Hands Of Thieves – Feasting On Dark Intentions

Davvero niente male questo primo passo degli Hands Of Thieves, e del resto ogni tanto c’è bisogno di lasciarsi scuotere per bene da qualcuno che non vada troppo per il sottile, come fanno questi ragazzi dell’Oregon.

Feasting On Dark Intentions è il titolo del debutto degli interessanti Hands Of Thieves: uscito originariamente in versione tape lo scorso anno (Transylvanian Tapes), ha visto prima una sua riedizione in vinile (Baneful Genesis Records) ed infine in questo mese di luglio quella in cd (Hellthrasher Productions).

Il gruppo proveniente da Portland vede al suo interno due musicisti che abbiamo già incrociato negli Ephemeros (funeral sludge band autrice dell’ottimo All Hail Corrosion nel 2013) nelle persone del vocalist
Josh Greene e del chitarrista Jesse Dylan Aspy: in questo caso il sound si sposta decisamente verso un black doom aspro, nel quale una componente sludge è sempre ben presente ma viene efficacemente contrapposta all’asprezza sia delle vocals che dell’approccio sonoro, grezzo e selvaggio come sovente, al di là dell’oceano, riescono ad offrire nel migliore dei modi.
Il lavoro, come si può intuire, non è roba per palati raffinati, in quanto i quattro brani, mediamente abbastanza lunghi, oscillano tra sfuriate black e fangosi rallentamenti che reprimono alla nascita ogni tentazione melodica: ne consegue che, in entrambe le fasi, il sound risulti abbastanza diretto e trascinante, seppure tutt’altro che orecchiabile.
La prima e l’ultima traccia (Wrath Weaver e Conduit of Grief) sono i due episodi che più impressionano favorevolmente, anche per questa loro alternanza ritmica che trova il suo trait d’union nella rabbia sorda che aleggia su tutto il lavoro.
Davvero niente male questo primo passo degli Hands Of Thieves, e del resto ogni tanto c’è bisogno di lasciarsi scuotere per bene da qualcuno che non vada troppo per il sottile, come fanno questi ragazzi dell’Oregon.

Tracklist:
1. Wrath Weaver
2. Violated at Heart
3. Sun Worker
4. Conduit of Grief

Line up:
Adam Wheeler – Bass
J. Reid – Drums
Jesse Dylan Aspy – Guitars
Taylor Robinson – Guitars
Josh Greene Vocals

HANDS OF THIEVES – Facebook

Fvneral Fvkk – The Lecherous Liturgies

I Fvneral Fvkk, al di là delle apparenze e dei temi trattati, che un titolo come Erection In The House Of God spiega meglio di molte parole, suonano un doom epico, liturgico e maestoso, musicalmente tutt’altro che da prendere a cuor leggero.

Ammetto che un simile monicker, associato ad un’etichetta come la Solitude, inizialmente mi ha un po’ spiazzato, perché non ho dubbi sul fatto che il buon Evgeny, come del resto tutti gli appassionati, ritenga il doom qualcosa di dannatamente serio sul quale i margini per scherzarci sono davvero ridotti.

In realtà i Fvneral Fvkk, al di là delle apparenze e dei temi trattati, che un titolo come Erection In The House Of God spiega meglio di molte parole, suonano un doom epico, liturgico e maestoso, musicalmente tutt’altro che da prendere a cuor leggero.
Partiamo intanto da un dato fondamentale, ovvero che la band è formata da membri di Faulnis, Ophis e Crimson Swan, dall’identità celata da nickname improbabili, quindi si parla del fior fiore della scena tedesca afferente al metal più oscuro: con queste basi non può certo sorprendere il fatto che il genere venga maneggiato da mani sufficientemente esperte, in grado di far convivere il lato grottesco e dissacrante dei testi con sonorità intrise della sacralità del doom.
Avviene così che questo ep, il quale non raggiunge i venti minuti di durata neppure con l’apporto della bonus track Fvkking At Fvnerals, si riveli a suo modo un prodotto prezioso, anche se ugualmente al di fuori dei canoni consueti dell’etichetta russa, abituata a proporre per lo più band dedite al funeral o al death doom.
Ampie aperture melodiche delineate da un chitarrista in gran spolvero, riff robusti che richiamano i primissimi Type 0 Negative, e linee vocali pulite senza però il raggiungimento delle tonalità stentoree di certo classic doom, sono tra gli elementi che rendono The Lecherous Liturgies un prodotto d’eccellenza, con la speranza che i Fvneral Fvkk non si rivelino solo un progetto estemporaneo bensì riescano a dare continuità ad un lavoro brillante, seppur breve, come questo.

Tracklist:
1. Erection In The House Of God
2. Underneath The Phelonion
3. Fvkking At Fvnerals (bonus track)

Line-up:
Vicarius Vespillo – Bass
Frater Flagellum – Drums
Decanus Obscaenus – Guitars
Cantor Cinaedicus – Vocals

FVNERAL FVKK – Facebook

Raptor King – Dinocalypse

Secondo ep per il trio sludge/thrash transalpino dei Raptor King, per il ritorno del dinosauro più irriverente e destabilizzante del metal.

Un piccolo aereo sorvola un punto imprecisato dell’oceano pacifico, la tempesta che si abbatte fulminea e traditrice sul piccolo velivolo porta i suoi occupanti a lanciarsi nella nebbia prima che l’impatto con l’acqua sia fatale.

Il risveglio per i sopravvissuti è un incubo, mentre animali di un’altra era gironzolano voraci tra i resti di chi non ce l’ha fatta.
Un paradiso perduto, una terra dove comanda il re raptor, un dinosauro carnivoro che regna sulla città, capitale di questo mondo dove gli animali sono padroni incontrastati degli ultimi umani, vestiti come loro e come loro corrotti.
Dinocalypse, secondo mini cd del trio sludge/thrash dei Raptor King, ci porta in questa terra misteriosa dove comanda il lucertolone preistorico a colpi di metallo devastante e destabilizzante, un concentrato di musica estrema pesante come un T.Rex che ci sballonzola sui genitali.
Dinocracy ed ora Dinocalypse, a distanza di due anni torna il dinosauro più irriverente e destabilizzante del metal con cinque brani cattivissimi, ma che portano con loro un approccio leggermente più melodico e rock’n’roll (Fight ‘n’roll) nascosto tra le pieghe di un sound senza compromessi pesante e mastodontico, ignorante ed in your face, ma che funziona e a tratti strappa un sorriso maligno tra le note di Dinocalypse (il brano), The Witch e dello sludge contorto Lonesome Raptor.
E quando dovete prendere un volo, date un’occhiata alle previsioni … non si sa mai.

TRACKLIST
01. Dinocalypse
02. The Witch
03. The Long Way to Rock (Pom Pom Pom Pom Pom)
04. Fight’n’Roll
05. Lonesome Raptor

LINE-UP
Raptor V – Vocals
Nightsmoke – Guitars
Don Coco – Drums

RAPTOR KING – Facebook

Svartsyn – In Death

Tre quarti d’ora di musica austera, incompromissoria e priva di sbocchi melodici è ciò che Ornias ci offre, prendere o lasciare.

Svarstyn è uno dei monicker storici del black metal svedese, avendo mosso i suoi primi passi quasi in contemporanea con le più ben note e famigerate band norvegesi.

Ornias, ormai divenuto da oltre un decennio a tutti gli effetti l’unico detentore del marchio, prosegue imperterrito la sua opera di distruzione come se il tempo non fosse mai trascorso e, nella nazione confinante, le “stavkirke” continuassero allegramente ad ardere.
Tutto questo porta inevitabilmente a considerare In Death, nono full length degli Svartsyn, il classico lavoro capace di dividere gli ascoltatori a seconda della loro appartenenza alla categoria di chi vede il bicchiere mezzo pieno piuttosto che mezzo vuoto.
Infatti, sono certo che chi ama il black metal a prescindere non potrà che esaltare la coerenza e la competenza di Ornias nel maneggiare la materia, mentre chi lo ritiene un genere che ha ormai esaurito da tempo la propria spinta propulsiva potrà esibire In Death quale tangibile esempio di asfittica ripetitività.
Come sempre la verità sta nel mezzo, dove peraltro mi colloco io che, pur senza appartenere alla cerchia degli appassionati puri e crudi, ritengo che il black abbia tutt’oggi più d’una buona ragione d’essere: In Death è un album che non potrà non piacere a chi ha familiarità con questo tipo di sound, che fa del suo pervicace anacronismo punto di forza e debolezza allo stesso tempo.
Tre quarti d’ora di musica austera, incompromissoria e priva di sbocchi melodici è ciò che il buon Ornias ci offre, prendere o lasciare: ecco, rispetto ai primi lavori manca inevitabilmente quell’urgenza compositiva che si traduceva in una furia iconoclasta a tratti tangibile e che, qui, si fa rivedere sostanzialmente nel trittico finale dell’album, partito invece in maniera un po’ troppo trattenuta, se si fa eccezione per la notevole opener Seven Headed Snake.
Wilderness Of The Soul, Black Thrones Of Death e Exile In Death, infatti, sono tracce che fanno ampiamente intuire la caratura e la storia di chi le ha composte ed eseguite, colme come sono di gelida misantropia che, davvero, non sembra solo di facciata.
Così, dovendo scegliere se gettare o meno dalla torre Ornias, decido senza alcun tentennamento di continuare ad ospitarlo nella buia stanza posta più in alto, affinché continui a comporre a nome Svartsyn un black metal d’autore, sperando che, nel frattempo, riesca a recuperare un po’ di quell’ispirazione che in quest’ultimo album pare essere andata parzialmente perduta.

Tracklist:
1. Seven Headed Snake
2. Dark Prophet
3. With Death
4. The White Mask
5. Wilderness Of The Soul
6. Black Thrones Of Death;
7. Exile In Death

Line-up:
Ornias

SVARTSYN – Facebook

Paganizer – Land of Weeping Souls

I Paganizer si confermano come una delle realtà più convincenti ed importanti che il death metal scandinavo abbia tra le sue fila, in questo inizio di millennio in cui le sonorità old school sono tornate prepotentemente tra le preferenze degli amanti del metal estremo.

Quando ormai ci eravamo rassegnati ad un periodo senza musica estrema targata Rogga Johansson, ecco che l’instancabile svedese ritorna sul mercato con quella che di fatto è la sua band madre i Paganizer.

Ormai accasata tra le lapidi e la terra mossa dai vermi della Transcending Obscurity, questa devastante ed agghiacciante realtà estrema (ormai da considerare storica),  una delle poche in costante attività, torna a risvegliare zombie affamati in cerca di carne tenera con questi dieci brani che invitano al massacro, un abominio perpetrato a colpi di puro e tradizionalmente distruttivo swedish death metal.
Il buon Johansson e compagni hanno pescato dal cilindro un macigno estremo (forse complice la pausa che il musicista si è preso dai suoi mille progetti), valorizzato da un songwriting senza una sbavatura che sia una, creando una colonna sonora per il ritorno dei non morti sulla terra.
Death metal scandinavo chiaramente old school, attraversato da venti estremi, aperture melodiche da cardiopalma che impreziosiscono l’ottimo lavoro delle chitarre (Johansson/Kjetil Lynghaug) e una furiosa tempesta ritmica che accompagna il banchetto ad opera di Matte Fiebig (batteria) e Martin Klasen al basso.
Pronti via e si viene investiti dal tornado Paganizer, l’opener Your Suffering Will Be Legendary è la prima lezione di storia svedese per quanto riguarda il death metal, e l’interrogazione alla quale la truppa di zombie è sottoposta, continua con Dehumanized, altro pezzo da novanta di Land Of Weeping Souls.
Non provateci neanche a mettervi le cuffie in testa e cercare una qualche innovazione, la title track e The Insanity Never Stops risvegliano antichi e bestiali istinti, sotto l’ipnotico massacro che i Paganizer assecondano con The Buried Undead.
Detto dell’alto livello del songwriting non rimane che fare i complimenti al gruppo, portatore del sacro verbo metallico estremo che i Dismember, i Grave e i primi Hypocrisy fecero risplendere negli anni in cui  il genere diventò qualcosa di più che musica estrema underground.
I Paganizer si confermano come una delle realtà più convincenti ed importanti che il death metal scandinavo abbia tra le sue fila, in questo inizio di millennio in cui le sonorità old school sono tornate prepotentemente tra le preferenze degli amanti del metal estremo.

Tracklist
01. Your Suffering Will Be Legendary
02. Dehumanized
03. Forlorn Dreams
04. Land of Weeping Souls
05. The Insanity Never Stops
06. Selfdestructor
07. Death Addicts Posthumous
08. The Buried Undead
09. Soulless Feeding Machine
10. Prey To Death

Line-up
Rogga Johansson – Guitars, Vocals
Kjetil Lynghaug – Lead Guitars
Matte Fiebig – Drums
Martin Klasen – Bass

PAGANIZER – Facebook

Heresiarch – Death Ordinance

Morte, rumore e dolore, il tutto grazie ad un gruppo che è uno dei pilastri dell’underground estremo, e sono titoli conquistati sul campo con cattiveria e sudore.

I neozelandesi Heresiarch fanno metal estremo come pochi altri al mondo.

La loro mistura di black e death lanciati come un carrarmato a folle velocità maciullando tutto e tutti, ne ha fatto un gruppo molto amato da chi ama prendere calci in faccia dal metal. La loro musica spinge al limite l’ascoltatore, come un padre maligno che educa il figlio al male, e costui è contento di bagnarsi le mani di sangue. Death Ordinance è la descrizione delle lotte tribali di un’umanità dilaniata da trent’anni di guerra anche nucleare, e che vede nella sopravvivenza fisica l’unico scopo di vita. L’uomo regredisce, o forse torna solo al suo essere bestia, e lotta con tutte le proprie forze per annientare il suo simile, che è la minaccia più grande alla propria sopravvivenza. Tutto questo viene reso in maniera molto vivida e realistica dagli Heresiarch, che con il loro personalissimo balck death metal schiacciasassi saturano l’atmosfera, creando picchi qualitativi e di tensione davvero notevoli. Non ci sono mai cadute di tensione, tutto è caos e rumore, come e più dei loro dischi precedenti. Morte, rumore e dolore, il tutto grazie ad un gruppo che è uno dei pilastri dell’underground estremo, e sono titoli conquistati sul campo con cattiveria e sudore. La produzione libera al meglio le forze maligne del gruppo, e il futuro immaginato nel disco è qualcosa che potrebbe essere assai plausibile a causa della natura bestiale dell’uomo. Una possibile catarsi è lasciarsi ad un grande disco di questi neozelandesi, che hanno trovato una via tutta loro, che li ha portati ad essere uno dei migliori gruppi underground del globo. Intensità altissima.

Tracklist
1. Consecrating Fire
2. Storming Upon Knaves
3. Harbinger
4. Ruination
5. The Yoke
6. Iron Harvest
7. Lupine Epoch
8. Righteous Upsurgence
9. Desert of Ash

Line-up
N.H – Vocals
C.S – Guitars
N.O – Drums
J.B – Bass

HERESIARCH – Facebook

Hidden Lapse – Redemption

Un album affascinante, suonato, cantato e prodotto professionalmente, drammatico e duro, ma raffinato ed elegante, insomma un’opera completa che non mancherà di soddisfare gli amanti della musica metallica e progressiva.

Che la scena italiana stupisca sia quanto mai viva ormai non è una novità: che si tratti di metal estremo, hard rock o, come in questo caso, di metal melodico tecnicamente sopra la media e dalle squisite trame progressive, la qualità raggiunta nel nostro paese è davvero molto alta.

E noi non possiamo che godere di questo stato di grazia che ci porta a fare la conoscenza degli Hidden Lapse, trio formato dal chitarrista Marco Ricco, dalla bassista Romina Pantanetti e dalla bravissima cantante Alessia Marchigiani.
Partiamo proprio da quest’ultima per introdurci nel mondo degli Hidden Lapse: la sua splendida voce, personale, delicata ma allo stesso tempo interpretativa e forte, si muove sinuosa tra i cambi di tempo e gli intrecci melodici che portano ad un sound complicato nella sua semplicità.
Sembra un paradosso, ma la musica racchiusa in Redemption, pur vivendo di intricate parti metal progressive con un buon uso dell’elettronica, è semplice ed elegante, raffinata nel suo pur difficile spartito che ci ricorda più di una band senza esserne troppo devota.
I riferimenti sono tutti per i gruppi di genere, anche se l’uso della voce femminile è un punto a favore del gruppo e dei brani composti per questo bellissimo debutto, partendo da Silence Sacrifice, l’inizio della sofferenza di questa donna condannata a morte e del suo rivivere la propria vita, mentre brani dall’effetto di un tornado come Drop, Pure e Compassion ci accompagnano in questo viaggio nella vita della sfortunata protagonista.
Un album affascinante, suonato, cantato e prodotto professionalmente, drammatico e duro, ma raffinato ed elegante, insomma un’opera completa che non mancherà di soddisfare gli amanti della musica metallica e progressiva.

Tracklist
01. Prologue – Dead Woman Walking
02. Silent Sacrifice
03. Interlude – The Right To Remain Silent
04. Drop
05. Lucid Nightmare
06. Pure
07. Redemption
08. Interlude – The Last Meal
09. Compassion
10. Awareness
11. Epilogue – Mercy Upon Your Soul

Line-up
Alessia Marchigiani – voce
Marco Ricco – chitarra
Romina Pantanetti – basso

HIDDEN LAPSE . Facebook

Creeping Fear – Onward To Apocalypse

Morbid Angel, Suffocation, furia nordica alla At The Gates: con questi ingredienti Onward to Apocalypse può strapazzare anche i cuori più duri e spessi dei deathsters vecchia scuola.

Che lo vogliate chiamare old school o classico, il death metal dalle reminiscenze tradizionali è tornato a far danni sul mercato mondiale.

Il ritorno in forma smagliante dei gruppi storici, affiancati dall’alta qualità delle nuove leve, ha dato nuova linfa al genere estremo per antonomasia, un bene per tutta la scena metallica.
Stati Uniti e Nord Europa, terre dove il genere ha trovato le culle perfette per crescere e svilupparsi, ora sono affiancate da altri nidi musicali come le nazioni che si affacciano sul Mediterraneo, dalle calde coste del sud alle cime imbiancate delle Alpi.
In Francia si crea ottima musica estrema, dal black metal ed i suoi derivati al death di stampo classico, specialmente se parliamo dei Creeping Fear, quartetto in arrivo da Ile-de-france con il suo carico di brutale death metal old school.
Il gruppo transalpino attivo da pochi anni e con il classico demo a saggiare il terreno prima dell’ep World Execution, torna dopo tre anni con il primo lavoro sulla lunga distanza, una devastante prova di forza che dal death metal e delle sue mutevoli forme prende attitudine ed impatto regalando un album devastante, che accomuna il genere nella sua versione americana con quella europea, risultando vario e piacevole nel suo  estremismo sonoro.
E’ così che tra le note di Swallowed By Death, Spreading Disease o la title track non troverete che death puro, classico e old school (diciamolo) magari con quel pizzico di già sentito che per molti risulta un punto in meno, ma che fa tanto devozione ed attaccamento ad un concetto di metal estremo che ha fatto storia.
Morbid Angel, Suffocation, furia nordica alla At The Gates: con questi ingredienti Onward to Apocalypse può strapazzare anche i cuori più duri e spessi dei deathsters vecchia scuola.

TRACKLIST
01. Life Denied
02. Divine Casualities
03. Swallowed By Death
04. Trenches Of Desolation
05. Onward To Apocalypse
06. Spreading Disease
07. As Vultures Fly, Battlefield Bleeds
08. Soiled, Tainted And Merciless
09. Disposable Existence

LINE-UP
Clément – Vocals, Guitars
Gabriel – Guitars
Jérémy – Bass
Gabriel – Drums

CREEPING FEAR – Facebook

Ex Trim – Novum Genus Mali

Novum Gens Mali è un disco cento per cento nu metal, nello svolgimento e nello spirito, congiungendo la parola di morte con un suono vivo, dinamico e lavico

Fare musica intelligente non è facile, scrivete testi che abbiano senso ed una consecutio logica non è affatto comune in Italia.

Ma la cosa ancora più difficile è scegliere un codice musicale che ti dia la possibilità di poter esprimere meglio ciò che vuoi dire. Molto spesso il genere scelto diventa la sovrastruttura che comanda tutto e che guida le scelte musicali. Gli Ex Trim plasmano il nu metal più distorto ed aggressivo per diventare ancora più inquietanti di quello che sono. Gli Ex Trim sono la voce che ti sussurra le verità che non vorresti sapere, ma che sai essere quelle più vere. La musica non è solo spensieratezza, ma anche violenza mentale, immagini disturbate e distopiche. Il nu metal è nato apposta per questo, vedi i Korn e tanti altri, per disturbare mischiando frammenti di incubi diversi per gridare assieme nella notte, e gli Ex Trim fanno un ottimo nu metal, disturbato e potente. Il cantato in italiano è adattissimo a queste situazioni di spinte e tensioni, di attacchi e di rotolamenti nel fango, anche se non manca la melodia. Il concept di questo album autoprodotto sull’industria musicale odierna, dove è ormai chiaro che sia diventata territorio di caccia per i cani che vogliono controllare le nostre menti, mentre bisogna sanguinare per capire. Vampiri in ogni dove, larve che succhiano le nostre vibrazione che provengono dalla musica. Il ritmo è incalzante, i punti di vista sono quelli dei dannati che non arriveranno a domani, e che nel frattempo bruciano. C’è anche un livello più profondo di lettura di questo disco, ovvero trovare nei testi la denuncia di ciò che è diventata la nostra amata musica, della plastica che ci propinano, mentre gli Ex Trim sono nati per fare male, trasudano cattiveria, sia dal suono psycho, sia dai testi che non lasciamo molto spazio all’amore e alla bellezza. Novum Gens Mali è un disco cento per cento nu metal, nello svolgimento e nello spirito, congiungendo la parola di morte con un suono vivo, dinamico e lavico. Meraviglia vera per chi ama le viscere del nu metal, dove c’è sola carne morta in questo buco nero. Autoproduzione come vera via per esprimere se stessi e la propria musica.
Moriremo tutti e male.

Tracklist
01. Index
02. Prologo Finale
03. Necrosogni
04. Zombie
05. Valgo Zero
06. Novum Genus
07. NGM
08. Insonnia
09. Hellfie
10. #Corvocapra
11. Dovete Estinguervi
12. 13.04.16.2.54
13. Disilluso
14. Cassandra
15. Senza Lidi

Line-up
Omega – Voce
Beta – Basso
Alfa – Chitarra
Gamma – Batteria
Delta -Percussioni Synth

EX TRIM – Facebook

Wintersun – The Forest Seasons

Anche se i fans aspettavano il nuovo Time II, saranno sicuramente soddisfatti da questa nuova ed interlocutoria fatica targata Wintersun, un gruppo ormai divenuto di culto nell’universo della musica estrema.

La natura, il cambio delle stagioni nella foresta come metafora della vita, benvenuti nel nuovo monumentale lavoro di casa Wintersun, tornati dopo i fasti di Time, opera magna licenziata ormai cinque anni fa.

Per Time II si dovrà ancora aspettare, dopo la raccolta di fondi ed il raggiungimento di quasi cinquantamila euro sulla piattaforma Indiegogo a cui verranno aggiunti i proventi di questo lavoro, molto bello anche se non raggiunge il livello assoluto del suo predecessore.
Non mi si fraintenda, comunque anche The Forest Seasons vale tutti i soldi spesi, continuando la tradizione del gruppo finlandese e del verbo musicale del suo leader Jari Mäenpää, epic folk metal nobilitato da sinfonie e parti estreme death/black, con quattro mini suite per quasi un’ora immersi nelle foreste nordiche, protagonisti del passaggio e del cambiamento che avviene da una stagione all’altra.
L’ album parte alla grande con le due parti di Awaken From The Dark Slumber (Spring), ma è l’estate con il suo caldo abbraccio a regalare le prime vere emozioni: The Forest That Weeps è uno spettacolare affresco folk epico, che il gruppo colora con note estreme e sinfonie ariose, mentre l’autunno si avvicina, si fanno spazio le zone d’ombra e il black metal è il miglior modo per iniziare a descrivere i colori che si oscurano come il manto di foglie che fa da tappeto a tutta la foresta.
La neve comincia a cadere e tutto si trasforma in una distesa bianca come i capelli di un uomo in prossimità della vecchiaia.
Eternal Darkness (Autumn), si nutre di black metal e swedish death, ma l’arrivo dell’inverno porta una vena ancor più melanconica e suggestiva, mentre il bianco mantello poggiato sul mondo si ghiaccia e avvolge tutto in un silenzio ovattato.
Loneliness (Winter) ritorna all’epico incedere sinfonico di marca Wintersun che accompagna la natura e l’uomo verso quella che sarebbe una nuova rinascita, in un ciclo ininterrotto nel tempo.
Anche se i fans aspettavano il nuovo Time II, saranno sicuramente soddisfatti da questa nuova ed interlocutoria fatica targata Wintersun, un gruppo ormai divenuto di culto nell’universo della musica estrema.
Per chi non conoscesse ancora il sound proposto dal gruppo finlandese, preparatevi ad un vulcano metallico che vomita Children Of Bodom, Dimmu Borgir, Dissection ed Ensiferum in una sola devastante lava.

Tracklist
01. Awaken From The Dark Slumber (Spring) – Part I The Dark Slumber – Part II The Awakening
02. The Forest That Weeps (Summer)
03. Eternal Darkness (Autumn) – Part I Haunting Darkness – Part II The Call of the Dark Dream – Part III Beyond the Infinite Universe – Part IV Death
04. Loneliness (Winter)

Line-up
Jari Mäenpää – Vocals, Guitars, Keyboards, Bass
Kai Hahto – Drums
Teemu Mäntysaari – Guitars, Vocals
Jukka Koskinen – Bass, Vocals
Asim Searah – Guitars, Vocals

WINTERSUN – Facebook

Obscurity – Streitmacht

Il disco è un bagno di sangue dall’inizio alla fine, un assalto metallico e pieno di pathos che porta ad un gran disco, di un’intensità non comune, duro eppure capace di regalare ottime melodie.

Gli Obscurity sono un gruppo decisamente sopra la media, che ha sempre intrapreso una sua propria strada, e forse per questi motivi, non ha avuto un grande successo come avrebbero meritato.

Tutto ciò importa ben poco, perché quando ascolti il suo ultimo disco capisci la portata di questo gruppo, giunto a festeggiare il ventesimo anno di attività, e anno dopo anno migliorato ulteriormente. Il percorso musicale deve molto al folk metal, non tanto per l’uso di alcuni strumenti o la composizione delle canzoni, poiché non troverete arcaiche melodie, ma questo è un disco che avrebbero composto dei guerrieri tedeschi del medioevo, poiché gli Obscurity combattono una loro lotta grazie al metal di spada e sangue che colpisce durissimo, arrivando ai confini del death metal, ma mantenendo decisamente un groove folk. Il cantato in tedesco rende molto ed è un valore aggiunto, poiché gli Obscurity non potrebbero che cantare con la lingua madre. Il disco è un bagno di sangue dall’inizio alla fine, un assalto metallico e pieno di pathos che porta ad un gran disco, di un’intensità non comune, duro eppure capace di regalare ottime melodie. Si combatte senza quartiere e le truppe degli Obscurity hanno la meglio su tutti, non facendo prigionieri. Un disco metal al cento per cento, composto e suonato molto bene, ben sapendo cosa desiderano le teste di metallo là fuori. Forse, come detto sopra, il gruppo tedesco ha raccolto meno di quanto seminato, ma la sua tenacia e la loro capacità di fare metal è davvero di primo piano. Un ottimo disco, che renderà molto bene dal vivo.

Tracklist
1. 793
2. Meine Vergeltung
3. Streitmacht Bergisch Land
4. Non Serviam
5. Hinrichtung
6. Todesengel
7. Endzeit
8. Herbstfeldzüge
9. Ehre den Gefallenen
10. Was uns bleibt

Line-up
Agalaz – Vox
Cortez – Guitars
Dornaz – Guitars
Ziu – Bass
Draugr – Drums

OBSCURITY – Facebook

Mega Colussus – HyperGlaive

Fans dell’heavy metal classico fatevi avanti, HyperGlaive nel suo essere un album di onesto metallo old school sa come inorgoglire chi del genere ne ha fatto da almeno trent’anni una religione.

Negli Stati Uniti non si vive di solo metal moderno, ma oltre ai generi estremi che da quelle parti hanno fatto storia (death e thrash) la tradizione metallica classica è viva e vegeta, magari nell’underground e fuori dai grandi carrozzoni che ogni anno portano in giro i soliti dinosauri hard rock.

Il metal classico non è solo U.S. power metal, ma i gruppi che pescano dalla tradizione britannica sono tanti e molti risultano interessanti, un po’ come questi Mega Colussus, un monicker bruttino in verità ma dal sound buono, specialmente per chi ama l’heavy metal duro e puro.
Licenziato dalla Killer Metal, HyperGlaive è un riuscito esempio di heavy metal, dal buon tiro, cantato bene, suonato discretamente, a tratti epico, colmo di chorus ed azzeccate melodie che si stagliano su ritmiche heavy di scuola europea.
Il quintetto proveniente dal Nord Carolina gioca con l’heavy metal old school a suo piacimento, molte volte riuscendo ad avere la meglio sulla voglia di modernizzare leggermente un sound che è storia.
Iron Maiden, e Judas Priest sono le influenze maggiori dei Mega Colussus e l’album vive di tutti gli elementi che hanno fatto grandi gli album dei primi anni ottanta di questi due monumenti del metal mondiale.
Le chitarre che tagliano l’aria, le cavalcate in crescendo e refrain dal buon appeal metallico fanno di brani forgiati nel vecchio continente come Gods And Demons, Betta Master e la conclusiva Star Wranglers un tributo ai gruppi citati ed a tutto un genere.
Fans dell’heavy metal classico fatevi avanti, HyperGlaive nel suo essere un album di onesto metallo old school sa come inorgoglire chi dell’heavy metal ne ha fatto da almeno trent’anni una religione.

TRACKLIST
1.Sunsword
2.Sea of Stars
3.Gods and Demons
4.The Judge
5.Betta Master
6.Behold the Worm
7.You Died
8.Star Wranglers

LINE-UP
Bill Fischer – Guitar/Vocals
Stephen Cline – Guitar/Vocals
Ry Eshelman – Mean Bass
Doza Cowbell – Drums
Sean Buchanan – Lead Vocals

MEGA COLOSSUS – Facebook

Bereft of Light – Hoinar

Quella marchiata Bereft Of Light è musica dal grande impatto emotivo, che non può lasciare indifferenti per la sua aura tragica stemperata dalle frequenti rarefazioni acustiche.

Quello di Daniel Neagoe è un nome caro a tutti gli appassionati del funeral/death doom più atmosferico e melodico, genere che ha contribuito a spingere verso vette qualitative difficilmente superabili con gli Eye Of Solitude prima, e con i Clouds più recentemente.

Il musicista rumeno è, però, un artista nel senso più autentico del termine e la sua ispirazione pare attingere ad un pozzo senza fondo, anche quando il genere non è quello che gli ha dato la maggiore visibilità.
Del resto il nostro non è nuovo ad incursioni nel black metal, prima con i Sidious assieme ad altri suoi compagni negli Eye Of SOlitude, poi nei Vaer assieme al suo storico sodale Déhà e, infine, in un precedente progetto solista denominato Colosus, che però, probabilmente è stato soppiantato da questo nuovo denominato Bereft Of Light.
In Hoinar, Daniel prende dichiaratamente le mosse dalla corrente cascadiana che è stato uno degli sviluppi recenti più efficaci e segnanti in ambito black, rendendo peculiare e ben riconoscibile il sound in gran parte della scena nordamericana: ovviamente il tutto viene eseguito da uno che ha scritto un album di rara drammaticità come Canto III e l’umore del lavoro non può non risentirne, portandosi appresso ben delineato il proprio marchio stilistico e conferendogli più d’una sfumatura depressive, a partire dalla scelta di uno screaming disperato che solo nella meravigliosa Freamăt trova un suo contraltare nelle clean vocals.
L’opera consta fondamentalmente di tre brani portanti (Legamânt, Freamăt e Tarziu), oltre a due tracce strumentali di ambient atmosferico (Uitare e Pustiu), esibendo anche un giusto senso della misura ed evitando di saturare l’ascoltatore con una durata eccessiva.
Del resto, quella marchiata Bereft Of Light è musica dal grande impatto emotivo, che non può lasciare indifferenti per la sua aura tragica stemperata dalle frequenti rarefazioni acustiche, eseguite in maniera limpida quanto lineare e propedeutiche ai tipici crescendo che sono parte integrante dello stile di Neagoe, resi ancor più evocativi dall’utilizzo compatto e all’unisono di tutta la strumentazione assieme alla voce. Detto di Freamăt , resa più meoldica e relativamente accessibile proprio dalle parti di cantato pulito, Legamânt e Tarziu sono brani intrisi di una drammaticità a tratti parossistica, nei quali il dolore tracima da un songwritibng sempre ad altissimo livello.
Del resto il doom ed il depressive black sono solo due maniere leggermente diverse per esprimere la propria sensibilità artistica da parte di un musicista come Daniel Neagoe che, davvero, oggi può essere considerato uno dei due (l’altro è Déhà, ma che ve lo dico a fare …) più influenti ed attivi in un settore musicale che sarà pure di nicchia (sicuramente lo è in Italia, purtroppo) ma che resta ugualmente uno degli strumenti di elezione per raccontare le paure, le sofferenze e le miserie dell’umana esistenza.

Tracklist:
I – Uitare
II – Legamânt
III – Pustiu
IV – Freamăt
V – Târziu

Line-up:
Daniel Neagoe – everything

BEREFT OF LIGHT – Facebook

Anticlockwise – Raise Your Head

Raise Your Head è un album a tratti esaltante, un ascolto imperdibile per chi ama il metal, lasciando da parte noiose sfumature e dibattiti su generi e sottogeneri.

Ecco una band che non si nasconde dietro un dito, ma ti sbatte in faccia la sua influenza primaria, poi la manipola, la personalizza e se ne esce con un album inattaccabile.

Gli Anticlockwise arrivano da Bergamo mossi da una passione per i Nevermore, quella magnifica creatura con la quale Warrel Dane, uno dei cantanti più sottovalutati dell’intero panorama metal, elargiva interpretazioni canore d’alta scuola dopo aver stupito tutti con gli altrettanto imperdibili Sanctuary.
Ma si parlava del quartetto nostrano, ed allora incominciamo col dire che questo bellissimo terzo album esce per la Revalve, ormai un marchio di qualità all’interno di una scena italiana che, a discapito di un’altissima qualità, fa fatica ad uscire da un anonimato che comincia davvero ad essere fastidioso.
Raise Your Head è dunque il terzo album di una discografia che si completa con Non Linear Dynamical Systems, licenziato nel 2009, ed il precedente Carry The Fire uscito tre anni fa.
Il gruppo torna quindi con una nuova raccolta di brani che dal thrash metal prendono forza ed aggressività ma, come faceva appunto la band statunitense, lo nobilita parti con intricate, atmosfere drammatiche ed oscure prese dall’US Metal (si parlava di Sanctuary), suggestive ma possenti sfumature progressive, ed un cantato che, come il miglior Dan,e fa il bello e cattivo tempo, ed artisticamente parlando risulta sfaccettato in tutte le sue sfumature che assecondano la musica composta.
Attenzione però, gli Anticlockwise non sono semplicemente dei bravissimi cloni, il loro sound si sposta, quando il concept (ispirato ai meccanismi di comunicazione e ad internet) lo richiede su lidi thrash metal classici, sempre di matrice statunitense, o si invola sulle ali del progressive metal.
Prodotto da Simone Mularoni, Raise Your Head è un album riuscito, a tratti esaltante, che non manca certo di rivestirsi dei fasti del gruppo americano, ma lo fa con la personalità dei grandi, risultando un ascolto imperdibile per chi ama il metal, lasciando perdere noiose sfumature e dibattiti su generi e sotto generi.
Into The R.A.M., varia, devastante e spettacolare nelle sue mille sfaccettature, The Blue Screen Of Death e The Broken Mirror, violente e progressive come l’urgenza thrash/power/prog metal di The Gutenberg Plague sono le perle nere di questo bellissimo esempio di metallo forgiato nella nostra bistrattata penisola.
Gli Anticlockwise sono autori di un album da portare ad esempio quando i soliti esterofili da bar fanno spallucce al solo nominare il metal nazionale, mai come oggi al di sopra delle più rosee aspettative.

Tracklist
01. Slave
02. Raise Your Head
03. The Gutenberg Plague
04. Mothertongue
05. The Wire
06. The Broken Mirror
07. The Blue Screen of Death
08. Into the R.A.M.
09. Dystopia MMXVI

Line-up
Claudio Brembati – vocals
Pietro “Pacio” Baggi – guitars
Michele Locatelli – bass
Daniele “Bubu” Gotti – drums

ANTICLOCKWISE – Facebook

Neve – Tales From The Unknown

Prima uscita discografica per i napoletani Neve, autori di un black atmosferico e melodico dalle buone prospettive ma ancora da rifinire e limare in più di un aspetto.

Prima uscita discografica per i napoletani Neve, autori di un black atmosferico e melodico dalle buone prospettive ma ancora da rifinire e limare in più di un aspetto.

Clouds of melancholy ci accoglie riportandoci di peso alle sonorità dei primi Old Man’s Child, band di quel Galder che poi diverrà membro stabile dei ben più famosi Dimmu Borgir, però già a metà del brano si coglie la volontà dei ragazzi partenopei di non accodarsi ad un modello precostituito, provando ad inserire qualche variazione sul tema, rarefacendo il sound e preparando il terreno alla successiva traccia This Ancient Cliff, episodio dai tratti sognanti e contraddistinto da un bell’impatto melodico.
Indubbiamente è proprio questo il punto di forza sul quale i Neve dovrebbero sviluppare poi tutto il resto della loro idea compositiva, perché il potenziale evocativo che si riesce a cogliere in diversi passaggi, disseminati nei vari brani, viene talvolta affossato da un’esecuzione ancora perfettibile e da una produzione che va di pari passo.
Interessante, in Tales From The Unknown, si rivela peraltro l’utilizzo del basso, molto più in evidenza rispetto ai normali parametri del genere, assieme ad un approccio volto a ricercare soluzioni tutt’altro che scontate (emblematica in tal senso la componente acustica evidenziata in Perpetual Nightmare).
In sintesi, questo primo passo dei Neve, al netto delle screpolature evidenziate, mostra più di un dato incoraggiante, in particolare perché in questo caso quello che deve essere rifinito non è tanto lo sviluppo compositivo quanto la sua messa in pratica, un aspetto destinato a progredire naturalmente con il passare del tempo e l’acquisizione di ulteriore esperienza.

Tracklist:
1.Clouds Of Melancholy
2.This Ancient Cliff
3.The Night
4.So Many Times
5.Perpetual Nightmare
6.Pure

Line-up:
Raffaele Ferrara – Vocals, lyrics, keyboard, drum programming
Emanuele Landri – Guitars
Alessandro Stasio – Bass

Extremity – Extremely Fucking Dead

L’atmosfera soffocante e catacombale si scontra con un’attitudine battagliera, ricordando i Bolt Thrower in più occasioni, tra veloci ripartenze e secche frenate.

Dalle catacombe marcite di un cimitero nascosto tra i palazzi di Oakland, escono per nutrirsi nascosti nell’ombra della notte gli Extremity, death metal band formata da ex membri di Vastum, Necrosic e Cretin.

Death metal pregno di macabro ed insano impatto old school, con uno sguardo alla tradizione europea ed una personalità da gruppo navigato, sono le prime impressione lasciate dal quartetto californiano.
Extremely Fucking Dead è il primo lavoro per questa nuova realtà estrema, i sei brani che compongono l’ep sono un prefetto esempio di death metal senza compromessi, dal songwriting ottimo, curato in ogni dettaglio, con tulle le caratteristiche al loro posto pur risultando diretto e senza compromessi.
L’atmosfera soffocante e catacombale si scontra con un’attitudine battagliera, ricordando i Bolt Thrower in più occasioni, tra veloci ripartenze e secche frenate.
Il sole della California è oscurato da una cupe e grigiastra coltre di nebbia, mentre una pioggia acida attraversa la pelle e uccide a colpi di riff scolpiti sulle lapidi distrutte di un cimitero, che si trasforma in un locale putrido dove il rito estremo si consuma sulle note di Crepuscolar Crescendo, Chalice of Pus e la title track.
Ben divisa tra uomini e donne, la line up degli Extremity è composta da Erika Osterhout (basso), Aesop Dekker (batteria), Marissa Martinez-Hoadley (chitarra e voce) e Shelby Lermo (chitarre e voce).
Prendete nota perché di questo gruppo ne sentiremo parlare, interessanti e consigliati senza remore.

TRACKLIST
1. Intro (Mortuus est Valde)
2. Crepuscular Crescendo
3. Bestial Destiny
4. Chalice of Pus
5. Fatal Immortality
6. Extremely Fucking Dead

LINE-UP
Erika Osterhout – Bass
Aesop Dekker – Drums
Marissa Martinez-Hoadley – Guitars, Vocals
Shelby Lermo – Guitars, Vocals

EXTREMITY – Facebook

Mercic – 3

Quello di Mercic è un lavoro che non dispiace affatto, lasciando però nel contempo un senso di incompiutezza che neppure le buone sensazioni derivanti dai ripetuti ascolti riescono del tutto a scacciare.

Mercic è un progetto solista di provenienza portoghese ma con propaggini anche negli States: 3, come è facile da intuire, è il terzo album che arriva con cadenza annuale dall’esordio datato 2015.

Il genere musicale che troviamo qui è un industrial in quota Nine Inch Nails, nel senso che assieme a parti più robuste e disturbanti troviamo anche diversi passaggi melodici di tipica ispirazione reznoriana; detto questo, il nostro non si accontenta di fare un’operazione di copia incolla ma prova a inserire diverse variazioni sul tema sia a livelli di rarefazione del suono, con l’inserimento di una componente elettronica molto dinamica, sia irrobustendo il tutto con qualche sfuriata metallica con tanto di growl (Turn The Page).
Il lavoro è sicuramente interessante, ma forse gli viene meno una certa continuità ritmica, il che comporta una frequente rottura della tensione sprigionata dalle pulsioni più estreme, con l’inserimento di partiture melodiche che prestano il fianco, anche a causa di una prestazione piuttosto piatta quando il nostro è alle prese con le clean vocals.
A Mercic non fanno difetto le idee, che vengono immesse senza particolari remore in un lavoro che mostra, in effetti, più di un episodio brillante (l’acustico-elettronica The Damned Shelter è una traccia strana quanto notevole), ma del quale è talvolta difficile seguire il filo logico, se pensiamo che a chiudere il disco, seguendo la traccia appena citata, troviamo una sfuriata industrial grind intitolata Fuck You.
3 è apprezzabile per la voglia di sperimentare, esplorando diversi meandri dell’industrial da parte del suo autore, ma nel contempo paga la mancanza di un vero brano trainante e la stessa breve durata delle dieci tracce finisce per conferire all’insieme un che di schizofrenico.
In definitiva, quello di Mercic è un lavoro che non dispiace affatto, lasciando però nel contempo un senso di incompiutezza che neppure le buone sensazioni derivanti dai ripetuti ascolti riescono del tutto a scacciare.

Tracklist:
11- THERE`S NOTHING LEFT FROM YOU
12- ARE YOU WHAT YOU THINK ?
13- BLIND OBEYING
14- BE NOTHING
15- YOU`RE GONE
16- SO CLOSE, SO NEAR
17- TURN THE PAGE
18- WHERE ARE YOU NOW?
19- THE DAMNED SHELTER
20- FUCK YOU!!!

MERCIC – Facebook

Insania.11 – Di Sangue E Di Luce

Cinque brani da maneggiare con cura, spiazzati da questa mezzora di musica glaciale e dall’animo intriso di una male freddo, siderale, vero.

Una proposta affascinante come solo la musica fuori dai soliti schemi sa essere, ed un sound che potrà piacere a molti e magari non essere digerito da altri, anche abituali ascoltatori di metal estremo, ma che indubbiamente tiene incollati alle cuffie come un film o un libro dei quali si aspetta con curiosità il loro evolversi verso la soluzione finale.

Questo gioiellino estremo dal titolo Di Sangue e Di Luce è opera degli Insania.11, gruppo che ha i suoi natali addirittura alla fine degli anni ottanta, ma che con il monicker Insania risulta attivo dal 2008 come studio project di musicisti appartenenti ai Res (heavy/speed) e agli Incubo (hardcore grind).
Una line up che negli anni ha visto più di un accorgimento, specialmente per quanto riguarda la batteria, prima suonata da Max, ora in forza agli heavy epic metallers Holy Shir,e ed in seguito con Luca Sigfrido Percich.
Di Sangue E Di Luce vede i soli Ethrum (chitarra) e Samaang (voce e chitarra) alle prese con un death/thrash campionato nella fase ritmica, ovviamente improntato sulle chitarre, progressivo e violento, originale ed insolito.
Partendo da una struttura che può ricordare le cose più violente di Devin Townsend, il duo spara mitragliate di thrash moderno alla Meshuggah, in un’atmosfera industriale, asettica e fredda come l’acciaio al contatto della pelle, mentre si  viene torturati dal growl cattivissimo che si trasforma in un cantato schizoide ed aggressivo, in due parole, inumano.
Una proposta estrema ma curatissima, dalla copertina al booklet fino alla produzione, perfettamente in linea con quanto proposto dagli Insania.11.
Cinque brani, dall’opener Uroboros alla conclusiva B Naural (I Figli Del Quinto Sole), da maneggiare con cura, spiazzati da questa mezzora di musica glaciale e dall’animo intriso di una male freddo, siderale, vero.

Tracklist
01. Uroboros
02. Metamorfosi
03. Nosferat (Aspettando L’Alba)
04. I Morti
05. B Naural (I Figli Del Quinto Sole)

Line-up
Samaang – Vocals, Guitars
Ethrum – Guitars

INSANIA.11 – Facebook

Dwoom – Pale Mare – Demo MMXVII

I Dwoom hanno lanciato un sasso piuttosto pesante nelle acque talvolta stagnanti del classic doom e, tenendo conto che questo è un demo, con tutte le limitazioni del caso, l’ipotesi che un prossimo ed auspicabile full length possa avere effetti dirompenti all’interno della scena è tutt’altro che peregrina.

Gli svedesi Dwoom risultano attivi fin dal 2010 ma, di fatto, questo demo è la loro prima tangibile testimonianza musicale.

La band è composta da tre quarti dei deathsters Feral, rispetto ai quali cambia solo il cantante che, in questo caso, risponde al nome di Gustav Lund, dotato di voce stentorea come l’epic doom richiede.
Infatti, il monicker non inganna: quello che il quartetto scandinavo propone è doom vecchia scuola che prende le mosse dagli imprescindibili Candlemass per poi irrobustirsi con il background estremo dei musicisti coinvolti, dando vita così ad un’interpretazione che fonde con buona fluidità la tradizione del genere con la pesantezza del death.
I tre brani proposti viaggiano su una media di sei minuti ciascuno e sono, tutto sommato, abbastanza distinguibili tra loro: mentre l’opener Fallen Again è figlia legittima del songwriting di Leif Edling, la successiva Pale Mare sposta decisamente la barra verso sonorità più ruvide, erigendo un muro sonoro sul quale si staglia con notevole efficacia il bravo Lund, il quale appare tutt’altro che un clone dei Marcolin o Lowe, optando sovente per una timbrica più aggressiva.
Empty Temples chiude i giochi con ritmiche sostenute e, come nel brano precedente, affiora tra i riff possenti un hammond che con una produzione leggermente più raffinata potrebbe risultare ancor più efficace nei suoi interventi.
Ci avranno messo il loro tempo, ma i Dwoom hanno lanciato un sasso piuttosto pesante nelle acque talvolta stagnanti del classic doom e, tenendo conto che questo è un demo, con tutte le limitazioni del caso, l’ipotesi che un prossimo ed auspicabile full length possa avere effetti dirompenti all’interno della scena è tutt’altro che peregrina.
Una band da segnare con il circoletto tosso.

Tracklist:
1. Fallen Again
2. Pale Mare
3. Empty Temples

Line-up:
Gustav Lund – Vocals
Viktor Klingstedt – Bass
Markus Lindahl – Lead guitar
David Nilsson – Rhythm guitar

DWOOM – Facebook