Birdflesh – Extreme Graveyard Tornado

Mezzora passata con i Birdflesh è sinonimo di ottima musica metal, il genere non offre grossi spunti innovativi ma il divertimento è assicurato da un impatto ed un’attitudine che fanno di Extreme Graveyard Tornado uno degli album più convincenti ascoltati ultimamente nel genere.

Come una tempesta improvvisa e devastante arriva, tramite la Everlasting Spew, la nuova fatica del trio svedese chiamato Birdflesh, da venticinque anni nella scena underground estrema.

Era il 1994, infatti, quando la band diede alle stampe il primo demo e oggi siamo arrivati al quarto full length di una discografia che, come da tradizione nel genere, è ricca di split, ep e compilation.
L’ultimo lavoro, intitolato Extreme Graveyard Tornado, vede il trio composto da Smattro Ansjovis (batteria e voce), Count Crocodelis (chitarra e voce) e Willy Whiplash alle prese con ventiquattro brani di cui ben pochi superano a malapena il minuto di durata, ma che formano un muro sonoro thrash/grind potentissimo.
Ed il sound di questi ormai veterani della scena estrema di stampo grindcore riesce a coinvolgere grazie ad un songwriting ispirato e ad una raccolta di brani brevi, distruttivi ma assolutamente coinvolgenti.
Il gruppo alterna feroce grind core a spettacolari sferzate thrash metal, oppure li mixa creando tempeste e tsunami estremi senza soluzione di continuità.
Mezzora passata con i Birdflesh è sinonimo di ottima musica metal, il genere non offre grossi spunti innovativi ma il divertimento è assicurato da un impatto ed un’attitudine che fanno di Extreme Graveyard Tornado uno degli album più convincenti ascoltati ultimamente nel genere.

Tracklist
1.Towards Insanity
2.Are We Great Again?
3.Crazy Train Decapitation
4.Grind Band
5.Home of the Grave
6.Milkshake is Nice
7.Another Pig
8.Guacamolestation of the Tacorpse
9.Crazyful Face
10.Thank You for the Hostility
11.Crazy Nights
12.Botox Buttocks
13.House Guest
14.Accused of Suicide
15.Black Hole Jaw
16.Amish Girl
17.The Rise of Stupidity
18.Pub Night
19.Pyromaniacs
20.Bite the Mullet
21.Almost Aggression
22.Garlic Man
23.Mouth for Gore
24.Land of the Forgotten Riffs

Line-up
Smattro Ansjovis – Drums & vocals
Count Crocodelis – Guitars & vocals
Willy Whiplash – Bass & vocals

https://www.facebook.com/birdfleshgrind

Cipher – Réminiscences

Réminiscences è una raccolta di brani tratti dai tre album del gruppo e che ne evidenziano la compattezza, l’impatto devastante ed il buon approccio melodico.

I Cipher riassumono i primi vent’anni di carriera nella scena estrema transalpina con questa raccolta di brani intitolata Réminiscences.

La band è nata a Limoges nel 1998 e il suo death metal feroce e violento si è sviluppato nel corso di tre full length, con l’ultimo Deviance datato 2017.
Non molto a dire il vero, e in effetti da un album all’altro sono passati molti anni, ma è indubbio che la qualità delle composizioni fa sì che la raccolta in questione diventi un nuovo punto di partenza perfetto per il quartetto.
Dieci brani più una cover degli A-Ha, racchiusi nello scrigno ben in mostra sull’artwork, pescati dai tre album del gruppo, evidenziano una band compatta, dall’impatto devastante e dalle buone trame melodiche.
Il sound è quello classico statunitense di fine anni novanta, il growl efferato supporta una tempesta di note metalliche estreme valorizzate da una connotazione melodica più accentuata nei brani recenti.
L’opener Corps Et Ame ed In Flames, dal primo full lenght Epidemia, la violentissima Nomad dal secondo Chaos Sign e La Porte Des Larmes, song di matrice scandinava estratta dall’ultimo lavoro intitolato Deviance, sono perfette nel sottolineare l’evoluzione dei Cipher in questi vent’anni, facendone una realtà da scoprire nel panorama estremo transalpino.

Tracklist
1. Corps et Ame
2. Quest
3. Invidia
4. In Flames
5. The Lethargic Demon
6. Nomad
7. Anonymous
8. Miscellaneous Grievances
9. Le Point Emergent
10. La Porte Des Larmes
11. Land of Fire

Line-up
Vince – lead Guitar / Vocals
François – Rythm Guitar
Flo – Drum
David – Bass / Vocals

https://www.facebook.com/cipher.metal

Winterwolf – Lycanthropic Metal of Death

I Winterwolf danno vita ad un lavoro che tiene incollati alle cuffie, legati ad esse da questa raccolta di brani perfetti nelle loro atmosfere horror, estremi e vari nell’alternare scudisciate death metal e frenate doom/death, spettacolari e godibili, pur rimanendo confinati in un genere estremo.

Tornano più famelici che mai i licantropi finlandesi Winterwolf, dieci anni dopo la pubblicazione di Cycle of the Werewolf, primo pasto sanguinolento uscito nel 2009.

La banda di uomini lupo capitanata da Corpse (Jess and the Ancient Ones e Deathchain) e Abomanitor (frontman dei Demilich), continua a uccidere nelle notti di luna piena con questo nuovo massacro sonoro intitolato Lycanthropic Metal of Death, licenziato dalla Svart Records.
I Winterwolf danno vita ad un lavoro che tiene incollati alle cuffie, legati ad esse da questa raccolta di brani perfetti nelle loro atmosfere horror, estremi e vari nell’alternare scudisciate death metal e frenate doom/death, spettacolari e godibili, pur rimanendo confinati in un genere estremo.
Non ci sono brani che si stringano al collo come le fauci di un lupo mannaro, non c’è una sola nota o un’atmosfera che non sia al posto giusto: Lycanthropic Metal of Death risulta un’opera oscura e terrorizzante che va ascoltata nella sua interezza, senza interruzione prima che il massacro ricominci davanti ai nostri occhi.
Difficile trovare un brano più bello degli altri, anche se la devastante Brujo, i riff doom/death di Devouring Entities Devour e Kadathian Doom e I Am The Beast Of Death vi porteranno nella foresta immersa nel silenzio e nel suo raggelante terrore.

Tracklist
1. The Crypt of the Werewolves
2. At Dawn They Eat
3. Brujo
4. Devouring Entities Devour
5. Wolf Finder General
6. Kadathian Doom
7. Thisishispit
8. I Am The Beasts Of Death
9. Primal Life Code

Line-up
Corpse
M÷rbidus
Abomanitor
Abductor

https://www.facebook.com/winterwolfofficial?fref=ts

Haram – Questo è Solo Chaos

Un disco che spezza schemi come se fossero steccati sotto un’onda tsunamica, una salutare scarica di adrenalina e di ottima musica fatta caos, un lavoro che ha radici solide e lontane nel tempo ma che è una delle cose più moderne e sincere degli ultimi nell’alternativo italiano.

Gli Haram sono di Torino e hanno un progetto di decostruzione della musica metal e pesante in genere per arrivare sempre più vicini al caos, e ci riescono benissimo.

Questo è il loro debutto, prodotto da una cospirazione diy di ottime e nervose etichette. Dimenticate ciò che avete sentito fino ad ora, qui regna la pesantezza, la velocità quando è necessaria e tutto punta verso il fare male. Gli Haram sono un gruppo maturo che firma un disco notevole, mai ovvio o comune, che attinge alla tradizione italiana per quanto riguarda l’hardcore e lo sludge, ma qui tutti i generi sono meri punti di partenza per esplorare territori ignoti. Il gruppo torinese distilla un groove metallico e caotico, un flusso sonoro senza soluzione di continuità che serve per staccarsi dalla matrice nella quale viviamo. Questo è Solo Chaos è la sublimazione del detto “caos non musica” che imperava nell’hardcore italiano anni ottanta, ma è anche un’importante operazione per provare a scollegarsi dalle gabbie che sono state costruite anche nel genere che in teoria dovrebbe essere più libero, quello alternativo. C’è il post metal, un potentissimo sludge, tracce di grindcore, droni che volano incessantemente sopra le nostre teste, il tutto messo assieme in maniera inedita. Come afferma lo stesso gruppo, qui non c’è nulla di famigliare, e questo è una delle cose più importanti del disco. Troppo spesso, per non dire sempre, ci affidiamo alle comode e conosciute strutture musicali, catalogando il tutto come death, grind, etc.
Qui tutti i parametri vengono sgretolati dalla forza più importante in natura e che ci spaventa maggiormente: il caos. Nulla intimorisce maggiormente l’uomo del non sapere cosa possa succedere nel minuto successivo a quello che stiamo vivendo. E in questo disco è proprio così, l’onda ci travolge e non si può far nulla se non provare a nuotare, o lasciarsi condurre che è la cosa migliore. Canzoni come Post Odio sono semplicemente sublimi pugni in faccia, calci nella tempia… e guardalo un cazzo di tramonto…guardalo !!!
Un disco che spezza schemi come se fossero steccati sotto un’onda tsunamica, una salutare scarica di adrenalina e di ottima musica fatta caos, un lavoro che ha radici solide e lontane nel tempo ma che è una delle cose più moderne e sincere degli ultimi nell’alternativo italiano.
Ma alla fine è un immenso vaffanculo, a tutto.

Tracklist
1. Questo è solo chaos
2. Terra
3. No Boat!
4. Asti
5. Solo
6. Ansia
7. Post odio
8. Hoppressione
9. Hoppressione (presa diretta)

Line-up
Nicola Ambrosino – Basso, Voce
Davide Donvito – Chitarra
Utku Tavil – Batteria

https://www.facebook.com/haramtorino/

Veil Of Deception – Dissident Voices

I Veil Of Deception, sono autori di sound tellurico e melodico, esempio di metal che ingloba elementi heavy, thrash e groove, confezionando una ricetta a suo modo vincente.

Arrivano da Vienna, attivi dal 2013 e con un paio di album alle spalle, hanno firmato per Roxx Records/ No Life ‘til Metal Records che licenzia il loro nuovo album, questo ottimo incontro tra tradizione metal e groove intitolato Dissident Voices.

Si tratta dei Veil Of Deception, band austriaca ma che più americana di così non si può, almeno per quanto riguarda il sound, tellurico e melodico esempio di metal che ingloba elementi heavy, thrash e groove, confezionando una ricetta a suo modo vincente.
Grandi melodie vocali, con il cantante Daniel Gallar, vero mattatore dell’album, ritmiche heavy/thrash rafforzate da tonnellate di groove, fanno di Dissident Voices una mazzata metallica di notevole impatto, un album che in tutta la sua durata non teme frenate e viaggia spedito come un carro armato con il motore di una formula uno.
Il gruppo viennese aveva già dimostrato il suo valore con i primi due lavori, Deception Unveiled, uscito nel 2013, ed il precedente Tearing Up The Roots, licenziato quattro anni fa, ma con il nuovo album fa un ulteriore passo avanti, attraversando definitivamente l’Atlantico ed abbracciando in toto il metal statunitense che passa inevitabilmente da band come gli Anthrax era Bush, i Black Sabbath ed il metal alternativo di questo primo scorcio di secolo.
La voce dall’attitudine classica del singer fa la differenza, così come una serie di brani convincenti, dai refrain orecchiabili e dalla potenza metal debordante.
Il singolo Crooked Lines costituisce un ottimo esempio dell’impatto che la band ha sui padiglioni auricolari dei fans, con ritmiche thrash/groove (a cura di Thomas Hava al basso e Chris Schober alla batteria) e chitarre (ad opera di Dejan Jorgovanovic) che vomitano watt in solos divisi tra la tradizione hard & heavy e un impatto moderno.
In conclusione, si rivela una vera sorpresa questo terzo album del gruppo austriaco, band in grado di modellare il metal degli ultimi tre decenni a proprio piacimento.

Tracklist
1.Tragedy Brings Clarity
2.Missing Heartbeats
3.Crooked Lines
4.Wrong End of the Stick
5.Dissident Voices
6.End Coming to an End
7.The Tyranny of Hope
8.Forgotten Rain
9.Bonds of Disaffection
10.Would’ve Beens and Could’ve Beens
11.Memories In the Attic

Line-up
Daniel Gallar – Vocals
Dejan Jorgovanovic – Guitar
Thomas Hava – Bass
Chris Schober – Drums

https://www.facebook.com/VeilOfDeception

Metalian – Vortex

Vortex è devastante, melodico ed irresistibile, come il pogo a cui vi esporrete sotto il palco calcato da questi quattro canadesi.

Un sound che corre veloce come il vento sulle ali di un heavy/speed metal di matrice old school: questo è Vortex, ultimo album dei Metalian, quartetto di Montreal arrivato al terzo lavoro in oltre quindici anni di carriera.

Con i Judas Priest a fare da padrini all’heavy metal suonato dal gruppo, Vortex si lascia ascoltare che è un piacere, colmo di cavalcate tali da far saltare gli autovelox e solos che sono temporali metallici scatenanti lampi e tuoni.
Trenta minuti in balia del metal classico dei Metalian, otto brani che non trovano ostacoli, di genere, assolutamente derivativi ma spettacolari, almeno per chi è cresciuto a pane ed heavy metal.
The Sirens Wail, Land Of The Brave, la title track non escono di un millimetro dai canoni dell’heavy metal anni ottanta, new wave of British heavy metal e speed si alleano nel sound dei Metalian per portare il verbo del true metal old school nel nuovo millennio: Vortex è devastante, melodico ed irresistibile, come il pogo a cui vi esporrete sotto il palco calcato da questi quattro canadesi.

Tracklist
1. Prologue
2. The Sirens Wail
3. Full Throttle
4. Vortex
5. Land of the Brave
6. Liquid Fire
7. Broke Down
8. No Home

Line-up
Ian – vocals / guitar
Simon – guitar
Andres – bass
Tony – drums

https://www.facebook.com/metalianz

Flub – Flub 2019

I Flub non inventano nulla, ma dimostrano grande perizia e attenzione per una forma canzone molte volte dimenticata dagli artisti dediti al versante più tecnico dell genere.

Ennesimo progetto di death metal tecnico e sperimentale, i Flub nascono nel 2013 ed in sei anni rilasciano un paio di lavori, Purpose ed Advent usciti nei primi due anni di attività.

Cinque anni dunque separano questo nuovo album omonimo dai suoi predecessori, composto da sette brani in cui il trio di Sacramento dà sfoggio di tecnica sopraffina e buon songwriting, anche se ormai il death metal contaminato da soluzioni progressive, jazz e fusion non è certo una novità.
La band, composta dal cantante Michael Alvarez (Alterbeast), dal chitarrista e addetto al programming Eloy Montes (ex-Vale of Pnath) e dal bassista Matthew Mudd (ex-The User Lives), in meno di mezzora dà vita ad un uragano di metal estremo progressivo, sul quale regna l’abilità strumentale dei protagonisti, davvero bravi nelle tante parti intricate in cui la chitarra si erge ad assoluta regina dell’intero lavoro.
Growl e scream accompagnano questo viaggio nel classico technical death metal targato 2019, con Flub che si fa onore tra le uscite del genere con una serie di composizioni che mantengono una buona fruibilità.
I Flub non inventano nulla, ma dimostrano grande perizia e attenzione per una forma canzone molte volte dimenticata dagli artisti dediti al versante più tecnico dell genere.

Tracklist
1. Last Breath
2. Blossom
3. Umbra Mortis
4. Dream
5. Rise From Your Grave
6. Rebirth
7. Wild Smoke

Line-up
Flub – Flub Line-up
Michael Alvarez – Vocals
Eloy Montes – Guitars/Programming
Matthew Mudd – Bass

https://www.facebook.com/flubmetal/

Sadness – Circle Of Veins

Se vogliamo cercare un genere, che sia blackgaze, qui al suo massimo.

Secondo disco in sei mesi per la polistrumentista messicana nata e cresciuta in Texas, Damián “Elisa” Ojeda, al quarto disco in due anni.

Se si va sul suo bandcamp si può facilmente capire la vastità e la prolificità dell’opera di questa donna che esplora il blackgaze con un tocco tutto suo. Circle Of Veins ci porta in territori differenti anche se simili rispetto al precedente Rain. Questo lavoro è uno dei rari dischi che possiede la capacità di fermare il mondo mentre lo si ascolta, nel senso che quando lo si sente, meglio se attraverso delle cuffie, non esiste più nulla. Damián riesce costantemente a stupire il suo ascoltatore, attraverso scelte che vanno ben oltre le scontate etichette di blackgaze e di atmospheric black metal. Il flusso musicale e di emozioni è continuo come nello shoegaze, ovvero quel muro di distorsioni che ti si para davanti come la proiezione mentale di un bambino con poteri mentali, che scopre quanto possa essere brutto il mondo e lo rifiuta. Qui si prova, attraverso una musica che è al contempo consolatrice ed assassina, a cercare qualcosa che valga la pena di soffermarsi un attimo, in modo da poter uscire dall’abisso che ci circonda o quello che ci tiene imprigionati nel silicio. Sadness crea piccoli universi partendo dall’osservazione della nostra realtà attraverso filtri che non sono quelli normali. Ci sono sfuriate, cavalcate ed improvvise fermate osservando lo sbocciare di un fiore, che è poi un nostra emozione. Come per il disco precedente, si viene rapiti da questa formula musicale, che nasce dal black metal ma va ben oltre, decretando la grande capacità del genere nato in Scandinavia di far esprimere voci diverse. Il black metal è un sentimento più che un genere, e ognuno lo può usare per esprimersi a proprio piacimento, sia per inneggiare a Satana che per fare un’opera poetico musicale come questa. Questi sei brani, per poco più di sessantatré minuti di musica, sono una raccolta di poesie, composte ed eseguite da una mente musicale superiore, sia per capacità tecnica ma soprattutto per sensibilità, perché certe anime sentono di più rispetto alla maggioranza, ma il vero messaggio è che ci vuole rispetto per ogni anima.
Se vogliamo cercare un genere, che sia blackgaze, qui al suo massimo.

Tracklist
1.Eye of prima
2.Cerrien
3.Lana
4.The spring sun on summer rain
5.I follow rivers

Line-up
Elisa – All instruments and vocals

https://www.facebook.com/sadnessmusicofficial/

NoSelf – Human – Cyborg Relatons : Episode II

Un secondo disco convincente ed un album piacevole che va oltre il nu metal e durerà anche oltre l’estate.

Secondo disco per gli americani No Self, e secondo episodio delle relazioni fra umani e compters , fautori di un nu metal virato verso il metalcore con forti influenze elettroniche, che narra di umani e macchine.

Il loro groove è molto a stelle e strisce, carico e melodico, hanno un ottimo passo che li contraddistingue da molti altri gruppi dello steso genere. Una delle loro peculiarità maggiori è l’intensità delle loro canzoni, che sono dense di musica e di concetti. Non si perde mai di vista la riuscita melodica, nel perfetto stile americano che riesce a coniugare molto bene melodia e potenza. La loro musica è un qualcosa di futuribile che prende le mosse da un passato molto prossimo, attingendo dalle tradizione di molto generi, quali il nu metal, ma anche il post hardcore e il metalcore. Le canzoni sono costruite molto bene e sono incentrate su linee di chitarra molto ben scritte, ai quali poi si aggiunge molto bene tutto il resto del gruppo, con la chicca della doppia voce che rende molto bene in termini di varietà e di originalità. L’ascolto del disco è molto piacevole e scorre molto bene, grazie anche agli inserti di elettronica che servono a rendere maggiormente cyborg il tutto, una vera e propria delle possibili e quanto ami attuali relazioni fra uomo e macchina. Certamente il gruppo nelle sue visioni futuristiche si spinge molto in là rispetto ai tempi che viviamo, ma non si creda che siamo tanto lontani dalle storie narrate dal gruppo.
Un secondo disco convincente ed un album piacevole che va oltre il nu metal e durerà anche oltre l’estate.

Tracklist:
1.Signal Flares
2.ratD4GG3R
3.Order_66
4.#RAGE
5.Master Manipulator
6.A Dying Star
7.Nothing
8.Glow

Line-up:
Dylan Kleinhans – VOX
Justin Dabney – Guitar
Drew Miller – Drums
Glenn Desormeaux – Bass

https://www.facebook.com/NoSelf/

Streambleed – Enslave The World Forever

Groove metal alla massima potenza, tra tradizione e modernità in arrivo dall’Austria tramite la Wormholedeath, che ci invita al massacro perpetuato dagli Streambleed.

Un potentissimo e devastante meteorite metallico di dimensioni enormi in caduta libera sulla terra.

Groove metal alla massima potenza, tra tradizione e modernità in arrivo dall’Austria tramite la Wormholedeath, che ci invita al massacro perpetuato dagli Streambleed, giovane quintetto attivo dal 2015 e ora giunto al debutto con questo debordante esempio di groove/thrash metal intitolato Enslave The World Forever, composto da undici deflagranti esplosioni metalliche.
Fin dall’inizio, con Damnation, veniamo travolti e schiacciati da questa massa di note che, libere come l’acqua di un bacino enorme dopo il crollo di una diga, travolge senza lasciare nulla al suo passaggio.
Siamo nel metal statunitense nato tra gli anni novanta e i primi vagiti del nuovo millennio, con i Pantera a fare da capostipiti di una famiglia estrema che ha portato scompiglio nel circuito metallico degli ultimi anni, unendo tradizione thrash ed attitudine modern, con il sound potenziato da overdose di groove.
Hate & Destroyed, la pachidermica Obsessed, la drammatica e soffocante atmosfera di Black Rain, il massacro causato dalla devastante Panic At The Moshpit, alzano l’atmosfera da tregenda di un lavoro che tracima violenza da tutti i pori.
Machine Head e Devil Driver caricati come pallettoni e sparati ad altezza d’uomo, amplificandone attitudine estrema, impatto e groove: questo è il mastodobticoEnslave The World Forever.

Tracklist
1. Damnation
2. Hated And Destroyed
3. Obsessed
4. Supersystem
5. Enslave The World Forever
6. Black Rain
7. Voice Of The Stream
8. Between Fire And Fire
9. Panic At The Moshpit
10. The Final Hour
11. Let It Out Loud (Bonus Track)

Line-up
Stefan Weilnböck – Vocals
Stefan Wöginger – Guitar
Christian Rosner – Guitar
Jakob Reiter – Bass
Tobias Mayrhofer – Drums

https://www.facebook.com/streambleed/

Diamond Head – The Coffin Train

I Diamond Head hanno dato vita ad un lavoro per nulla nostalgico, pur rimando in un ambito classico, dove le varie tracce (bellissime The Messeger, Shades Of Black e The Sleeper) formano un muro musicale dove potenza, eleganza metallica e forza espressiva costituiscono la miscela che cementa il sound di The Coffin Train.

Otto album non sono certo tantissimi, considerato che la data di nascita dei Diamond Head si perde nella seconda metà degli anni settanta, eppure dopo alti e bassi e lunghi silenzi uno dei gruppi più influenti della new wave of British heavy metal è tornata nel nuovo millennio con una costanza che gli ha permesso di licenziare ben quattro lavori con il precedente distante “solo” tre anni da questo nuovo album intitolato The Coffin Train.

La band più progressive di tutto il movimento che cambiò la storia della musica rock, tornata a far parlare di se anche grazie alle parole di stima dei Metallica che non hanno mai nascosto l’amore per il gruppo di Stourbridge, dà alle stampe un album di notevole impatto, roccioso, travolgente ed assolutamente classico nel seguire i dettami del genere che loro stessi hanno contribuito a diffondere, mantenendo le peculiarità che ne hanno consacrato il nome nell’olimpo del metal.
Trentanove anni dal debutto i Diamond Head targati 2019, forti di un cantante di razza come Rasmus Bom Andersen, arrivato alla corte di Brian Tatler cinque anni fa.
Produzione moderna e sfavillante, songwriting vario e sopra le righe in tutte le sue sfaccettature, fanno di The Coffin traina un lavoro dotato degli attributi giusti per trovare un posto al sole nelle classifiche di fine anno, alla voce Heavy Metal.
Si parte alla grandissima con Belly Of The Beast e non si scende più da una qualità di altissimo livello, puro heavy metal che si crogiola nell’hard & heavy nato nei sobborghi inglesi a cavallo tra gli anni settanta e ottanta, reso appunto moderno ed in linea con i nostri giorni da produzione ed arrangiamenti che ringiovaniscono il sound rendendolo appetibile anche per i giovani kids nati nel nuovo millennio.
I Diamond Head hanno dato vita ad un lavoro per nulla nostalgico, pur rimando in un ambito classico, dove le varie tracce (bellissime The Messeger, Shades Of Black e The Sleeper) formano un muro musicale dove potenza, eleganza metallica e forza espressiva costituiscono la miscela che cementa il sound di The Coffin Train.

Tracklist
01. Belly Of The Beast
02. The Messenger
03. The Coffin Train
04. Shades Of Black
05. The Sleeper (Prelude)
06. The Sleeper
07. Death By Design
08. Serrated Love
09. The Phoenix
10. Until We Burn

Line-up
Rasmus Bom Andersen – Vocals
Brian Tatler – Guitars
Andy Abberley – Guitars
Dean Ashton – Bass
Karl Wilcox – Drums

https://www.facebook.com/DiamondHeadOfficial

Damage S.F.P. – Damage S.F.P.

I primi Metallica sono la band che emerge di più tra le influenze artistiche dei Damage S.F.P., ma il riferimento va preso con le pinze perché qui si viaggia a tripla velocità e potenza.

La Rockshots Records accende la miccia e fa saltare una diga di note thrash metal travolgenti come una massa d’acqua che distrugge ogni cosa al suo passaggio.

I Damage S.F.P. arrivano all’esordio con una serie di brani scritti tra il 1991 ed il 1994 da tre amici provenienti da Helsinki: Jarkko ”Jaake” Nikkilä (voce e chitarra), Antti Remes (basso) e Tero Lipsonen (batteria).
La band, scioltasi nel 1996, torna sulle scena underground metallica con questo esordio omonimo sulla lunga distanza, di fatto primo lavoro a parte i due demo stampati nel 1993 e nel 1996.
Thrash metal classico portato all’estremo da tuoni e fulmini hardcore e death, un sound che non conosce compromessi, veloce, potente ed inarrestabile e classicamente old school (e non può essere diversamente visto l’anno di creazione dei brani).
Niente di nuovo nello spartito delle varie Death Of Innocent, Ruthless Fate, della devastante Tyrant e nelle aperture melodiche di In Termination, solo speed/thrash metal attoa a a creare un indistruttibile muro sonoro.
I primi Metallica sono la band che emerge di più tra le influenze artistiche dei Damage S.F.P., ma il riferimento va preso con le pinze perché qui si viaggia a tripla velocità e potenza.

Tracklist
1. Ride
2. Death of Innocent
3. Ruthless Fate
4. Tyrants
5. Insomnium (inst.)
6. Ode to Sorrow
7. Tragedy
8. Grain Brain
9. Crying for Relief
10. In Termination
11. Burst of Rage

Line-up
Jarkko ”Jaake” Nikkilä – Vocals and Guitars
Antti Remes – Bass
Tero Lipsonen – Drums

https://www.facebook.com/damage.sfp

Rogga Johansson – Entrance to the Otherwhere

Un quadro di emozionante metal estremo che riporta il death metal scandinavo alle glorie dei primi anni novanta grazie a questo immenso personaggio, uno che la storia del genere continua a scriverla imperterrito, anche grazie a lavori come Entrance to the Otherwhere.

Non contento di regnare sul mercato underground del metal estremo di matrice death metal con le sue numerosissime uscite di band e progetti che lo vedono prortagonista ( Dead Sun, Down Among the Dead Men, Johansson & Speckmann, Megascavenger, Necrogod, Paganizer, Putrevore, Ribspreader, Grotesquery, tra le altre), Rogga Johansson torna con un nuovo album a suo nome, un altro bellissimo esempio di swedish death metal potentissimo e melodico.

L’album si intitola Entrance to the Otherwhere, segue di due anni il precedente Garpedans, e vede il musicista scandinavo alle prese con tutti gli strumenti, lasciando la sola batteria a Brynjar Helgetun dei Grotesquery.
Licenziato dalla Transcending Obscurity Records, il nuovo album conferma il talento compositivo di Johansson, non solo a livello quantitativo (vista la quantità di uscite che ogni anno lo riguardano), ma soprattutto per la qualità elevata che si evince da questa nuova raccolta di brani.
Pur mantenendo ben saldo il suo legame con il death classico, Entrance to the Otherwhere riesce nell’impresa di risultare un lavoro fresco, dalla forza espressiva dirompente e dalle melodie incastonate nel sound terremotante che ricordano non poco i primi Edge Of Sanity.
I riff dark/metal su cui sono strutturati gran parte dei brani di questo bellissimo lavoro, fanno da colonna sonora al magnifico artwork creato da Mariusz Lewandowski, un quadro di emozionante metal estremo che riporta il death metal scandinavo alle glorie dei primi anni novanta grazie a questo immenso personaggio, uno che la storia del genere continua a scriverla imperterrito, anche grazie a lavori come Entrance to the Otherwhere.
Anche se non c’è un solo un brano che scenda al di sotto dell’eccellenza, tracce come Tills Bergets Pulls, When The Otherwhere Open e la title track, sono una sorta di una lezione pratica di come si debba suonare il death metal scandinavo di stampo melodico.
Uno dei lavori più belli firmati da Rogga Johansson negli ultimi anni, e con questo ho detto tutto.

Tracklist
1.The Re-Emergers
2.Till bergets puls
3.When the Otherwhere Opens
4.Giants Walking at Night
5.As Evil Seeps Out
6.Berget vaknar
7.Entrance to the Otherwhere
8.A Journey into Fear
9.In the Grip of Garpedans

Line-up
Rogga Johansson – All music and lyrics
Session drums – Brynjar Helgetun (THE GROTESQUERY)

https://www.facebook.com/roggaofficial

Steignyr – Myths Through The Shadows Of Freedom

Un disco importante per il genere, decisamente dentro all’alveo celtico del folk metal, e una buona prova da parte di un gruppo che è una sicurezza e che è destinato a crescere ulteriormente.

Gruppo folk metal da Barcellona con grande esperienza alle spalle, gli Steignyr pubblicano l’ultima fatica su Art Gates Records.

Nata nel 2012, la band propone un folk metal molto influenzato dal mondo celtico, vicino al power metal e al thrash, con forti innesti di tastiere. La capacità compositiva porta a scrivere vere e proprie storie, canzoni che diventano fiabe e ci permettono di immergerci totalmente in un’epoca che non è la nostra. Myths Through The Shadows Of Freedom è un disco molto fedele al titolo, nel senso che racconta miti o meglio archetipi, persi nelle ombre della storia, ombre che confondono ciò che è mito e ciò che è invece reale e questo è il bello delle storie, la loro possibilità. Qui è bella anche la musica, un folk metal melodico e molto piacevole, che ti cattura dalle prime note e porta avanti un discorso stilistico certamente non inedito ma di indubbia efficacia. Il loro incedere piacerà sia a chi è un ortodosso del genere, e anche a chi si avvicina per la prima volta ad un genere come il folk metal che vi regalerà molte gioie se seguite i gruppi giusti, e gli Steignyr sono sicuramente fra loro. Il loro impasto sonoro è al servizio della narrazione, con momenti molto epici e di grande presa, con un gran lavoro delle tastiere di Hyrtharia che danno un tocco speciale al tutto. Il disco è da ascoltare tutto, come se fosse la lettura di un poema epico, un ricordare qualcosa che ha sempre fatto parte di noi e che questa maledetta modernità ha sopito per troppo tempo, soprattutto quel senso di meraviglia di fronte alle cose belle che l’uomo ha sempre avuto. Un disco importante per il genere, decisamente dentro all’alveo celtico del folk metal, e una buona prova da parte di un gruppo che è una sicurezza e che è destinato a crescere ulteriormente.

Tracklist
1. Salvation Through Divinity
2. Those Who Lie
3. Black Rain
4. Calling The Immortals
5. Frost Wolf
6. Moonlight Forest
7. Arrows Of Time
8. You’ll Never Be Forgotten
9. Light Beast
10. Whisper Calling
11. Frozen In Time
12. Myths Through The Shadows Of Freedom
13. The Seven Eyes Of God

Line-up
Jön thorgrimr – Vocals and guitar
Seimdar Fjolnir – Guitars
Lena – Keyboard and vocals
Hyrtharia – Bass and vocals
Zelther – Drums

https://www.facebook.com/Steignyr

Memoriam – Requiem For Mankind

Requiem For Mankind continua nella sua totale devozione al death metal di scuola britannica, ma l’album riesce a convincere grazie ad una freschezza che era mancata in passato.

Tornano Karl Willets ed i suoi Memoriam con il terzo lavoro in tre anni, sempre con i Bolt Thrower a fare da padrini, ma questa volta con molta più birra in corpo rispetto agli album precedenti (For The Fallen e The Silent Vigil, usciti rispettivamente nel 2016 e 2018).

Requiem For Mankind continua nella sua totale devozione al death metal di scuola britannica, ma l’album riesce a convincere grazie ad una freschezza che era mancata in passato.
Non solo una riproposizione stantia dei dettami dettati da Bolt Thrower e Benediction, ma la track list di quest’ultimo lavoro vive di puntate estreme di ottimo livello, tra rallentamenti, mid tempo e accelerazioni improvvise, dettate da un buon lavoro compositivo ed una ritrovata forma.
E non a caso si parla di Bolt Thrower e Benediction, le due band che, oltre a essere insieme ai Napalm death le colonne portanti del death metal anglosassone, sono la casa dei membri del gruppo dalla provenienza divisa tra la coppia di micidiali schiacciasassi inglesi.
Requiem For Mankind non deluderà i fans del death old school grazie ad una raccolta di brani dove terremoti ritmici e melodie metalliche si scagliano contro l’ascoltatore a colpi di cannonate estreme, le dieci tracce in programma non scherzano ad efficia e scorrevolezza, lasciando senza fiato per impatto, e non stancando neanche dopo ripetuti ascolti.
I musicisti, che di esperienza ne hanno da vendere, mostrano muscoli ed un’innata rabbia che si trasforma in violenza musicale tra le trame di brutali canzoni come l’opener Shell Shock, Never The Victim, il groove di The Veteran e la spettacolare title track.
Questa volta Karl Willets (Bolt Thrower), Scott Fairfax (Benediction), Frank Healey (Benediction) e Andy Whale (Bolt Thrower) hanno fatto le cose per benino e Requiem For Mankind, non deluderà gli amanti del death metal classico, potentissimo, terremotante e pericoloso come un cingolato impazzito.

Tracklist
1.Shell Shock
2.Undefeated
3.Never The Victim
4.Austerity Kills
5.In The Midst Of Desolation
6.Refuse To Be Led
7.The Veteran
8.Requiem For Mankind
9.Fixed Bayonets
10.Interment

Line-up
Karl Willets – Vocals
Scott Fairfax – Guitars
Frank Healey – Bass
Andy Whale – Drums

https://www.facebook.com/Memoriam2016/

Power From Hell – Profound Evil Presence

Profound Evil Presence è un rantolo di blasfemia proveniente dall’angolo più buio dell’inferno, un sound che, prendendo spunto dalla scuola di Venom, Possessed e Darkthrone, si rinvigorisce di un impatto thrash/black e travolge con la sua accentuata natura estrema.

Old School nel sound ed assolutamente anticristiani per quanto riguarda testi ed attitudine, i brasiliani Power From Hell tornano a portare il loro messaggio infernale sulla scena musicale mondiale.

Profound Evil Presence è un abominio black/thrash ispirato dalla scuola ottantiana, un lavoro che brucia, avvolto dalle fiamme dell’inferno.
I Power From Hell non sono certo un gruppo di novellini, perché la loro storia inizia all’alba del nuovo millennio e con quest’ultimo lavoro arrivano al sesto album della loro luciferina discografia.
Un’atmosfera catacombale, una produzione in linea con l’attitudine old school e un’anima devota alla fiamma nera nutrono questo nuovo lavoro, composto da undici brani estremi in cui satanismo, pornografia, blasfemia, terrore e morte trovano la loro colonna sonora.
Profound Evil Presence è un rantolo di blasfemia proveniente dall’angolo più buio dell’inferno, un sound che, prendendo spunto dalla scuola di Venom, Possessed e Darkthrone, si rinvigorisce di un impatto thrash/black e travolge con la sua accentuata natura estrema.

Tracklist
1. Nightmare
2. When Night Falls
3. False Puritan Philosophies
4. Lust, Sacrilege & Blood
5. Nocturnal Desire
6. Unholy Dimension
7. Lucy’s Curse
8. Diabolical Witchcraft
9. Into The Sabbath
10. Elizabeth Needs Blood
11. Demons Of The Night

Line-up
Sodomic – Guitars and Vocals
Tormentor – Bass
T. Splatter – Drums

https://www.facebook.com/OfficialPowerFromHell

Exm93 – Urban Far West

Urban Far West è una prova di black metal diretto e classico, con i testi in italiano che funzionano meglio di quelli in inglese, per un disco che parla di argomenti che nel black metal sono sempre stati trattati.

Ogni tanto la vita riserva delle piacevoli sorprese: ricordate i milanesi Mortuarium, gruppo di black metal attivo dal 1993 al 1998 ?

Se li ricordate, bene, sennò vi siete persi un bel gruppo di black metal, ma potete rimediare con gli Exm93, che sono proprio gli ex Mortuarium, (ri)formatisi nel 2001e ora fuori con il loro terzo disco sulla lunga distanza. Spesso sono stati accostati alla frangia nazista del black metal, in rete ci sono foto di loro che sono a braccio teso, e sono sempre stati un gruppo abbastanza discusso riguardo a quel motivo, ma loro sostengono di suonare metallo nero italiano e questo lo fanno molto bene. Dal punto di vista stilistico gli Exm93 esibiscono un black metal in stile prima e seconda ondata, molto semplice ma di grande effetto, e come trio funzionano davvero bene. Il loro approccio è un qualcosa che può piacere a chi è fanatico del black metal, ma anche a chi ci vi si avvicina e vuol sentire qualcosa di molto raw e con testi diretti. Ecco, i testi sono al cento per cento black metal e, senza fronzoli, parlano di sangue, combattimento e guerra a questa società. Politicamente non sono di sicuro corretti, ma il discorso del politicamente corretto è qualcosa di assai scivoloso, perché se questa è una democrazia allora siamo messi male, ma poi, la democrazia è il vero rimedio a tutto ?
Urban Far West è in definitiva una prova di black metal diretto e classico, con i testi in italiano che funzionano meglio di quelli in inglese, per un disco che parla di argomenti che nel black metal sono sempre stati trattati.
A livello personale, politicamente non condivido nulla di ciò che dicono gli Exm93, ma non sono nemmeno un giudice che deve decidere cosa dobbiate o non dobbiate sentire, per cui ascoltate il disco, leggete i testi e fatevi un’idea con la vostra testa, che è sempre la cosa migliore.

Tracklist
1. The Calling
2. Age of Illusion
3. Blood Calls Blood
4. Princeps Militiae Coelestis
5. EXM93 Regime
6. Wolves Warchant
7. Apribottiglie E Pistole
8. Shadows of Past
9. Army of Obscurity
10. Dead in Cross (The Forgotten King)
11. At the Hell’s Doo

Line-up
Umbra Lugubris – Vocals, Guitars
Eris – Bass
Malum Tenebris – Drums

https://www.facebook.com/EXM93-222168767836820/

Immortal Bird – Thrive On Neglect

Il quartetto è protagonista di un sound articolato, il metal estremo suonato su Thrive On Neglect risulta un mix di death, black e dissonanze sludge che formano una roboante ed intricata ragnatela metallica a cui si unisce un’anima progressiva.

Dall’underground estremo statunitense, tramite la 20 Buck Spin, arriva il secondo full lenght degli Immortal Bird, gruppo di Chicago attivo dal 2013 e con alle spalle il debutto Empress/Abscess, stampato cinque anni fa.

Il quartetto è protagonista di un sound articolato, il metal estremo suonato su Thrive On Neglect risulta un mix di death, black e dissonanze sludge che formano una roboante ed intricata ragnatela metallica a cui si unisce un’anima progressiva.
Sicuramente un lavoro non facile da assimilare, Thrive On Neglet, ha la virtù essenziale di non essere un’opera prolissa, in quanto gli Immortal Bird maneggiano la materia con cura e non perdono il filo strutturale dei brani risultando convincenti ad ogni passaggio.
Il sound passa da parti intricate ad altre dirette tra crescendo dissonanti e sludge, qualche accelerazione death/black e sfumature progressive, grazie ad un songwriting maturo e lontano dai soliti cliché estremi.
Aiutata da una buona tecnica la band statunitense da vita ad un lavoro coinvolgente, dove le ispirazioni e le influenze rimangono all’ombra di un sound che non lascia spazio a facili soluzioni, specie in brani di difficile lettura come Avolition e la conclusiva Stumbling Toward Catharsis.

Tracklist
1. Anger Breeds Contempt
2. House Of Anhedonia
3. Vestigial Warnings
4. Avolition
5. Solace In Dead Structures
6. Quisquilian Company
7. Stumbling Toward Catharsis

Line-up
Rae – Vocals
Nate – Guitar
Matt – Drums
John – Bass

https://www.facebook.com/immortalbirdband

Astral Doors – Worship Or Die

Worship Or Die mette ben in evidenza tutte le caratteristiche del suono Astral Doors, quindi difficilmente riuscirà ad entrare nelle grazie di chi ha sempre ignorato la band, ma di contro saprà come soddisfare i propri fans e gli amanti dei suoni classici di matrice britannica.

Ennesimo lavoro degno di nota per gli svedesi Astral Doors, arrivati con Worship Or Die al nono album di una carriera che ha portato loro, in termini di notorietà, meno di quello avrebbero meritato, in quanto sicuramente non originali ma dotati di un talento per l’hard & heavy che li ha portati negli anni ad essere considerati come una delle band più accreditate a prendere l’eredità di quel suono legato alla triade Rainbow/Dio/Black Sabbath (era Dio/Martin), oggi saldamente in mano a Jorn Lande.

I primi anni per il gruppo guidato dalla carismatica voce del cantante Nils Patrik Johansson, avevano fatto gridare al miracolo più di un addetto ai lavori, grazie ad una serie di album bellissimi come Of the Son and the Father e Evil Is Forever, spuntati sul mercato nei primi anni del nuovo secolo e che mettevano in luce un gruppo che andava oltre ai suoni power e seguiva le orme del leggendario heavy rock britannico riletto in chiave più potente e metallica.
Il nono album degli Astral Doors non delude chi ne ha seguito le sorti, essendo melodico e diretto come già gli ultimi lavori: si parte con una coppia di brani spettacolari come Night Of The Hunter e This Must Be Paradise, le coordinate stilistiche non cambiano di una virgola, piuttosto le atmosfere tendono a dilatarsi di meno rispetto ai primi lavori e l’ascolto ne giova grazie ad una serie di tracce che cercano fin da subito appeal ed immediatezza.
Ne esce un album che ha ben in evidenza tutte le caratteristiche del suono Astral Doors, quindi difficilmente riuscirà ad entrare nelle grazie di chi ha sempre ignorato la band, ma di contro saprà come soddisfare i propri fans e gli amanti dei suoni classici di matrice britannica.

Tracklist
01. Night Of The Hunter
02. This Must Be Paradise
03. Worship Or Die
04. Concrete Heart
05. Marathon
06. Desperado
07. Ride The Clouds
08. Light At The End Of The Tunnel
09. St. Petersburg
10. Triumph And Superiority
11. Let The Fire Burn
12. Forgive Me Father

Line-up
Nils Patrik Johansson – Vocals
Joachim Nordlund – Guitars
Mats Gesar – Guitars
Jocke Roberg – Keyboards
Ulf Lagerstroem – Bass
Johan Lindstedt – Drums

https://www.facebook.com/Astraldoorssweden/