L’album aveva ottenuto ottimi riscontri tra le webzine di settore e gli appassionati per il sound che contraddistingueva mezzora di musica veloce, dall’impatto devastante e senza compromessi, con cui la band aveva dato il via alla sua carriera discografica, ora confermata da questo ritorno dal titolo Thrash ‘Till Death.
Thrash metal che si potenzia con accenni hardcore, una buona padronanza dei mezzi e un’attitudine che si avvicina all’urgenza musicale e all’attacco frontale di gruppi come S.O.D. e Municipal Waste, il tutto concentrato in un minutaggio appena più ampio ma sempre da ingurgitare in un sol boccone, o da buttare giù come un bicchierino di acquavite dai gradi vicini alla terza cifra.
Questi sono i Drastic Solution e questo è Thrash ‘Till Death, un concentrato di thrash old school da barricate, una violenta raffica di brani che dal vivo attaccano al muro o spezzano ossa in mosh sfrenati.
L’album corre veloce e inarrestabile, non ci sono pause di sorta e i brani passano davanti a noi come treni impazziti, mentre Marco “Big Jerk” Lecce (voce e basso), Piero Greco (chitarra) e Patrizio Panariti (batteria), sbattono sul tavolo tutte le carte in loro possesso (immancabile qualche riferimento agli Slayer) per non lasciarci vie di scampo- Thrash metal rules!

Tracklist
1.Fucked By….
2.Extreme Probleme Extreme Solution
3.Taste Of Blood
4.Full Metal Cock
5.Thrash ‘Till death
6.Killing
7.T.O.J.I.F.Y.M.A.
8.Adelphiliac
9.Infamous Bastrd
10.Stronger

Line-up
Marco ” Big Jerk ” Lecce – Vocals and Bass
Piero Greco – Guitars
Patrizio Panariti – Drums

DRASTIC SOLUTION – Facebook

Gutslit – Amputheatre

Amputheatre sta tutto qui, nel suo essere un buon esempio di musica brutale e senza compromessi, un massacro che non concede tregua con il growl malvagio di un boia che tortura sadicamente le proprie vittime fino alla morte.

Che una società come quella indiana lasci spazio alla brutalità è un dato di fatto, con milioni di persone racchiuse in gigantesche metropoli dove la vita vale meno di zero, le malattie decimano gran parte della popolazione e la violenza molte volte degenera.

Film e musica spesso raccontano fantasie mentre la realtà è ancora più terrificante e a noi amanti dell’horror e del gore non rimane che ignorare le solite prese di posizione del benpensanti, infastiditi da una copertina o dalla brutalità della musica, ma totalmente indifferenti a quello che accade ai propri simili in molti luoghi del mondo.
Questo brutal death metal proveniente da Mumbai, la metropoli più pericolosa del mondo, non può che convincere gli amanti del genere, rivelandosi dannatamente coinvolgente, devastante e deliziosamente gore.
Loro sono i Gutslit, quartetto nato una decina di anni fa e arrivato al secondo album, licenziato dalla Transcending Obscurity dopo uno split ed un primo lavoro intitolato Skewered in the Sewer.
Impatto a iosa, blast beat e velocità a manetta per un sound che poggia le sue radici nella storia del genere, non rinunciando alle caratteristiche peculiari tanto amate dai fans del death metal più estremo.
Amputheatre sta tutto qui, nel suo essere un buon esempio di musica brutale e senza compromessi, un massacro che non concede tregua con il growl malvagio di un boia che tortura sadicamente le proprie vittime fino alla morte, che per i poveri malcapitati risulta una liberazione.
Mezz’ora scarsa che non conosce il minimo cedimento, consigliato senza riserve a chi fa del brutal e delle sue band un ascolto abituale.

Tracklist
1.Amputheatre
2.Brazen Bull
3.From One Ear to Another
4.Necktie Party
5.Blood Eagle
6.Brodequin
7.Maraschino Eyeballs
8.Scaphism
9.Death Hammer

Line-up
Gurdip Singh Narang – Bass
Aaron Pinto – Drums
Prateek Rajagopal – Guitars
Kaushal LS – Vocals

GUTSLIT – Facebook

Novae Militiae – Gash’khalah

La band è di livello superiore e ci annichilisce con black metal senza compromessi: la Francia si dimostra ancora una terra prolifica per l’arte nera.

Tenebrosi cori con un sinistro clangore di catene ci introducono alla seconda opera dei francesi Novae Militiae, già presentatisi nel 2011 con Affliction of the Divine: della band si sa soltanto che è originaria di Parigi mentre non si ha idea di chi e cosa suoni, né dove sia stato registrato il disco.

L’unica cosa su cui dobbiamo concentrarci è il puro suono del black metal denso, incompromissorio, violento, figlio delle migliori espressioni estreme d’oltralpe (Antaeus, Arkhon Infaustus). Non vi sono le commistioni post-black, post metal di cui alcune buone band francesi si nutrono, qui l’unico verbo è l’arte nera vomitata con violenza a incarnare il puro spirito del genefre. Fin dall’inizio la lezione è chiara, brani come Chasm of the cross e la violentissima Daemon est deus inversus annichiliscono con la loro furia iconoclasta, le melodie sono malate, oscure e sono sommerse da uno scream brutale e luciferino. I brani sono lunghi, carichi di odio, intensi a creare un rituale occulto dove non ci sono speranze per chi vi si addentra.
E’ il grido bestiale di una band che non si piega e lascia fluire come un fiume in piena la sua arte dannata infliggendo all’ascoltatore arcane e forti emozioni; la durata di circa un’ora impone di essere nel giusto mood per riuscire ad uscire sani di mente da questa agonia sonora. I ritmi cadenzati di Annunciatione e Fall of the idolsprovocano, ricordando a mio parere anche il Religious Bm, momenti di sconfinata angoscia e mistero dove l’atmosfera si impregna di zolfo e occulto e veramente l’inferno dista pochi passi. La perversa e blasfema follia non conosce pause e nel brano finale Seven cups of divine outrage l’atmosfera infernale sublima i nostri sensi e fa ricordare i tempi passati quando pronunciare la parola black metal impressionava e atterriva l’ascoltatore.

Tracklist
1. The Chasm of the Cross
2. Daemon Est Deus Inversus
3. Orders of the Most-High
4. Koakh Harsani
5. Annunciation
6. Black Temple Consecration
7. Fall of the Idols
8. Seven Cups of Divine Outrage

NOVAE MILITIAE – Facebook

Apophis – Under A Godless Moon

Cibich, al contrario di molti suoi colleghi, non si incarta in inutili giochini tecnici ma punta tutto sulle emozioni che la sua musica elargisce a piene mani, confermandosi figlio di una generazione di musicisti che con le loro opere stanno regalando nuova linfa ai lavori strumentali.

Apophis è il dio serpente, divinità che incarna il male e le tenebre nelle credenze dell’antico Egitto, terra e popolo che con divinità poco raccomandabili avevano a che fare abitualmente.

Portatori di guerre, pestilenze e terribili maledizioni, gli dei egizi sono stati ampiamente menzionati nell’ormai lunga storia del metal con gruppi che ci hanno scritto un’intera discografia, un solo album o semplicemente si sono ispirati per il monicker.
Gli Apophis di cui vi parliamo sono australiani, una one man band di cui si conosce pochissimo se non il nome del polistrumentista autore di questo piccolo gioiello estremo, Aidan Cibich che, oltre a suonare tutti gli strumenti si è prodotto, masterizzato e mixato l’intero album, intitolato Under A Godless Moon.
Presentato come un’opera melodic death metal con atmosferiche parti doom, l’album risulta interamente strumentale, suonato e prodotto benissimo e composto da un lotto di brani che, se al doom schiacciano l’occhiolino in pochissime occasioni, ci travolgono con una serie tempeste sonore estreme, dove la sei corde è assoluta protagonista, meravigliosa compagna del musicista australiano che da par suo la fa suonare e cantare come una sirena persa nelle acque del Nilo.
Poche atmosfere, dunque, e tanto death metal melodico, squisitamente thrash in qualche passaggio ma debitore della scena scandinava e il pensiero non può che andare al nostro Hitwood, progetto death strumentale del polistrumentista italiano Antonio Boccellari a cui Cibich si avvicina non poco, mantenendo solo un approccio più estremo ed oscuro.
Un paio sono i brani atmosferici (Chaos Under Cimmerian Skies e Ad Absolutum Finem), il resto è un ottimo e alquanto tempestoso melodic death che trova la sua naturale valorizzazione strumentale tra le trame di tracce davvero belle come Watchtowers Of Anubis, la title track e The Kinslayer, anche se l’album merita di essere apprezzato nella sua interezza.
Cibich, al contrario di molti suoi colleghi, non si incarta in inutili giochini tecnici ma punta tutto sulle emozioni che la sua musica elargisce a piene mani, confermandosi figlio di una generazione di musicisti che con le loro opere stanno regalando nuova linfa ai lavori strumentali.

Tracklist
1.Chaos Under Cimmerian Skies
2.Cyclopean Rage
3.Monarchs Throne
4.The Kinslayer
5.Fountains Of Crimson
6.Ad Absolutum Finem
7.Empyreal
8.Watchtowers Of Anubis
9.Firestorm Of Luna
10.Under A Godless Moon

Line-up
Aidan Cibich

APOPHIS – Facebook

Alcest – Souvenirs D’Un Autre Mond

Questa opera è davvero ciò che dice il titolo, ricordi di un altro mondo, e il disco è la narrazione folclorica di questo mondo che è dentro di noi.

Sono passati dieci anni dalla data di pubblicazione di questo flusso onirico messo in musica, di un disco che ha sparigliato tutte le carte, di uno dei dischi preferiti da molti, come Pitchfork che lo ha inserito nella classifica dei migliori dischi di shoegaze di sempre.

In origine Souvenirs D’Un Autre Mond dovevca essere un breve progetto solista di Neige, chitarrista dei Peste Noire e dei Forgotten Woods, ma questo disco ha cambiato tutto, e ora Alcest è un nome consolidato nel metal altro.
Questa opera rielaborava in maniera molto personale sonorità che fino a quel momento si erano incontrate solo sporadicamente, come il post black metal, che è uno sviluppo del black metal, uno sfruttare alcune sue caratteristiche per portare avanti una musica di più ampio respiro. Lo shoegaze è un grande protagonista di questo disco, quel muro del suono che porta a galla il nostro subconscio e che qui si sposa benissimo con sfuriate black metal. La voce di Neige è un sogno nel sogno, come se qualcuno ci parlasse nell’orecchio durante il sonno. Come nelle opere maggiori delle arti, c’è un ribaltamento fra realtà e sogno, i piani si capovolgono e veniamo catturati da un’altra dimensione, nella quale il dolore e la gioia sono puri e un senso di leggerezza permea tutto. L’immaginario di questo disco è fortemente francese, infatti i cari significati sono occulti e le canzoni sono brevi romanzi di cose che nell’esagono sono molto sentite.
Come ristampa ci saranno varie sorprese sia per l’edizione in cd che per quella in vinile, come la copertina originale della prima stampa su lp, un libretto sull’anniversario, foto inedite, commenti di Andy Julia, il fotografo che è praticamente un membro del gruppo, e di Aaron Weaver dei Wolves In The Throne Room per testimoniare l’enorme influenza di questo disco.
Soprattutto ci sarà questo capolavoro che ci fa tornare bambini, un disco profondamente diverso e quasi perfetto, in grado di scatenare tempeste di emozioni, e che chiede solo di toglierci le zavorre e di chiudere gli occhi, perché questa opera è davvero ciò che dice il titolo, ricordi di un altro mondo, e il disco è la narrazione folclorica di questo mondo che è dentro di noi.

Tracklist
1. Printemps Émeraude
2. Souvenirs d’un autre monde
3. Les Iris
4. Ciel Errant
5. Sur l’autre rive je t’attendrai
6. Tir Nan Og

Line-up
Neige : guitars/bass, synths and vocals
Winterhalter : drums

ALCEST – Facebook

Sorrow Plagues – Homecoming

Homecoming è un lavoro che non mostra cedimenti e riesce a mantenere sempre un invidiabile equilibrio tra le diverse componenti del sound.

Sorrow Plagues è il nome del progetto solista di David Lovejoy, musicista inglese che ha iniziato questa sua avventura nel 2014, pubblicando diversi ep e singoli fino ad approdare all’esordio su lunga distanza l’anno scorso, per giungere infine a questo suo secondo full length intitolato Homecoming.

L’ambito entro il quale si muove il ragazzo britannico è un black atmosferico con spiccata propensione verso lo shoegaze: una soluzione che abbiamo già incontrato più volte ma che si rivela sempre gradevole ed opportuna, in special modo se esibita con il buon talento e la sensibilità che contraddistinguono questo album.
La malinconia di fondo che pervade il lavoro è percepibile anche dai titoli dei brani che non lasciano molto spazio all’immaginazione: David si dimostra anche un musicista a tutto tondo, esibendo un buon gusto dal punto di vista tastieristico ed un bel tocco chitarristico, mentre come da copione nel genere la voce viene un po’ sopraffatta dagli strumenti a livello di produzione.
Continuo a pensare che questa soluzione stilistica abbia un senso solo quando proviene dai bassifondi dell’underground musicale, come avviene appunto in questo caso, rivelandosi frutto di un’espressione spontanea, fresca e ricca di spunti eccellenti, ben lontana dai tentativi di rendere più fruibile, con solo il risultato di farlo apparire artefatto, un sottogenere che per finalità e tematiche dovrebbe posizionarsi esattamente agli antipodi di ogni tentazione commerciale (ogni riferimento agli ultimi Ghost Bath è del tutto voluto …).
Del resto David fa propri gli insegnamenti del maestro Neige e ne sviluppa in maniera competente e spesso emozionante le coordinate tipiche, grazie ad ariose ed ampie aperture melodiche che vengono sporcate solo da uno screaming di stampo DSBM.
Homecoming è un lavoro che non mostra cedimenti e riesce a mantenere sempre un invidiabile equilibrio tra le diverse componenti del sound, trovando il suo picco ideale nella più lunga e magnifica Disillusioned ed il suggello con una title track che vede anche l’utilizzo di parti di sax, a testimoniare la volontà di Lovejoy di non rendere troppo monodimensionale la proposta.
Al momento il nostro ha chiamato a sé altri musicisti per poter offrire anche dal vivo la propria musica: una scelta condivisibile e che, spesso, consente ai titolari di one man band di ampliare ulteriormente i propri orizzonti con ricadute ovviamente positive anche sull’approccio compositivo; già così, comunque, i Sorrow Plagues si dimostrano una delle migliori espressioni odierne dello shoegaze abbinato al black atmosferico.

Tracklist:
1. Departure
2. Disillusioned
3. Isolated
4. Irreversible
5. Relinquish
6. Homecoming

Line up:
David Lovejoy – All Instruments

SORROW PLAGUES – Facebook

Unreal Terror – The New Chapter

The New Chapter è un lavoro di heavy metal tradizionale che non rinuncia a piccoli dettagli tali da renderlo appetibile sul mercato di questo nuovo millennio, con la band nostrana che si destreggia perfettamente con la materia e con infinita esperienza tra le trame del genere classico per antonomasia.

Tornano dopo più di trent’anni con un album nuovo di zecca i pescaresi Unreal Terror, storico gruppo heavy metal nostrano.

Infatti è dal 1986, anno di uscita del primo ed unico full length Hard Incursion, che del gruppo si era parlato solo per alcune ristampe uscite negli anni, mentre quest’anno è giunto il momento dell’uscita del tanto atteso successore di quello storico album e di altri due lavori minori, il demo del 1982 e Heavy & Dangerous, ep licenziato nel 1985.
Il gruppo abruzzese ha visto i suoi natali addirittura sul finire degli anni settanta con il monicker U.T. per poi adottare quello di Unreal Terror dal 1982, anno di uscita del demo: in quegli storici anni alla chitarra si destreggiava anche Mario Di Donato, storico personaggio del metal tricolore successivamente nei Requiem e soprattutto nei The Black.
Dell’iconico artista abruzzese in tutti questi anni è stato fedele compagno il bassista Enio Nicolini, che ritroviamo qui assieme agli due membri fondamentali del gruppo come il singer Luciano Palermi ed il batterista Silvio “Spaccalegna” Canzano, ai quali si aggiungono i nuovi chitarristi Iader D. Nicolini e Paolo Ponzi (Arkana Code): con questa configurazione la band ci conduce indietro nel tempo, fino alla metà degli anni ottanta, con un sound  definibile hard & heavy al 100%.
Il nuovo capitolo di questa lunga storia non poteva che essere proprio un ritorno al metal tradizionale, valorizzato da una buona produzione che però non tradisce lo spirito old school dell’opera, risultando moderna ma rispettosa dei suoni che i musicisti del gruppo hanno creato senza allontanarsi da quello che sono sempre stati gli Unreal Terror.
The New Chapter è un lavoro che non rinuncia a piccoli dettagli tali da renderlo appetibile sul mercato di questo nuovo millennio, con la band nostrana che si destreggia perfettamente con la materia e con infinita esperienza tra le trame del genere classico per antonomasia, senza esagerare con i watt ma dando dimostrazione di classe.
L’album infatti alterna cavalcate in stile NWOBHM a brani in cui l’elemento heavy si scontra con parti hard o progressive, con uno splendido lavoro delle sei corde e sfumature oscure che non fanno scendere l’attenzione neppure nelle tracce più ragionate, mentre lo storico cantante interpreta i brani con la giusta determinazione e le ritmiche variano lasciando ad altri facili compitini.
Il gruppo ha esperienza da vedere e si sente, i brani al secondo giro nel lettore si incollano nella mente grazie ad una serie di refrain davvero azzeccati, con il brano Time Bomb (scelto per l’anteprima dell’album), The Fall, The Thread e Lost Cause a spingere l’album verso un giudizio positivo.
The New Chapter sarà un ritorno gradito per i rockers di vecchia data e potrebbe diventare una bella sorpresa per i più giovani consumatori di musica dura

Tracklist
1. Ordinary King
2. Time Bomb
3. All This Time
4. Fall
5. The Thread
6. One More Chance
7. Trickles of Time
8. It’s the Shadow
9. Lost Cause
10. Western Skies

Line-up
Luciano Palermi – Vocals
Enio Nicolini – Bass
Iader D. Nicolini – Guitars
Arcanacodaxe – Guitars
Silvio “Spaccalegna” Canzano – Drums

UNREAL TERROR – Facebook

Osculum Infame – Axis Of Blood

Musica estrema di altissimo livello, sinistra, diabolica e con quel talento naturale che i francesi hanno nel saper rendere raffinata anche una proposta come Axis Of Blood.

Partiamo da questa importantissima considerazione: in Francia si suona grande metal estremo, molto del quale fuori dai soliti schemi.

Noi che per vocazione vi parliamo di sonorità per lo più underground, siamo da anni sottoposti agli ascolti di opere in arrivo dalla terra transalpina: molte sono piacevoli novità, altri nuovi lavori di realtà storiche dell’ underground estremo francese, per molti territorio impervio e poco conosciuto, a meno che non siate esperti della scena.
L’Osculum Infame, nel linguaggio della demonologia, è il bacio sull’ano con cui la strega saluta il diavolo nel corso del sabba, ma è anche il monicker con cui agisce questa notevole band parigina, devota al black metal ed attiva dai primi anni novanta.
Con il primo ed unico full length diventato di culto (Dor-nu-Fauglith 1997) ed una serie di ep, il quintetto si è costruito una fama sinistra che lo ha portato fino ai giorni nostri e all’uscita di quello che è il suo secondo lavoro sulla lunga distanza, un’opera nera dal titolo Axis Of Blood.
Accompagnato da una copertina che ci ricorda cosa si incontra tra le buie strade in luoghi e tempi dove domina l’oscuro signore, l’album risulta uno splendido spaccato di musica demoniaca e satanica, fuori dalle mode, inquietante e autentico come ci hanno abituato le band provenienti dalla scena francese.
Attenzione però, perché Axis Of Blood non è il solito album prodotto male ed ovattato per suscitare chissà quali suggestioni in giovani blacksters brufolosi: il sound prodotto è perfetto e professionale, le atmosfere oscure e diaboliche raggelano come non mai la stanza di chi si mette all’ascolto dell’opera, noncurante di quale forza si possa risvegliare dal torpore di anni nel più profondo silenzio.
Licenziato dal gruppo nel 2015 e ritornato sul mercato per mezzo della Necrocosm, Axis Of Blood torna a far parlare dei suoi creatori, anche per mezzo di un documentario uscito all’inizio dell’anno sulla nascita e lo sviluppo della scena black metal francese intitolato Blu Bianco Satana, a conferma dell’assoluta attitudine dei protagonisti riguardo alla cultura del genere e a tutto quello che ne consegue.
Musica estrema di altissimo livello, sinistra, diabolica e con quel talento naturale che i francesi hanno nel saper rendere raffinata anche una proposta come Axis Of Blood.

Tracklist
1.ApokalupVI
2.Cognitive Perdition of the Insane
3.Kaoïst Serpentis
4.My Angel
5.Absolve Me Not!
6.Let There Be Darkness
7.Inner Falling of the Glory of God
8.White Void
9.Asphyxiated Light
10.I in the Ocean of Worms
11.Solemn Faith

Line-up
Dispater – Guitars
I. Luciferia – Guitars, Keyboards
S.RV.F – Bass
Malkira – Drums
Deviant Von Blakk – Vocals, Guitars, Bass

OSCULUM INFAME – Facebook

Church Of Void – Church Of Void

Il gruppo ha un suono trasversale che accoglie molti generi, e che può quindi essere apprezzato da amanti di diverse sonorità metalliche.

Finalmente sono tornati i maestri del doom finlandese, i Church Of Void.

Questi ultimi sono uno dei gruppi più influenti e validi del genere, e basta ascoltare questo disco per venire rapiti dal loro doom che va a braccetto con un hard rock molto anni settanta. I Church Of Void nascono nel 2010 in Finlandia per opera del cantante Magnus Corvus e di G.Funeral, ex membro degli Horna e dei Battlelore. Dopo il primo ep Winter Is Coming, pubblicano nel 2013 il loro debutto sulla lunga distanza per la migliore etichetta finnica, la Svart Records. Il disco fu accolto molto bene sia dalla critica che dal pubblico, anche perché il gruppo ha un suono trasversale che accoglie molti generi, e che può quindi essere apprezzato da amanti di diverse sonorità metalliche. Il cuore del loro suono è il doom classico, leggermente più veloce di altri gruppi simili, ma i giri di chitarra sono sempre poderosi e magniloquenti e sono la struttura principale delle canzoni. Il disco ha un suo sviluppo naturale, i temi trattati sono le tenebre e i residui di certe antichità che sono state molto più grandi della civiltà attuale. C’è anche una canzone su Lovecraft, che è un’ottima lettura mentre si ascolta questo disco, anche se H.P. è una buona lettura a prescindere. Oltre al doom qui ci sono robusti innesti di hard rock anni settanta che rendono il suono ancora più potente, e non manca una psichedelia molto funzionale al tutto. L’incedere è lento e maestoso ma non troppo, perché come detto sopra, nell’ossatura è presente l’hard rock. Certamente i Black Sabbath sono un’influenza e non potrebbe essere altrimenti, ma qui si va bene oltre, elaborando una nuova poetica. Una delle cose che stupisce maggiormente del doom classico è come possa essere vario e melodico se fatto bene, innalzando un muro di suono nel quale però è sempre ben riconoscibile una melodia. Un disco di ottima qualità da sentire a volume molto alto.

Tracklist
1. Prelude
2. Passing the Watchtower
3. Harlot’s Dream
4. Moonstone
5. Lovecraft
6. Beast Within
7. World Eater

Line-up
Magus Corvus -Voice
G. Funeral – Lead Guitar
A. D. – Lead Guitar
H. Warlock – Bass Guitar, Bc Vox.
Byron V.- Drum Attack

CHURCH OF VOID – Facebook

Wormwitch – Strike Mortal Soil

Strike Mortal Soil è un album che convince nel corso dei suoi quaranta minuti intensi, feroci e che non lasciano tregua al rachide cervicale.

Un paio di anni fa abbiamo fatto la conoscenza di Colby Hink, musicista canadese alle prese con una notevole interpretazione del black metal atmosferico con il suo progetto solista Old Graves.

Lo ritroviamo oggi alla guida di un ben più incalzante trio denominato Wormwitch e dedito ad una versione del genere ben più movimentata e definibile, a grandi linee, come black/death n’roll, risultando un potenziale crocevia dove gli Entombed “wolveriniani” incontrano gli ultimi Satyricon e Darkthrone e, tutti assieme, omaggiano doverosamente i Motorhead.
Al di là delle sensazioni più o meno soggettive che Strike Mortal Soil possa lasciare nell’ascoltatore, è fuor di dubbio che questo primo full length dei Wormwitch sia una buonissima esecuzione di uno stile che rifugge i fronzoli e va dritto all’obiettivo, grazie al suo carico di groove e ad una notevole prova d’assieme, con il ringhio del bassista Robin Harris ad imperversare lungo tutta la durata del lavoro ed un Hink che lascia da parte i delicati arpeggi della sua veste solista per sfornare riff ficcanti a getto continuo, sorretto anche dal lavoro percussivo di un bravo Cam Sauders.
Quaranta minuti intensi, feroci e che non lasciano tregua al rachide cervicale, salvo qualche mortifero rallentamento piazzato qua e là: Strike Mortal Soil è un album che convince, trovando la sua probabile punta in Everlasting Lie, non a caso la traccia scelta per essere abbinata ad un video, ma con tutti gli altri nove brani collocabili tranquillamente su uno stesso apprezzabile livello.

Tracklist:
1. As Above
2. Howling From the Grave
3. Weregild
4. Even the Sun Will Die
5. Relentless Death
6. Cerulean Abyss
7. Everlasting Lie
8. …And Smote His Ruin Upon the Mountainside
9. Mantle of Ignorance
10. So Below

Line up:
Colby Hink – Guitar
Robin Harris – Bass/Vocals
Cam Saunders – Drums

WORMWITCH – Facebook

Enzo And The Glory Ensemble – In The Name Of The Son

Mettete da parte antipatici luoghi comuni e fate entrare della grande musica a casa vostra.

Il secondo lavoro di Enzo And The Glory Ensemble è un’opera che non sfigura certo tra le migliori uscite di quest’anno, almeno tra le metal opera, trattandosi di un suggestivo concept dalle tematiche cristiane e successore del già bellissimo primo album, In The Name Of The Father, uscito un paio di anni fa.

In The Name Of The Son esce quest’anno tramite la Rockshots per portare la parola del Signore ai metallari dai gusti sinfonici e progressivi, non facendo mancare un’ottima grinta power, epici chorus ed una serie di preghiere in musica dedicate questa volta, al secondo membro della santissima Trinità.
Valorizzato da una serie di illustri ospiti del panorama metal internazionale, tra cui Marty Friedman, Kobi Farhi (Ophaned Land), Ralf Scheepers (Primal Fear), Mark Zonder (Fates Warning), Gary Wehrkamp & Brian Ashland(Shadow Gallery) e con la partecipazione del coro congolese Weza Moza Gospel Choir, l’album è un bellissimo e toccante atto di devozione religiosa, esposta come solo un musicista metal potrebbe fare, regalando atmosfere da colonna sonora, toccanti ballate e cavalcate heavy/power sostenute dalla parte sinfonica, presenza costante nel sound di Enzo Donnarumma.
Ed è così che dopo tanto metal estremo e musica del diavolo, ci immergiamo in questo atto di fede che il musicista nostrano trasforma in una metal opera affascinante, colma di momenti di grande intensità e come detto impreziosita dall’intervento dei tanti ospiti.
Le molte atmosfere di musica tradizionale delle terre dove la più grande storia mai raccontata ha avuto il suo svolgimento porta inevitabilmente al sound degli Orphaned Land, reso ancora più teatrale e sinfonico, mentre l’heavy power è protagonista delle fughe metalliche ed i Saviour Machine meno oscuri aleggiano in diversi momenti di un’opera che se ha in Magnificat il suo momento più alto (liricamente parlando), non manca di stupire con la sua eccitante amalgama tra metal e musica popolare, classica e sinfonica (The Tower Of Babel ricorda non poco le atmosfere di Jesus Christ Superstar in versione metal).
Isaiah 53 è una power metal song arrembante, The Trial una mini suite oscura e cinematografica, esemplificativa della varietà di sfumature in uso, mentre Te Deum ci travolge con i suoi cori, le splendide aperture sinfoniche e l’energia metallica usata a profusione.
L’opera è stata prodotta dal musicista nostrano con l’aiuto di Gary Wehrkamp e masterizzato da Simone Mularoni (una garanzia di qualità) quindi mettete da parte antipatici luoghi comuni e fate entrare della grande musica a casa vostra.

Tracklist

1.Waiting for the Son
2.The Tower of Babel
3.Luke 1:28
4.Psalm 8
5.Glory to God
6.Psalm 133
7.Magnificat
8.Isaiah 53
9.Matthew 11:25
10.The Trial
11.Eternal Rest
12.Te Deum
13.If Not You

Line-up
Enzo Donnarumma – Vocals, Guitars.

ENZO DONNARUMMA – Facebook

Moribundo – Raíz Amarga

Raíz Amarga è un’ottima opera che inserisce di diritto i Moribundo tra i nomi da tenere in considerazione anche nel prossimo futuro in ambito death doom.

Di norma non è che la lingua spagnola associata al rock e al metal mi entusiasmi più di tanto, ma credo che ciò dipenda soprattutto dall’allegria sudata e plastificata della sonorità latino/americane che ci deturpano l’udito in ogni dove, dai supermercati alle autoradio dei troppi “minus-habens” che la sparano a palla lungo le strade delle nostre città; va anche detto che, oltre agli storici Heroes Del Silencio, i trasgressivi Brujeria ed i brillanti Mago De Oz non sono poi molti altri quelli che hanno realmente lasciato il segno esprimendosi nell’idioma ispanico.

I Moribundo, non fosse altro che per il genere suonato, non hanno alcuna chance di sfiorare la popolarità raggiunta questi gruppi, ma trovo che la lingua castigliana si addica invece alla perfezione al loro ottimo death doom melodico: il duo, composto dal polistrumentista Evilead, conosciuto in quest’ambito in quanto membro dei Nangilima e live session con i Famishgod, e dal vocalist Luis Miguel Merino, appartenente alla band death thrashVanagloria , maneggia la materia con grande disinvoltura offrendo oltre mezz’ora di sonorità dolenti e malinconiche ad infiorettare i testi drammatici composti da Mortvs Vyrr.
Le influenze sono disparate ma restano comunque nel solco di una scena iberica che, oltre alle citate band nelle quali è coinvolto Evilead, vede tra le sue punte di diamante Evadne, Helevorn, Autumnal, In Loving Memory e Dantalion: troviamo così due brani melodicamente ineccepibili come Vida ed Antithesis, entrambi dal notevole impatto emotivo enfatizzato da una robusta ma comunicativa interpretazione vocale da parte di Merino, mentre le altre due tracce Suicidio Ilustrado e Luz esibiscono in parte una minore intensità, forse per un andamento meno lineare dovuto a cambi di ritmo e ad interventi pianistici gradevoli ma che finiscono per spezzare, in qualche modo, la tensione creata nella parte iniziale dell’album.
Niente che vada comunque a compromettere la bontà del lavoro nel suo insieme: Raíz Amarga è un’ottima opera che inserisce di diritto i Moribundo tra i nomi da tenere in considerazione anche nel prossimo futuro.

Tracklist:
01. Vida
02. Antitesis
03. Suicidio Ilustrado
04. Luz (Ciego Color)

Line up:
Evilead – All instruments
Luis Miguel Merino – Vocals
Mortvs Vyrr – Lyrics

MORIBUNDO – Facebook

Otherwise – Sleeping Lions

Sleeping Lions è un album dalle potenzialità enormi, l’opera della vita per gli statunitensi Otherwise, staremo a vedere se bastera per arrivare in cima alle preferenze dei rockers dai gusti mainstream.

Riusciranno gli Otherwise a far saltare il banco dell’alternative metal mondiale con questo candelotto di nitroglicerina che, ad ogni brano, esplode e distrugge lasciando solo vittime tra i rockers che bazzicano sul pianeta in questo inizio millennio?

La risposta arriverà con il tempo, vero è che con Sleeping Lions la Century Media piazza sul mercato un esempio di metal alternativo sorprendentemente accattivante, suonato e prodotto come meglio non si potrebbe e sostenuto da una raccolta di canzoni che non lasciano scampo, una più riuscita dell’altra, almeno se pensiamo all’hard rock ed al metal in uso nei circuiti mainstream.
Sleeping Lions arriva come un tornado metallico a rivalutare una scena internazionale in affanno, ancora alla ricerca del gruppo da un milione di dollari, ed è clamoroso come questo arrivi da un gruppo con più di dieci anni sulle spalle ed una manciata di lavori alle spalle.
Il gruppo di Las Vegas se ne esce con l’album della vita, la classica opera dove tutto funziona perfettamente, dall’alternanza tra il fervore metallico e le ruffiane soluzioni dell’alternative rock, che in Sleeping Lions sanno tanto di hard, duro come un’incudine e poco di rock, melodicamente moderno con qualche ispirazione numetal in ritmiche dal sapore groove, ed il singer Adrian Patrick che non sbaglia una strofa o un chorus, risultando l’asso nella manica della band.
Asso pigliatutto, accattivante e grintoso, dall’appeal straordinario che  offre ai giovani rockers mondiali una prestazione scintillante, mentre Ryan Patrick (chitarra/voce), Tony Carboney (basso/voce) e Brian Medeiros (batteria) prendono in mano la scena con soluzioni efficaci, tanta voglia di far male ed un stato di grazia per melodie che non lasciano scampo.
Niente di nuovo, questo è bene chiarirlo, perché gli Otherwise si muovono agevolmente tra il metal/rock statunitense degli ultimi anni, un po’ Alter Bridge, un po’ Linkin Park e tanto hard rock, anche se l’elevata qualità di canzoni come l’opener Angry Heart, l’esplosiva title track o Close To The Gods (Nickelback e U2 uniti sotto la bandiera dell’hard rock) seguite dalle altre nove fialette di nitroglicerina sballottate ed inevitabilmente esplose tre le mani del gruppo, fanno di Sleeping Lions un album dalle potenzialità enormi: staremo a vedere se basterà per arrivare in cima alle preferenze dei rockers dai gusti mainstream.

Tracklist
01. Angry Heart
02. Sleeping Lions
03. Suffer
04. Nothing To Me
05. Weapons
06. Crocodile Tears
07. Close To The Gods
08. Dead In The Air
09. Beautiful Monster
10. Blame
11. Bloodline Lullaby
12..Won’t Stop (bonus track)

Line-up
Adrian Patrick – lead vocals
Ryan Patrick – guitar/vocals
Tony Carboney – bass/vocals
Brian Medeiros – drums

OTHERWISE – Facebook

Stratus Nimbus – Stratus Nimbus

Album da ascoltare immersi nella luce di decine di candele, in una stanza dove il respiro si mischia all’odore di incenso, o persi tra le rocce di polverosi e inviolati canyon, preferibilmente se siete amanti di queste sonorità e perciò abituati a perdervi nei meandri della vostra mente.

Progetto che più underground di così non si può, i tre musicisti dietro al monicker Stratus Nimbus debuttano con questo primo omonimo lavoro incentrato su uno doom/stoner metal psichedelico e diviso tra ispirazioni vintage e allucinazioni portate dalle troppe sostanze illecite consumate, oltre che dall’ascolto dei fondamentali (per il genere) Sleep.

Il gruppo proveniente dalle terre arse dell’Arizona risulta in trip perenne, così come la sua musica vintage e psichedelica, stordita da una neanche troppo velata attitudine space rock , tra gli anni sessanta ed il decennio successivo, periodo d’oro per la musica fumata.
Anche la produzione viaggia nella stessa direzione a ritroso intrapresa dal gruppo, quindi aspettatevi suoni ovattati, voce strascicata lasciata in secondo piano rispetto agli strumenti ed un album che sembra registrato in una caverna aperta su di un canyon, dove gli unici abitanti sono da sempre, pipistrelli e crotali.
Il bello è che Stratus Nimbus sprigiona un minimo di quel fascino vintage essenziale per non passare inosservato (anche se la proposta rimane ai limiti), una raccolta di mistiche tracce che, all’ascolto, fermano il tempo e vi porteranno in un universo parallelo, fluttuando sotto gli effetti allucinogeni di Equality, Can’t Break Free e Galaxy Girl.
Album da ascoltare immersi nella luce di decine di candele, in una stanza dove il respiro si mischia all’odore di incenso, o persi tra le rocce di polverosi e inviolati canyon, preferibilmente se siete amanti di queste sonorità e perciò abituati a perdervi nei meandri della vostra mente.

Tracklist
1.Equality
2.Can’t Break Free
3.A Walk in the Dark
4.Galaxy Girl
5.You Take
6.Rain Jam

Line-up
Tom Davies – Bass
Doug Dowd – Drums, Vocals
Dan Dowd – Guitars

STRATUS NIMBUS – Facebook

Monument – Yellowstone

Yellowstone è stimolante e mai prevedibile, scritto ed eseguito da due musicisti di talento e creatori di multi versi musicali assai interessanti, per ascoltare ma soprattutto per pensare qualcosa di nuovo.

I Monument sono un duo autodefinitosi doom metal, ma lo spettro coperto dalla loro musica è ben più ampio.

Il progetto è nato nel 2015 per mano di Giacomo Greco alla batteria e Guido Oliva alla chitarra e voce, ed è fortunatamente di difficile collocazione musicale. Innanzitutto cantano in italiano, in una maniera quasi strascicata, e danno alla nostra lingua una cadenza molto inusuale, quasi da contrappunto alla musica. Quest’ultima è molto varia, ora più lenta, ora più abrasiva e distorta, sempre molto psichedelica e con una grande componente grunge. Anzi sembra che il grunge qui sia stato destrutturato e disossato, mantenendo però i principi attivi, mutandone le coordinate perché il genere ha lasciato mille eredità e mille rivoli che scorrono sotterranei e che a volte vengono a galla. L’esperimento del duo è ambizioso, nel senso che fanno qualcosa di molto originale, e con un piglio molto deciso, decidendo loro tempi e modi della storia. Loro stessi dicono che il gruppo è nato quasi per scherzo, e che sempre poco seriamente si è inciso il disco, e ciò è importante perché non hanno quell’aura di pesantezza profetica di altri gruppi. A discapito delle loro premesse siamo invece di fronte a uno dei dischi più originali e surreali negli ultimi tempi dell’underground italico. Forse doom, comunque profondi e lenti, ma più di ciò inesorabili, con un’andatura mastodontica e acida, corrodendo ciò che è già corroso, il tutto con epica grazia. I Monument sono solamente i Monument, senza molti riferimenti o menate, incarnano il loro verbo e molto è stato scritto e suonato in questo disco. I testi sono minimali, scarni come haiku ma molto potenti ed evocativi, e si accompagnano molto bene alla musica. Yellowstone è stimolante e mai prevedibile, scritto ed eseguito da due musicisti di talento e creatori di multi versi musicali assai interessanti, per ascoltare ma soprattutto per pensare qualcosa di nuovo.

Tracklist
01. Mars Balaclava
02. Magnitudo
03. Supersesso / Mammuth Man
04. Ronin

Line-up
Giacomo (Drums)
Guido (Guitar/Voice)

MONUMENT – Facebook

Perished – Kark

Atmosferici, ma senza spingersi fino ad un approccio sinfonico, e aspri, ma senza scadere in soluzioni monocordi, i Perished proponevano in maniera esemplare il genere, probabilmente in una forma anche più convincente rispetto a nomi ben più celebrati.

Facciamo un bel passo indietro di circa un ventennio dedicandoci alla ristampa di Kark, primo dei due full length pubblicati dai Perished, band black metal norvegese scioltasi poi nel 2003, dopo la pubblicazione di Seid.

L’attiva etichetta italiana ATMF rimette in circolazione questo lavoro in formato digitale ed in CD (dopo che due anni fa la Darkness Shall Rise si era occupata della riedizione solo come musicassetta) compiendo un’opera di divulgazione e recupero di un album di sicuro valore, passato però in secondo piano all’epoca della sua uscita: comprensibile, se pensiamo che nel 1998a le band di maggior spicco erano reduci da lavori fondamentali come Anthems To The Welkin At Dusk (Emperor), Nemesis Divina (Satyricon) e Enthrone Darkness Triumphant (Dimmu Borgir), con l’attenzione degli appassionati focalizzata essenzialmente su una manciata di nomi di simile levatura.
I Perished proponevano però con grande competenza e buoni esiti un black metal che, tutto sommato, finiva per risultare una via di mezzo tra gli stili delle band citate, peccando in tal senso in peculiarità ma risultando ben più che gradevole o meritevole di una limitata attenzione.
Atmosferico, ma senza spingersi fino ad un approccio sinfonico, e aspro, ma senza scadere in soluzioni monocordi, il quartetto di Hommelvik proponeva in maniera esemplare il genere, a mio avviso in una forma anche più convincente rispetto a nomi ben più celebrati: probabilmente il trovarsi lontano geograficamente dalle due fucine del black metal come Bergen e Oslo ha continuato a rendere i Perished più marginali di quanto avrebbero dovuto.
Con i suoi validi otto brani originali, tra i quali spicca una magnifica Paa Nattens Vintervinger, più le tre bonus track costituite da altrettante tracce provenienti dal demo Through the Black Mist del 1994 (A Landscape Of Flames, quando i nostri si esprimevano ancora in inglese) e dall’ep autointitolato del 1996 (Kald Som Aldri Foer e Gjennom Skjaerende Lys), Kark risulta un lavoro che merita d’essere quantomeno riscoperto, rappresentando una nitida fotografia di quello che nel secolo scorso era il valore delle band cosiddette di retrovia del black metal norvegese.

Tracklist:
1.Introduksjon
2.Imens Vi Venter…
3.Stier Til Visdoms Krefter
4.Paa Nattens Vintervinger
5.Iskalde Stroemmer
6.Og Spjuta Fauk
7.Befri De Trolske Toner
8.Renheten Og Gjenkomsten
9.A Landscape Of Flames
10. Kald Som Aldri Foer
11.Gjennom Skjaerende Lys

Line-up:
Bruthor – Bass
Jehmod – Drums
Ymon – Guitars
Bahtyr – Vocals

Jack Starr’s Burning Starr – Stand Your Ground

Questo è heavy metal nella sua più fulgida espressione, old school nell’approccio ma perfettamente calato nel nuovo millennio, valorizzato da un ottimo lavoro in studio, nobilitato da un songwriting in stato di grazia e da una manciata di musicisti fenomenali: in una sola parola, imperdibile.

Colpaccio della High Roller che licenzia in questa torrida estate Stand Your Ground,  uno degli album heavy metal dell’anno firmato da Jack Starr, ex chitarrista dei Virgin Steele.

Opera maestosa, il settimo sigillo del musicista americano si presenta con un artwork classicamente epico disegnato da Ken (Rainbow, Kiss, Manowar), prodotto da Bart Gabriel, con Kevin Burnes (Dokken, Raven) al mix e Patrick W.Engel al master.
Lo storico chitarrista americano affiancato da un’altra icona del metal classico statunitense, l’ex Manowar Rhino alle pelli e con due assi come il singer Todd Michael Hall ed il bassista Ned Meloni, sforna un album spettacolare che per più di un’ora immerge nelle atmosfere epiche, guerresche e gloriose tipiche del metal nato nel nuovo continente, spogliato da inutili orpelli power e rivestito di armature d’acciaio.
Un apoteosi di riff e solos forgiati da fabbri nel cuore di montagne dimenticate dal tempo, una serie di chorus da cantare al cielo rosso del sangue degli dei, in un delirio metallico chiamato Stand Your Ground, questo ci regalano i Jack Starr’s Burning Starr e questo vorremmo sentire sempre, almeno quando ci avviciniamo da un album heavy epic metal.
Todd Michael Hall è protagonista di una performance straordinaria, trattandosi di un singer dotato di una voce metal fuori dal comune e perfetto narratore delle storie leggendarie e delle epiche avventure che il gruppo mette in musica fin  dall’opener Secrets We Hide, passando per l’epica cavalcata che dà titolo all’opera, brano di una bellezza commovente per intensità, talento melodico e cori che spaccano il cielo per arrivare direttamente agli dei.
Ariosa e dal piglio hard rock è Destiny, dal refrain irresistibile e dal chorus che entra in testa al primo passaggio, mentre arriviamo al brano numero sette prima di riposarci da giorni di battaglia, con la super ballad Worlds Apart che ci accompagna all’accampamento, luccicante delle fiamme dei falò che rischiarano la notte.
L’inizio maideniano di Escape From the Night arriva giusto per non perdere l’altro picco di questo splendido lavoro, We Are One, un crescendo di epica e fiera musica metal che esplode nelle due guerresche tracce (Stronger Than Steel e False Gods) che fanno da preludio alla conclusiva semi ballad To The Ends, intensa, drammatica ed epica conclusione di questo straordinario lavoro.
Questo è heavy metal nella sua più fulgida espressione, old school nell’approccio ma perfettamente calato nel nuovo millennio, valorizzato da un ottimo lavoro in studio, nobilitato da un songwriting in stato di grazia e da una manciata di musicisti fenomenali: in una sola parola, imperdibile.

Tracklist
1. Secrets We Hide
2. The Enemy
3. Stand Your Ground
4. Hero
5. Destiny
6. The Sky Is Falling
7. Worlds Apart
8. Escape From The Night
9. We Are One
10. Stronger Than Steel
11. False Gods
12. To The Ends

Line-up
Todd Michael Hall – lead and backing vocals
Jack Starr – guitars
Ned Meloni – bass guitar
Kenny “Rhino” Earl – drums

Kevin Burnes – additional rhythm, harmony and acoustic guitars

JACK STARR’S BURNING STARR

https://www.youtube.com/watch?v=fwbmQN5YHs8

Cities Of Mars – Temporal Rifts

Il disco è una summa di come si può fare musica di generi che non brillano per originalità e trovare una propria personalissima via, facendo musica pesante in maniera fantastica.

I Cities Of Mars possiedono un’andatura doom stoner sludge molto superiore rispetto ai gruppi nella media dei generi, e sono venuti dalla Svezia per accompagnarci nel lungo viaggio verso l’inferno.

Il gruppo nasce dall’incontro tra i tre componenti Danne Palm, Christoffer Norén e Johan Küchler, ed insieme arrivano a questo debutto su Argonauta Records. Il disco è una summa di come si può fare musica di generi che non brillano per originalità e trovare una propria personalissima via, facendo musica pesante in maniera fantastica. Come riferimenti possono essere nominati gli Sleep per una certa attitudine sonora, i Mastodon per la voce soprattutto, si sentono ovviamente risuonare i divini Neurosis ma poi tutta la farina è del sacco dei Cities Of Mars. Inoltre questo concept album è un ulteriore capitolo della storia dell’astronauta russa Nadia, partita per una missione segreta su Marte nel 1971, e sparita dopo aver scoperto che Marte è abitato da ere molto antiche, anteriori all’uomo. Nel dipanarsi di questa fiction i Cities Of Mars compongono un’alchimia sonora di grande effetto, sempre con un substrato doom soprattutto nella cadenza, e poi inseriscono mille risvolti diversi, senza molti assoli, orientando la melodia in molte direzioni diverse, riuscendo sempre a non passare per la stessa strada già battuta. L’orecchio esperto nel genere subito non sentirà particolare emozione, ma in poco tempo verrà invece conquistato dal suono di questi svedesi, composto da molte soluzioni diverse, tutte interessanti. Temporal Rifts è un distillato sonoro del meglio della musica pesante fatta con cuore, stomaco e cervello e alza di molto l’asticella per i gruppi e i dischi che seguiranno in questi ultimi mesi del 2017. La formula sonora dei Cities Of Mars è tutta da sentire e garantirà parecchi ascolti, grazie ai mille giri che compie questo distillato musicale negli alambicchi del suono.

Tracklist
1. Doors of Dark Matter Pt 1: Barriers
2. Envoy of Murder
3. Gula, a Bitter Embrace
4. Children Of The Red Sea
5. Caverns Alive!

Line-up
Danne Palm, bass & vox
Christoffer Norén, guitar & vox
Johan Küchler, drums & vox

CITIES OF MARS – Facebook

https://youtu.be/wRIVKceqGPc.

Sinister – Gods Of The Abyss

Un reperto storico ad uso e consumo dei fans accaniti dei Sinister, mentre a tutti gli altri va il consiglio di procurarsi il prezioso full length.

Si torna a parlare di storia del death metal sempre per merito della Vic Records, che ci regala una chicca targata Sinister.

Le presentazioni sarebbero inutili per il gruppo estremo olandese, attivo dal 1990 e con una discografia infinita che conta ben tredici full length con l’ultimo, Syncretism, uscito proprio quest’anno.
Ma la label connazionale degli storici deathsters ristampa per i collezionisti questo demo di quattro brani, scritto dopo il temporaneo scioglimento avvenuto nel 2003.
La storia racconta di due terzi del gruppo alla prese con questi brani per dar vita ad una nuova band, i No Face Slave, poi serviti invece per trovare l’accordo con la Nuclear Blast e l’uscita del capolavoro Afterburner, ancora una volta con in evidenza lo storico monicker.
Di fatto i quattro storici brani furono poi inseriti nell’album seguente, dunque i deathsters che sicuramente lo conoscono sapranno benissimo cosa aspettarsi: ritmiche serrate, blast beat a manetta, una violenza esecutiva fuori dai canoni dello stesso gruppo, ma una qualità molto alta, caratteristica non solo del demo ma anche delle altre tracce presenti su Afterburner.
Diciamo che con Afterburner la band orange si conquistò l’immortalità nel panorama estremo, ma è vero che ancora oggi il death metal old school del gruppo continua imperterrito e a discapito degli anni a mietere vittime.
Un reperto storico ad uso e consumo dei fans accaniti dei Sinister, mentre a tutti gli altri va il consiglio di procurarsi il prezioso full length.

Tracklist
1. The Grey Massacre
2. Afterburner
3. Altruistic Suicide
4. Men Down

Line-up
Aad – vocals
Alex – guitars, bass
Paul – drums

SINISTER – Facebook