Riksha – Five Stages Of Numb

Se amate i suoni moderni nati aldilà dell’oceano in questi ultimi anni e figli del nu metal e dei suoni mainstream, Five Stages Of Numb merita un ascolto.

Nascosto dietro all’etichetta di groove progressivo si muove il sound degli statunitensi Riksha, modern metal band proveniente dallo Utah, attiva dal 2010 e con altri due lavori alle spalle, prima dell’arrivo di Five Stages of Numb fe dei suoi esplosivi ventitré minuti di assalto sonoro.

L’esempio di come l’etichettare troppo frettolosamente il sound porti molte volte fuori tema è ben evidenziato da questo nuovo lavoro targato Riksha, un album di metal moderno, estremo ed attraversato da parti atmosferiche oscure e fortemente dark, ma che con il progressive non hanno nulla a che fare.
Il quartetto si muove con buona disinvoltura tra il groove metal e la potenza del thrash odierno, alimentando la vena dark con qualche accordo pianistico o acustico ma niente di più.
Non fraintendetemi, Five Staged Of Numb non è un brutto album e la sua breve durata aiuta non poco ad assimilarlo tutto d’un fiato, ma le parti atmosferiche smorzano un po’ troppo sonorità che si muovono in un contesto moderno: siamo di fronte quindi al classico album senza grossi picchi e che viaggi sulla sufficienza abbondante, lasciando alla title track la palma del brano più diretto e riuscito del lotto.
Se amate i suoni moderni nati aldilà dell’oceano in questi ultimi anni e figli del nu metal e dei suoni mainstream, Five Stages Of Numb merita un ascolto.

Tracklist
1.Departure Eminent
2.Five Stages of Numb
3.Shovel It
4.Skeleton Rain Dance
5.Banging Danger
6.Repo Man
7.Save Me

Line-up
Palmer – Vox
Kevin Bronson – Bass
Max Dail – Drums
Ian Law – Guitar

RIKSHA – Facebook

Meden Agan – Catharsis

La band produce uno sforzo notevole per quanto riguarda gli arrangiamenti e l’album letteralmente deflagra in un’apoteosi di metal orchestrale, strutturato su ritmiche serrate, ottimi interventi della sei corde del leader Koutsogiannopoulos e fughe sui tasti d’avorio dal retrogusto neoclassico di Tolis Mikroulis.

Primi fuochi d’artificio metallici del 2018 con il nuovo lavoro della symphonic metal band greca Meden Agan.

Il gruppo nasce per volere di Diman Koutsogiannopoulos che negli anni regala una precisa identità alla sua creatura, partendo da un metal sinfonico, dalle prepotenti cavalcate power e dall’eleganza portata da sfumature gotiche ed orchestrali.
Il primo full length è datato 2005 (Illusions), segue un periodo dove la carriera del gruppo rallenta per tornare nel 2011 con il secondo album Erevos Aenaon, seguito dopo tre anni da quello che era l’ultimo parto della band, Lacrima Dei.
L’importante cambio di cantante porta il gruppo all’incontro con la notevole singer Dimitra Panariti e all’uscita, tramite No Remorse Records, di Catharsis, nuova sinfonia metallica targata Meden Agan.
Catharsis è un uno di quei lavori che, mantenendo inalterate le coordinate di un genere che poco di nuovo ha da mostrare agli ascoltatori, se ben suonato e ottimamente cantato sa come produrre emozioni, magari valorizzato da un ottimo songwriting come in questo caso.
La band produce uno sforzo notevole per quanto riguarda gli arrangiamenti e l’album letteralmente deflagra in un’apoteosi di metal orchestrale, strutturato su ritmiche serrate, ottimi interventi della sei corde del leader Koutsogiannopoulos e fughe sui tasti d’avorio dal retrogusto neoclassico di Tolis Mikroulis.
Poi, ovviamente, lo stato di grazia nel songwriting fa il resto, con i Meden Agan protagonisti di una serie di brani che esaltano, entusiasmano e lasciano senza fiato.
Solo all’ottava traccia (Salvation) la band si prende una pausa e noi rifiatiamo, travolti da una tracklist che fino al quel momento non conosce tregua con una serie di brani magniloquenti e che hanno in Cleanse Their Sins, l’arabeggiante Whispers In The Dark e la bombastica Veil Of Faith i principali picchi di questa notevole opera.
Nightwish, Epica, i nostrani Elegy Of Madness sono i gruppi che più si avvicinano alla band ateniese, una delle nuove realtà di una scena sinfonica data per morta troppo presto.

Tracklist
1. Catharsis (Intro)
2. The Purge
3. Cleanse Their Sins
4. No Escape
5. Whispers In The Dark
6. Shrine Of Wisdom
7. Veil Of Faith
8. Salvation
9. A Curse Unfolding
10. Lustful Desires
11. Weaver Of Destiny

Line-up
Dimitra Panariti – Vocals
Diman Koutsogiannopoulos – Guitars
Tolis Mikroulis – Keys
Aris Nikoleris – Bass & Male Vocals
Panos Paplomatas – Drums

MEDEN AGAN – Facebook

Cruentator – Ain’t War In Hell?

Qui si fa metal estremo tripallico, lo si allontana da qualsiasi tipo di contaminazione e lo si lascia libero di portare terrore e distruzione a colpi di feroci ripartenze, sfuriate tempestose e tanta fottuta attitudine.

Un’altra realtà estrema fa la sua devastante apparizione sulla scena thrash metal nostrana ed europea: sono i lombardi Cruentator, nati nel 2015 dalle menti di un paio di membri dei brutal deathsters Bowel Stew.

Riccardo (batteria) ed Omar (chitarra) sono infatti i maggiori responsabili di questa tempesta thrash old school, raggiunti in seguito dal vocalist Ambro (compagno della coppia nel gruppo lombardo), dal chitarrista Massi FD e dal bassista Vanni.
Il loro esordio, intitolato Ain’t War In Hell, esce in questo inizio d’anno per l’attivissima label iberica Xtreem Music, un sodalizio niente male, visto la qualità delle proposte offerte dall’etichetta di Dave Rotten.
E i cinque musicisti ci vanno giù pesante con una mezzora di thrash metal vecchia scuola che non lascia spazio a dubbi sulle loro intenzioni: portare il più alto possibile la bandiera del genere.
Qui si fa metal estremo tripallico, lo si allontana da qualsiasi tipo di contaminazione e lo si lascia libero di portare terrore e distruzione a colpi di feroci ripartenze, sfuriate tempestose e tanta fottuta attitudine.
Gli strumenti seguono l’ugola al vetriolo del vocalist e, come armi, colpiscono con mitragliate devastanti: l’atmosfera si fa sempre più estrema tra i solchi di brani che seguono la via tracciata a suo tempo dagli eserciti di Sodom, Kreator e compagnia di antieroi metallici.
Una devastazione sonora da spararsi senza indugi dall’inizio alla fine, seguendo il rigagnolo di sangue che vi porterà, tramite l’opener Merciless Extermination, Barbaric Violence, The Nightstalker e Cluster Terror, verso il cumulo di corpi lasciato dai Cruentator.

Tracklist
1.Merciless Extermination
2.Tyrants of the Wasteland
3.Barbaric Violence
4.Evil is Prowling Around
5.The Nightstalker
6.Marching Into a Minefield
7.The Shining Hate
8.Cluster Terror

Line-up
Ambro – Vocals
Omar – Guitars
Massi FD – Guitars
Vanni – Bass
Riccardo – Drums

CRUENTATOR – Facebook

Aporya – Dead Men Do Not Suffer

Dead Men Do Not Suffer, grazie al lavoro chitarristico di grande classe fornito da Cristiano Costa, pur essendo catalogabile alla voce death doom potrebbe rivelarsi molto appetibile anche per chi apprezza l’ heavy metal dai tratti più malinconici.

Il Brasile non sembrerebbe essere terreno fertile per il doom come per i generi più estremi o il metal classico, almeno a livello quantitativo; la qualità, invece, non può essere messa in discussione se pensiamo ad una scena capace di offrire nomi già consolidati come HellLight eMythological Cold Tower, o di più recente affermazione come i Jupiterian.

A provare ad inserirsi in tale novero provano gli Aporya, band nata solo scorso anno per l’impulso del chitarrista Cristiano Costa che ha poi trovato il suo ideale completamento nel vocalist Tiago Monteiro: Dead Men Do Not Suffer è il titolo del loro interessante esordio, all’insegna di un death doom melodico che a tratti ricorda i Tiamat epoca Clouds, specialmente in un brano come One More Day, forse anche a di un’impostazione vocale a tratti simile a quella utilizzata ai tempi da Edlund, con un growl non troppo profondo e a tratti quasi sussurrato.
Al di là di questo, si capisce che gli Aporya sono un progetto nato dalla mente di un chitarrista proveniente dal metal classico, visto l’abbondante quanto appropriato ricorso ad assoli dolenti e melodici che prendono piede, soprattutto, nella seconda metà dell’album, invero ingannevole al suo avvio con un brano death tout court (ma notevolissimo) come Cry of the Butterfly, che va a spezzare l’iniziale incantesimo creato dalla tenue intro Blood Rain.
Da The Sad Tragedy (I’m Crushed Down) in poi il lavoro comincia ad assumere le coordinate promesse, ovvero quelle di un death doom melodico, elegante ma dall’impatto emotivo che si mantiene sempre apprezzabile, grazie al connubio tra le linee chitarristiche, il soffuso supporto delle tastiere ed un’interpretazione vocale che non va a sovrapporsi in maniera eccessiva alle tessiture strumentali.
Dead Men Do Not Suffer prende quota ancora più nella sua parte finale, in coincidenza con quei brani nei quali Costa sfoga tutto il suo sentire melodico abbinato ad un tocco chitarristico di grande classe; anche per questo l’album, pur essendo catalogabile alla voce death doom, potrebbe rivelarsi molto appetibile anche per chi apprezza l’ heavy metal dai tratti più malinconici.
In definitiva gli Aporya si rivelano una gradita sorpresa e l’approdo alla configurazione di band vera propria, finalizzata alla riproposizione dal vivo dei brani contenuti nell’album, non potrà che rivelarsi un valore aggiunto nell’ambito di un percorso iniziato nel migliore dei modi.

Tracklist:
1. Blood Rain
2. Cry of the Butterfly
3. The Sad Tragedy (I’m Crushed Down)
4. Little Child in the Grave
5. One More Day
6. Pain and Loneliness
7. Dead Men Do Not Suffer

Line-up:
Cristiano Costa – Guitars (lead), Songwriting
Tiago Monteiro – Vocals, Lyrics

APORYA – Facebook

Elegiac – Black Clouds of War

Quando il troppo non stroppia. Nonostante le tante produzioni in poco tempo, Elegiac ha sempre più idee e qualità da vendere

Per chi non vi si fosse già imbattuto, Elegiac è una one-man band che ci scarica addosso i suoi decibel e il suo odio tutto black metal direttamente da San Diego, California.

A quanto pare ne aveva un bel po’ in serbo, perché in soli tre anni di attività, questa band ha già al suo attivo un’enorme quantità di lavori, tra cui ben otto split (tre solo nel 2017).
Black Clouds of War è un album che spazza via qualsiasi preconcetto sulla quantità che va a discapito della qualità, così come tutta la storia di questa band, che ha sempre sfornato contenuti di buonissimo livello.
Anche questo disco, quindi, è corposo ma soprattutto denso. Si ha sempre l’idea di una convivenza perfetta tra l’ondata di black aggressivo e senza presentazioni di cui ogni cultore del genere ha uno smisurato bisogno, e una componente melodica di altissima qualità che ci trascina dentro l’atmosfera creata da Elegiac. Ne è già un’ottima prova la title track Black Clouds of War, che apre il disco.
Altri brani rappresentativi sono certamente The Hanging Head of Death, dove lo stile più melodico e riflessivo non stona nemmeno per un secondo con l’odio e la dissacrazione di cui Elegiac fa la sua ragion d’essere, e Ashwind, intermezzo inaspettato nella parte finale del disco, quasi orientaleggiante, ma che non risulta forzato o fuori luogo per l’ascoltatore.
Ultima nota di merito spetta alla voce, capace di potenza, vero odio e distruzione ma anche di pura agonia, la quale potrebbe tranquillamente ricordare il DSBM, ma che in realtà qui ha ben poco in comune con esso.
È un album che, nel proprio modo di essere, ha già dei precedenti tra i molti lavori di Elegiac, soprattutto perché ci riporta alla mente un altro suo masterpiece, ovvero Spiritual Turmoil del 2016. Questo artista ha però la capacità di essere multiforme, e di lasciare sempre stupito anche l’ascoltatore più assiduo.

Tracklist
1. Black Clouds of War
2. Cosmic Holocaust
3. Beyond the Physical Realm
4. Transcendence (Interlude)
5. Heathen Supremacy
6. The Hanging Head of Death
7. Symbols of Power
8. Ashwind (Interlude)
9. Creatures of Night
10. Visions

Line-up
Zane Young: All instruments, Vocals

ELEGIAC – Facebook

Druid Lord – Grotesque Offerings

Un lavoro che saggiamente mantiene la sua natura underground, rendendo i Druid Lord un gruppo da seguire, almeno per chi ama il genere ed il death metal rallentato e appesantito da cascate di watt che si trasformano in magma infernale.

Quando si avvicina la fine dell’anno succede spesso di ritrovarsi al cospetto di band notevoli, che in Zona Cesarini (come si dice in gergo calcistico), piazzano i loro splendidi lavori come un goal all’ultimo secondo di un’avvincente partita.

Quest’anno, parlando di death metal dalle chiare influenze doom, la plastica rovesciata che vale un campionato la fanno gli statunitensi Druid Lord con questo Grotesque Offerings, monumentale esempio di musica del destino potenziata da sua maestà il death e resa ancora più estrema ed affascinante da un concept horror preso in prestito dalla cultura cinematografica e fumettistica degli anni settanta.
Il quartetto nasce in Florida nel 2010 e di quell’anno è l’esordio sulla lunga distanza Hymns for the Wicked, seguito da una serie di ep e split che accompagnano la band fino al mastodontico Grotesque Offerings, che nasce e prende forma in qualche profondità infernale e torna in superficie a trasformare questo fine 2017 in una marcia inesorabile verso la perdizione ed il puro terrore.
Il lavoro saggiamente mantiene la sua natura underground, rendendo i Druid Lord un gruppo da seguire, almeno per chi ama il genere ed il death metal rallentato e appesantito da cascate di watt che si trasformano in magma infernale.
Composto da una serie di brani atmosfericamente perfetti per notti da incubi (l’opener House Of Dripping Gore, Night Gallery, il capolavoro doom/horror Evil That Haunts This Ground e la discesa nel pozzo delle anime dannate intitolata Last Drop Of Blood) l’album è una notevole opera estrema, lenta ed inesorabile e composta da attimi davvero suggestivi.
Immaginate gli Asphyx, i primi Cathedral e i primi Paradise Lost amalgamati con il doom classico di Pentagram e Candlemass, ed ispirati dai film della Hammer (la nota casa di produzione britannica, molto attiva negli anni settanta): ecco gli ingredienti che rendono Grotesque Offerings imperdibile.

Tracklist
1.House of Dripping Gore
2.Night Gallery
3.Spells of the Necromancer
4.Evil That Haunts This Ground
5.Black Candle Seance
6.Creature Feature
7.Into the Crypts
8.Murderous Mr. Hyde
9.Last Drop of Blood
10.Final Resting Place

Line-up
Pete Slate- Lead & Rhythm Guitar
Tony Blakk- Vocals & Bass
Ben Ross- Rhythm & Lead Guitar
Elden Santos – Drums

DRUIUD LORD – Facebook

Imperialist – Cipher

Cipher è un album con molta più lode che infamia, ma la sensazione è che questa band abbia nelle corde la possibilità di fare ancora molto meglio, benché la prima prova si lunga distanza si dimostri una base di partenza già abbastanza solida.

Gli Imperialist sono una band californiana a trazione integralmente ispanica.

Un aspetto, questo, che a mio avviso influisce sulla forma di black offerto dalla band, visto che il dna di una band seminale come i Terrorizer, formata in gran parte da musicisti centroamericani per origini o nazionalità, non può non aver influito sulla crescita musicale di questi ragazzi.
E, infatti, seppure di black metal si possa parlare a pieno titolo., il sound contenuto in Cipher non riporta immediatamente alle lande scandinave ma si contamina sovente con il death e con il thrash, trovando una sua strada, sicuramente già battuta da molti altri, ma tutto sommato neppure così scontata.
L’album, che è il full length d’esordio per gli Imperialist dopo l’ep del 2015 Quantum Annexation, conserva a livello concettuale l’immaginario fantascientifico degli esordi e si rivela senza dubbio un lavoro privo di sbavature e sufficientemente coinvolgente, anche se gli manca il colpo decisivo sotto forma di quei due o tre brani capaci di agganciare con decisione i potenziali ascoltatori.
Tutto scorre molto linearmente, senza annoiare ma neppure provocando sobbalzi, con qualche episodio sopra la media della tracklist (Umbra Tempest), ma nel complesso è una certa uniformità che nel bene e nel male caratterizza l’incedere di Cipher.
Il meglio gli Imperialist lo riservano con la traccia conclusiva Mercurian Dusk, dove si evidenzia appunto quell’intensità capace di catturare l’attenzione, grazie a linee melodiche più incisive ed il ricorso a buone variazioni ritmiche senza ricorrere a passaggi interlocutori,
Cipher è un album con molta più lode che infamia, ma la sensazione è che questa band abbia nelle corde la possibilità di fare ancora molto meglio, benché la prima prova si lunga distanza si dimostri una base di partenza già abbastanza solida.

Tracklist:
1. Continuum
2. The Singularity
3. Advent Anathema
4. Splendor Beneath an Ancient Permafrost
5. Umbra Tempest
6. Chronochasm
7. Binary Coalescenc
8. The Dark Below
9. Mercurian Dusk

Line-up:
Sergio Soto – Guitar and Vocals
Rod Quinones – Drums
Bryant Quinones – Guitar
Adrian Castaneda – Bass

IMPERIAL – Facebook

Disaffected – The Trinity Threshold

Prodotto benissimo, così da poter apprezzare in pieno il gran lavoro dei musicisti coinvolti, The Trinity Threshold vive di chiaroscuri in un’altalena sorprendente tra ariose parti progressive, tempeste metalliche ed atmosfere gotiche, mentre come teste di serpenti dalla sabbia spuntano divagazioni black metal e post rock.

Un piccolo gioiellino underground questo terzo album dei portoghesi Disaffected, attivi dal lontano 1991, con un passato da death/thrash metal band e ora trasformatisi in un gruppo estremo dal taglio progressivo.

The Trinity Threshold è dunque il terzo album in più di venticinque anni di una carriera che ha visto la band fermarsi dopo il debutto (Vast) fino al 2012, anno di uscita della seconda opera (Rebirth).
Il quintetto lusitano torna dopo cinque anni con questo bellissimo lavoro, estremo, progressivo e dalle atmosfere dark, dove non mancano digressioni e tuffi in generi lontani dal metal estremo: ne esce un lavoro altamente vario, difficile da catalogare e quindi ancora più affascinante.
Progressive death metal, tecnicamente inattaccabile composto da una serie di brani tutti con la propria anima, ora più orientati su di un death/thrash tecnicamente sopra le righe, ora atmosfericamente oscuri e gotici, ora volubili e sorprendenti nel cambiare repentinamente atmosfere e strutture.
Prodotto benissimo, così da poter apprezzare in pieno il gran lavoro dei musicisti coinvolti, The Trinity Threshold vive di chiaroscuri in un’altalena sorprendente tra ariose parti progressive, tempeste metalliche ed atmosfere gotiche, mentre come teste di serpenti dalla sabbia spuntano divagazioni black metal e post rock.
Un album tutto da vivere nel suo saper cambiare pelle, camaleontico ed affascinante, che ha nella qualità altissima della sua clamorosa track list il proprio punto di forza, con Glossolaia, Pi Alpha Centurian e The Moon The Eagle And The Golden Apple a risultare i punti più alti del lavoro.
Immaginate una jam tra Devin Townsend, Moonspell e Opeth ed avrete un’idea di che cosa sono capaci i cinque musicisti portoghesi.

Tracklist
1.Waters Of Saleph
2.Glossolalia
3.Apocrypha
4.Pi Alpha Centurian
5.The Antropos
6.Per Saecula Saeculorum
7.Conquer By This
8.The Moon, The Eagle And The Golden Apple
9.Dreaming IV (Infinite)
10.Hermitic Hours
11.Portico

Line-up
Bruno Vicente – Guitars
António Gião – Bass
Filipa Alçada – Keyboards
Manuel Teles – Drums
Octávio Custódio – Vocals

DISAFFECTED – Facebook

Anima Damnata – Nefarious Seed Grows to Bring Forth Supremacy of the Beast

Un assalto sonoro senza soluzione di continuità, penetrante ed oscuro, dannato e affascinante come è il male quando a domarlo e ritorcerlo contro di noi è Lucifero in persona tramite i suoi quattro adepti celato sotto il monicker Anima Damnata.

Con gli Anima Damnata, la Polonia estrema torna a far parlare di sé con l’ultimo lavoro di questo blasfemo quartetto al terzo full length, dieci anni dopo Atrocious Disfigurement of the Redeemer’s Corpse at the Graveyard of Humanity, ultimo parto malefico del gruppo.

Nefarious Seed Grows to Bring Forth Supremacy of the Beast continua a portare alla superficie le terrorizzanti e lascive blasfemie provenienti dall’antro più buio dell’inferno: non ci sono melodie, non c’è pietà ne umanità nello spartito di questo demoniaco quartetto e l’album, come e più delle le precedenti uscite, propone un sound che acquista forza direttamente dalla mente luciferina della band, autrice di un blackened death metal di chiara ispirazione est europea ma reso ancora più violento dal caos primordiale che viene evocato per soggiogare un’umanità alla deriva.
Un assalto sonoro senza soluzione di continuità, penetrante ed oscuro, dannato e affascinante come è il male quando a domarlo e ritorcerlo contro di noi è Lucifero in persona tramite i suoi quattro adepti celato sotto il monicker Anima Damnata.

Tracklist
01. The Promethean Blood
02. Praise the Fall of God
03. Uprising Lucifer
04. Through Abomination ‘Till Ecstasy
05. I Hail His Name
06. Your Life Is Cursed
07. Numinous Ascension into a Black Hole
08. His Light Shines Upon Me
09. Blend into Satan
10. Void of the Abyss

Line-up
Master of depraved dreaming and Emperor of the Black Abyss the Great Lord Hziulquoigmzhah Cxaxukluth – drums and electronics
Archangel of Evil Spells, Morbid Priest of Arcane Perfection vel Necrosodom – guitars and vocals
Apocalyptic Profanator of the Holy Laws, The Supreme Ruler of Abominations – guitars
The Mighty Initiatior of Barbarous Rituals, Herald of Heathen Firevel Killer – bass

ANIMA DAMNATA – Facebook

Quicksand – Interiors

Fa molto piacere ascoltare qualche inedito dei Quicksand, perché sono un gruppo molto al di sopra della media; il materiale anche se datato è molto buono, sicuramente i nostri non hanno mai fatto un’uscita di scadente livello qualitativo, ed in questo avrebbero da insegnare a molti gruppi.

In questa epoca oscura piena di tenebre, ogni tanto arriva un fulmine a rischiarare il tutto, e questo è ciò che fa il nuovo disco dei Quicksand.

Essi sono una specie di segreto di Fatima musicale, Interiors è il loro primo disco dopo Manic Compression del 1996, e quello era un capolavoro che ha influenzato moltissimi gruppi ,cialmente hardcore, nell’andare oltre i canoni del genere. Provenienti da quel laboratorio hardcore che era la New York degli anni novanta, dopo un ep omonimo diedero alle stampe due dischi sulla lunga distanza, Split del 1993 e Manic Compression del 1995, entrando con merito nella storia, grazie alla loro capacità di emozionare attraverso una musica solo in apparenza fredda e scontrosa. Il cantante Walter Schreifels, prima di militare nei Quicksand, ebbe l’onore di stare ed è ancora nei Gorilla Biscuits e ha fondato i Rival Schools, e il bassista Sergio Vega è ora nei Deftones, uno dei gruppi che maggiormente si sono ispirati ai Quicksand. Infatti nel 1997 i Quicksand si riformarono per partecipare ad un tour proprio con i Deftones, ma poi si sciolsero di nuovo. Non si conoscono bene i motivi della separazione, o forse si conoscono fin troppo bene, essendo i soliti di ogni altro gruppo. Sia quel che sia, arriviamo ad Interiors che è il frutto di sessioni di registrazione durante quella reunion temporanea per girare con i Deftones. Ascoltando il disco si ha la netta percezione che il tutto sia ancora da sgrezzare e abbia bisogno di ulteriore lavoro, ma basta già così per tornare a sognare come si faceva con i dischi precedenti. I Quicksand costruiscono cattedrali sonore piene di attesa e di lascivo piacere. La voce sussurra e le chitarre tagliano i nostri tendini emotivi, tanto da farci cadere in ginocchio ed ascoltare, volendone ancora. I brano sono stati prodotti da Will Yip, produttore fra gli altri di Lauryn Hill e Keane, che dà quel tocco di lucentezza che forse prima mancava. Interiors da l’esatta misura di quanti gruppi siano stati influenzati dai Quicksand, soprattutto nel modo di intendere la canzone, svolgendola in maniera quasi progressive, cosa che diventerà ancora più onirica nei Deftones. Hardcore che rimane come punto di partenza perché si va molto oltre, in territori sonori pieni di possibilità, con ancora molto da dire. Fa molto piacere ascoltare qualche inedito dei Quicksand, perché sono un gruppo molto al di sopra della media; il materiale anche se datato è molto buono, sicuramente i nostri non hanno mai fatto un’uscita di scadente livello qualitativo, ed in questo avrebbero da insegnare a molti gruppi.

Tracklist
1.Illuminant
2.Under The Screw
3.Warm And Low
4.>
5.Cosmonauts
6.Interiors
7.Hyperion
8.Fire This Time
9.Feels Like A Weight Has Been Lifted
10.>>
11.Sick Mind
12.Normal Love

Line-up
Walter Schreifels – Vocals/Guitar
Sergio Vega – Bass
Alan Cage – Drums

QUICKSAND – Facebook

F.K.Ü. – 1981

Un album consigliato ai soli fans del thrash metal suonato nel decennio ottantiano, che troveranno pane per i loro denti ed un altro gruppo da annotare tra le realtà di sicuro interesse del genere.

Nel più puro spirito old school tornano i devastanti thrashers svedesi F.K.Ü. con il loro thrash/speed metal tutto horror e metal sparato alla velocità della luce a tratti irresistibile.

La band di Uppsala è attiva da trent’anni (mica due giorni) e si sente che l’esperienza e la materia conosciuta a menadito hanno valorizzato questo missile composto da quattordici brani per quasi un’ora di scale metalliche e sonorità tipiche che compongono il mondo del thrash metal.
1981 è il quinto album di una discografia partita dieci anni dopo la nascita del gruppo, ora accasatosi alla Despotz e pronto a conquistare i fans del metal old school.
Ci sanno davvero fare i F.K.Ü. (Freddy Krueger’s Underwear), monicker che è un tributo al cattivone della saga Nightmare, tutto artigli e notti insonni delle povere vittime, uccise nei sogni a tinte horror dove il buon Freddy vive e si rifocilla di anime, mentre il gruppo cala la sua colonna sonora risvegliando pruriti anni ottanta.
Vecchia scuola fin dalla copertina, dove da un mucchio di videocassette spunta una lapide ed una lama assassina impugnata da un famelico zombie che, prima di mangiare affetta e tagliuzza, ascoltando la devastante title track e le altre  cattivissime, acide e tremende tracce suonate come se non ci fosse un domani ed all’insegna del thrash metal vecchia scuola.
Non fatevi spaventare dalla durata, che per il genere è davvero tanta, i brani si susseguono inarrestabili, lasciando forse qualcosa per strada verso la fine a livello di intensità, ma è un dettaglio dovuto probabilmente al genere che non si smuove dalla stessa inesorabile formula.
Un album consigliato ai soli fans del thrash metal suonato nel decennio ottantiano, che troveranno pane per i loro denti ed un altro gruppo da annotare tra le realtà di sicuro interesse del genere.

Tracklist
1.1981
2.Nightmares in a Damaged Brain
3.Hell Night
4.Corpse Mania
5.Friday the 13th Part 2
6.The Burning
7.The Funhouse
8.The House by the Cemetery
9.Burial Ground
10.The Prowler
11.The Beyond
12.Halloween II
13.Night School
14.Ms .45

Line-up
Pat Splat – Bass, Vocals (backing)
Pete Stooaahl – Guitars, Vocals (backing)
Larry Lethal – Vocals (lead)
Unspeakable Emp – Drums

F.K.Ü. – Facebook

Toxik – Breaking Glass

Tornano gli storici speed/thrashers statunitensi Toxik, con tre brani che fungono da antipasto per quello che, dopo l’ascolto di questo ep, potrebbe rivelarsi uno degli album più attesi del 2018 nel genere.

A dispetto di live sempre meno frequentati dagli ascoltatori, il metal classico vive un periodo di sufficiente popolarità, in tutti i suoi generi e sottogeneri, con nuove realtà che si affacciano sul mercato dal sound rigorosamente old school e vecchie glorie che tornano con nuovi lavori o reunion tour.

Sembra giunto il momento anche per i leggendari statunitensi Toxik di tornare sul mercato, una grande notizia per i reduci del decennio ottantiano nel quale il gruppo, capitanato dal leader e fondatore Josh Christian, lasciò ai posteri due splendide prove: lo storico debutto del 1987 World Circus e Think This, licenziato un paio d’anni dopo.
Il ritorno in sordina con un demo tre anni fa, il tentativo di reunion provato ma fallito, ed ora un’altra possibilità, cercata e voluta da Christian che ha trovato nel magnifico vocalist Charlie Sabin (protagonista sul secondo album) il compagno ideale per un ritorno con i fiocchi.
Con la sezione ritmica nuova di zecca composta dal batterista Jim Demaria e dal bassista Shane Boulos, i due vecchi thrashers danno vita a questi tre brani racchiusi in Breaking Glass, antipasto di quello che sarà il nuovo album che si prospetta come un’autentica esplosione di speed/thrash arrembante, suonato benissimo e devastante come l’esplosione di una diga e l’onda che ne consegue.
Tre brani di metal old school che toccano lidi progressivi, valorizzati da una prova vocale entusiasmante ed altamente melodica, il tutto nel contesto di un songwriting che non perde un grammo in impatto: se le premesse sono queste, il prossimo album diviene d’obbligo uno dei più attesi del 2018 nel genere.

Tracklist
1. Stand Up
2. Breaking Class
3. Psyop

Line-up
Charlie Sabin – Vocals
Josh Christian – Guitars
Shane Boulos – Bass
James DeMaria – Drums

TOXIK – Facebook

Sortilegia – Sulphurous Temple

L’approccio al black metal dei Sortilegia porta alle estreme conseguenze il concetto di ortodossia del genere, esibendolo nella sua versione e più nuda e cruda, senza orpelli e appesantimenti di sorta.

Per ascoltare questo secondo lavoro dei Sortilegia senza utilizzarlo come una sorta di metallico frisbee è necessario rispondere a due requisiti fondamentali: amare senza condizionamenti di sorta il black metal ed anteporre la purezza e la genuinità degli intenti di chi lo suona nelle sue forme più primitive a qualsiasi altra considerazione relativa alla pulizia del suono piuttosto che la mera tecnica strumentale.

E’ vero che per lo più questi due aspetti si sovrappongono ma non è cosi scontato, anzi, sempre più capita di apprezzare album che, senza tradire lo spirito del genere, sono prodotti e suonati con grande cura di ogni particolare.
L’approccio dei Sortilegia, duo canadese formato da marito e moglie (Haereticus e Koldovstvo), porta invece alle estreme conseguenze il concetto di ortodossia nel genere, esibendolo nella versione e più nuda e cruda, senza orpelli e appesantimenti di sorta.
Il primo percuote in maniera ossessiva il proprio strumento mentre la seconda macina un riffing incessante sul quale cala urla e gemiti che rendono ancora più oscuro ed inquietante lo scenario: il sound è scarno fino all’eccesso, ma fotografa come forse nessuno oggi appare in grado di fare lo spirito primevo di un genere che, giustamente, si è evoluto verso forme più accessibili e relativamente raffinate, ma che continua ad affondare le proprie radici diversi metro sotto il suolo, laddove il putridume regna ed è da lì che la pianta trae linfa per fornire i suoi osceni frutti.
Una forma espressiva, questa, che trova ragion d’essere solo nell’esposizione di un genere come il black metal che, nonostante i numerosi ed apprezzabili tentativi di ammorbidimento e contaminazione, non potrà comunque mai essere derubricato del tutto a qualcosa di omologabile e di inoffensivo, almeno finché ci saranno band come i Sortilegia ad alimentarne la fiamma.
Sulphurous Temple svelerà il proprio valore solo a chi si riconosce nel profilo delineato con il primo paragrafo, per tutti gli altri è meglio passare oltre.

Tracklist:
1. Night’s Mouth
2. Speculum Tenebrarum
3. Ecstasies of the Sabbath
4. The Veil
5. Hymn for the Egregor
6. Exalting in Acrid Flames

Line-up:
Haereticus – Drums
Koldovstvo – Vocals, Guitars

Mystifier – Profanus

Il lavoro va via che è un piacere, magari non lasciando ricordi indimenticabili, ma mostrando un efficace spaccato di quello che era la scena estrema brasiliana nell’ultimo decennio del secolo scorso.

La Vic Records, etichetta olandese specializzata in ristampe, continua la sua meritoria opera di “archeologia metallica”.

Ad essere riportato alla luce è in quest’occasione il quarto e ultimo full length dei brasiliani Mystifier, una delle band seminali della scena estrema della nazione che ha dato i natali ai Sepultura.
In particolare, la band guidata da Armando da Silva Conceição, in arte Beelzeebubth, è stata tra le prime in quel continente a far proprie le pulsioni black provenienti dal Nord Europa, anche se il tutto è sempre stato incanalato in una forma di thrash dai tratti molto oscuri e, ovviamente, al 100% intriso di tematiche occulte e sataniste.
Rispetti ai primi tre lavori, Profanus mostrava una maggiore propensione alla forma canzone, riducendo il minutaggio dei vari brani e risultando molto più diretto ed essenziale, privo quindi di quegli elementi distintivi in grado di rendere affascinante o grottesco (a seconda dei punti di vista) l’operato del gruppo brasiliano.
Il lavoro va via che è un piacere, magari non lasciando ricordi indimenticabili, ma mostrando un efficace spaccato di quello che era la scena estrema da quelle parti nell’ultimo decennio del secolo scorso: infatti, pur essendo datato 2001, Profanus sembra in tutto e per tutto un lavoro più datato (detto in senso buono), non tanto per la produzione, che anzi è decisamente apprezzabile se rapportata a lavori della stessa epoca, ma piuttosto per l’approccio naif alla materia da parte dei Mystifier.
La differenza tra i brani contenuti in Profanus e quelli dei primi anni novanta si può cogliere facilmente grazie alle tre bous track registrate live a Recife nel 2015 che mostrano, invece, una maggiore enfasi dal punto di vista vocale e lirico ed una struttura molto più diluita e sfaccettata.
Questo suggerisce anche, a chi se lo fosse chiesto, che i Mystifier sono tuttora attivi, nonostante non pubblichino un disco di inediti da oltre sedici anni; a quanto pare il buon Beelzeebubth, uno dei non pochi che nella loro carriera hanno speso più tempo ad inseguire musicisti per completare la band che a scrivere musica , sta lavorando all’uscita di un atteso nuovo full length e, francamente, sono molto curioso di vedere cosa sarà in grado di offrire questo benemerito veterano della scena metal sudamericana.

Tracklist:
1. Unspeakable Dementia (Utter Nonsense)
2. Dare to Face the Beast
3. Supreme Power of Suffering
4. Born from Mens’ Dreams
5. Superstitious Predictions of Misfortune
6. Je$$us Immolation
7. Beyond the Rivers of Hade
8. Thus Demystifier Spoke
9. Free Spirit Flight
10. Celebrate the Antichristian Millenium
11. Sowing the Evil in Our Hearts
12. Hangman’s Noose (Ending Mortal Existence)
13. Atheistic Prelude to Immortality
14. An Elizabethan Devil Worshipper’s Prayer Book (Live)
15. Alesteir Crowley (Live)
16. Osculum Obscenum (Live)

Line-up:
Beelzeebubth – Guitars, Bass, Lyrics
Brunno Rheys – Bass, Vocals (backing)
Asmoodeeus – Vocals
Leandros – Keyboards, Vocals (backing)
Louis Bear – Drums

MYSTIFIER – Facebook

Implore – Subjugate

Quattordici brani che non raggiungono i tre minuti ma che dicono tanto, sviluppandosi nel poco tempo concesso e risultando perfetti oggetti dinamitardi in mano a questi terroristi musicali che con Subjugate, ritornano all’attenzione degli amanti del genere in un’atmosfera di totale devastazione e massacro.

Band attiva dal 2012 e di base in Germania ma da anni in movimento continuo, tanto da essere considerata internazionale e non solo per la provenienza dei propri membri, gli Implore di Gabriel ‘Gabbo’ Dubko, unico superstite della formazione originale, tornano con un nuovo e devastante lavoro a base di death metal e riottoso hardcore.

Subjugate è il titolo di questa nuova denuncia, un urlo di disperata rabbia contro tutto e tutti, dalla società alla religione: in appena mezzora si susseguono quattordici esplosioni di violenza in musica senza soluzione di continuità, un continuo e terribile urlo di dolore che passa dalle grida cariche di odio di Dubko, al drumming secco ed incessante di Guido Montanarini e al riffing chirurgico dei due chitarristi Petro e Markus.
Questo in definitiva è il mondo in cui viviamo, nascosto da lustrini e pailettes di un falso benessere regalato da chi ci manovra, ma che sta sfuggendo di mano e che gli Implore denunciano con questo ennesimo assalto sonoro che, nella sua violenza estrema, scivola via che è un piacere.
La loro musica è per soli amanti dell’estremo, gli altri devono abbandonare il campo di battaglia già alla terza ripartenza (Cursed Existence), mentre gli strumenti cominciano a sanguinare, torturati dai tre guerrieri estremi.
Quattordici brani che non raggiungono i tre minuti ma che dicono tanto, sviluppandosi nel poco tempo concesso e risultando perfetti oggetti dinamitardi in mano a questi terroristi musicali che, con Subjugate, ritornano all’attenzione degli amanti del genere in un’atmosfera di totale devastazione e massacro.
Technology A Justification For Killing è il punto più alto dell’album, detto questo fatevi travolgere senza remore da questo lavoro.

Tracklist
01. Birth of an Era
02. Loathe
03. Cursed Existence
04. Paradox
05. Disconnected from Ourselves
06. Totalitarian
07. Patterns to Follow
08. Ecocide
09. Technology a Justification for Killing
10. Cult of El
11. Desolated Winds
12. Boundary
13. Untouchable Pyramid
14. Gazing Beyond

Line-up
Gabriel – bass, vocals
Petro – guitars
Markus – guitars, vocals
Guido – drums

IMPLORE – Facebook

Antiquus Scriptum – Antologia

Un pagan/epic black metal con potenziale qualità ma che di chiaro ha ben poco. Da parte degli amanti del genere, comunque, può meritare una possibilità.

Il pagan black metal di Antiquus Scriptum, one-man band portoghese con alle spalle una carriera ormai quasi ventennale, torna con il nuovo album Antologia che, dopo una breve intro soft con dei suoni della natura (nella stessa maniera si chiuderà), si catapulta nelle orecchie dell’ascoltatore con il massimo della violenza possibile, in chiave totalmente nichilista e senza alcuna traccia di benevolenza.

Ogni traccia di Antologia è intrisa, già dai titoli, di dissacrazione e malattia. Questa rimane una costante imprescindibile per tutta la durata del disco. Il musicista e compositore portoghese tira fuori un sound che ha anche tanto di epico e sinfonico, ma che comunque non cozza con la natura distorta dell’album.
Il risultato è, tutto sommato, una discreta miscela tra più stili, con qualche intermezzo come A shape of space & time che, in confronto al ritmo incessante dell’album, sembra quasi un pezzo pop.
Ad una valutazione complessiva, però, sono davvero molti i limiti del disco. Uno dei più importanti è senza dubbio la parte vocale, che qui naviga in maniera incerta tra frammenti death, voce pulita e raw. Proprio la voce, spesso ma non sempre, stona completamente con l’atmosfera musicale che si crea. È quasi come se fosse stata gettata in mezzo alla registrazione da un’altra fonte.
Anche sulla parte strumentale ci sono dei dubbi, infatti il ritmo eccessivamente forsennato dell’album sembra fine a sé stesso, confusionario e privo di criterio. Questo non aiuta certamente a capire cosa si sta ascoltando.
Insomma, c’è sicuramente del buono, ma c’è anche uno stile musicale ancora da comprendere.

Tracklist
1. Dance of the Sleepless Souls in a Dusk Called Night… (Intro)
2. In Pulverem Reverteris
3. Abi In Malam Pestem
4. Inner Depression (Syndromes of Fear)
5. I. N. R. I.: Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum
6. Thy Visionary
7. Den Nordiske Sjel Lever I Meg
8. Odi At Amo, Excrucior…
9. A Shape of Space & Time
10. In the Kingdom of Superstition
11. A Sea of Doubts
12. Dance of the Crying Souls in a Dusk Called Night… (Outro)

Line-up
Sacerdos Magus – Bass, Vocals, Guitars, Acoustics, Drums, Key Strokes

ANTIQUUS SCRIPTUM – Facebook

Häive – Iätön

E’ realmente necessario che ogni ascoltatore “open minded” trovi un po’ di tempo da dedicare ad un’opera così affascinante di dark/folk intriso di black metal.

Dopo uno iato temporale di dieci anni, dopo una meraviglia come Mieli Maassa, uscito nel 2007, riemerge Häive, la creatura con cui esplora il suo mondo musicale il musicista finnico Janne ‘Varjosielu’ Väätäinen, che suona ogni strumento ed è accompagnato in alcune session vocali da Noitavasara.

Fin dalla cover, veramente splendida e particolare, siamo introdotti in un mondo magico di suoni e oscurità, dove l’artista esplora temi come la natura, la disperazione e l’oblio attraverso un intenso suono folk immerso in note black metal evocative e ricche di atmosfera. Otto brani, quaranta minuti di musica fuori dal tempo che non ha bisogno di furia e di tempi veloci per sviluppare il viaggio dell’artista; qui ci sono cristalline melodie folk, che si appoggiano su mid tempo intensi, fluidi e carichi di energia. Chi ha conosciuto e apprezzato la precedente release rimarrà, ancora una volta, estasiato, come il sottoscritto, di fronte alla grande capacità compositiva dell’artista, capace di variare le atmosfere all’interno dei brani, come nel terzo brano Lapin Kula, dove uno scream deciso accompagna una tersa melodia pregna di oscurità per poi, dopo un solo con aromi heavy metal, sfrangiarsi in note dark folk e aprirsi in note di chitarra molto evocative e desolate.
Le vocals sono in finnico e aggiungono un fascino peculiare ed arcano all’intero lavoro, donando quell’unicità, quella sensazione di un lavoro fuori dal tempo; qui non ci sono segnali di suoni classicamente atmosferici o parti post black, ma solo il viaggio di un musicista unico, dotato di classe cristallina, alla ricerca di una personale via per esprimere la sua visione della natura: la copertina interna del cd è esplicativa, con il musicista che ammira l’invernale natura incontaminata della sua terra. E’ realmente necessario che ogni ascoltatore “open minded” trovi un po’ di tempo da dedicare ad un’opera così affascinante, perché non resterà assolutamente deluso e attenderà pazientemente altri dieci anni per riassaporare queste emozioni uniche.

Tracklist
1. Iätön (Ageless)
2. Turma (Ruin)
3. Lapin Kouta (Kouta from Lapland)
4. Kuku, kultainen käkeni (Sing My Golden Bird)
5. Tuulen sanat (The Spell of Wind)
6. Salojen saari (Esoteric Isle)
7. Tuonen lehto, öinen lehto (Grove of Tuoni, Grove of Evening)
8. Virsi tammikuinen (Song of January)

Line-up
Varjosielu – Vocals, Guitars, Bass, Drums, Mouth harp, Kantele

HÄIVE – Facebook

Black Orchestra – Inhale Your Eyes

In una scena che fatica a ritrovare band capaci di trascinare il metal alternativo ai vertici come in passato, i Black Orchestra rifilano tre colpi non da poco, duri, melodici ed accattivanti, mescolando e rivoltando i generi in un cocktail dal buon appeal.

Una nuova band si affaccia sul panorama alternativo nostrano con ambizioni di portare un po’ di fresco entusiasmo anche fuori dai confini nazionali: si tratta dei Black Orchestra, monicker da metal classico ma dal sound che segue le coordinate industrial crossover di inizio millennio.

Capitanati dal cantante Tomas Selvaggio e con la supervisione di Masha Mysmane, storica cantante degli Exilia, la band debutta dopo quattro anni dalla fondazione con questi tre brani raccolti nell’ep Inhale Your Eyes.
Dimenticate i suoni che vanno di moda oggi nel metal/rock moderno, questi tre brani prendono la via che torna verso il metal alternativo strutturato su basi industrial, sferzate nu metal e rock che una quindicina d’anni fa risultava fuori dagli schemi.
In una scena che fatica a ritrovare band capaci di trascinare il metal alternativo ai vertici come in passato, i Black Orchestra rifilano tre colpi non da poco, duri, melodici ed accattivanti, mescolando e rivoltando i generi descritti in un cocktail dal buon appeal.
E’ perfetto l’approccio stilistico del vocalist, personale e mai troppo estremo, melodico ma robusto quel tanto che basta per non cadere nel melenso come molte band core di oggi.
Il refrain dallo spirito hard rock della bellissima title track, il nu metal di Resurrection (scelta come singolo) e l’energia sprigionata da Cause Of You (tra Disturbed e Nine Inch Nails) risultano sicuramente un buon inizio per i Black Orchestra: in attesa di un primo full length, passo importante per dare una sterzata al futuro prossimo della band: il presente si chiama Inhale Your Eyes, non perdetevelo.

Tracklist
01. Inhale Your Eyes
02. Resurrection
03. Cause Of You
04. Resurrection (Official Video)

Line-up
Tomas Selvaggio – Vocals
Domenico Conte – Guitars
Roberto JD Geddo – Bass
Max Nobile – Drums

BLACK ORCHESTRA – Facebook