Wrong Way To Die – Wild And Lost

Uno degli indicatori della bontà di un album è quello di far premere nuovamente il tasto play alla fine dell’ascolto, e con Wild And Lost lo si fa più e più volte, perché c’è una luce particolare in questo disco, come in certe mattine nelle quali sembra che tutto l’universo possa volerti almeno un po’ di bene.

I Wrong Way To Die sono un gruppo padovano di hardcore melodico ma c’è molto di più.

Nati nel 2011, hanno debuttato sulla lunga distanza nel 2014 con Ingrates, per Redfield Digital, e hanno condiviso il palco con gruppi dal grande seguito come Texas In July e Being As An Ocean. La band si autodefinisce melodic hardcore, ma la sua musica va ben oltre questo genere , regalando molte emozioni che è poi la cosa più importante. I Wrong Way To Die sono un gruppo di talento e passione, all’interno di ogni canzone riescono sempre a trovare le soluzioni adeguate, e soprattutto allargano l’orizzonte di questo suono, rompendo i soffitti e facendoci intravedere il cielo. Nella loro musica si può sentire una linea melodica in comune con gruppi come i Deftones, quelle scalate melodiche che rimettono a posto il cervello e lo stomaco di chi ascolta. Ci sono tantissimi stop and go, tutti bellissimi e coerenti, e anche le parti maggiormente post hardcore sono molto belle. Se si volesse dare una definizione del loro suono, definizione per forza riduttiva perché è sempre la musica ed il gusto personale a comandare, si potrebbe azzardare un post hardcore progressive, perché ci sono cose in questo gruppo che vanno oltre le definizioni esistenti. I Wrong Way To Die non inventano nulla, ma lo fanno in maniera molto originale e coinvolgente, con un disco che ha una grande freschezza e al contempo un grande calore che ti avvolge e ti fa stare bene, senza contare che la resa dal vivo deve essere devastante. Uno degli indicatori della bontà di un album è quello di far premere nuovamente il tasto play alla fine dell’ascolto, e con Wild And Lost lo si fa più e più volte, perché c’è una luce particolare in questo disco, come in certe mattine nelle quali sembra che tutto l’universo possa volerti almeno un po’ di bene. Si sente molto chiaramente che il gruppo ha ascoltato e studiato molto e, mi spiace dirlo, ma se fossimo ad altre latitudini avrebbe ben altro seguito. Un disco che cerca dentro e fuori di noi alcune risposte, che sono già messe in musica proprio qui.

Tracklist
1. Orbit
2. Aimless
3. Reformed
4. Eternal
5. Fall Apart
6. The Most You Can Lose
7. The End / To Begin
8. The Glass I

Line-up
Federico Mozzo – Guitars
Vittorio Rispo – Bass
Marco Violato – Drums
Pham The Cosma Hai – Vocals

WRONG WAY TO DIE – Facebook

Northwoods – Wasteland

Le principali ispirazioni del gruppo perugino sono da ricercarsi nei Converge, nei Botch, negli Snapcase ed in tutti quei gruppi che fanno un hardcore moderno.

Hardcore distopico e caotico da Perugia, violenza ed incubi.

I Northwoods sono un trio al loro debutto discografico che materializza ciò che potrebbe diventare la nostra bella vita nell’emisfero giusto. Città radioattive, caos e morte che viene sia dal cielo che dalla terra, usando un hardcore mutato per raccontare il tutto. Le principali ispirazioni del gruppo perugino sono da ricercarsi nei Converge, nei Botch, negli Snapcase ed in tutti quei gruppi che fanno un hardcore moderno. Wasteland è il frutto della passione per questi suoni, unito ad una buona capacità compositiva, accompagnata ad una propensione alla scrittura di testi molto vividi. Ascoltando i perugini abbiamo un sacco di cambi di tempo, gli strumenti spesso non vanno insieme e la rabbia monta per spirali, insieme alla consapevolezza che siano carne da macello, comandati da chi può, e invece noi non possiamo. La speranza giustamente non abita da queste parti, bisogna riconoscere che l’uomo è il lupo di se stesso, e qui troviamo descrizioni di cose come la City 40 in Russia, dove i cittadini venivano riempiti di ogni ben di dio, ma in cambio venivano esposti a fortissime radiazioni per studiarne gli effetti. Queste cose non possono che venire descritte con questa musica, con questo elettrico vivere sull’orlo dell’abisso, caos ed hardcore. Inoltre i tre perugini lo fanno molto bene. L’unico difetto è che in alcuni passaggi sono un po’ troppo derivativi, mentre nelle cose più loro sono davvero notevoli. Un esordio che lascia il segno, ascoltatelo e fatevi domande, il futuro è terrificante.

Tracklist
1.Ground Zero
2.Moebius
3.City 40
4.Asylum
5.Strenght Path
6.Future Is A Shadow Line
7.Detachment
8.The Witness

Line-up
Alvaro Diamanti – Guitars/Vocals
Federico Mazzoli – Bass
Andrea Gentili – Drums

NORTHWOODS – Facebook

Septic Tank – Rotting Civilisation

Non deve passare inosservato il ritorno a sonorità crude e selvagge di autentiche leggende della musica estrema come Lee Dorrian e Gaz Jennings. Regaliamoci quaranta minuti di storia della musica estrema.

Non deve passare inosservato il ritorno a sonorità crude e selvagge di autentiche leggende della musica estrema, Lee Dorrian e Gaz Jennings.

I Septic Tank hanno aspettato il momento giusto per farci esplodere in faccia diciotto proiettili di insano suono crust, punk, hardcore; il quartetto composto anche da Scott Carlson al basso (Cathedral, Church of Misery, Repulsion) e Jaime Gomez Arellano alla batteria (Mothlite) aveva visto la luce nel 1994 ed è stato ibernato fino al 2013 quando è uscito un omonimo ultralimitato ep. Ora i tempi sono maturi per riaprire la “fossa settica” (Septic Tank) e spargere nel mondo liquami velenosi e intossicanti su questa “rotting civilization”; quaranta minuti, brani brevi sparati a rotta di collo fino dalla title track, carica di ferocia e odio, con testi scritti da Dorrian e musica composta dalla band in toto; nessun manierismo ma voglia di gridare, senza remore, lo schifo di un mondo alla deriva. La musica colpisce in pieno volto, lascia sanguinanti al suolo nel ricordare i primi passi di Lee Dorrian con i Napalm Death, senza dimenticare tutto lo spirito hardcore di band come Siege, Discharge e tante altre; lo spirito sovversivo di Lemmy in Divide and Conk Out emerge prepotentemente e colpisce il cuore. Nessun momento di pausa, il mondo deve essere colpito, non deve pensare, deve essere abbattuto con tutta l’inutilità dei suoi attuali marci ideali. Riff distorti, vibranti, passionali sono la colonna sonora per riuscire in tutto questo, aiutati da ritmiche rutilanti e incessanti. Brani come Fucked e White Wash non hanno bisogno di alcuna spiegazione, si accendono in un attimo ma creano un fuoco interiore difficile da spegnere. Le cadenze di Death Vase sprigionano tensioni infinite implacabili. Qui non abbiamo musicisti alle prime armi, ma artisti, alla soglia dei cinquant’anni come Lee Dorrian che dopo una carriera veramente gloriosa hanno ancora voglia di sbattersi e dimostrare il loro valore incendiando gli animi e la sensibilità di gente che non ne può più; le chitarre di Gaz Jennings sfornano riff violenti, attingendo ispirazione dal meglio della scena hardcore e crust degli anni 80 e 90. Lavoro superbo, sperando che il tutto non rimanga episodio isolato; in ogni caso lasciatevi intossicare da questa miscela impossibile da spegnere.

Tracklist
1. Septic Tank
2. Who
3. Victimised
4. Social Media Whore
5. Divide and Conk Out
6. Treasurers of Disease
7. Fucked
8. Whitewash
9. Death Vase
10. You Want Some
11. Digging Your Own Grave
12. Danger Signs
13. Walking Asylum
14. Lost Humanity
15. Never Never Land
16. Self-Obsessed
17. Living Death
18. Rotten Empire

Line-up
Scott Carlson – Bass
Gaz Jennings – Guitars
Lee Dorrian – Vocals
Jaime Gomez Arellano – Drums

SEPTIC TANK – Facebook

Noise Trail Immersion – Womb

Tecnica e capacità compositiva sono importanti e notevoli in questo disco, ma la cosa più importante è il cuore di questo gruppo, la capacità di creare empatia con l’ascoltatore.

Pesantissimo esordio discografico per questo gruppo torinese, dedito ad un hardcore metal nerissimo, con incursioni nel death metal e nel math, con inaspettate e bellissime aperture melodiche.

I Noise Trail Immersion sono un gruppo che ha sicuramente attinto a Converge, The Secret e Dillinger Escape Plan, e la loro capacità più grande è di essere partiti da qui per intraprendere un cammino totalmente nuovo e ricchissimo. Anche grazie all’ottima produzione si possono sentire canzoni cariche di furia, di tecnica, di melodie da scoprire e tanta voglia di coinvolgere l’ascoltatore. Quello che vi aspetta in questo disco è un nero ed oscuro viaggio, ma sarà molto piacevole, poiché è da tempo che non si ascoltava un lavoro simile nel genere, che poi non è un genere musicale tout court bensì una maniera di sentire. I Noise Trail Immersion ci portano in bui corridoi dove ci aspettano bestie sconosciute e umani che potrebbero essere i nostri cari, ma li vedrete come personaggi di SIlent Hill. L’assalto sonoro è notevole, ma ciò che colpisce di più è al straordinaria capacità di colpire l’ascoltatore per poi innalzarlo con aperture bellissime. Ogni canzone si fa ascoltare fino in fondo, ogni canzone è un piccolo movimento di un’opera più grande, dove tutto è incastonato perfettamente in un’apocalisse sonora e di sentimenti sublime.
Tecnica e capacità compositiva sono importanti e notevoli in questo disco, ma la cosa più importante è il cuore di questo gruppo, la capacità di creare empatia con l’ascoltatore. Bellissimo, e pensare che al primo ascolto non mi era piaciuto.

TRACKLIST
1.Border
2.In Somnis
3.Light Eaters
4.Placenta
5.Womb
6.Organism
7.Hypnagogic
8.Tongueless
9.Birth

LINE-UP
Membri
Fabio – vox
Davide – guitar
Daniele – guitar
Lorenzo – bass
Paolo – drums

NOISE TRAIL IMMERSION – Facebook

Throwers – Loss

Con un impatto devastante diluito in pause strumentali più rallentate, il primo albume dei tedeschi Throwers risulta accessibile. Loss si presenta infatti dissonante, estremo ma non troppo ripetitivo, chiassoso ma vario. Di sicuro non è l’album rivoluzionario, ma è un bel prodotto per gli amanti del genere.

Forse l’album dalla copertina più fuorviante che mi sia mai capitato. Non conoscevo i Throwers e la foto di un signore anziano con occhialini e barba lunga, intento a qualche lavoro manuale (ha qualcosa tra le mani) su uno sfondo colore rosa mi faceva pensare a una band di folk rock.

Il retro della copertina cartonata con la scritta che suggerisce di ascoltare l’album al volume più alto possibile per poter apprezzare al meglio il suono della band e l’analisi più attenta della foto dell’uomo che in mano ha un teschio, mi fa capire che sono fuori strada.
Ma sono ugualmente a mio agio. Loss è il primo album sulla lunga distanza dei tedeschi Throwers, che si presentano con un hardcore violento e sporco, bello solido e compatto, mescolato con sfumature post harcore, ma solo dal punto di vista strumentale. La voce di Alex infatti non molla mai la cattiveria e l’aggressività.
Nonostante il disco sia piuttosto brutale, l’ottima registrazione permette di apprezzarne i vari strumenti, che non risultano un muro di suono caotico, ma qualcosa di bene progettato.
Velocità e tecnica sono proprietà di questo album, che ha la caratteristica di essere composto da un ritmo di fondo ben riconoscibile a cui si sovrappongono più in superficie diversi elementi variabili: a tratti sembra di ascoltare del black metal, a tratti del post metal mescolato con del punk.
Azzeccata anche la scelta di inserire momenti tranquilli nella struttura delle diverse canzoni, perché permette di arrivare in fondo alla mezzora abbondante dell’album senza essere stravolti. E l’impatto, seppur devastante, viene diluito. Accessibile come era già capitato per altre band precedenti e alle quali probabilmente si inspirano (Botch, Knut, Converge per citarne alcune), Loss si presenta dissonante, estremo ma non troppo ripetitivo, chiassoso ma vario. Di sicuro non è l’album rivoluzionario ma è un bel prodotto per gli amanti del genere.

TRACKLIST
1. Singularity
2. Der Makel
3. Karg
4. Homecoming
5. Unarmed
6. Assigning
7. Nevermore

LINE-UP
Jonas – Bass
Gabriel – Drums
Kay – Guitar
Alex – Vocals

THROWERS – Facebook

Parsec – Sulla Notte

Il quartetto ha buone intenzioni, ma che non ha ancora l’esperienza per colpire in maniera decisa

A quattro anni dal loro primo ep autoprodotto, i bolognesi Parsec (Federico Cavicchi, Samuele Venturi, Gabriele Tassi, Leopoldo Fantechi) ritornano con Sulla Notte, album composto da dieci brani e pubblicato da Waves For The Masses. Il disco, incrociando The Death Of Anna Karina, Affranti e Massimo Volume, cerca di graffiare con il suo sound, ma raramente riesce a mordere in maniera convincente.

Il piovere di chitarre di Audrey, combinato con un parlato/raccontato che mai inchioda con le sue parole, introduce le regolari note di basso, su cui si sfogano i restanti strumenti, di Luci Al Neon, mentre Per Una Volta, nascondendo, nella sua urgenza, un cuore dai contorni post rock, prova ad avvolgere con malinconiche emozioni.
Non Siamo Mai Stati Moderni, in quarta posizione, prova ad accelerare il ritmo, lasciando che a seguire siano la non così efficace Un’Infanzia Difficile (nel testo viene recitato il banale “alla fine dell’Estate arrivò l’Autunno”) e il pulsare nervoso della più incisiva All’Ultimo Piano.
Il suono carico di malessere de Il Testamento Di Un Uomo, invece, provando a colpire con il suo piglio più pensieroso, si contrappone all’intreccio di basso, batteria e chitarra (decisamente aggressivo nella conclusione), di Emile.
Lo Straniero, infine, più regolare e metodica, cede a Stoccolma e alla sua struttura, a tratti più cerebrale e matematica, il compito di chiudere.

I dieci brani di questo Sulla Notte dovrebbero mordere ed emozionare, ma raramente ci riescono. Si capisce fin da subito, infatti, che il quartetto ha buone intenzioni, ma che non ha ancora l’esperienza per colpire in maniera decisa. Il suono potrebbe essere potente come quello dei The Death Of Anna Karina (o cerebrale come quello dei Ruggine), ma non riesce ad aver dinamica e a colpire con forza, mentre i testi potrebbero essere profondi come quelli dei Massimo Volume (o sofferti come quelli degli Affranti), ma risultano piatti e piuttosto ingenui. Insomma, il potenziale sono convinto che ci sia, ma per risultare convincenti c’è ancora molto lavoro da fare

TRACKLIST
01. Audrey
02. Luci Al Neon
03. Per Una Volta
04. Non Siamo Mai Stati Moderni
05. Un’Infanzia Difficile
06. All’Ultimo Piano
07. Il Testamento Di Un Uomo
08. Emile
09. Lo Straniero
10. Stoccolma

LINE-UP
Federico Cavicchi
Samuele Venturi
Gabriele Tassi
Leopoldo Fantechi

PARSEC – Facebook

Dementia Senex / Sedna – Deprived

Due tra le migliori realtà italiane in ambito post metal vengono riunite per questo split album edito dalla Drown Within Records.

Due tra le migliori realtà italiane in ambito post metal vengono riunite per questo split album edito dalla Drown Within Records.

Dementia Senex e Sedna, band entrambe di stanza a Cesena, si sono già messe in luce nel recente passato con ottime prove: i primi con l’ep “Heartworm” del 2013, i secondi con l’album omonimo dello scorso anno che è stato considerato da gran parte della critica come uno dei migliori lavori in assoluto del 2014.
I due brani presenti nello split sono stati incisi entrambi lo scorso anno ma, mentre per i Dementia Senex si tratta di una nuova produzione successiva allo scorso Ep, per i Sedna bisogna risalire a qualche settimana prima dell’inizio delle registrazioni dell’album; inevitabilmente ciò comporta per i primi una sostanziale evoluzione rispetto a quanto prodotto in precedenza, mentre per i secondi resta ben impresso il sound che poi sarebbe confluito nel lavoro su lunga distanza.
Indubbiamente i Dementia Senex denotano una rabbia veicolata in maniera più diretta, pur senza trascurare la componente melodica, nell’ambito di una traccia come Blue Dusk che sembra spostare comunque l’asse compositiva verso un sound meno aspro, mentre l’approccio dei Sedna, che affonda maggiormente le proprie radici in una forma molto personale di black metal impastato dallo sludge e da ampie sfumature post hardcore, anche con Red Shift  si dimostra in qualche modo più avvolgente pur essendo piuttosto contiguo a quello dei compagni di split.
In entrambi i casi la manipolazione della materia è di primissima qualità in maniera tale che, forse, mai prima d’oggi le due band concittadine si sono trovate così vicine anche dal punto di vista stilistico; in tal senso, se non si può fare a meno di constatare quanto l’intensità mostrata dai Sedna sia qualcosa difficilmente avvicinabile per chi si cimenta in questo genere musicale.
Nonostante ciò i Dementia Senex non escono certo ridimensionati dall’arduo confronto, confermando e rafforzando le doti messe in mostra all’epoca di “Heartworm”; va rimarcato però, a tale proposito, che dopo l’uscita dello split la band ha dovuto subire la defezione del vocalist Cristian Franchini e questo potrebbe intralciarne momentaneamente la progressione.
Detti ciò, Deprived è un uscita di pregio che riporta l’attenzione su due band destinate a dare ulteriore lustro alla scena metal nazionale.

Tracklist:
1. Dementia Senex – Blue Dusk
2. Sedna – Red Shift

Dementia Senex
Mattia Bagnolini – Drums
Cristian Franchini – Vocals
Filippo Merloni – Guitars
Marco Righetti – Guitars
Gianmaria Mustillo – Bass

Sedna
Mattia Zoffoli – Drums
Elyza Baphomet – Vocals, Bass
Alex Crisafulli – Vocals, Guitars

DEMENTIA SENEX – Facebook

SEDNA – Facebook

Warknife – Amorphous

Gli Warknife con il loro nuovo lavoro hanno veramente fermato l’attimo, spingendosi non troppo lontano dalla perfezione

Ora stiamo veramente esagerando (in positivo): la nostra bistrattata penisola sta diventando la culla del metal in tutte le sue forme e non esiste più regione, città o paesino dove non ci siano gruppi di altissimo livello, da prendere seriamente in considerazione.
Per esempio quella dei Warknife, da Lecce, una creatura post hardcore, evolutasi in questo secondo magnifico album, in un mostruoso connubio tra death moderno, prog e sonorità core, è solo l’ultima in ordine di tempo tra le uscite in grado di destabilizzare il mercato.
Formatasi nel 2005, con all’attivo un demo ed un primo full-length uscito nel 2009 dal titolo “Dream of Desolation”, i quattro ragazzi salentini stupiscono con Amorphous per intensità, maturità compositiva e tecnica strumentale, confezionando un lavoro superbo.
Tecnica strumentale: partendo dalla performance di Simone Mele alla sei corde, chitarrista dalla tecnica ed emozionalità unica, passando da una sezione ritmica, fondamenta del disco, sempre perfetta sia nei brani dove deve picchiare il dovuto sia nei momenti nei quali il sound si apre su scenari death-prog e composta da Cesare Zuccaro alle pelli e Daniele Gatto al Basso, si arriva a Marco Landolfo, vocalist di razza, superlativo cantore su tutto l’album.
Intensità: ogni nota di questo disco sembra di vederla uscire dagli strumenti, la tensione rimane altissima così come l’emozionalità.
Maturità compositiva: un songwriting stellare costringe non solo a sentire l’album ma a viverlo per tutta la sua durata e ad ogni ascolto si scopre sempre un dettaglio,una nota nuova; non di semplice ascolto, ma i brani sono talmente belli che si arriva alla fine con la voglia di ricominciare tutta l’esperienza dall’inizio.
The Veil Fragments è la song dove, credo, tutto quanto ho scritto viene confermato dalla musica della band, il punto più alto di questo gioiello musicale tutto da scoprire: Machine Head, Lamb of God, Dark Tranquillity e Opeth sono solo nomi che potrete trovare nei solchi dell’album ma, ad un ascolto attento, troverete molto di più.
Gli Warknife con il loro nuovo lavoro hanno veramente fermato l’attimo, spingendosi non troppo lontano dalla perfezione …
Grande album, grande band.

Tracklist:
1. Act I. Shapeless Birth
2. The Infected Enigma
3. A Bleeding Sunset
4. Behold Regression
5. A Veil Fragments
6. Act II. Shape Shifting
7. Hateseed
8. Ill Becomes Order
9. Shining Phoenix
10. F.A.I.L.

Line-up:
Cesare Zuccaro Drums
Simone Mele Guitars
Marco Landolfo Vocals
Daniele Gatto Bass

WARKNIFE – Facebook