Arbor Inversa – Anticipatterns

Non vanno per il sottile gli Arbor Inversa, mentre la musica continua il suo viaggio tra periferie ingrigite dallo smog ghiacciato di città abbandonate al loro destino, formate da un’umanità fredda come il clima di quelle terre e che si riflette sul death metal di Anticipatterns.

Death metal proveniente dalla fredda Russia con un approccio estremo che, pur rimanendo nei canoni del genere, porta con sé un’attitudine moderna, un’anima industriale, fredda come la terra di provenienza ma assolutamente affascinate e distruttiva.

La Wormholedeath mantiene inalterata la sua ormai tradizionale fama di etichetta fuori dagli schemi e dai soliti confini e vola regno degli zar, dove ad aspettarla trova questo duo di musicisti, in pausa dalle fatiche degli Aruna Azura ed uniti sotto il monicker Arbor Inversa dallo scorso anno.
Max War-M (The Unhallowed, Aruna Azura) e Paul.G.Wicker (The Unhallowed, Aruna Azura, Deva Obida) creano questo penetrante ed intenso lavoro, dal titolo Anticipatterns, mezz’ora abbondante immersi nella frangia estrema del metal, oscuro, moderno e marziale, alternando accelerazioni e sfumature industriali, formando un sound a tratti progressivo, difficile da fare proprio ad un primo e fugace ascolto, ma che lasciato penetrare a fondo produce dipendenza.
Non vanno per il sottile i due musicisti, alle prese con chitarra, basso e batteria (Max War-M) e voce (Paul.G.Wicker) che passa da un profondo growl ad uno scream violento e terrificante, mentre la musica continua il suo viaggio tra periferie ingrigite dallo smog ghiacciato di città abbandonate al loro destino, formate da un’umanità fredda come il clima di quelle terre e che si riflette sul death metal di Anticipatterns.
Tra i brani dell’album vive un’anima oscura e violenta che fa dell’opener Philistine Manifesto, la devastante Aftertaste, la monolitica Scrounger A Matter e la progressiva Arbor Inversa (la song) ottimi esempi di metal estremo che racchiudono un’influenza dei Death portata in un contesto più moderno ed asettico, ma non per questo meno terrificante.

TRACKLIST
1. Philistine Manifesto
2. Lex Talionis
3. Aftertaste
4. Pandora’s Ambassador
5. Northunderland
6. Scrounge A Matter
7. Prot
8. Arbor Inversa
9. Lyra

LINE-UP
Max War-M – guitars/bass/drums
Paul.G.Wicker – vox

ARBOR INVERSA – Facebook

Eoront – Another Realm

La musica del gruppo siberiano si avvicina molto a quella dei Drudkh, giusto per dare delle coordinate musicali, ma ha una maggiore connotazione mistica.

Da Krasnoyarsk in Siberia arrivano gli Eoront, un gruppo che sta dando un nuovo senso al black metal atmosferico.

Fin dalle prime battute el disco si capisce che gli Eoront fanno un genere a sé stante, che prende spunto dall’atmospheric, con forti venature symphonic grazie ad un ottimo lavoro con le tastiere, ma c’è molto di più. La musica del gruppo siberiano si avvicina molto a quella dei Drudkh, giusto per dare delle coordinate musicali, ma ha una maggiore connotazione mistica. Dentro alle composizioni degli Eoront possiamo ascoltare anche delle derive psichedeliche che ampliano ulteriormente il discorso, portando ulteriori elementi di originalità. Il magma sonoro che esce da Another Realm è molto bello ed originale, ed è un disco che si fa ascoltare con piacere. Gli Eoront hanno una differente idea di black metal e qui la sviluppano, sebbene questo sia per loro un mezzo più che un abito da indossare a tutti i costi. Non è nemmeno un discorso di innovazione, quanto una scelta di stile bene precisa e coerente, che li porta ad essere un gruppo molto interessante. Another Realm entra di diritto nei dischi black metal più belli di quest’anno, e farà la gioia di molti. E dalle foreste siberiane arriveranno ancora nere gioie, perché l’incedere degli Eoront è quello dei grandi gruppi, ma soprattutto di una band che sa quello che vuole.

TRACKLIST
1. The Rain
2. Two Worlds
3. Genesis
4. The Glow
5. The Sea
6. Dreamcatcher Line-up:
7. Zakarum, The Order of
Light

LINE-UP
Foltath – vox, guitars
Eugene – bass
Valea – keys
Ephemiral Gorth – drums, percussions

EORONT – Facebook

Sikth – The Future In Whose Eyes?

Momenti narranti fungono da preludio a vere esplosioni di musica moderna, un susseguirsi di trappole che si dipanano sul pentagramma e come tagliole ci afferrano senza lasciarci più.

Dopo la reunion avvenuta tre anni fa, la partecipazione a vari festival ed un tour nel Regno Unito, tornano i Sikth, diventati un sestetto con l’entrata alla seconda voce del singer Joe Rosser.

Il gruppo, ispiratore di molti gruppi progressivi moderni ed uno dei creatori del sottogenere chiamato djent, non pubblicava album dal 2006, anno di uscita del secondo ed ultimo full length Death of a Dead Day e dell’ep Flogging The Horses.
Un ritorno aspettato da un bel po’ di anni dunque, specialmente per gli amanti del metallo progressivo, modernizzato e destabilizzato da furia hardcore, partiture fuori da ogni schema ed un talento per melodie che si estrinsecano nelle trame, a loro mode estreme, di un sound originale e personale.
Certo, non siamo più nei primi vagiti di questo drammatico nuovo millennio ed anche la proposta del gruppo inglese non è una novità, rimane però ben chiara all’ascolto la sensazione di essere al cospetto di una band fuori dal comune, ed assolutamente fuori dalle chiacchiere e dalle perplessità che la reunion aveva portato in una parte degli addetti ai lavori.
Un gran lavoro è stato fatto in sede di registrazione, con le voci impresse nello studio del cantante Mikee W Goodman nei R&R Studios di Adrian Smith (Iron Maiden), mentre chitarre e batteria sono stati registrate ai Monkey Puzzle House Studios.
La produzione è stata affidata a Dan Weller, mentre il mixaggio ad Adam “Nolly” Getgood (Periphery) e lo splendido artwork di copertina dal taglio futurista è opera di Meats Meier.
Licenziato dalla Millennium Night, la nuova etichetta di proprietà di Snapper Music, The Future In Whose Eyes? risulta un album emozionate, un viaggio nel futuro dell’uomo, a volte tragico, altre caotico, sempre drammatico, in continua e spasmodica ricerca di innovazioni e perfezione.
Il sound segue, nel suo furioso andamento progressivo, questa idea di futuro, mentre i due vocalist danno letteralmente spettacolo, la sezione ritmica è qualcosa di inumano a livello tecnico e le chitarre seguono, ora con dedizione core, ora con fughe metalliche e progressivamente estreme, il tappeto musicale vario e mai banale che fa da fondamenta al muro sonoro dei Sikth.
Momenti narranti fungono da preludio a vere esplosioni di musica moderna, un susseguirsi di trappole che si dipanano sul pentagramma e come tagliole ci afferrano senza lasciarci più.
L’opener Vivid presenta i riformati Sikth e poi si parte per questo viaggio nel futuro, travolti e confusi da The Aura, Cracks Of Light ed il capolavoro No Wishbones, punto più alto di questo notevole ritorno.
Per gli amanti del genere The Future In Whose Eyes?  è un album imperdibile, assolutamente in grado di mantenere inalterata la reputazione costruita nel corso degli anni dal gruppo londinese.

TRACKLIST:
1.Vivid
2.Century of the Narcissist?
3.The Aura
4.This Shop has sailed
5.Wevers of Woe
6.Cracks of Light (feat. Spencer Sotelo)
7.Golden Cufflinks
8.The Moon’s been gone for houres
9.Riddles of Humanity
10.No Wishbones
11.Rode the Illusion
12.When it rains

LINE-UP
Mikee W Goodman – Vocalist and lyricist
Joe Rosser – Vocalist
Pin – Guitarist
Dan Weller – Guitarist
Dan Foord – Drummer
James Leach – Bassist

SIKTH – Facebook

Moonaadem – Moonaadem

In poco più di mezz’ora Antonios offre una solida dimostrazione delle proprie capacità compositive, andando a lambire tutte le diverse sfumature racchiuse nel black di matrice atmosferica e dimostrando in tal senso un notevole equilibrio.

Questo nuovo interessante progetto solista arriva dal Libano, altra nazione che di solito rimane fuori dai radar del metal (a memoria in epoca recente mi vengono in mente solo i bravi Kimaera).

Marwan Antonios inizialmente aveva denominato la sua creatura Black Folly, ma di fatto Moonaadem, fin dal nome che significa “non esistenza”, nasce con l’esigenza di cambiare non solo il monicker ma anche l’indirizzo musicale, con il sentire più malinconico che rabbioso espresso dal proprio black metal, sintomo di una necessità di comunicare sensazioni ancor più intime.
Con un sound mai troppo aspro, se non per il consueto screaming, l’album si snoda con buona fluidità tra toni atmosferici e qualche puntata nel depressive, senza ovviamente stravolgere gli schemi usuali, rivelandosi meritevole di attenzione in virtù di un impatto melodico non privo di eleganza unito ad una buona cura dei particolari: forse la sola voce, utilizzata comunque con parsimonia, appare un po’ compressa dagli strumenti ma non è detto che non sia un effetto voluto.
In poco più di mezz’ora Antonios offre una solida dimostrazione delle proprie capacità compositive, andando a lambire tutte le diverse sfumature racchiuse nel black di matrice atmosferica e dimostrando in tal senso un notevole equilibrio.
Molto belle Pleine Lune, la strumentale Désillusion e la conclusiva e la più liquida Marche Funèbre pour la Mort de la Terre, ma nel complesso c’è davvero ben poco da eccepire su questo primo passo targato Moonaadem, senza’altro passibile di ulteriori sviluppi alla luce del buon potenziale già espresso dal bravo musicista libanese.

Tracklist
1. Multivers
2. Pleine Lune
3. Malaise astral
4. Désillusion
5. Désolation et folie noire
6. D’une existence mourante
7. Marche funèbre pour la mort de la Terre

Line-up:
Marwan Antonios

MOONAADEM – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=dZfFeHUN91U

Neige Et Noirceur – Verglapolis

Verglapolis è un disco di grande bellezza, da gustare con le cuffie, travalicando i generi per costruire una narrazione che è un mito moderno, un’opera sopra un evento ben più grande di noi, e che non possiamo capire fino in fondo, ma possiamo sentirlo.

La tempesta di ghiaccio del 1998 in Quebec durò una settimana, e lasciò gran parte del territorio senza elettricità per oltre un mese.

Questa incredibile tempesta è ricordata ancora molto bene dagli abitanti della parte francofona del Canada, e secondo alcuni studi, avrebbe lasciato impresso un segno nel dna dei bambini ancora in gestazione, a causa dello stress vissuto dalle madri.
Tutto ciò è narrato mirabilmente in questo disco di Neige Et Noirceur, il progetto solista di Spiritus nato nel 2002 e che ha una nutrita discografia. Il black metal di Neige Et Noirceur è profondamente influenzato dall’ambiente di provenienza, e la bravura particolare di Spiritus è quella di riuscire a rendere davvero il gelo e la pesantezza dell’ambiente quebecois, grazie alle chitarre distorte e all’uso sapiente e tenebroso di droni e tastiere. Tutto ciò che è ascoltabile nel disco concorre a creare un’ambientazione davvero glaciale e senza vita, se non quella di spiriti maligni, che sottolineano ancora una volta che su questa terra l’uomo è davvero ospite e nemmeno troppo gradito. In Verglapolis, questa città composta di blocchi di ghiacci, si possono sentire le note droniche di Neige Et Noirceur, un requiem della vita e della speranza, un suono affascinante e debitore nella sua poetica a H.P. Lovecraft, perché queste innominabili visioni sono figlie sue. Verglapolis è un disco di grande bellezza, da gustare con le cuffie, travalicando i generi per costruire una narrazione che è un mito moderno, un’opera sopra un evento ben più grande di noi, e che non possiamo capire fino in fondo, ma possiamo sentirlo.

TRACKLIST
1.Le monde est une foret noire
2.L’hiver de force
3.Nordet – Les premieres neiges
4.Pluie verglacante et brouillard de glace
5.Energie noire
6.Ruines electriques

LINE-UP
Spiritus: music and winter’s poems, guitars, Juno60 – synth yamaha, drums, drum machines, voices and howls
Schimaera: voice, noise

NEIGE ET NOIRCEUR – Facebook

In Reverence – The Selected Breed

Death/black, oscuro e devastante, attraversato da una vena melodica che si evince nei rallentamenti ed in qualche sfumatura dark, ma furioso e tempestoso nelle parti estreme, con un growl cavernoso, qualche accenno allo scream ed un impatto da tregenda.

Attivi dal 2010 in quel di Stoccolma, gli In Reverence debuttano sulla lunga distanza con The Selected Breed, lavoro che al death metal tradizionale aggiunge parti atmosferiche e violente ripartenze al limite del black.

Death/black, oscuro e devastante, attraversato da una vena melodica che si evince nei rallentamenti ed in qualche sfumatura dark, ma furioso e tempestoso nelle parti estreme, con un growl cavernoso, qualche accenno allo scream ed un impatto da tregenda.
Un vortice di metal estremo, un tornado metallico nero come la pece che non manca di regalare attimi devastanti, turbini death/black che si spengono quando escono l’anima dark e le sfumature atmosferiche del gruppo, mentre l’oscurità domina e la luce è ormai lontana.
Bellissima e penetrante Gods Of Dehumanization, devastante la title track: le nove tracce che compongono The Selected Breed alternano metal estremo con parti atmosferiche che smorzano in parte una tensione altissima, ma che a tratti costruiscono muri su cui si infrange la tempesta di note con cui gli In Reverence ci investono senza soluzione di continuità.
Registrato, masterizzato e mixato da Sverker Widgren ai Wing Studios (October Tide, Demonical, IXXI, Diabolical) The Selected Breed si avvale della prestazione al basso di Joakim Antman (Skitarg, Ove25rtorture, The Ugly, Diatonic) in veste di ospite insieme a Joakim Mikiver (One Hour Hell, Tormention) al microfono.
Un album che non porta novità nel panorama estremo, ma sicuramente soddisferà la voglia di morte e distruzione degli amanti del death e del black metal.

TRACKLIST
1. Jahiliah
2. Gods Of Dehumanization
3. Prometheus
4. The Selected Breed
5. The Sixth Bloodletting
6. Anthropogeny
7. Red Waves
8. Gift Of Disintegration
9. Life Rejuvenate

LINE-UP
Filip Danielsson – Vocals
Pedram Khatibi Shahidi – Guitar
Oscar Krumlinde – Drums

IN REVERENCE – Facebook

Liv Sin – Follow Me

Da sparare a tutto volume come rivalsa al vicino dai gusti romantico pop da estate al mare, con Follow Me la Jagrell ci invita a seguirla nel suo mondo metallico, piacevolmente grezzo, senza compromessi, ma assolutamente perfetto per fare male senza pietà

I Sister Sin non esistono più: la band svedese diventata famosa per l’eccentrica singer Liv Jagrell, dopo tredici di onorata carriera e cinque album, tra  cui l’ultimo (Black Lotus) che aveva aperto definitivamente una breccia nella scena metallica, ha dato forfait.

Ma come una perversa e schizzata araba fenice la Jagrell rinasce dalle proprie ceneri , trasformandosi in Liv Sin, di fatto il suo progetto, aiutata da Tommy Winther al basso, da Patrick Ankermark e Christoffer Bertzell alle chitarre e Per Bjelovuk alla batteria.
Il primo lavoro si intitola Follow Me, licenziato dalla Despotz Records, prodotto da Stefan Kaufmann e Fitty Wienhold, suonato a meraviglia, duro come l’acciaio, perverso come la sua diabolica musa e letteralmente folgorante: hard & heavy potente e cristallino, una raccolta di brani da applausi e un paio di duetti che Liv si concede con Schmier dei Destruction (Killing Ourselves To Live) e Jirky 69, vampiro al microfono dei The 69 Eyes (Immortal Sin, cover dei Fight di Rob Halford).
Follow Me non deluderà i fans della Jagrell, tornata a scandalizzare con questa sua creatura che musicalmente non lascia indifferenti, regalando momenti di metal sopra le righe (The Fall, Godless Utopia), thrashy e groovy come i Machine Head più classici, pesanti come i Benedictum di Veronica Freeman era Uncreation, diabolicamente estremi e senza freni come la sua leader.
Da sparare a tutto volume come rivalsa al vicino dai gusti romantico pop da estate al mare, con Follow Me la Jagrell ci invita a seguirla nel suo mondo metallico, piacevolmente grezzo, senza compromessi, ma assolutamente perfetto per fare male senza pietà.

TRACKLIST
1.The Fall
2.Hypocrite
3.Let Me Out
4.Black Souls
5.Godless Utopia
6.Endless Roads
7.Killing Ourselves to Live
8.I’m Your Sin
9.Emperor of Chaos
10.Immortal Sin (Fight cover)
11.The Beast Inside

LINE-UP
Tommie Winther – Bass
Per Bjelovuk – Drums
Patrick Ankermark – Guitars
Christoffer Bertzell
Guitars – Liv Jagrell – Vocals

LIV SIN – Facebook

Progenie Terrestre Pura – oltreLuna

I Progenie Terrestre Pura fanno davvero un genere a sé stante, non valgono i parametri con altri gruppi, perché è tutto speciale.

I Progenie Terrestre Pura non sono umani, vengono dalla nostra vera casa, che è persa lontano nelle stelle.

La Terra è solo un luogo dove soffriamo immensamente, non è il nostro luogo, e lo sentiamo chiaramente quando avvertiamo continuamene che c’è qualcosa che non va. Il gruppo italiano ci conduce in un immenso viaggio interstellare, dove il black e il death metal sono i propulsori per raccontare una storia mai sentita prima. Il suono di oltreLuna è ancora più potente e magnifico di quello dei dischi precedenti, La bravura tecnica e compositiva del gruppo è seconda solo alle sensazioni che suscitano. OltreLuna come e più degli altri dischi è un qualcosa di coinvolgente, come uno sguardo gettato su di un presente futuro che non riusciamo a cogliere imprigionati nelle nostre veste attuali. I Progenie Terrestre Pura con il loro suono monolitico, con sprazzi di black metal atmosferico molto potente ed evocativo, e persino con frequenti intarsi di voce lirica e strumenti antichi, tracciano una traiettoria che non può essere descritta se non tramite l’ascolto. E oltreLuna non è solo un disco ma è molto di più. Le immagini evocate con il cantato in italiano, lo splendido lavoro grafico di Alexander Preuss, e soprattutto la loro musica sono un film, è il racconto di un viaggio che forse l’uomo ha già compiuto ma del quale se n’è persa la memoria. I Progenie Terrestre Pura fanno davvero un genere a sé stante, non valgono i parametri con altri gruppi, perché è tutto speciale. I brani sono composti in maniera progressiva, non esiste la stantia forma canzone, perché questo è un viaggio verso le stelle più lontane. Le esperienze musicali sono molteplici e si basano soprattutto sui gusti dell’ascoltatore, ma oltreLuna è un vissuto musicale e poetico che è vivamente consigliato a chi ha una mente aperta e vuole continuare il viaggio. Forse all’estero hanno capito che questo gruppo è davvero una cosa incredibile e forse irripetibile. Oltre la Luna, perché noi siamo ben più di questo.

TRACKLIST
01 [.Pianeta.Zero.]
02 [.subLuce.]
04 [.Deus.Est.Machina.]
05 [.Proxima-B.]
03 [.oltreLuna.]

LINE-UP
Davide Colladon – Guitars/Composition
Emanuele Prandoni – Vocals/Lyrics
Fabrizio Sanna – Bass/Production

PROGENIE TERRESTRE PURA – Facebook

Cult Of Erinyes – Tiberivs

I nove brani offerti in Tiberivs non lasciano un solo attimo di tregua, intrisi come sono di una costante tensione che corre sul filo di sonorità che attingono sicuramente alla parte migliore della scuola scandinava.

Penso che anche i detrattori più accaniti del genere converranno sul fatto che, se black metal deve essere, va suonato e offerto come fatto dai Cult Of Erinyes con questo loro terzo full length intitolato Tiberivs.

La band belga è autrice di una forma del genere che non ne stravolge le coordinate ma, semmai ne amplifica e valorizza i tratti salienti, per cui il sound è pervaso allo stesso tempo di un’aura oscura e solenne che fa risaltare l’opera rispetto alle molte uscite di questi tempi.
I nostri, per non lasciare nulle di intentato, si sono circondati di diversi ospiti che forniscono il loro contributo alla riuscita dell’album, tra i quali non si può fare a meno di notare il nome di Déhà (batteria, tastiere e chitarra), la cui presenza è una sorta di evento sentinella capace da sola di determinare a priori la bontà di un album, benché in questo caso la responsabilità compositiva sia tutta di competenza dell’ottimo Corvus.
I nove brani offerti in Tiberivs non lasciano un solo attimo di tregua, intrisi come sono di una costante tensione che corre sul filo di sonorità che attingono sicuramente alla parte migliore della scuola scandinava, ma esibendo tracce evidenti di una rilettura personale e di grande competenza.
Tutti i protagonisti dell’album si esprimono al meglio delle loro potenzialità, portando ognuno un proprio fondamentale contributo alla sua riuscita, a partire da Mastema, il quale, oltre ad aver ideato il concept che trae linfa dalla storia dell’antica Roma e da uno dei suoi più controversi imperatori, si rivela vocalist corrosivo dalla timbrica spesso sconfinante nel growl, portando così il sound più vicino alle maggiori band che utilizzano questa soluzione, prime fra tutte i Dark Funeral; va aggiunto che il vocalist ha interrotto dopo l’uscita dell’album il suo lungo sodalizio con Corvus, il quale è corso ai ripari rimpiazzandolo, come meglio non avrebbe potuto, con lo stesso Déhà.
L’album è piuttosto lungo per le abitudini del black ma la sia intensità elimina alla radice tale problema, rendendolo un prodotto da assaporarsi comunque con la dovuta attenzione, vista anche la presenza di più di un passaggio di natura ambient sparso nei vari brani. I Cult Of Erinyes possono rallentare il sound ai limiti del doom, mantenersi su mid tempo o scaricare la propria veemenza ad andature ben più sostenute, ciò avviene però sempre con grade fluidità, e spesso all’interno degli stessi brani, rendendo ancor più avvincente un sound che si avvale anche di ottimi spunti solistici della chitarra.
Nessun punto debole, solo una violenza sempre sotto controllo ed un gusto melodico che, sebbene compresso dall’attitudine estrema, sboccia all’improvviso con interventi solisti della chitarra che impreziosiscono anche le due tracce migliori dell’album, Casus Belli e Germanicvs, appena superiori al resto di una tracklist che non delude in alcun suo frangente.
Uno dei migliori dischi black dell’anno in corso, almeno secondo i miei personalissimi gusti.

Tracklist:
1.Archaea
2.Nero
3.Casus Belli
4.Bred for War
5. Loner
6. Germanicvs
7. First of Men
8. Damnatio Memoriae
9. For Centuries to Come

Line-up:
Corvus – Guitars, Bass
Mastema – Vocals
Algol – Bass, Guitars (additional)
Baron – Guitars (lead)

Guests:
Déhà – Drums, Keyboards
Alex – Bass (track 1)
Marc DeBacker – Guitars (track 9)

CULT OF ERINYES – Facebook

The Ruins Of Beverast – Exuvia

La musica dei The Ruins Of Beverast va ben oltre qualsiasi etichetta, esplicitandosi in una forma che sfida le convenzioni e la banalità, ma risultando ugualmente, per assurdo, meno ostica di quanto si potrebbe supporre.

Pochi mesi dopo l’ottimo ep Takituum Tootem, ecco giungere l’atteso nuovo full length dei The Ruins Of Beverast.

Alexander Von Meilenwald, il musicista tedesco che è dietro questo progetto, prosegue con questo suo quinto lavoro su lunga distanza l’opera di consolidamento di uno status derivante da un’espressione stilistica peculiare ed in costante evoluzione.
Rispetto all’ep vengono mantenuti i riferimenti etnici riferiti alla cultura dei nativi americani, che in più di un brano si manifestano tramite invocazioni rituali e vocalizzi femminili, il tutto all’interno di una struttura definibile black/doom solo per consentirne un’approssimativa identificazione.
In realtà, la musica dei The Ruins Of Beverast va ben oltre qualsiasi etichetta, esplicitandosi in una forma che sfida le convenzioni e la banalità, ma risultando ugualmente, per assurdo, meno ostica di quanto si potrebbe supporre, in virtù di una capacità si scrittura non comune che consente a Von Meilenwald di piazzare, in ogni traccia, passaggi chiave capaci di attrarre fatalmente l’attenzione avvinghiando l’ascoltatore senza alcuna remissione.
Ne è l’esempio più eclatante la lunga title track posta in apertura, magnifico viaggio rituale di oltre un quarto d’ora nel quale le ossessive note in sottofondo si ripetono come un mantra, mentre la musica fluttua sovrapponendosi a voci salmodianti o a quella più canonica dell’autore, che invece in altri frangenti dell’album esibisce tonalità in scream e un growl.
Il resto di Exuvia si dipana così tra sentori sperimentali, sprazzi industriali, dissonanze che difficilmente si dissolvono in melodie compiute ma che mantengono sempre elevatissimo il carico di tensione, spingendosi oltre l’ora di durata, un qualcosa di molto vicino ad un suicidio artistico per chiunque non fosse in grado di esibire la stessa chiarezza d’intenti del musicista di Aachen .
L’album va ascoltato uscendo dalla logica del track by track, perché ne verrebbe sminuito l’impatto avvolgente, ed arrivare alla nuova versione di Takitum Tootem!, posta in chiusura, risulterà impegnativo quanto gratificante.
Così, come l’exuvia (l’esoscheletro abbandonato da diverse specie di crostacei, insetti e aracnidi dopo la muta), la musica targata The Ruins Of Beverast si trasforma dopo ogni ascolto in un involucro testimone di un estro compositivo che, nello stesso momento in cui viene rilevato si sta già trasferendo altrove, pronto ad mostrare ulteriori e visionari bagliori creativi.

Tracklist:
1.Exuvia
2.Surtur Barbaar Maritime
3.Maere (On A Stillbirth´s Tomb)
4.The Pythia´s Pale Wolves
5.Towards Malakia
6.Takitum Tootem (Trance)

Line up:
Alexander Von Meilenwald

THE RUINS OF BEVERAST – Facebook

Mahakala – The Second Fall

The Second Fall si presenta come un’opera che senza tanti fronzoli ci investe dal primo minuto, travolgendo con il suo sound che esplode in riff potentissimi, brani influenzati dall’heavy metal classico e lenti rituali doom.

Religione e mitologia, oscure credenza ed altari musicali innalzati al doom metal classico: l’heavy metal continua malgrado le molte influenze ed ispirazioni moderniste ad essere la musica malvagia, epica e declamatoria per eccellenza.

Nella scena metal greca non sono poche le band devote alla musica del destino e gli ateniesi Mahakala sono una delle migliori proposte: il loro heavy doom metal, oltre ad essere pregno di atmosfere sabbathiane, porta in sé una forte componente heavy, così da creare un sound monolitico, epico e a tratti sconvolto da cavalcate devastanti.
Attivo dal 2005, il quartetto porta in dote un ep, un demo, la partecipazione ad un tributo agli Iron Maiden ed il primo full length uscito nel 2013 ed intitolato Devil’s Music.
The Second Fall si presenta come un’opera che, senza tanti fronzoli ci investe dal primo minuto, travolgendo con il suo sound che esplode in riff potentissimi, brani influenzati dall’heavy metal classico e lenti rituali doom, con lente discese nel metal liturgico di Black Sabbath e Candlemass.
Lo zio Ozzy a suo tempo si è impossessato dell’anima di Jim Kotsis, bassista e cantante a tratti dalla tonalità vocale molto vicino al sacerdote sabbathiano, mentre la musica si riempie di malvagia epicità.
Non lontano (anche se il concept è molto diverso) dai Grand Magus, il gruppo è riuscito a creare un album fresco, godibilissimo nella sua potenza, mentre oltre al gran lavoro del singer, non mancano appalusi per le due chitarre (Chris Vlachos e John T.), puro acciaio fuso sull’altare del metal.
Da segnalare Sakis Tolis dei Rotting Christ ospite sulla granitica Wrath Of Lucifer (Infidels) e le bellissime Redemption Denied e Better to Reign in Hell (Than Serve in Heaven), doom metal song tra Candlemass e Trouble e picco qualitativo dell’album.
The Second Fall risulta così un altro gioiellino in arrivo dalla scena metal greca, consigliato agli amanti delle bands citate.

TRACKLIST
1. Army of the Flies
2. Redemption Denied
3. Purgatorium
4. Better to Reign in Hell (Than Serve in Heaven)
5. Darkness in Their Eyes
6. Wrath of Lucifer (Infidels) [feat. Sakis Tolis of Rotting Christ]
7. Unholy Fight
8. Blessed Are the Dead
9. War Against Mankind

LINE-UP
Jim Kotsis – bass, vocals
John Tsiakopoulos – guitars
Mikko Chris Vlachos – guitars
hector.d – drums

MAHAKALA – Facebook

Perpetual Fire – Bleeding Hands

Hard rock, progressive metal, power e tanta raffinata attitudine neoclassica fanno di Bleeding Hands un album perfettamente in grado di ritagliarsi il proprio spazio tra le migliori uscite di questo periodo.

Di questi tempi, se nel power metal cercate qualche spunto più personale rispetto al “palla lunga e pedalare” di molte realtà d’oltreconfine, la scena nostrana regala piccoli gioiellini classici, magari poco considerati dal solito fan noiosamente esterofilo, anche se negli ultimi tempi sembra che il vento piano piano stia cambiando direzione.

Andiamo prima in terra greca, perché è qui che la Sleaszy Rider Records ha la sua base, una label che sta riscuotendo sempre più consensi licenziando album uno più bello dell’altro e molti di questi cercandoli nella nostra penisola.
Torniamo da noi, in quel di Milano per presentarvi i Perpetual Fire, quintetto capitanato da Steve Volta, chitarrista bravissimo e per molti anni al servizio di Pino Scotto, ed il loro terzo album Bleeding Hands, un lavoro italiano al 100% per bravura strumentale ed eleganza nel songwriting, un talento innato per le melodie e quel tocco progressivo diventato marchio di fabbrica della scuola nazionale.
Diciamolo una volta per tutte, ormai Vision Divine, Labyrinth e Secret Sphere sono a capo di una scena che nell’hard & heavy non ha nulla da invidiare a quelle straniere, con i loro emuli a sfornare opere di spessore ed affiancando i maggiori act che fanno faville nei generi che compongono l’universo metallico.
Tutto questo ben di Dio non sarà supportato dai numeri per quanto riguarda il versante live, ma rimane indubbio che in Italia si fa da anni grande musica metal, ed ogni uscita conferma questa tendenza con buona pace dei detrattori.
Hard rock, progressive metal, power e tanta raffinata attitudine neoclassica fanno di Bleeding Hands un album perfettamente in grado di ritagliarsi il proprio spazio tra le migliori uscite di questo periodo: Volta ha fatto tesoro delle sue esperienze e i brani escono vari, travolgenti, mai banali nelle ritmiche o nei solos, con un singer (Roby Beccalli) che adatta la sua voce alle varie atmosfere, passando da tonalità rock a quelle power per sfornare un’aggressività da leone in passaggi che si fanno estremi, con una sezione ritmica da infarto (Mark Zampetti al basso e Cisco Lombardi alle pelli) e le tastiere che ricamano tappeti di metal neoclassico o sanguigni passaggi rock blues (Tush, splendida cover degli ZZ Top).
Volta è fenomenale pur senza dare l’impressione di esagerare e rimanendo saldo nella forma canzone, con solos dinamitardi e vari, così come varie sono le sfumature di questo lavoro che non ha battute d’arresto ma almeno un trittico di brani a fare traino e differenza: Queen Of Honor, Bloody Apple e Crimson Twilight, le più progressive del lotto e vicine al sound dei gruppi citati in precedenza.
Bleeding Hands risulta così un album riuscito ed appagante per ogni fans del genere, giocando le sue carte alla pari con le ultime notevoli uscite in campo power/prog metal, non perdetevelo.

TRACKLIST
01 – Psycho Cancer
02 – Scrambled
03 – Queen Of Honor
04 – Bloody Apple
05 – Tush
06 – Look Beyond The Night
07 – When You’re Dead
08 – Crimson Twilight
09 – Let The Snow
10 – A New World Begins

LINE-UP
Roby Beccalli – Vocals
Steve Volta – Guitars
Mark Zampetti – Bass
Mauro Maffioli – Keyboards
Cisco Lombardi – Drums

PERPETUAL FIRE – Facebook

Völur – Ancestors

Interessante e molto ben riuscito blend di dark folk,doom e ambient che ci riporta indietro nel tempo,alle radici di un suono.

Molto, molto interessante e affascinante il secondo lavoro dei Völur, trio canadese di Toronto, dedito a un blend di folk ancestrale, doom, ambient assai intenso e ricco di sfumature.

La loro peculiarità si accentua ulteriormente visto che nel loro suono non è prevista alcuna chitarra, ma il tutto si dipana tra un suono di basso che si divide tra ruoli melodici e ritmici, un drumming lento ed evocativo e il violino che modula una moltitudine di ambientazioni, sfiorando anche la “chamber music”, che variano dal pastorale all’ancestrale creando atmosfere di pace e serenità, increspate da momenti di furore in cui emerge tutta l’oscurità e la drammaticità dei loro testi.
Questo Ancestors è il secondo capitolo di una serie di quattro opere incentrate sul vecchio mondo spirituale germanico ; il suono si dipana lento, oscuro, contemplativo in quattro lunghi brani in cui i tre musicisti intrecciano i loro strumenti per creare una miscela antica, che riporta alle origini di certo suono doom (non metal) in cui la potenza e la contemplazione convivono;
E’ come se un vecchio mondo magico tornasse alla luce dopo essere stato oscurato dalla nebbia del tempo; i suoni dell’ opener Breaker of Silence profumano all’ inizio di sapori antichi, polverosi per poi aprirsi, dopo una memorabile frase di basso, in tutta la loro suggestiva potenza: l’ultimo brano, Breaker of Famine, aggiunge anche vocalità black che accentuano la oscura tavolozza dei “colori” di questa opera.
Come sempre ripetuti ascolti giovano all’“innamoramento” di un disco che, forse, avrebbe dovuto essere pubblicato in una stagione non canicolare come l’estate; questi suoni hanno bisogno di scure notti e brevi giornate per poter entrare appieno nel cuore di chi vuole “sentire”.

TRACKLIST
1. Breaker of Silence
2. Breaker of Skulls
3. Breaker of Oaths
4. Breaker of Famine

LINE-UP
Lucas Gadke Bass, Vocals
Laura Bates Vocals, Violin, Effects
Jimmy P Lightning Drums, Percussion

VOLUR – Facebook

Time Lurker – Time Lurker

Time Lurker è l’ennesima opera estrema che gli appassionati del genere non possono perdere, un altro gioiellino targato Les Acteurs De L’ombre Productions.

La label transalpina Les Acteurs De L’Ombre Productions ha regalato negli ultimi tempi grande musica estrema, pregna di sonorità oniriche e mistiche, viaggi in menti destabilizzanti o esplorazioni di mondi e spazi paralleli.

Ponendo sempre la massima attenzione alla qualità delle proprie proposte, l’etichetta si è confermata come una delle più attendibili in ambito underground ed un punto di riferimento per gli amanti del black metal, atmosferico o contaminato da sonorità post metal e rock.
I Time Lurker, per esempio sono una one man band di Strasburgo attiva dal 2014 e questo debutto omonimo sulla lunga distanza raccoglie il primo ep I ed il singolo Hethereal Hands in unico cd, con l’aggiunta di quattro brani inediti.
Mick, depositario del concept Time Lurker, ci accompagna in questo viaggio ispirato dai deliri di H.P. Lovecraft e dai viaggi di Jules Verne, e il suo vagabondare per mondi e spazi conferisce alla musica una sorta di epico misticismo astrale, tra inquietanti atmosfere perse in millenni di solitudine e la pazzia dell’uomo in un mondo immobile, un mostro che accoglie tra le sue spire il male nostro: un black metal atmosferico freddo ed inquietante come il perdersi nel nulla cosmico, in compagnia delle sole menti che ormai hanno lasciato i loro corpi putrefatti da centinaia di anni, una disperazione che si tocca, solido pezzo di ghiaccio in un inferno senza fiamme.
Scritta dal polistrumentista transalpino, che si è fatto tutto da solo anche in studio, lasciando a Jack Shirley la sola masterizzazione e aiutato al microfono da ben quattro cantanti (Thibo, Tony, Cedric e Clem), Time Lurker è l’ennesima opera estrema che gli appassionati del genere non possono perdere, un altro gioiellino targato Les Acteurs De L’ombre Productions consigliato ai fans di Altar Of Plagues e Leviathan.

TRACKLIST
1.Rupture
2.Judgment
3.Ethereal Hands
4.Reborn
5.No Way Out From Mankind
6.Passage
7.Whispering from Space

LINE-UP
Mick – All Instruments

TIME LURKER – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

Agresiva – Decibel Ritual

Speed/thrash metal old school, veloce e potente, dieci brani dai rimandi heavy ed efficacissimi, sparati a velocità della luce, un lavoro ritmico da applausi e chitarre che come micidiali corna che si abbattono sul vostro corpo inerme.

Una bestia enorme ed arrabbiata vi travolge senza darvi un attimo di tregua, fin che le vostre carni non saranno che poltiglia sotto i colpi degli zoccoli e delle corna.

Più o meno quello che vi succederà all’ascolto di questo travolgente gruppo madrileno, al secolo Agresiva, foriero di forti mal di testa causati dall’headbanging sfrenato a cui non potrete sottrarvi all’ascolto del nuovo Decibel Ritual.
Gli Agresiva sono un quartetto attivo da una decina d’anni, la loro discografia è composta da altri due lavori sulla lunga distanza ed un ep; questo nuovo lavoro arriva dopo tre anni dal precedente The Crime Of Our Time e offre speed/thrash metal old school, veloce e potente, dieci brani dai rimandi heavy ed efficacissimi, sparati a velocità della luce, un lavoro ritmico da applausi e chitarre che come micidiali corna che si abbattono sul vostro corpo inerme.
Intro recitata e si parte con Run Like The Wind, heavy thrash song spavalda e assolutamente old school, così come la seguente Rodents In A Wheel, uno tsunami metallico che vi scaraventa a decine di metri di distanza.
Ritmi serrati, voce pulita ed efficace, solos e riff che sanno di heavy metal, mentre lo speed adrenalinico fa macelli, in coppia con il thrash dai rimandi statunitensi in un delirio da cui non si sfugge.
Il gruppo madrileno ha davvero una marcia in più e risulta nel genere un’autentica sorpresa, Decibel Ritual non ha un momento di stanca: Void, We Stand continuano a maciullare come un toro infuriato, senza soluzione di continuità ed assolutamente nel più puro spirito old school.
Album travolgente e band da seguire, specialmente se siete amanti dello speed/thrash vecchia scuola.

TRACKLIST
01. Warning (Intro)
02. Run Like The Wind
03. Rodents In A Wheel
04. Heading For Midnight
05. Cleansing / The Aftermath
06. Void
07. Grateful
08. Under Silver Selene
09. We Stand
10. The Pantomime

LINE-UP
Samuel San Jose – Vocals
Miguel Coello – Guitars
Bastian Guarda Rozas – Drums
Miguel Martín – Bass

AGRESIVA – Facebook

MalClango – MalClango

L’impianto delle canzoni è free jazz, nel senso che non sia ha struttura, ma si tratta di jams solidificate, e in questi gironi di note possiamo trovare noise, math, e nervosità varie con uno stile fortemente americano anni novanta e duemila, ma anche debitore di molte bellissime esperienze italiane, come ad esempio i Fluxus.

Il rumore è un piacere che ha molte forme, declinazioni, e strutture, il tutto figlio del caos. I MalClango fanno uno splendido rumore.

Lasciate a casa la canzonetta, la stofa e pure il ritornello e immergetevi in acque che non conoscete ancora. Certo queste acque sono mosse, ma il piacere è figlio del pericolo. I MalClango sono un gruppo romano formato da membri di Juggernaut, Inferno e Donkey Breeder. Chi conosce la scena sotto la superficie italiana ha già forse intuito dove andremo a parare, E invece no, perché qui tutto muta in un continuum che esce fuori dallo spazio tempo per diventare lineare come la carta moschicida. Le composizioni sono progressive, ovvero vanno avanti e non hanno ritorni, mentre gli strumenti suonano al loro massimo. L’impianto delle canzoni è free jazz, nel senso che non sia ha struttura, ma si tratta di jams solidificate, e in questi gironi di note possiamo trovare noise, math, e nervosità varie con uno stile fortemente americano anni novanta e duemila, ma anche debitore di molte bellissime esperienze italiane, come ad esempio i Fluxus. In realtà è tutta nouvelle vague, ma è una fortuna che lo sia, perché sinceramente di proclami e sicurezze nella musica sono pieni i cimiteri, qui bisogna fidarsi di tre oranghi che improvvisano e tutto passa più veloce, perché alla fine è tutta una lotta contro l’ansia ed il ritmo circadiano. Un disco da esplorare in gioco libero, perché la mappa è davvero estesissima. Molto rumore per molto.

TRACKLIST
1.Patatrac
2.Nimbus
3.Ostro
4.Petricore
5.Anatomia Di Un battibecco
6.GranBurrasca
7.Sant’Elmo

MALCLANGO – Facebook

Uttertomb – Necrocentrism: The Necrocentrist

Gli Uttertomb si confermano testimoni di un approccio genuino e fedele ai dettami del genere, con la ciliegina sulla torta costituita dal nuovo brano che, pur con scostamenti minimi rispetto alle linee guida, apre scenari interessanti per quello che potrebbe essere, finalmente, un full length di prossima uscita.

Gli Uttertomb sono una delle molte band di buono spessore nascoste nei meandri dell’underground metal cileno.

Il quartetto di Santiago si autodefinisce autore di un necrological death metal che, poi, tradotto in qualcosa di più canonico, altro non è che un death di concezione morbosamente tradizionale con non poche divagazioni verso il doom.
Nonostante siano in attività già da tempo, gli Uttertomb non sono ancora approdati al primo full length e questo ep, di fatto, è la versione ri-registrata di Necrocentrism, risalente al 2012 e fino ad oggi la loro prova più consistente, anche a livello quantitativo. Per l’occasione, il gruppo guidato SS (Sebastian Salce, voce e chitarra solista, attivo anche con Communion, Death Vomit e Violent Scum) ha integrato il materiale passato con una traccia nuova, The Necrocentrist.
Nel parlare di questo lavoro, quindi, non si può fare a meno di notare quanto la buona operazione di rilucidatura lasci comunque un notevole solco tra le tracce del vecchio ep ed il nuovo brano, che spicca per il suo andamento rallentato ed avvolgente.
The Necrocentrist è, infatti, un ottimo esempio di death doom nella sua concezione più cruda e annichilente, con un giro di chitarra ossessivo a fornire un parvenza melodica sulla quale, poi, i nostri erigono una muraglia sonora densa e distruttiva quando la velocità aumenta: l’incedere ossessivo colpisce e affonda i colpi in maniera più efficace di quanto facciano tracce buone ma, a volte, fin troppo scarne come le varie Ascension Ritual, Choking Casket, Swallowed By Graves e Necrological Fascination.
Gli Uttertomb si confermano testimoni di un approccio genuino e fedele ai dettami del genere, con la ciliegina sulla torta costituita dal nuovo brano che, pur con scostamenti minimi rispetto alle linee guida, apre scenari interessanti per quello che potrebbe essere, finalmente, un full length di prossima uscita.

Tracklist:
1. Venomous Flesh Rain
2. Ascension Ritual
3. Choking Casket
4. Swallowed By Graves
5. Necrological Fascination

Line-up:
RM – bass
AV – drums
SS – guitars, vocals
JG – guitars

UTTERTOMB – Facebook

Loathe – The Cold Sun

Malato e contagioso il sound di questo gruppo che riesce a nobilitare nella sua terribile vena estrema un genere inflazionato come il metalcore, trasformandolo in una creatura malvagia, sadica e fredda come un sole morto.

La colonna sonora di un apocalisse,  dove il raffreddamento del Sole porta alla salita in superficie dell’inferno e delle sua distruttive fiamme, si chiama The Cold Sun, primo full length dei Loathe, misteriosa creature britannica che fino ad ora aveva licenziato un primo album (Despondent By Design) nel 2010.

Trentacinque minuti di delirio estremo, moderno e progressivo, oscuro e maturo, per un salto nell’atmosfera devastante di una fine del mondo tra sfuriate metalcore violentissime ed attimi di fredda quiete dark.
Ma non solo, nella musica estremamente teatrale del gruppo vivono le anime schiave dell’hardcore e del groove metal, le ritmiche pesantissime che diventano frustate veloci e taglienti, mentre l’elettronica aggiunge atmosfere glaciali al già freddo mood che si respira tra le note di questo originale e quanto mai estremo lavoro.
C’è metalcore e metalcore, quello dei Loathe è pregno di musica disturbante, un groviglio di umori che come serpenti si si avvolgono e si nutrono a vicenda, una musica cannibale, ingorda di suoni e sfumature che si evincono dall’ascolto di brani intensi come It’s Yours, East Of Eden o la tremenda P.U.R.P.L.E.
Malato e contagioso il sound di questo gruppo che riesce a nobilitare nella sua terribile vena estrema un genere inflazionato come il metalcore, trasformandolo in una creatura malvagia, sadica e fredda come un sole morto.
Un ottimo lavoro, non per tutti ma consigliato agli amanti del metal estremo con ampie vedute e non prigionieri di confini tra generi.

TRACKLIST
1. The Cold Sun
2. It’s Yours
3. Dance On My Skin
4. East Of Eden
5. Loathe
6. 3990
7. Stigmata
8. P. U.R.P.L.E
9. The Omission
10. Nothing More
11. Never More
12. Babylon

LINE-UP
Kadeem France – vocals
Erik Bickerstaffe – guitar & vocals
Shayne Smith – bass & vocals
Connor Sweeney – guitar & vocals
Sean Radcliffe – drums

LOATHE – Facebook