Nadir – The Sixth Extinction

The Sixth Extinction si rivela opera di una band di sicuro spessore, composta da musicisti che hanno sempre sotto controllo lo sviluppo del sound, spesso sufficientemente accattivante e melodicamente mai scontato.

Nonostante si tratti di una band attiva da oltre un decennio, e addirittura dal secolo scorso se consideriamo la sua precedente incarnazione denominata Dark Souls, gli ungheresi Nadir credo proprio che siano degli emeriti sconosciuti dalle nostre parti.

Forse la loro particolare forma di death doom contaminato da pulsioni sludge e metalcore non rappresenterà qualcosa di epocale, ma non merita certamente d’essere del tutto ignorato.
Infatti, The Sixth Extinction, che è il settimo full length uscito con l’attuale monicker, si rivela fin da subito l’opera di una band di sicuro spessore, composta da musicisti che hanno sempre sotto controllo lo sviluppo del sound, spesso sufficientemente accattivante e melodicamente mai scontato, come dimostra per esempio una traccia magistrale come Fragmented, capace di segnare in maniera importante la prima parte del lavoro.
Dico questo perché, subito dopo la massiccia Mountains Mourn, prende vita la trilogia Ice Age in the Immediate Future (ispirata dal dramma The Tragedy of Man, composto dallo scrittore magiaro Imre Madach a metà dell’800) che sposta le coordinate del sound verso un qualcosa di più elaborato, anche se l’impronta catchy del sound dei Nadir non viene mai meno, con addirittura la terza parte, A Matter of Survival, che assume ritmi decisamente incalzanti prima di piombare poco dopo metà brano in un rallentato e distorto incedere.
Il bellissimo strumentale Les Ruines, infine, esibisce in modo esplicito le qualità compositive di questa ottima band, che mette in scena una traccia conclusiva solenne ed evocativa allo stesso tempo, grazie ad una splendida melodia chitarristica che stempera in più parti il rumorismo sui cui si appoggia un recitato in lingua francese.
Considerando anche che The Sixth Extinction, un lavoro ricco di intuizioni che non risultano troppo diluite all’interno di una durata di poco superiore alla mezz’ora, è collegato concettualmente al suo predecessore Ventum Iam ad Finem Est, potrebbe valere la pena di approfondire la conoscenza con questa band foriera di un’interpretazione del death doom sicuramente non banale.

Tracklist:
1. The Human Predator
2. The Debris Archipelago
3. Fragmented
4. Along Came Disruption
5. Mountains Mourn
6. Ice Age in the Immediate Future: I. Arctic
7. Ice Age in the Immediate Future: II. To Leave It All Behind
8. Ice Age in the Immediate Future: III. A Matter of Survival
9. Les Ruines

Line-up:
Viktor Tauszik – Vocals
Norbert Czetvitz – Guitars
Hugó Köves – Guitars
Ferenc Gál – Bass
Szabolcs Fekete – Drums

NADIR – Facebook

Oracle – Into The Unknown

Secondo album e bersaglio centrato per gli Oracle, anche perché non si accontentano di tributare il death, ma lo valorizzano con ripartenze al limite del black e mid tempo dal piglio moderno e più in linea con la tradizione statunitense.

Iniziamo col dire, a scanso di equivoci, che questo lavoro è un bellissimo esempio di death metal melodico, duro, estremo ed attraversato da una oscura vena melodica che ormai si fatica ad ascoltare di questi tempi.

Ne sono autori gli Oracle, band proveniente dall’Alabama, terra distante dalla patria di queste sonorità, eppure in questo Into The Unknown si respira l’aria intimista dei migliori act scandinavi che del genere sono inventori e maestri.
Secondo album per loro e bersaglio centrato, quindi, anche perché non si accontentano di tributare il death, ma lo valorizzano con ripartenze al limite del black e mid tempo dal piglio moderno e più in linea con la tradizione statunitense.
Ne esce un album interessante e, se non originale in assoluto, almeno personale e nobilitato da splendide melodie oscure e drammatiche: classico lavoro arrivato troppo tardi per finire sulla playlist di fine anno (è uscito infatti nel 2017),  Into The Unknown si compone di dodici brani per un’ora scarsa di metal estremo, potente, melodico e progressivo, suonato e prodotto a meraviglia, anche se in regime di autoproduzione.
Il quartetto non impiega poi molto ad inchiodare l’ascoltatore al muro con una serie di tracce che non scendono sotto la soglia dell’eccellenza, una serie di emozionanti passaggi tra death metal, black e progressive che si passano il testimone lasciando senza fiato per intensità e songwriting.
Livello tecnico sopra le righe al servizio di brani che, fin dall’opener Caressed By The Hands Of Fate è un susseguirsi di saliscendi che ricordano i Dark Tranquillity e gli Opeth, per poi tornare in America ed avvicinarsi ai Lamb Of God.
Drafted, Why e poi tutte le altre perle di questo album vi porteranno nell’universo degli Oracle per poi cancellare la strada del ritorno e lasciarvi a vagare nel buio profondo alla ricerca di una via per poter tornare.

Tracklist
1.Caressed by the Hands of Fate
2.The Liquid Answer
3.Into the Unknown
4.From Blue to Black
5.1012
6.One by One
7.Drafted
8.Behind Closed Eyes
9.Why
10.A Breathless October
11.Becoming Nemesis
12.As the Worm Turns

Line-up
Ray Ozinga – Bass
BG Watson – Drums
Trey Ozinga – Guitars
Jason Long – Vocals

ORACLE – Facebook

Ayat – Carry On, Carrion!

Dieci pallottole che deflagrano in faccia a chiunque abbia il coraggio di avvicinarsi a questo disco, frenetico, viscerale, urgente, incompromissorio.

Dieci pallottole che deflagrano in faccia a chiunque abbia il coraggio di avvicinarsi a questo disco, frenetico, viscerale, urgente, incompromissorio: Ayat proviene dal Libano, terra instabile, è un duo che proclama di suonare “bulldozer heavy metal” e lo fa con una ferocia senza pari generando brani che si nutrono di black, grind, death con una attitudine punk-hardcore molto pronunciata.

Sono arrivati dopo nove anni a produrre il loro secondo album per la statunitense Moribund Records e il carico d’odio è rimasto invariato, loro rimangono contro ogni “religious establishment” compreso l’Islam e contro il genere umano in genere. La musica è potente, non da un attimo di respiro, è furiosa, i riff si inseguono su blast beat incessanti, che si impastano con le vocals in scream aspre, vomitate che talvolta rallentano in parti salmodiate ancora più sinistre. Brani lunghi che fanno della violenza il loro credo dove si corre a rotta di collo senza soluzione di continuità, qualche rallentamento in verità molto raro, titoli esplicativi e indicativi della rabbia viscerale che scorre nel sangue dei due musicisti. Già dall’opener Raw Power  le carte si svelano e si rimane inebetiti di fronte alla decisione e alla potenza di fuoco dei musicisti; il disco prosegue deciso erogando energia distruttrice e annichilente (I Think I Killed Her, Aysha, Closure Is Boring). Nel quinto brano i toni, pur rimanendo tesissimi, diventano più cadenzati e aprono al “piece de resistence” di Jerusalem, di quasi sedici minuti, diviso in due parti, dove nella prima su una base musicale lenta e quasi marziale sono introdotti samples di vari commentatori statunitensi sull’Islam, su Israele e Palestina, mentre la seconda parte rappresenta la risposta della band a tutti questi commenti e qui i toni tornano a infiammarsi: una volta di più la rabbia e l’odio prendono il sopravvento, spazzando qualsiasi minimo residuo di umanità. In definitiva un concentrato di tensione e violenza per una band come Ayat (in arabo segno o miracolo) che rende la propria arte una ragione di vita.

Tracklist
1. Raw War (Beirut Unveils Her Pussy Once More)
2. Every Time a Child Says “I Don’t Believe in Allah” There Is a Little Allah Somewhere That Falls Down Dead
3. I Think I Killed Her
4. Aisha
5. Fever in Tangiers, or to William
6. Closure Is Boring
7. The Pig Who Had Miraculously Been Spared Decomposition
8. Jerusalem I
9. Jerusalem II
10. The First Art of Arrogance, Part II (The Apocalypse Is but an Ejaculation)

Line-up
Reverend Filthy Fuck – Vocals
Mullah Sadogoat – Guitars, Bass

AYAT – Facebook

Abigor – Höllenzwang (Chronicles of Perdition)

Gli Abigor pubblicano un lavoro molto ben composto e musicalmente vario, con canzoni dalla struttura vicina alle composizioni jazz, dove non si sa mai cosa ci sia dopo la prossima nota, ed è quello che piace a chi vuole che la musica sia scoperta e non assuefazione.

Violento ritorno degli Abigor, uno dei gruppi di punta della scena black metal austriaca e non solo.

Il gruppo è attivo dal 1993, e ha sempre avuto forte peculiarità all’interno della già variegata scena del metallo nero. Höllenzwang (Chronicles of Perdition) è un disco che ribadisce in maniera molto chiara cosa sia la materia per loro. Le chitarre, che sono sempre state uno dei punti di forza del gruppo, dettano le linee melodiche davvero prepotenti ed inusuali. Il duo austriaco disegna un black metal potente e mai conforme, cercando sempre la soluzione migliore e che possa far avanzare l’ascoltatore nella comprensione del black metal. Le vie del black metal possono e devono essere molteplici, e questa è una delle migliori. Le uscite della Avantgarde Muisic non sono mai banali, riescono sempre a cogliere nel segno. Gli Abigor pubblicano un lavoro molto ben composto e musicalmente vario, con canzoni dalla struttura vicina alle composizioni jazz, dove non si sa mai cosa ci sia dopo la prossima nota, ed è quello che piace a chi vuole che la musica sia scoperta e non assuefazione. Rimane molto poderosa la parte oscura, perché questa è musica pesante, figlia delle tenebre e per menti tenebrose, però non per menti ottenebrate che ascoltano ogni cosa venga loro propinata. In definitiva questo lavoro tiene strettamente fede a ciò che afferma a partire dal titolo, questa è la cronaca della perdizione, ed è dolce perdersi in questo pandemonio sonoro, debitore della scena black metal austriaca, per certi versi molto innovatrice e garanzia di qualità. I pezzi sono complessivamente di ampio respiro e la produzione fa rendere al meglio il tutto.

Tracklist
1. All Hail Darkness And Evil
2. Sword Of Silence
3. Our Lord´s Arrival – Black Death Sathanas
4. None Before Him
5. The Cold Breath Of Satan
6. Olden Days
7. Hymn To The Flaming Void
8. Christ´s Descent Into Hell
9. Ancient Fog Of Evil

Line-up
TT.
PK.

ABIGOR – Facebook

Rasgo – Ecos Da Selva Urbana

Ecos Da Selva Urbana sorprende ed attacca al muro, essendo un album veloce e violento, caratterizzato da un impatto irresistibile nel suo mantenere la natura thrash metal ricamandola di sfumature alternative, tanto da rispolverare l’ormai vecchio idioma crossover abusato negli anni novanta.

Ecco il classico album che senza tanti giri di parole sorprende ed attacca al muro, essendo veloce e violento, caratterizzato da un impatto irresistibile nel suo mantenere la natura thrash metal ricamandola di sfumature alternative, tanto da rispolverare l’ormai vecchio idioma crossover abusato negli anni novanta.

Ne sono autori  i portoghesi Rasgo, nati quattro anni fa e oggi all’esordio con questa mazzata nei denti intitolata Ecos Da Selva Urbana, album composto da dieci brani che sono fiale di nitroglicerina fatte esplodere tramite un metal alternativo che, strutturato su un thrash metal veloce ed impatto, si anima con violente scariche hardcore e punk, alimentati da un’attitudine alternative che ne fanno un gioiellino metallico, con l’unica colpa di essere uscito con almeno vent’anni di ritardo.
Poco male, noi ce lo godiamo nel suo essere spregiudicato, estremo e ignorante, cantato in lingua madre, quindi ancorato all’underground senza possibilità di affiorare in superficie.
Ci facciamo quindi travolgere dai Rasgo e dalla loro carica metallica, un fiume in piena che raccoglie svariati input da più di una scena ma che, per quasi tutta la sua durata, dalla title track che funge da opener, passando per Propaganda Suicida, Vulgo Vulto e A Besta, inchioda al muro senza pietà tra Anthrax, Death Angel e Suicidal Tendencies, suonato e vissuto da musicisti dall’esperienza consolidata nella scena underground del loro paese.
Ecos Da Selva Urbana vi lascerà senza fiato, dovrete correre per non essere falciati dalle note sparate dal mitragliatore Rasgo.

Tracklist
1.Ecos da Selva Urbana
2.Homens ao Mar
3.Propaganda Suicida
4.Faca Romba
5.Vulgo Vulto
6.O Líder
7.Ergue a Foice
8.A Besta
9.Existe
10.Cão da Morte (Mão Morta)

Line-up
Filipe Sousa – Bass
Ricardo Rações – Drums
Rui Costa – Guitars
Pedro Ataíde – Guitars
Paulo Gonçalves – Vocals

RASGO – Facebook

Lihhamon – Doctrine

Utile riedizione in vinile dell’esordio su lunga distanza dei tedeschi Lihhamon.

Se a qualcuno non fosse chiaro il concetto di metal estremo direi che questo album d’esordio dei Lihhamon dovrebbe risultare piuttosto esaustivo.

Il trio di Lipsia ha seguito un trafila inversa rispetto al solito, partendo subito con un full length, appunto Doctrine nel 2016) facendolo seguire da un demo e da uno split con i concittadini II; l’album è stato poi riedito in vinile dalla Nuclear War Now!, essendo stato sicuramente rinvenuto dalla label statunitense qualcosa di rispondente alla propria ragione sociale nel sound ivi contenuto.
Quello dei Lihhamon è un brutal death black che non lascia alcuno scampo se non nei quattro frammenti ambient/strumentali che accompagnano la altre sei impietose tracce, per lo più impostate su ritmiche parossistiche ma inframmezzate da rari quanto efficaci rallentamenti: nulla di inedito, questo è evidente, ma la proposta convince abbastanza perché si percepisce un’urgenza espressiva che fa intuire come nell’ex Germania Est post riunificazione ci sia ancora diversa rabbia da smaltire, e la maniera scelta dalla band è senz’altro ideale e soprattutto indolore (salvo che per le orecchie più delicate)
Death Or Torment è l’ultima mitragliata offerta dal disco ed è un dilemma al quale è meglio non trovarsi a dover dare risposta, ma nel dubbio una soluzione ce la forniscono i Lihhamon, radendo tutto al suolo senza troppe remore o scrupoli di sorta.

Tracklist:
Side A
1. Decimation
2. Genocide Crusade
3. Throne of Eradication
4. Splendour
5. Hostes
Side B
6. Ironsides
7. Coronation
8. Cadaver Synod
9. Death or Torment
10. Triumph

Line-up:
A. Drums, Vocals
M. Guitars, Vocals
F. Bass, Vocals

LIHHAMON – Facebook

Whipstriker – Merciless Artillery

Merciless Artillery nel genere ha un suo perché, l’attitudine e l’impatto sono perfetti per risultare credibili nei confronti dei fans duri e puri, rimanendo però un’opera ad esclusiva loro e di pochi altri.

Gi Whipstriker sono una band che abbonda di uscite tra split ed ep e che arriva al quarto full length in carriera, iniziata nel 2010 nella lontana terra brasiliana, sporcata di sangue dal loro speed thrash.

Ne avevamo già parlato a suo tempo in occasione dell’uscita della compilation Seven Inches Of Hell, che racchiudeva brani tratti dai primi lavori del gruppo.
Merciless Artillery non cambia di una virgola la proposta del gruppo brasiliano e non potrebbe essere altrimenti visto il genere suonato: metal estremo rigorosamente old school, produzione da cassette in puro stile underground e partenza a manetta per non fermarsi più, in una corsa pericolosa su bolidi metallici come la title track, Rape Of Freedom e Soldier Of Sodom.
Il sound è quindi di matrice ottantiana, segnato da un’indole estrema, guerresca e luciferina in un tributo a Venom, Slayer, Sodom e compagnia; Merciless Artillery nel genere ha un suo perché, l’attitudine e l’impatto sono perfetti per risultare credibili ai fans duri e puri, rimanendo un’opera ad esclusiva loro e di pochi altri, ma per gli Whipstriker non credo sia un problema.

Tracklist
1.Merciless Artillery
2.Rape of Freedom
3.Calm After Destruction
4.Mantas´Black Mass
5.Soldier of Sodom
6.Warspell
7.Enemies Leather
8.Bestial Hurricane

Line-up
Whipstriker – Bass, Vocals

WHIPSTRIKER – Facebook

Wolf Counsel – Age Of Madness / Reign Of Chaos

Gli svizzeri Wolf Counsel approdano con Age Of Madness / Reign Of Chaos al loro terzo full length che giunge rispettando una cadenza pressoché annuale.

Appunto nel 2016 (Age Of Madness / Reign Of Chaos è uscito nello scorso mese di novembre) avevamo affrontato il precedente album Ironclad, traendo l’impressione che il gruppo elvetico interpretasse il doom metal suo versante più classico in maniera più che dignitosa ma senza particolari guizzi.
Il raffronto con il nuovo lavoro ci mostra una band dalle coordinate immutate ma con un songwriting più incisivo, pur se sempre fedele ai modelli più comuni del genere: la voce del leader Ralf W. Garcia resta sempre un po’ piatta nella sua ispirazione osbourniana, ma appare maggiormente asservita ad uno sviluppo musicale capace di catturare più efficacemente l’attenzione.
Infatti, disseminati nell’album tra sonorità devote ai campioni del classici doom ottantiani troviamo notevoli progressioni chitarristiche (una fra tutte quella di Semper Occultus) che sono un po’ il contraltare dell’andamento indolente e venato di psichedelia della successiva title track.
Nel complesso restiamo sempre nel gruppo di rincalzo del genere ma con qualche freccia un più per trovare un qualche spazio in un ambito nel quale, comunque, gli appassionati sono sempre ben disposti a ripagare la dedizione alla causa di musicisti esperti e competenti come quelli che fanno parte dei Wolf Counsel.

Tracklist:
01. WolvenEarth
2. Semper Occultus
3. Age Of Madness/Reign Of Chaos
4. O’Death
5. Eternal Solitude
6. Coffin Nails
7. Remembrance

Line-up:
Ralf W. Garcia – Bass/Vocals
Reto Crola – Drums
Andreas Reinhart – Guitars
Ralph Huber – Guitars

WOLF COIUNSEL – Facebook

Throaat – Reflections in Darkness

Reflections in Darkness si rivela una sorta di bignamino del metal estremo, redatto con buona cura e indubbia competenza tanto da lasciare solo impressioni positive, per quanto su tratti di un’opera che ben difficilmente verrà ricordata bei secoli dei secoli .

Reflections in Darkness è l’esordio su lunga distanza dei Throaat, band statunitense attiva da qualche anno e messasi in mostra fino ad oggi tramite una manciata di ep e split album.

I nostri rappresentano alla perfezione ciò che si intende per suonare metal senza fronzoli: partendo da una base black il sound si arricchisce di volta in volta di elementi thrash, sfumature death e rallentamenti di stampo doom
Insomma, Reflections in Darkness si rivela una sorta di bignamino del metal estremo, redatto con buona cura e indubbia competenza tanto da lasciare solo impressioni positive, per quanto su tratti di un’opera che ben difficilmente verrà ricordata bei secoli dei secoli .
Fa sempre piacere comunque trovare band che, senza troppi proclami né pretese, offrono lavori convincenti e comunque non banali o monocordi, visto che i ritmi cambiano sovente anche all’interno dei singoli brani restando sempre ben incatenati alle pulsioni più oscure e corrosive del metal.
Essendo New York la residenza ufficiale del duo, qualche venatura proveniente da Carnivore/ primi Type 0 Negative talvolta affiora ma, effettivamente le band storiche che concorrono a formare lo stile dei Throaat sono tali e tante che, alla fine, è difficile individuarne una prevalente; questo è un bene perché depone a favore della capacità della band di rielaborare la materia con notevole proprietà riuscendo a renderla in più di un passaggio piuttosto accattivante.
Detto ciò, il meglio i Throaat lo offrono quando decidono di viaggiare al massimo della velocità consentita, quindi Burning the Ice, The Light, Tormentia e Impaler’s Night lasciano un discreto segno, scuotendo il giusto anche l’ascoltatore più distratto e lasciando in fin dei conti un’impressione piuttosto positiva.

Tracklist:
1. Burning the Ice
2. The Light
3. The Crypt
4. Radiation
5. Alive Inside of the Pentagram
6. The Bells of Newcastle upon Tyne
7. Tormentia
8. Tormentia II
9. Impaler’s Night

Line-up:
Impurifier Vilethroaat – Drums, Keyboards, Vocals
Revelation of Doom – Guitars

THROAAT – Facebook

Tony Tears – Demons Crawl At Your Side

Un lungo monologo dell’orrore integrato da camei presi da opere cinematografiche e che, come da tradizione nella musica proposta da Tony Tears, alterna dark metal, elettronica e parti progressive dettate da tasti d’avorio che creano sfumature di inquietante musica dannata.

Torna il polistrumentista genovese Tony Tears con una nuova opera che segue di circa tre anni il precedente Follow The Signs Of The Time.

Demons Crawl At Your Side è un altra sinfonia dell’orrore targata Tony Tears, un musicista che ha contribuito in modo importante al metal/rock underground dalle tinte dark progressive con le tante collaborazioni illustri e le sue partecipazioni a progetti e tributi.
Aiutato dalla stessa formazione che lavorò sull’album precedente, e quindi composta da Regen Graves (batteria, basso – Abysmal Grief), David Krieg (voce – Soul of Enoch) e Sandra Silver (voce – ex Paul Chain), Tony Tears ci fa dono di un altra colonna sonora per i nostri incubi, tra possessioni e profondo terrore in un’atmosfera penetrante come la nebbia demoniaca che entra in noi e diabolicamente ci possiede.
Demons Crawl At Your Side è un lungo monologo dell’orrore, integrato da camei presi da opere cinematografiche e che, come da tradizione nella musica proposta da Tony Tears, alterna dark metal, elettronica e parti progressive dettate da tasti d’avorio che creano sfumature di inquietante musica dannata.
Tony Tears è un sacerdote diabolico che racconta il mondo dell’orrore attraverso una musica totale, legata da un filo invisibile alla cultura musicale e cinematografica del genere sviluppatasi in Italia negli anni settanta e ottanta (ottenendo poi uno status di culto anche a livello internazionale) che ha influenzato inevitabilmente generazioni di sceneggiatori, scrittori e musicisti.
Goblin, Death SS, The Black, Paul Chain, Black Hole sono gli artisti che più si avvicinano concettualmente all’esperienza sonora di Tony Tears che, ricordo, ormai da quasi trent’anni è dedito alla creazione di musica influenzata dalle proprie visioni spirituali, quindi profondamente personali ed uniche.
L’album viene licenziato dalla storica label Minotauro Records, in formato cd, ed in vinile dalla Blood Rock Records, un’opera che non può mancare nella discografia degli amanti del rock nero come la pece.

Tracklist
01. Psychic Exorcism
02. In Lilith’s Day
03. The Beast Inside The Beast
04. Fury Of Baphomet
05. Predication
06. Archangel Warrior
07. The Thin Shroud Of Moloch
08. Demon Always Stands At The Darkness Of Fear
09. Eternal Conflict

Line-up
Regen Graves – Drums
David Krieg – Vocals
Tony Tears – Guitars, Keyboards
Sandra Silver – Vocals

TONY TEARS – Facebook

Infection Code – Dissenso

Ogni minuto di questo disco è stato composto, lavorato e pensato per cancellare la forza della matrice che governa le nostre vite

Arriva un nuovo capitolo della vitale lotta del rumore nelle nostre vite, tornano gli Infection Code.

Il gruppo piemontese sforna il nuovo disco di una lunga carriera, ed è il suo episodio migliore, una gemma oscura che sanguina e mette molto in chiaro la nostra situazione, per chi non la volesse ancora vedere per quella che è. Portando avanti la politica, perché la loro musica  è un atto politico cominciato con il precedente La Dittatura del Rumore, gli Infection Code con Dissenso tentano di rompere la sacca di liquido amniotico ed amnesiaco che circonda le nostre vite. I testi del cantante Gabriele Oltracqua sono incisivi, scritti con il rasoio di Occam e rendono benissimo il riverbero fastidioso della distopia nella quale viviamo. La musica raggiunge il punto più alto della loro carriera, andando a toccare molti aspetti che nell’altro disco erano in nuce e che qui si esplicano completamente. Non ci sono generi ma una complessa commistione di elementi che combaciano perfettamente, tra metal, elettronica, un industrial di lotta e tanto altro. Il riferimento forse più vicino potrebbero essere i Killing Joke, anche per quanto riguarda la parte concettuale, ma invece è tutto Infection Code. Forte rimane la radice hardcore punk del loro suono, poiché questa è un’evoluzione della lotta, e soprattutto nei testi troviamo un iperrealismo molto accentuato, tra citazioni di Aldo Moro e molto altro. Dissenso è un disco che parla di tante cose, ma fondamentalmente è una richiesta di aprire gli occhi, di buttarsi nel rumore per potersi pulire dalla merda che abbiamo attorno e dentro di noi. Ogni minuto di questo disco è stato composto, lavorato e pensato per cancellare la forza della matrice che governa le nostre vite. I musicisti che compongo gli Infection Code possiedono una grande tecnica, ma soprattutto funzionano molto bene quando sono assieme, come se fossero quattro inneschi per l’incendio perfetto, quello che non si può spegnere. Come non si può silenziare il rumore, solo noi possiamo non volerlo sentire. Splendida, come al solito, e molto calzante la copertina ed il retro copertina ad opera di Marco Castagnetto.

Tracklist
01. Santa Mattanza
02.Costretti a Sanguinare
03. Macerie
04. Dssn
05. In Assoluto Silenzio
06. Ad Nauseam
07. Strategie
08. Sentenza

Line-up
Enrico – Bass & Keyboards
Gabriele – Voices
Riki – Drums
Paolo – Guitars

INFECTION CODE – Facebook

Legion Of Wolves – Bringers Of The Dark Sleep

Esordio sulla lunga distanza per i Legions Of Wolves che, con Bringers Of The dark Sleep, confezionano un lavoro rivolto agli amanti del death metal old school di scuola europea.

Nati dalle ceneri degli Abaddon Incarnate nel 2009, arrivano all’esordio sulla lunga distanza i deathsters irlandesi Legion Of Wolves, fino ad ora sul mercato underground con solo due demo.

La Metal Scrap si è presa cura di questo massiccio esempio di death old school dal titolo Bringers of the Dark Sleep, un monolite pesantissimo di metal estremo oscuro e guerresco, in linea con il genere suonato in Europa nella prima metà degli anni novanta.
Pregno di mid tempo dall’incedere epico e distruttivo, l’album ha il pregio di seguire le linee tracciate a suo tempo da Bolt Thrower ed Asphyx, mentre il difetto maggiore è una staticità di fondo che non permette all’opera di decollare come promesso dalle prime battute.
Infatti, dopo le prime tre devastanti tracce (la title track, You Shall Know e Grond), la band non va oltre il compitino, perfetto per rompersi la testa in headbanging dettati dal clima battagliero che avvolge il lavoro ma nulla più.
Buona la produzione, assolutamente sul pezzo per attitudine ed impatto la band, ma ancora da migliorare il songwriting, così che Bringers Of The Dark Sleep risulta un album da consigliare con le dovute precauzioni solo ai fans del death metal old school di scuola europea.

Tracklist
1.Bringers of the Dark Sleep
2.You Shall Know
3.Grond (Hammer of the Underworld)
4.Brothers of Fury and Iron
5.Plague of the Immortal
6.Forged in Fire and Combat
7.Summoning the Elite
8.Sorrow Made Madness
9.Obsidian
10.Heavy Mass of Murder

Line-up
Hans – Bass
Jason Connolly – Drums
Arkadiusz Kupiszowski – Guitars
Annatar – Guitars
Chris – Vocals

LEGION OF WOLVES – Facebook

Sâmbăta Morților – Sâmbăta Morților II

Complessivamente l’opera non è male e mette in mostra una buon dinamismo compositivo volto a ricercare sonorità che coniughino melodie ed asprezze con buona fluidità, ma per ora quello che manca è proprio un indirizzo più preciso.

Sâmbăta Morților è il nome di questa one man band di Ploiesti, città che non è nota per produrre un numero considerevole di band metal, pur essendo la scena rumena piuttosto fiorente in tal senso negli ultimi tempi.

Il monicker prende spunto dall’omonima ricorrenza della religione cristiano ortodossa che, in qualche modo, è l’equivalente del 2 novembre cattolico (Sâmbăta Morților significa infatti “il sabato dei morti”).
Nonostante questa lugubre premessa il sound del progetto creato da Mihai Iorgu non è poi così catacombale, piazzandosi a metà strada tra death e black con pulsioni sinfonico progressive: Sâmbăta Morților II è il secondo ep uscito alla fine dello scorso anno nel quale, per l’occasione, sono stati inseriti come bonus track i tre brani che facevano parte dell’omonimo ep di esordio.
Complessivamente l’opera non è male e mette in mostra una buon dinamismo compositivo volto a ricercare sonorità che coniughino melodie ed asprezze con buona fluidità, ma per ora quello che manca è proprio un indirizzo più preciso, anche se il buon Mihai sembrerebbe essere sulla giusta strada visto che i brani nuovi appaiono leggermente superiori rispetto a quelli più datati, con l’attenzione da puntare sull’ottima Endless Seeking, dai ritmi intensi e coinvolgenti ben condotti da chitarra e tastiere.
Bello anche lo strumentale Mortal Thoughts, che suggerirebbe forse una maggiore propensione in futuro per il lato atmosferico del black death, anche perché, almeno per ora, quella dei Sâmbăta Morților sembra essere un’idea stilistica ancora in divenire e della quale sarà possibile ottenere qualche coordinata più precisa allorché verrà pubblicato il primo full length attualmente in lavorazione.

Tracklist:
1. Pendulum of Madnes
2. Lost” –
3. Endless Seeking
4. Mortal Thoughts
5. Demon of Depression
6. Apocryphal Reality
7. Immortal Thoughts

Line-up:
Mihai Iorgu – composer, lyricist, vocals, bass, guitars, programming
Ionuț Nedelcu – guitars (recording session)
Marcel Coman – guitars (recording session)

Sâmbăta Morților – Facebook

Hautajaisyö – Matkalla kohti hautaa

Con un death/thrash metal oscuro, rigorosamente cantato in lingua madre, pregno di quella misantropica melanconia tipica dei gruppi nordici, la band non manca di deliziare gli ascoltatori con una decina di brani che uniscono pesantezza sonora tipica del death a ripartenze thrash

L’underground estremo proveniente dal nord Europa continua a regalare gioiellini metallici molto interessanti, anche ora che i riflettori si sono spenti sulle scene di Finlandia, Svezia e Norvegia e gli artisti sopravvissuti hanno raggiunto la fama internazionale, lasciando al sottobosco delle varie città il meglio che la musica di quelle parti può offrire.

Scavando in profondità ci troviamo molto spesso innanzi ad ottime band come i finlandesi Hautajaisyö, quintetto attivo da una manciata d’anni e arrivato al secondo full length tramite la Inverse Records.
Con un death/thrash metal oscuro, rigorosamente cantato in lingua madre, pregno di quella misantropica melanconia tipica dei gruppi nordici, la band non manca di deliziare gli ascoltatori con una decina di brani che uniscono pesantezza sonora tipica del death a ripartenze thrash, valorizzate da ritmiche schiacciasassi e assoli melodici che prendono spunto dal metal a tinte dark di band storiche come i Sentenced prima maniera.
Ne esce un album a tratti davvero bello ed intenso: i cinque musicisti finnici prendono per mano la morte (semplice ma bellissima la copertina) e con lei passeggiano al ritmo metallico di perle oscure come Jos voisin silmäni ummistaa o Unohdetut, lasciando al riff heavy della conclusiva Vain tuhkasi sinusta muistuttaa la palma di miglior brano del lotto, estremo, heavy e al tempo stesso pervaso da una melodia oscura, intimista e dark che ne fa un brano molto suggestivo nella sua natura diretta.
Il cantato in growl avvicina maggiormente il sound al death metal, anche se l’anima thrash esce rabbiosa e devastante (Tunteeton), insieme ad un talento per le melodie dark che piacerà non poco anche a chi ama il death metal melodico.
Matkalla kohti hautaa merita senza dubbio l’attenzione di chi non si ferma ai soliti nomi, cercando sempre qualcosa di nuovo in un mondo estremo che ha ancora molto da dare.

Tracklist
1.Intro
2.Tunteeton
3.Väsynyt kuolemaan
4.Matkalla kohti hautaa
5.Jos voisin silmäni ummistaa
6.Minut pelastakaa
7.Lähdön hetki
8.Kuolleena haudattu
9.Unohdetut
10.Vain tuhkasi sinusta muistuttaa

Line-up
J. Partanen – Vocals
S. Lustig – Guitars
V. Moisanen – Guitars
S. Pesonen – Bass
T. Roth – Drums

Hautajaisyö – Facebook

Galvanizer – Sanguine Vigil

Prodotto dalla band che conferisce un’atmosfera old school, oppressiva e soffocante, l’album alterna veri attimi di distruzione sonora a rallentamenti classici del death metal vecchia scuola per poi sorprendere con riff melodici di scuola nord europea.

Non è poi così scontato trovare band provenienti dalla Finlandia che al death metal aggiungono ancor più devastanti iniezioni grindcore.

Il nome della terra dei mille laghi è quasi sempre sinonimo di death metal melanconico, progressivo e old school, ma nell’underground più torbido e marcio vivono realtà spaventosamente estreme come i Galvanizer, trio di abominevoli musicisti dal sound feroce e distruttivo.
Putrido come una cantina dove vengono buttati i resti delle vittime di un serial killer, Sanguine Vigil è il primo full length, successore di due demo ed un ep licenziati in cinque anni di vita artistica, una mezz’ora di oscuro e mostruoso death metal scandinavo e grind che si alleano per arrivare ai padiglioni auricolari degli amanti dell’estremo in tutta la loro mostruosa e devastante natura.
Prodotto dalla band che conferisce un’atmosfera old school, oppressiva e soffocante, l’album alterna veri attimi di distruzione sonora a rallentamenti classici del death metal vecchia scuola per poi sorprendere con riff melodici di scuola nord europea, che sono il jolly giocato dai Galvanizer per rendere la propria proposta interessante.
Growl e scream death/grind accompagnano il passaggio di questo pezzo di granito estremo lasciando senza fiato, specialmente quando la band parte a tutto gas con devastanti cavalcate che del grindcore prendono l’impatto e la voglia di radere al suolo tutto senza pietà.
Si passa dunque dal death metal della title track, esempio perfetto di cosa si suona ancora in Scandinavia quando si parla del genere, e Gorefestation, classico brano grind.
Sanguine Vigil risulta un buon lavoro, ben orchestrato nei suoi cambi repentini di velocità ed attitudine, pur rimanendo soffocato da un’atmosfera oscura e malsana.

Tracklist
1.Mood for the Blade
2.Enjoyment of Annihilation
3.Deathbeat Deity
4.Sanguine Vigil
5.Grind Till… You’re Dead!
6.Domestic Mastication
7.Gorefestation
8.Premature Rot
9.Unfinished Autopsy
10.A Painful End for Curiosity

Line-up
Vili – Bass,Vocals
Aleksi – Guitar,Vocals
Nico – Drums

GALVANIZER – Facebook

Eccentric Pendulum – Tellurian Concepts

Immaginate Meshuggah, TesseracT e Lamb Of God che jammano insieme ai Nevermore ed avrete un’idea del sound prodotto dal gruppo indiano, un insieme di buone idee valorizzate da una valida preparazione strumentale, ma ancora da perfezionare sotto l’aspetto della fruibilità.

Nuovo ep per gli Eccentric Pendulum, realtà progressiva proveniente dall’India.

Il quintetto asiatico, attivo da una decina d’anni ha all’attivo un full length licenziato nel 2011 (Winding The Optics), un primo ep di debutto (The Sculptor Of Negative Emotions) datato 2009, ed ora torna sempre in regime di autoproduzione con questi tre brani raccolti sotto il titolo di Tellurian Concepts.
Band tecnicamente preparatissima, gli Eccentric Pendulum estremizzano il concetto di progressive metal con un’attitudine moderna che raccoglie death, thrash ed alternative metal, digressioni, partiture jazzate e piccole sfumature di musica tradizionale.
Il growl ricorda più la rabbia core che il profondo abisso del death metal, così da confermare l’approccio moderno del sound di questi tre brani, dove l’opener Tellurian I-Nil risulta un intro strumentale, e le altre due tracce (Tellurian II-Accelerated Extinction e Tellurian III-Contrivance) ci presentano una band che ha i suoi problemi da affrontare nell’intricato, ipertecnico, ma freddo songwriting.
In poche parole, la mole di tecnica questa volta non è messa al servizio della forma canzone e l’ascolto, pur nella sua poca durata, è alquanto dispendioso.
Immaginate Meshuggah, TesseracT e Lamb Of God che jammano insieme ai Nevermore ed avrete un’idea del sound prodotto dal gruppo indiano, un insieme di buone idee valorizzate da una valida preparazione strumentale, ma ancora da perfezionare sotto l’aspetto della fruibilità.

Tracklist
1.Tellurian I-Nil
2.Tellurian II-Accelerated Extinction
3.Tellurian III-Contrivance

Line-up
Kaushal- Vocals
Ankit- Guitars
Arjun- Guitars
Arun- Bass
Vibhas- Drums

ECCENTRIC PENDULUM – Facebook

Pale Horseman – The Fourth Seal

I Pale Horseman sono autori di uno sludge che, rispetto al solito, appare molto più orientato verso un sound classico piuttosto che spinto da propensioni estreme.

Gli statunitensi Pale Horseman sono una band che in poco più di cinque anni di attività ha già pubblicato quattro full length.

Il gruppo di Chicago è autore di uno sludge che, rispetto al solito, appare molto più orientato verso un sound classico piuttosto che spinto da propensioni estreme e, alla fine, a connotare nel genere nei Pale Horseman troviamo le ruvidezze vocali ed il ricorso a riff piuttosto cupi e ribassati, senza che ciò impedisca di tessere un sound più monolitico che ostico.
Infatti, quello che resta dall’ascolto di The Fourth Seal è uno sludge doom intenso, compatto e dal buon groove, il che ci riporta essenzialmente in zona Crowbar e dintorni.
Per quanto riguarda il gradimento, come sempre il tutto viene ricondotto al gusto dei singoli: personalmente quella offerta dai Pale Horseman è la forma di doom che meno mi coinvolge solitamente, ma pur non essendo un grande fan di questa tipo di sonorità non posso fare a meno di apprezzare l’impatto e la convinzione che la band immette nei propri brani, tra i quali non ne spicca uno in particolare all’interno di un album lungo ma tutto sommato privo di particolari cali di tensione.
In definitiva, quella dei Pale Horseman è una prova che dovrebbe soddisfare senz’altro chi apprezza band come i già citati Crowbar o i Bongtripper, il cui chitarrista Dennis Pleckham peraltro si è occupato in studio della resa sonora di The Fourth Seal, così come Noah Landis dei Neurosis e di Justin Broadrick dei Godflesh, tanto per chiudere il cerchio…

Tracklist:
1. Final War
2. Witches Will Gather
3. Aokigahara
4. Bereavement
5. Gnashing Of Teeth
6. Forlorn Extinction
7. Pale Rider
8. Tyrant
9. Phantasmal Voice

Line-up:
Eric Ondo – guitars & vocals
Andre Almaraz – guitars & vocals
Rich Cygan – bass
Jason Schryver – drums

PALE HORSEMAN – Facebook

Machine Gun Kelly – No Easy Way Out

Con The Boogey Man scorrono i titoli di coda su questo fiammeggiante ritorno del gruppo ligure, che consolida la sua reputazione con l’album più riuscito della sua discografia, consigliato senza indugi agli amanti dell’hard & heavy di scuola classica.

I rockers savonesi Machine Gun Kelly firmano per Sliptrick Records e licenziano dopo tre anni dall’ultimo lavoro (Lady Prowler) il loro terzo lavoro sulla lunga distanza, intitolato No Easy Way Out, accompagnato da un artwork dalle fattezze di una cartolina con i saluti dalla prigione di Alcatraz.

Non è facile uscire da uno dei penitenziari più famosi del mondo, a ameno che non si facciano saltare sbarre e catene a colpi di hard rock/metal, coinvolgente e ricco di refrain che entrano in testa per folgorarci come scosse provenienti da una sedia elettrica.
I primi cinque brani risultano uno più bello dell’altro, i Machine Gun Kelly sanno come muoversi nel genere e ogni brano ha una sua ispirazione che va dai sempre presenti Motorhead ad Alice Cooper, dall’heavy rock ottantiano al rock ‘n’ roll più moderno e dai natali nord europei.
Fino alla ballad Hard Times, MG Miche e compagni galeotti accendono fuochi d’artificio sulla baia di San Francisco, prima con l’hard & heavy della travolgente Broadcast King, con il basso che pulsa prima di lasciare spazio alla chitarra nel classico metallo anni ottanta che compone Aileen.
No Easy Way Out riprende la sua corsa con Stand Or Fall, mentre è già tempo del riff della itle track, un mid tempo sanguigno che cede poi il passo all’ esplosiva Take What You Need, rock’n’roll dinamitardo che apre una breccia nell’altissimo muro di cinta che divide i nostri dalla libertà.
Con l’heavy metal di The Boogey Man scorrono i titoli di coda su questo fiammeggiante ritorno del gruppo ligure, che consolida la sua reputazione con l’album più riuscito della sua discografia, consigliato senza indugi agli amanti dell’hard & heavy di scuola classica che danno anche la giusta importanza a quello che è successo nel rock dalla fine degli anni ottanta in poi.

Tracklist
01. Broadcasted Humanity
02. Broadcast King
03. Aileen
04. Eye Of The Storm
05. Nothing Ever Changes
06. Hard Times
07. Stand Or Fall
08. No Easy Way Out
09. Take What You Need
10. The Boogeyman

Line-up
MG Miche – Vocals
Jan – Guitar
Alabarda – Drums
Umberto – Bass/Guitar

MACHINE GUN KELLY – Facebook

[‘selvǝ] – D O M A

Due lunghe immense jam, con le quali i [‘selvǝ] fermano un attimo della loro catarsi, perché i [‘selvǝ] non sono solo musica, sono emozione e smarrimento.

I [‘selvǝ] sono un gruppo che va ben oltre la mera indicazione di qualche genere, producono suoni che non possono essere collegati, un cavalcare un flusso furioso di emozioni e di forze che stanno dentro e fuori di noi.

Nati nel 2013, sono un’entità in continua evoluzione, dal primo Life Habitual al successivo Eléo, dove ogni nuovo lavoro marca un’ulteriore passo in avanti nella loro poetica. Ora arriva D O M A ed il viaggio verso nuovi pianeti sonori continua, dato che il loro suono sta mutando di nuovo, e ciò sta avvenendo senza forzature, facendo divenire il tutto molto naturale e precisamente come hanno intenzione che sia. Il trio di Lodi ha suonato due pezzi di lunga durata in questo disco, e forse ciò potrebbe sembrare poco alle menti poco aperte, mentre invece c’è tutto quanto deve esserci, anche di più. I [‘selvǝ] sono fondamentalmente un gruppo da gustare dal vivo, chi li ha visti capirà cosa intendo, e D O M A ne è un’ulteriore conferma. Questo disco è uno dei migliori esempi di come si possa fare un hardcore mutato, che diventa post black metal o potentissimo screamo. E forse la definizione migliore potrebbe essere proprio screamo black metal, ma come detto poc’anzi provare a definire questa musica è davvero poco importante. Ciò che deve importare del disco è la sua durezza, il suo sputarti in faccia per provare a svegliarti dal sonno in rete nel quale viviamo. Ci sono molti modi di descrivere le nostre vie, i [‘selvǝ] scelgono la loro musica, che è un dono molto prezioso ed importante, basta ascoltare questi due capolavori, che partono da basi conosciute per andare davvero molto lontano, andando oltre il grigio per calarsi nella nera realtà. D O M A è la prova fin qui migliore di questo gruppo, ed uno dei migliori dischi degli ultimi di black metal inteso in senso largo, anche perché il black non può essere inteso in un senso solo. Due lunghe immense jam, con le quali i [‘selvǝ] fermano un attimo della loro catarsi, perché i [‘selvǝ] non sono solo musica, sono emozione e smarrimento, ed è bellissimo.

Tracklist
1) silen
2) joy

Line-up
Alessandro Andriolo – Guitars, Voice
Andrea Pezzi – Bass, Voice
Tommaso Rey – Drums

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Dauþuz – Die Grubenmähre

Die Grubenmähre è un’opera che vale la pena ascoltare, risultando tutt’altro che uno spreco di tempo per per gli estimatori del black metal di matrice germanica.

Die Grubenmähre è il secondo full length dei tedeschi Dauþuz, dopo l’esordio del 2016 con In Finstrer Teufe.

Su lavori di questo tipo e provenienza si rischia essere ripetitivi, anche se ciò avviene comunque con connotazioni positive: l’album è l’ennesimo esempio di black metal tedesco con tutti i tasselli al proprio posto, derivanti dalla conoscenza del genere e da una buona capacità di scrittura culminante in una traccia magnifica come Kerker der Ewigkeit.
Ma è comunque tutto il disco che mantiene un livello medio oltremodo soddisfacente, tra cavalcate dai ritmi mai troppo spediti e dal sentore epico e solenne, e break acustici utili a conferire un pizzico di varietà; resta solo da rimarcare che dalle stesse lande provengono così tanti lavori di spessore uguale o superiore che rischiano di rendere inosservato un buon album come questo: colpa appunto di una concorrenza qualificata, sia in ambito tedesco sia nel resto del del pianeta, piuttosto che per demeriti dei bravi Aragonyth e Syderyth.
Die Grubenmähre è comunque un’opera che vale la pena ascoltare, risultando tutt’altro che uno spreco di tempo per per gli estimatori del black metal di matrice germanica.

Tracklist:
1. Reminicere
2. Extero Metallum
3. Drachensee
4. Trinitatis
5. Kerker der Ewigkeit
6. Dem Berg entrissen
7. Crucis
8. Die Grubenmähre I: In die Schwärze
9. Die Grubenmähre II: Hoffnungstod
10. Luciae

Line-up:
Aragonyth S. – All instruments
Syderyth G. – Vocals, Lyrics, Guitars (acoustic)

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