Haken – Vektor

Vector è un lavoro più diretto e prettamente metal, ma ormai gli Haken non hanno più bisogno né di presentazioni né di conferme, consolidandosi nel gotha della musica progressiva del nuovo millennio anche con questo nuova, nevrotica e durissima opera.

Sono passati pochi mesi da quando gli Haken hanno rilasciato il monumentale L-1VE, album celebrativo dei primi dieci anni di grande musica progressiva, sempre in bilico tra ispirazioni classiche e input moderni.

D’altronde la band si è affermata come una delle più convincenti realtà progressive degli ultimi anni, sempre un passo avanti per quanto riguarda le emozioni che, fin dal debutto Aquarius passando per Visions e i due capolavori The Mountain ed Affinity, hanno contraddistinto la proposta della band britannica.
Vector è il titolo nel nuovo lavoro che arriva due anni dopo il precedente Affinity, un album che di fatto lascia indietro in gran parte le ispirazioni classiche per tuffarsi nel progressive metal moderno.
Una scelta che farà storcere il naso a chi del gruppo amava il dualismo tra tradizione e modernità, anche se ovviamente non mancano del tutto le atmosfere progressive di matrice settantiana, in ombra però rispetto ad un approccio più metallico e djent.
Più vicini ai Tesseract e ai Leprous che non ai King Crimson, tanto per rendere meglio l’idea di quello che andrete ad ascoltare sul nuovo lavoro, che si presenta con una serie di magie tecniche già dalle bellissime The Good Doctor e Puzzle Box.
Veil è una meraviglia sonora che alterna parti durissime a pacati attimi atmosferici nei quali Ross Jennings fa il James La Brie, mentre Nil By Mouth è uno strumentale da brividi in cui il gruppo sfoggia le proprie immense doti tecniche, in un clima assolutamente estremo per le proprie coordinate musicali.
Host è una ballad con finale in crescendo, mentre A Cell Divides torna ai fuochi d’artificio, anche se è più marcata la vecchia attitudine ad alternare le varie correnti progressive.
Questo Vector è un lavoro più diretto e prettamente metal, ma ormai gli Haken non hanno più bisogno né di presentazioni né di conferme, consolidandosi nel gotha della musica progressiva del nuovo millennio anche con questo nuova, nevrotica e durissima opera.

Tracklist
1. Clear
2. The Good Doctor
3. Puzzle Box
4. Veil
5. Nil By Mouth
6. Host
7. A Cell Divides

Line-up
Ross Jennings – Vocals
Charlie Griffiths – Guitar
Rich Henshall – Guitar & keys
Diego Tejeida – Keys
Conner Green – Bass
Raymond Hearne – Drums

HAKEN – Facebook

Mycelia – Apex

Apex si rivela un buon ritorno per la band di Zurigo, leggermente inferiore al precedente lavoro ma pur sempre foriero di grande musica ultra-tecnica, confermando i Mycelia come una delle più convincenti realtà di un genere sempre difficile da suonare e comprendere in toto.

Tre anni fa Obey aveva fatto letteralmente sfracelli, presentandoci una delle migliori realtà attive sulla scena djent europea, i Mycelia.

La band svizzera, nata da un’idea del chitarrista Mike Schmid e del batterista Marc Trummer, quasi dieci anni fa arriva al terzo lavoro sulla lunga distanza dopo i primi due ep, Mycelania e Isolator, rispettivamente del 2011 e del 2013, il primo full length intitolato Nova ed il precedente, mastodontico lavoro uscito per la Wormholedeath.
Questa volta è la Eclipse Records a prendersi cura di questo ennesimo e dinamitardo esempio di technical/progressive death metal intitolato Apex, un altro assalto sonoro assolutamente devastante e tecnicamente fuori categoria.
Nel genere i Mycelia possono vantare un songwriting che permette loro di entrare ed uscire dai confini del brano senza perdere la bussola di una forma canzone sicuramente non schematica ma presente, tra le diavolerie strumentali che i musicisti di Zurigo riescono a materializzare anche su questo nuovo lavoro.
La formula è la stessa di Obey, progressive, technical death e djent, orchestrazioni apocalittiche, atmosfere intimiste e varianti jazzate in un contesto estremo cangiante e variopinto, assolutamente fuori dagli schemi ed eccezionale grazie alle doti strumentali dei protagonisti.
Il talento del gruppo sta nel rendere perfettamente leggibile, in brani tempestosi come Eight Milligrams, Once Upon A Lie o Slip-Along Jack Mctravis, uno spartito che non lascia punti di riferimento, passando tra i generi e pescando frammenti di note delle più disparate ad una velocità a tratti al limiti dell’umano, per poi placarsi e sciorinare parti jazz/fusion, modern metal e progressive .
Apex risulta così un buon ritorno per la band di Zurigo, leggermente inferiore al precedente lavoro ma pur sempre foriero di grande musica ultra-tecnica, confermando i Mycelia come una delle più convincenti realtà di un genere sempre difficile da suonare e comprendere in toto.

Tracklist
1.Eight Milligrams
2.Nefarious Seeds
3.Lawnmower Man
4.Once Upon A Lie
5.East of Eden
6.Monolith
7.Holler
8.The Hateful Half‐Dozen
9.Slip‐Along Jack McTravis
10.Flak
11.E.V.A.
12.Cromulon
13.Timesick

Line-up
Mike Schmid – Guitar
Mike Fuller – Guitar
Marc Trummer – Drums
Marc Fürer – Vocals
Lukas Villiger – Vocals
Eugen Wiebe – Bass

MYCELIA – Facebook

Chaos Over Cosmos – The Unknown Voyage

The Unknown Voyage ha nelle note del synth la sua arma migliore, protagoniste di atmosfere futuriste e psichedeliche, anche se la tradizione metal/rock è ben in evidenza.

Sicuramente da considerare come una band metal prog, arrivano al debutto i Chaos Over Cosmos, duo polacco/spagnolo formato da Rafal Bowman (chitarra, synth e programming) e Javier Calderon (voce).

The Unknown Voyage, album che troverete gratuitamente sul web, è un bellissimo lavoro che racchiude in sé una manciata di generi in un’unica proposta, assolutamente progressiva, melodica ma che non nasconde una vena estrema di matrice scandinava.
I Chaos Over Cosmos miscelano in un cocktail metallico prog metal, melodic death e power confezionando quattro lunghe jam di cui tre superano i dieci minuti e solo l’opener A Hidden Path (che funge da intro) rimane confinata in un minutaggio di tre minuti.
Il concept del viaggio spaziale influisce non poco sull’aura psichedelica che aleggia sui brani, da Amour of The Stars (Xenogears), alla settantiana They Will Fall, lungo brano cadenzato che ricorda i Black Sabbath era Dio, dall’incedere evocativo ed epico che si trasforma in un brano heavy veloce e progressivo.
The Compass è il brano più progressivo del lotto, il viaggio del duo continua toccando rive musicali che ricordano gli Edge Of Sanity di Crimson, mentre la conclusiva They Sky Remembered My Name torna su lidi prettamente prog metal dal tagli psichedelico.
Buon ascolto per gli amanti dei suoni progressivi moderni, The Unknown Voyage ha nelle note del synth la sua arma migliore, protagoniste di atmosfere futuriste e psichedeliche, anche se la tradizione metal/rock è ben in evidenza, specialmente nella monumentale They Will Fall.

Tracklist
01. A Hidden Path
02. Armour of the Stars (Xenogears)
03. They Will Fall
04. The Compass
05. The Sky Remembered My Name

Line-up
Rafal Bowman – Guitars, Synth, Programming
Javier Calderon – Vocals

CHAOS OVER COSMOS – Facebook

Postcards From Arkham – Spirit

L’aria in questo lavoro è differente, si respira a pieni polmoni grazie a musica composta con cura e talento, per un disco che raggiunge il cuore e ci porta a stupirci nuovamente della musica, finalmente dei suoni che ci rendono la vita migliore.

Ritorna l’ottimo gruppo ceco Postcards From Arkham, che offre musica progressiva misteriosa e malinconica ispirandosi a H.P. Lovecreaft, nume immenso e tutelare di chi nelle tenebre vede meglio che nella luce piena.

Spirit è il loro ultimo lavoro ed è come sempre un piccolo grande capolavoro. Partendo dai capisaldi della letteratura lovecraftiana il disco si snoda attraverso una struttura onirica, con musiche progressive che si adattano alle situazioni da raccontare, con una voce che ci sussurra e ci racconta storie che vengono da lontano, o forse dalla foresta più vicina. Ascoltando Spirit si viene pervasi da un senso di ricongiungimento a qualcosa da cui eravamo lontani, prigionieri delle nostre false convinzioni e delle nostre assurde sicurezze. Rispetto agli altri loro dischi, che consigliamo tutti molto caldamente, Spirit è ammantato da bellissime percussioni che punteggiano i momenti più importanti, rinforzando melodie che sono particolari ed originali di questo gruppo, che è una vera gemma nascosta dell’underground europeo. Lo scopo di questo lavoro è quello di far innalzare per qualche tempo la nostra anima ascoltando questi suoni che sono magici, oscuri ma positivi, hanno dentro il post rock e suoni etnici, qualcosa del neofolk e tanto di sognante e mesmerico. Musicalmente sono sempre stati un gruppo molto avanti, ma qui si superano ed innalzano ad un livello superiore la loro musica, raggiungendo vette molto alte, infatti l’ultima bellissima traccia del disco si intitola per l’appunto Elevate. L’aria in questo lavoro è differente, si respira a pieni polmoni grazie a musica composta con cura e talento, per un disco che raggiunge il cuore e ci porta a stupirci nuovamente della musica, finalmente dei suoni che ci rendono la vita migliore. I Postcard From Arkham finalizzano il loro percorso di maturazione con un’opera molto importante e dai grandi contenuti che si pone al di là dei generi.

Tracklist
1. One world is not enough
2. From the bottom of the ocean
3. Owls not what they seem
4. 2nd of april
5. Thousand years for us
6. Polaris
7. My gift, my curse
8. Elevate

POSTCARDS FROM ARKHAM – Facebook

NeversiN – The Outside In

I Neversin mettono in campo le loro doti al servizio di dodici piacevoli brani che formano un album fresco e solare, nel quale il metal sposa soluzioni tecnicamente importanti, mantenendo ugualmente un approccio caldo ed una forma canzone ben definita.

Non sono pochi gli album usciti negli ultimi anni che hanno rinfrescato la scena progressive metal, specialmente per quanto riguarda la scena underground italiana, una delle più ricche di talenti.

Certo che il prog metal classico (quello che si rifà ai Dream Theater, tanto per intenderci), ha poche frecce da scagliare contro il bersaglio dell’originalità, ma con album piacevoli, prodotti e suonati bene come il terzo lavoro dei nostrani NeversiN il risultato è ampiamente convincente e consigliato agli amanti del genere.
In The Outside In troverete prog metal di classe che non disdegna passaggi di ruvido hard & heavy e più melodico classic rock, un buon cantante che ricorda James La Brie ed una raccolta di brani che, appunto, uniscono grinta e melodia sotto il segno del metal progressivo, genere non così facile da proporre se non si è bravi musicisti ed ottimi songwriter.
Il quintetto nostrano mette in campo un po’ tutte queste caratteristiche, al servizio di dodici piacevoli brani che formano un album fresco e solare, nel quale il metal sposa soluzioni tecnicamente importanti, mantenendo un approccio caldo ed una forma canzone che in brani davvero belli come A Storm Is Coming, Life Preserved, o nelle ultime quattro tracce che formano la splendida suite The Symphony Of Light, confermano la band come un’ottima alternativa ai soliti nomi, proveniente dall’undergorund tricolore.
Come sempre la Revalve ha visto giusto, licenziando questa ottima terza prova dei NeversiN, gruppo che ha le carte in regola per non farsi dimenticare dagli appassionati.

Tracklist
01 – When Darkness Falls…
02 – A Storm Is Coming
03 – Rage, Pt. 2
04 – Life Preserved
05 – Rain
06 – B.O.Y. (Because of You)
07 – Light of the West
08 – Evenstar
09 – Cosmic Stroll in C# (Symphony of Light – Movement I)
10 – Light the Universe (Symphony of Light – Movement II)
11 – The Main Sequence (Symphony of Light – Movement III)
12 – Collapse (Symphony of Light – Movement IV)

Line-up
BeN – Vocals
Skench – Guitars
Sgana – Guitars
Hurt – Bass
Albertino – Drums

NEVERSIN – Facebook/

Watershape – Perceptions

Il sound dei Watershape riesce a fondere perfettamente più di un’anima progressiva, imprigionando in questi cinquanta minuti di musica intitolati Perceptions il progressive rock classico, quello aggressivo e tecnico del metal e quello emozionale del post rock.

La tradizione nostrana per quanto riguarda la musica progressiva viene puntualmente confermata dalle uscite discografiche di un certo spessore anche nel nuovo millennio.

Il genere riserva sempre piacevoli sorprese e l’Italia in questo campo scaglia frecce che colpiscono al cuore gli amanti della musica progressiva, a mio avviso mai come in questo periodo aperta a mille ispirazioni ed influenze.
Il metal ha dato una grossa mano al genere, scuotendo dalle fondamenta un’attitudine conservatrice e donando verve ed soluzioni intriganti ad un sound che rischiava di rimanere confinato ai soli reduci dagli anni settanta.
Gli Watershape, per esempio, sono una band fondata da Francesco Tresca, batterista degli Arthemis ed ex Power Quest, raggiunto da una manciata di musicisti che hanno militato o militano in ottimi gruppi della scena tricolore come Hypnotheticall, Sinastras e Hollow Haze.
Il loro sound riesce a fondere perfettamente più di un’anima progressiva, imprigionando in questi cinquanta minuti di musica intitolati Perceptions il progressive rock classico, quello aggressivo e tecnico del metal e quello emozionale del post rock.
L’album è un piacevole viaggio tra queste sfumature ed atmosfere, la band in modo raffinato ed intelligente non calca mai la mano su questa o quella ispirazione ma lascia che la musica fluisca libera, così che i passaggi dal rock progressivo a quello metallico non risultano mai forzati, al limite dettati da momenti di atmosferico rock che va dai King Crimson (Inner Tide ricorda gli splendidi momenti di pacata atmosfera dei brani che hanno fatto di In The Court Of The Crimson King uno degli album più belli della storia) ai Porcupine Tree (una delle tante concessioni all’era moderna del prog, insieme ai Pain Of Salvation ed ai più estremi Opeth).
Il resto è musica rock/metal d’alta scuola, progressiva e tecnica ma senza strafare, lasciando che siano i brani e le loro atmosfere a donare emozioni all’ascoltatore.
Da segnalare la prestazione di Nicolò Cantele, cantante che ricorda a tratti Damian Wilson, per diversi anni frontman dei Threshold, band che con i Dream Theater completa la parte metal della musica del gruppo, e di spessore le prestazioni degli musicisti coinvolti che valorizzano splendidi brani come Beyond The Line Of Being, la metallica Cyber Life o la classica The Puppets Gathering, a mio avviso il punto più alto di questo bellissimo album consigliato senza riserve a tutti gli amanti dei suoni progressivi.

Tracklist
01. Beyond The Line Of Being
02. Cyber Life
03. Alienation Deal
04. Stairs
05. The Puppets Gathering
06. Inner Tide
07. Fanciful Wonder
08. Seasons
09. Cosmic Box #9

Line-up
Nicolò Cantele – Vocals
Mirko Marchesini – Guitars
Mattia Cingano – Bass & Chapman Stick
Enrico Marchiotto – Keyboards & Synths
Francesco Tresca – Drums & percussions

WATERSHAPE – Facebook

Krakow – Minus

Difficile posizionare perfettamente la musica dei Krakow in un genere definito, forse psych/progressive metal/rock è la definizione più vicina a quello che suona il quartetto norvegese, bravo nel saper unire le varie atmosfere ed ispirazioni in un unico e suggestivo sound.

I Krakow danno alle stampe il loro quinto album, sterzando verso sonorità a metà strada tra psych rock, progressive e metal estremo e confezionando un piccolo gioiello di musica non così scontata come si potrebbe pensare, specialmente se si considera la band norvegese una gruppo progressive moderno.

Il quartetto di Bergen ha condensato il materiale in poco più di mezzora di musica evocativa, psichedelica e dai tratti progressivi, ma lascia spazio pure a sonorità più cool come lo stoner per un risultato interessante.
In Minus, quindi, non ci sono riempitivi, la musica scorre su un letto psichedelico, creando atmosfere fuori dal tempo sferzate da venti progressivamente metallici; la parte estrema, rilevante nella notevole The Stranger, si contrappone ai momenti evocativi ed atmosferici, mai dilatati ma tenuti in tensione da un songwriting essenziale.
Phil Campbell è ospite gradito nell’opener Black Wandering Sun, in From Fire From Stone nuvoloni sludge appaiono all’orizzonte portando perturbazioni di stampo Neurosis, mentre è il doom/progressive che rende la title track il brano più riuscito dell’intero lavoro.
Difficile posizionare perfettamente la musica dei Krakow in un genere definito, forse psych/progressive metal/rock è la definizione più vicina a quello che suona il quartetto norvegese, bravo nel saper unire le varie atmosfere ed ispirazioni in un unico e suggestivo sound.

Tracklist
1. Black Wandering Sun
2. Sirens
3. The Stranger
4. From Fire, From Stone
5. Minus
6. Tidlaus

Line-up
Frode Kilvik – Bass, Vocals
René Misje – Guitar,Vocals
Kjartan Grønhaug – Guitar
Ask Ty Arctander – Drums

KRAKOW – Facebook

North Of South – New Latitudes

Trovare paragoni per quanto suonato in questo album è alquanto difficile, sicuramente New Latitudes troverà estimatori negli amanti del metal tecnico, del progressive moderno e di chi apprezza la musica underground di alto livello.

Davvero tanto carne al fuoco in questo esordio discografico targato North Of South, progetto solista del chitarrista e compositore spagnolo Chechu Gomez.

Le nuove latitudini musicale del nostro abbracciano una moltitudine di generi diversi uniti in un unico sound che, a dispetto, dell’enorme quantità di ispirazioni funziona, anche se l’orecchio che serve per apprezzare la musica di Gomez è di quello più aperto ad ogni esperienza uditiva.
New Latitudes risulta così un’esperienza di ascolto totale, passando dal metal al rock latino di Santana, dal jazz al pop, dal punk al progressive senza ovviamente dimenticare la tradizione spagnola nel suono della chitarra acustica, che emerge a tratti unendo le varie atmosfere che cambiano ad ogni nota.
Uno spartito in piena burrasca creativa, un mare in tempesta che porta a riva note stravolte su relitti di generi assolutamente distanti, mentre facilmente vengono in mente i maestri Cynic negli angoli strumentali che guardano al metal estremo.
Sono attimi, perché in brani originali come l’opener The Human Equation o Balance Paradox le intuizioni di Gomez portano a confondere l’ascoltatore travolto dalle onde create sul pentagramma di New Latitudes.
Anche in questo lavoro, la tecnica strumentale di livello assoluto viene messa al servizio delle già intricate canzoni, così che l’ascoltatore è portato a concentrarsi sui vari generi e cambi di atmosfere piuttosto che seguire evoluzioni fine a sé stesse.
Trovare paragoni per quanto suonato in questo album è alquanto difficile, sicuramente New Latitudes troverà estimatori negli amanti del metal tecnico, del progressive moderno e di chi apprezza la musica underground di alto livello.

Tracklist
01. The Human Equation
02. Nobody knows
03. Balanced Paradox
04. Before we die
05. Crystal Waters
06. There’s no Glamour in Death
07. Time will tell
08. Faith is not Hope
09. Montreux

Line-up
Chechu Gòmez – Guitars

NORTH OF SOUTH – Facebook

Immortal Guardian – Age Of Revolution

Age Of Revolution è un lavoro spettacolare, assolutamente da non perdere se siete amanti di queste sonorità, che eleva gli Immortal Guardian al ruolo di una delle migliori realtà nel panorama power metal odierno.

Qualche anno fa il power metal melodico, progressivo e di ispirazione neoclassica era materia proveniente dal centro e dal nord Europa, terre che avevano dato i natali ai maestri del genere.

Con il passare del tempo anche gli altri paesi hanno visto nascere band di un certo spessore, con il genere diventato uno dei più seguiti nella terra del sol levante, mentre negli States il metal classico è sempre stato sinonimo di U.S. power, molto più oscuro e thrash oriented.
Il ritorno sul mercato degli Immortal Guardian è la classica eccezione che conferma la regola, visto che il quartetto di texano è una delle più convincenti realtà del genere che non giunga dal Sud America.
Nata nel 2008, la band ha inciso due demo e due ep, Super Metal del 2011 e Revolution Part I, bombe speed/ power dai tratti progressivi, epici, magniloquenti, veloci e impeccabilmente suonati dai quattro superheroes degli strumenti, ora alle prese con il primo full length, licenziato a tre anni dall’ultimo ep, che conferma l’altissima qualità della loro proposta.
Age Of Revolution è un album splendidamente progressivo nei suoi accenni al jazz e alla fusion, in un contesto power che ricorda la scena melodica tedesca e quella neoclassica scandinava, unite in un susseguirsi di colpi di scena e valorizzate da un songwriting davvero originale per il genere proposto.
Carlos Zema, vocalist già alla corte dell’ex Manowar David Shankle, e la sezione ritmica protagonista di cambi di tempo al limite dell’umano composta dal tentacolare Cody Gilliland alle pelli e Thad Stevens al basso, sono capitanati dal talentuoso chitarrista e tastierista Gabriel Guardiola, soprattutto songwriter di un’altra categoria, almeno per quello che si può ascoltare nei brani che compongono Age of Revolution.
Malmsteen, Gamma Ray, Stratovarius, Dream Theater, Angra e Dragonforce vengono uniti sotto lo stesso tetto e spettacolarizzati da un sound che corre veloce tra devastanti canzoni power metal, progressive ed illuminate da trovate compositive straordinarie come Zephon, la splendida Never To Return, Hunters o la violentissima State Of Emergency.
Age Of Revolution è un lavoro spettacolare, assolutamente da non perdere se siete amanti di queste sonorità, che eleva gli Immortal Guardian al ruolo di una delle migliori realtà nel panorama power metal odierno.

Tracklist
1. Excitare
2. Zephon
3. Aeolian
4. Trail of Tears
5. Never to Return
6. Stardust
7. Hunters
8. Fall
9. State of Emergency
10. Awake

Line-up
Carlos Zema – Vocals
Thad Stevens – Bass
Gabriel Guardian – Guitars & Keyboards
Cody Gilliland – Drums/Vocals

IMMORTAL GUARDIAN – Facebook

Riverside – Wasteland

Wasteland conferma i Riverside come una delle band cardine dei nuovi suoni progressivi sviluppatisi nei primi anni del nuovo millennio.

Tornare sul mercato con un nuovo album dopo una tragedia come quella capitata ai Riverside non è sicuramente compito facile, così come la scelta di continuare come trio dopo la perdita del chitarrista Piotr Grudziński, deceduto nel 2016.

Il successore del bellissimo Love, Fear and The Time Machine suscita sicuramente la curiosità di chi segue da anni il percorso musicale del gruppo polacco, una band diventata di culto per i progsters da quando, nel lontano 2003, esordì con Out Of Myself.
Mariusz Duda, Michał Łapaj e Piotr Kozieradzki, aiutati da una manciata di ospiti, continuano il loro personale viaggio nel mondo della musica progressiva con Wasteland, poetica, tragica ed ombrosa opera che non lascia spazio a molte critiche ed ammalierà i fans del genere.
Introverso, concettualmente durissimo, sferzante di nobile metallo ed attraversato da un’atmosfera di malinconica poetica rock, Wasteland è aperto dall’intro The Day After, sorta di presentazione dei nuovi Riverside e del mood che aleggerà nell’album, che parte invece rabbioso con Acid Reign, spettacolare brano progressive metal.
Lament è un altro brano top del disco: la voce melanconica si erge su un tappeto sonoro che alterna bordate elettriche ad arpeggi delicati e dark, mentre The Struggle For Survival è uno splendido strumentale di oltre nove minuti che, di fatto, divide l’album e lascia al tenue incedere di River Down Below il compito di accompagnarci nella parte conclusiva dell’opera.
La title track è uno straordinario esempio di metal progressivo, in cui oscure atmosfere di matrice folk sono spazzate da venti metallici in un saliscendi emozionale intenso e coinvolgente.
L’album si chiude con le raffinate note dark del pianoforte in The Night Before, traccia che scrive la parola fine di un’ opera molto suggestiva, confermando i Riverside come una delle band cardine dei nuovi suoni progressivi sviluppatisi nei primi anni del nuovo millennio.

Tracklist
1. The Day After
2. Acid Rain Part I. Where Are We Now? Part II. Dancing Ghosts
3. Vale Of Tears
4. Guardian Angel
5. Lament
6. The Struggle For Survival Part I. Dystopia Part II. Battle Royale
7. River Down Below
8. Wasteland
9. The Night Before

Line-up
Mariusz Duda – vocals, electric and acoustic guitars, bass, piccolo bass, banjo, guitar solo on ‘Lament’ and ‘Wasteland’
Michał Łapaj – keyboards and synthesizers, rhodes piano and Hammond organ, theremin on ‘Wasteland’
Piotr Kozieradzki – drums

RIVERSIDE – Facebook

Ehfar – Everything Happens For A Reason

Metal alternativo, hard rock progressivo, impulsi moderni e classe sopraffina al servizio delle canzoni che Titta Tani interpreta con la solita bravura e quel trasporto che sottolinea quanto di suo abbia messo in questo lavoro.

Dopo tanto scrivere e suonare per gli altri Titta Tani ha deciso di fare qualcosa di completamente proprio e sono nati gli Ehfar, quartetto che si completa con Emiliano Tessitore alla chitarra (Stage Of Reality), Matteo Dondi al basso (Theia) e Andrea Gianangeli alla batteria (Dragonhammer).

Ex di DGM ed Astra (tra gli altri), batterista dei Claudio Simonetti’s Goblin e cantante degli Architects of Chaoz, Titta Tani è sicuramente una delle figure più importanti e carismatiche nella scena metal/rock tricolore, un musicista dall’enorme talento confermato anche in questo suo nuovo progetto.
La band debutta con Everything Happens For A Reason, album composto da nove brani che spaziano tra i generi in cui il mastermind si è dedicato in questi anni: quindi nell’album troverete metal alternativo, hard rock progressivo, impulsi moderni e classe sopraffina al servizio delle canzoni che Titta Tani interpreta con la solita bravura e quel trasporto che sottolinea quanto di suo abbia messo in questo lavoro.
A Man Behind The Mask risulta la traccia più classica dell’opera, con Oliver Hartmann (Avantasia, At Vance, Iron Mask) che compare come ospite al microfono, mentre il resto dell’album mantiene un approccio moderno, progressivo e a tratti durissimo, schegge impazzite di metal tecnicamente ineccepibile, tra atmosfere drammatiche ed un approccio melodico sopra le righe.
Everything Happens For A Reason ci riserva una escalation di emozioni che dalle prime note dell’opener Shout My Name, passando per il groove della seguente Night After Night, esplodono nelle due spettacolari e bellissime tracce poste verso la fine dell’opera (Victims e Master Of Hypocrisy), le quali in pochi minuti uniscono Alice In Chains, Symphony X e Savatage nello stesso splendido e drammatico spartito, prima che il crescendo di emozioni della splendida Losing You concluda questo bellissimo lavoro.
Nel mezzo tanta ottima musica metal moderna, melodica e progressiva, dura e pulsante che vi avvicinerà al mondo di questo bravissimo musicista e songwriter nostrano.

Tracklist
01. Shout My Name
02. Night After Night
03. A Man Behind the Mask
04. Dead End Track
05. Once Upon a Time
06. Someone Save Me
07. Victims
08. Master of Hypocrisy
09. Losing You

Line-up
Titta Tani – Vocals
Emiliano Tessitore – Guitars
Matteo Dondi – Bass
Andrea Gianangeli – Drums

EHFAR – Facebook

Samuli Federley – Lifestream

Siamo lontani dai classici guitar heroes e Samuli Federley, come molti suoi colleghi della nuova generazione, punta più sulle emozioni e la sua musica se ne giova, anche se, quando le dita cominciano a scorrere sul manico della chitarra, esce prepotentemente tutta la sua bravura strumentale, rendendo il lavoro meritevole senz’altro di un ascolto.

Samuli Federley è un virtuoso chitarrista finlandese, membro dei prog metallers Reversion, che ha dato vita al suo solo project strumentale qualche anno fa.

Nel 2012 uscì il full length Quest For Remedy e oggi Federley torna con un nuovo ep di quattro brani dal titolo Lifestream, un viaggio tra la musica rock metal ispirata dalla tradizione orientale, elegante e progressiva senza esagerare con virtuosismi fine a sé stessi.
Il chitarrista originario di Helsinki alterna con sagacia raffinate sfumature progressive rock a più grintose parti metal, in un arcobaleno di colori sfumati nella terra del Sol Levante, senza dubbio la sua massima ispirazione.
L’intro Red Horizon e la seguente title track preparano il campo al cuore del mini cd, quella Guitar KungFu che risulta un susseguirsi di sorprese e voli progressivi, presi per mano dalla chitarra di Federley, bravissimo nel saper dosare l’irruenza talentuosa della chitarra metal con l’armoniosa atmosfera orientale che da anima e corpo all’opera.
Waves Of Sound continua a brillare della luce calda del sole rosso, padrone di paesaggi musicali dove progressive e tradizione popolare si alleano e guidano le mani del musicista nordico, delicate o grintose a seconda dell’umore dei brani, cangianti e vari come i colori che compongono gli splendidi quadri paesaggistici nelle lontane terre del Sol Levante.
Siamo lontani dai classici guitar heroes e Samuli Federley, come molti suoi colleghi della nuova generazione, punta più sulle emozioni e la sua musica se ne giova, anche se, quando le dita cominciano a scorrere sul manico della chitarra, esce prepotentemente tutta la sua bravura strumentale, rendendo il lavoro meritevole senz’altro di un ascolto.

Tracklist
1.Red Horizon
2.Lifestream
3.Guitar KungFu
4.Waves Of Sound

Line-up
Samuli Federley – Guitars

SAMULI FEDERLEY – Facebook

Halcyon Way – Bloody But Unbowed

Bloody But Unbowed deflagra in tutta la sua potenza espressiva, unendo come da tradizione power metal statunitense, thrash, metal estremo e progressive, non rinunciando ad input moderni.

Tornano con questo monumentale lavoro gli statunitensi Halcyon Way, gruppo da considerare ormai storico nella scena metallica del nuovo continente, essendo attivi dall’alba del nuovo millennio ed arrivati oggial quarto full length, successore del notevole Conquer licenziato quattro anni fa.

Bloody But Unbowed conferma il quintetto di Atlanta come una delle massime espressioni del power/progressive metal americano, ambito nel quale non si rinuncia a contaminazioni estreme e moderne per un susseguirsi di sorprese a livello compositivo e meraviglie tecniche, a cominciare dalla prestazione del singer Steve Braun.
Ovviamente i complimenti non si fermano al solo vocalist, perché la band in toto sprigiona una potenza di fuoco esagerata e, con l’aiuto di una serie di prestigiosi ospiti, dà vita ad un’opera di notevole metallo potente e progressivo.
Registrato, mixato e masterizzato da Mark Lewis (Whitechapel, Trivium, Bad Wolves, Death Angel) ed accompagnato dall’artwork creato da Travis Smith (Opeth, Overkill, Death, Iced Earth), Bloody But Unbowed deflagra in tutta la sua potenza espressiva, unendo come da tradizione power metal statunitense, thrash, metal estremo e progressive, non rinunciando ad input moderni.
Sull’album è presente il The Nailhead Choir, composto come scritto da diversi ospiti come Todd LaTorre (Queensryche), Matt Barlow (Iced Earth/Ashes Of Ares), Ben Huggins (Galactic Cowboys), Sean Peck (Cage/Denner-Shermann), Troy Norr (THEM), Norm Skinner (Niviane), Sean Shields (ex-Halcyon Way) e lo stesso Steve Braun.
Pronti e via, si comincia a salire sulle montagne russe marchiate Halcyon Way per poi scendere in picchiata, con il fiato che già dalla title track manca, spezzato dal continuo saliscendi emozionale tra ripartenze power classiche, evoluzioni progressive e bordate metalliche potentissime.
Il gruppo è in forma smagliante, i brani risultano uno più bello dell’altro, da Blame a Superpredator, passando per Then Thousand Ways e la conclusiva spettacolare Desolate.
Nella versione europea, alla tracklist si aggiungono altre due tracce, per quello che risulta uno dei migliori album usciti negli ultimi tempi nel genere proposto.
Nevermore, Iced Earth, Pyramaze (il cui tastierista Jonah Weingarten dà il suo contributo nell’intro Devolutionize e nel brano The Church Of Me), Testament e Dream Theater, il tutto viene rivisto, corretto e trasformato nell’imperdibile sound degli Halcyon Way.

Tracklist
1. Devolutionize
2. Bloody But Unbowed
3. Blame
4. Slaves To Silicon
5. Superpredator
6. Primal Scream
7. Ten Thousand Ways
8. The Church Of Me
9. Cast Another Stone
10. Crowned In Violence
11. Burning The Summit
12. Desolate +
European edition bonus tracks:
13. Insufferable
14. Stand For Something

Line-up
Steve Braun – Vocals
Jon Bodan – Lead Guitars, Backing Vocals, Death Vocals
Max Eve – Guitars, Backing Vocals
Skyler Moore – Bass, Death Vocals
Aaron Baumoel – Drums

HALCYON WAY – Facebook

The Slyde – Awakening

I canadesi The Slyde sono autori di un album come Awakening, debutto sulla lunga distanza che farà innamorare gli amanti del metal progressivo.

L’universo del metal progressivo è lungi dall’essere stato scoperto in toto, essendo ricco di realtà e lavori meritevoli di essere maggiormente considerati in un mondo musicale che, ormai, lascia poco spazio alla mera arte per l’urgenza del tutto e subito.

Da ogni angolo del mondo nascono progetti dall’alto livello qualitativo, il problema sorge quando il supporto si rivela pressoché nullo, dai media più ricettivi al grande pubblico, concentrati sui soliti nomi e restii ad una vera promozione di chi opera nell’underground.
I canadesi The Slyde sono autori di un album come Awakening, debutto sulla lunga distanza che farà innamorare gli amanti del metal progressivo.
Il lavoro, infatti, è un ottimo esempio di metal valorizzato da una tecnica non comune al servizio di brani nei quali, all’urgenza del heavy metal classico, vengono aggiunte ritmiche thrash/power ed un fascino alternative metal che ne modernizza l’approccio e l’impatto.
Si passa così da spettacolari brani ispirati ai sovrani del genere (Dream Theater e Rush) a sfuriate thrash metal che tributano gli idoli incondizionati del gruppo canadese, i Megadeth di Dave Mustaine.
Awakening offre quaranta minuti di musica dall’impatto a tratti spaventoso, con una voglia di sbalordire supportata da un songwriting che fa di canzoni come In Silence, So Blind, Join The Parade e Divide fiale di pericolosissima nitroglicerina metal da trattare con la dovuta cura, per non incappare in letali esplosioni progressive capaci di procurare danni irreparabili.

Tracklist
1. Awaken
2. Walk With Me
3. In Silence
4. These Wars
5. Awakening
6. So Blind
7. Fading
8. Join The Parade
9. Divide
10. Back Again

Line-up
Nathan Da Silva – Vocals, Guitars
Sarah Westbrook – Keyboards, Synthesizers, Samples
Alberto Campuzano – Bass Guitar, Vocals
Brendan Soares – Drums, Vocals

THE SLYDE – Facebook

June 1974 – Nemesi

Nemesi risente talvolta delle difficoltà oggettive nell’assemblare pulsioni e stili differenti dei vari ospiti, per di più da parte di un compositore che si cimenta per la prima volta con sonorità di questo genere, ma una simile operazione alla fine va vista con favore, avvicinandovisi possibilmente con la giusta mentalità.

Se, fino ad oggi, chi ascolta abitualmente metal non ha mai sentito nominare i June 1974 è tutto sommato giustificato, nonostante la marea di lavori pubblicati sotto questo monicker negli ultimi anni.

Il perché è presto spiegato: per la prima volta Federico Romano, il musicista che sta dietro al progetto, ha deciso di approdare in territori a noi più familiari dopo avere esplorato svariate forme musicali; così , con la collaborazione di Tommy Talamanca, che ha registrato il lavoro presso i suoi Nadir Studios, ha chiamato in qualità di ospiti nei diversi brani nomi piuttosto illustri della scena rock e metal, italiana ed internazionale.
Non si può negare, quindi, che alla luce del cast messo assieme da Romano, comprendente, tra gli altri, musicisti come Patrick Mameli , Andy LaRocque, James Murphy, Paul Masdival e lo stesso Talamanca, si finisce per prefigurare un disegno stilistico che alla fine non corrisponde del tutto al vero.
Nemesi è, infatti, un lavoro di stampo progressivo, interamente strumentale e virato più sul rock che sul metal, e non è che questo sia di per sé un male, l’importante è appunto non farsi traviare da idee precostituite; è anche vero, d’altro canto, che a livello di consuntivo i brani che più convincono sono quelli che vedono coinvolti ospiti non di estrazione metal, come Sognando Klimt con Gionata Mirai (Il Teatro Degli Orrori) e Home con Francesco Conte (Klimt 1918), oppure specialisti di altri strumenti che non siano la chitarra, come Nothing Man con Jørgen Munkeby (sassofonista degli Shining norvegesi) e Beloved con Francesco Sosto (tastierista dei The Foreshadowing).
Molto bello è anche Narciso, il brano che vede impegnato John Cordoni dei Necromass, con un chitarrismo morbido e melodico, in antitesi con l’appartenenza dell’ospite alla band più estrema tra quelle rappresentate, ma in generale l’album è comunque molto vario e si lascia ascoltare senza che la mancanza di parti vocali presenti più di tanto il conto.
Quello che non convince del tutto, finendo per inficiare parzialmente la resa finale del lavoro, è però l’elemento percussivo che si rivela il più delle volte troppo invadente, se non addirittura fuori luogo, nell’accompagnare uno sviluppo melodico che avrebbe richiesto un approccio più morbido e meno incalzante.
Detto questo, Nemesi, pur non essendo un’opera imprescindibile, contiene diversi motivi di interesse anche se, guardando le forze messe in campo da Federico Romano, potrebbe sembrare a prima vista soprattutto un’occasione perduta; indubbiamente il lavoro risente delle difficoltà oggettive nell’assemblare pulsioni e stili differenti dei vari ospiti, per di più da parte di un compositore che si cimenta per la prima volta con sonorità di questo genere, ma una simile operazione alla fine va vista con favore, avvicinandovisi possibilmente con la giusta mentalità.

Tracklist:
1.”Sognando Klimt” featuring Gionata Mirai (Il Teatro Degli Orrori)
2.”Inoubliable” featuring Tommy Talamanca (Sadist)
3.”Narciso” featuring John Cordoni (Necromass)
4.”Home” featuring Francesco Conte (Klimt 1918)
5.”Panorama” featuring Andy LaRocque (King Diamond)/Tommy Talamanca(Sadist)
6.”Nothing Man” featuring Jørgen Munkeby (Shining/Ihsahn)
7.”Death Note” featuring Patrick Mameli (Pestilence)
8.”Arcadia” featuring Paul Masvidal (Cynic/Death)
9.”Creed” featuring James Murphy (Obituary/Death/Testament/Cancer/Gorguts)
10.”Beloved” featuring Francesco Sosto (The Foreshadowing)

Line-up:
Federico Romano

JUNE 1974 – Facebook

Wolfen Reloaded – Changing Time

Un album da ascoltare con la massima rilassatezza, così da poter assaporare l’elettricità sprigionata dal nobile metallo progressivo, sposata con il rock dal taglio moderno e valorizzata da splendide linee vocali e raffinate melodie.

A volte ritornano, come scriveva Stephen King su uno dei suoi più famosi romanzi: una frase che calza a pennello per i tedeschi Wolfen Reloaded, tornati sul mercato grazie all’etichetta napoletana Volcano Records, sempre più attiva anche oltre confine.

La band, attiva come Wolfen addirittura da metà anni ottanta, e dal 1996 tornata con il nuovo monicker, licenzia questo ottimo esempio di elegante metal/rock che si muove tra tradizione e modernità, senza rinunciare ad un tocco progressivo che nobilita il sound di Changing Time.
Composto da dieci brani raffinati e mai fuori dai binari di una controllata potenza, l’album vive di emozioni progressive, toccando corde riscontrabili in gruppi che hanno fatto la storia del metal più elegante come i Queensryche ed in parte i King’s X, le fonti di più moderne del gruppo ed in linea con il rock alternativo di fine secolo scorso.
Ne esce un lavoro introspettivo, mai fuori dai binari di un’urgenza rock che non esplode ma lascia che l’anima progressiva la prenda per mano e l’accompagni tre le trame di brani come Promised Land o Frozen, e solo a tratti si liberi dalle briglie che la tiene legata per ruggire con classe (All The Heroes, Cyber Nation).
Changing Time si rivela così un lavoro riuscito, nel quale il metal è al servizio della melodia progressiva ed a suo modo alternativa, ma con il gusto e l’eleganza quale comune denominatore di tutti i brani presenti.
Un album da ascoltare con la massima rilassatezza, così da poter assaporare l’elettricità sprigionata dal nobile metallo progressivo, sposata con il rock dal taglio moderno e valorizzata da splendide linee vocali e raffinate melodie.

Tracklist
1.Amazing
2.Promised Land
3.All the Heroes
4.A Million Faces
5.Frozen
6.Tomorrow Never Comes
7.Judgement Day
8.All Hope Is Lost
9.Cyber Nation
10.New Horizon

Line-up
Christian Freimoser -Vocals
Wolfgang Forstner -Guitars
Thomas Rackl -Bass
Manuel Wimmer -Drums

WOLFEN RELOADED – Facebook

Old Man Wizard – Blame It All On Sorcery

Un’altalena tra le trame progressive e le potenti divagazioni heavy, questo risulta Blame It All On Sorcery senza mai sconfinare nei cliché del progmetal, bensì mantenendo un approccio hard rock ispirato ai nomi storici del progressive di quarant’anni fa.

Nuovo lavoro per il trio progressive heavy rock degli Old Man Wizard, dei quali MetalEyes vi aveva parlato riguardo al singolo apripista per questo album uscito sul finire dello scorso anno.

Attiva da sei anni e con un full length risalente ormai a cinque anni fa ed intitolato Unfavorable, uscito anche in versione strumentale, la band mantiene le promesse continuando imperterrita sulla strada a ritroso verso il progressive rock settantiano, qui rivisto in chiave più heavy, a tratti estrema con il contrasto tra la voce melodica ed il sound smaccatamente metallico e pregno di groove.
Un’altalena tra le trame progressive e le potenti divagazioni heavy, questo risulta Blame It All On Sorcery senza mai sconfinare nei cliché del prog metal, bensì mantenendo un approccio hard rock ispirato ai nomi storici del progressive di quarant’anni fa.
Innocent Hands e The Blind Prince sono i due brani ereditati dal singolo, con le restanti otto canzoni che sono ancora più incentrate su questo contrasto, a suo modo originale, tra i due generi che compongono l’idea di musica del gruppo americano, bravissimo nel partire con sferzate ritmiche al confine con il metal estremo per poi ritornare su lidi progressive di matrice Jethro Tull / Gentle Giant e poi riavvicinarsi al nuovo millennio con momenti di rock americano in Seattle style.
Quando il progressive rock prende il sopravvento, Somehow ci delizia con trame acustiche, mentre The Long-Nosed Wiseman conclude l’album in modo splendido, tra King Crimson e Black Sabbath.
Promesse mantenute dunque, ed album che trova posto tra i lavori di spicco nel panorama del metal/rock con un occhio rivolto al passato.

Tracklist
1.Beginnings and Happenstance
2.Sorcerer
3.The Blind Prince
4.Never Leave
5.Cosmo
6.Somehow
7.Innocent Hands
8.Last Ride of the Ancients
9.The Vision
10.The Long-Nosed Wiseman

Line-up
Andre Beller – Bass Guitar, Vocals
Francis Roberts – Guitar, Vocals, etc.
Kris Calabio – Drums, Vocals

OLD MAN WIZARD – Facebook

Ærgonaut – Destination Anywhere

Il sound di Destination Anywhere è composto da varie anime che si alternano e rendono l’ascolto vario e a suo modo originale, pur restando nei binari del metal progressivo, con sette brani che formano una lunga jam strumentale nella quale non troverete una nota fuori posto.

I tempi sono cambiati in ambito metal strumentale, e col passare del tempo ci ritroviamo sempre più spesso al cospetto di lavori che, oltre alla mera tecnica, cercano di trasmettere emozioni anche a chi non è per forza di cose un musicista e dal mondo delle sette note cerca emozioni.

Molti sono coloro i quali si cimentano in opere in cui la mancanza di una voce guida lascia libera l’immaginazione dell’ascoltatore, rapito dalle evoluzioni strumentali mai fine a se stesse ma esposte come colonne sonore, racconti in musica di viaggi come questo ottimo debutto intitolato Destination Anywhere, opera strumentale di Ærgonaut, polistrumentista e compositore italiano.
Destination Anywhere è proprio quello descritto in precedenza, un viaggio musicale lungo sette brani, dalla decisione di partire, ai timori del protagonista per quello che lo aspetterà lungo il tragitto che lo separa dalla Terra, un traguardo sospirato e raccontato con l’aiuto di un metal progressivo che non disdegna soluzioni moderne, tra elettronica, synth e ritmiche a tratti sincopate, ma subito alleggerite da splendide aperture melodiche.
I solos raccontano le emozioni che scaturiscono dalle varie peripezie che Ærgonaut incontra nel suo vagabondare, lo spazio e il suo infinito, mentre le note alternano momenti di ruvido metall, a progressive digressioni melodiche e atmosferiche parti vicino allo space rock.
Il sound di Destination Anywhere è composto da varie anime che si alternano e rendono l’ascolto vario e a suo modo originale, pur restando nei binari del metal progressivo, con sette brani che formano una lunga jam strumentale nella quale non troverete una nota fuori posto.

Tracklist
1. The Beginning
2. Planet
3. Little Trip
4. Boys On The Road
5. The Storm
6. The Binary Code
7. Arrival

Line-up
Ærgonaut – All Instruments

AERGONAUT – Facebook

Fates Warning – Live Over Europe

I Fates Warning sembrano non accusare lo scorrere del tempo e sono ancora un gruppo da seguire, sia nelle opere in studio che sul versante live, e Live Over Europe risulta appunto una tappa fondamentale non solo per i fans, ma per tutti gli amanti del progressive metal.

La musica progressiva ha trovato nel metal il suo alleato più fedele e se oggi glorifichiamo questo genere e tutte le sue diramazioni (anche quelle più moderne) il merito è anche dei Fates Warning, una delle prime band heavy metal a introdurre elementi progressivi nella propria musica.

Sono passati più di trent’anni da Night on Bröcken, ma i Fates Warning sono ancora in giro ad insegnare come si suona metal progressivo, raffinato, potente ed emozionale quel tanto per non trasformare un concerto in una sorta di  workshop didattico sulla tecnica esecutiva.
Tre decenni sono trascorsi, tra alti e bassi più che altro in termini di popolarità, mentre la qualità della musica prodotta è sempre stata di elevato livello, con album che sono entrati nella storia della nostra musica preferita e che risulta superfluo nominare.
A supporto dell’ultimo lavoro licenziato nel 2016 (Theories Of Flight), Ray Alder, Jim Matheos, Joey Vera, Bobby Jarzombek e Mike Abdow sono partiti per un tour europeo che li ha visti esibirsi sui palchi italiani, greci, tedeschi, ungheresi, sloveni e serbi, tutte prestazioni documentate in questo mastodontico prodotto di oltre due ore di musica straordinariamente metallica e progressiva.
I maestri sono tornati, la band che ha scritto alcune delle pagine più importanti del genere, ci regala un altro documento live un anno dopo aver celebrato il best seller Awaken The Guardian, con un doppio cd mixato da Jens Bogren (Opeth, Kreator, Symphony X, Haken) e masterizzato da Tony Lindgren ai Fascination Street Studios.
La track list, specialmente nel primo cd, è incentrata sui brani dell’ultimo lavoro che vengono affiancati dai brani storici, offrendo un raccolta esaustiva della musica del gruppo americano che mette in evidenza la forma smagliante dei musicisti, con un Ray Alder formidabile e tutta la band che sfoggia prestazioni degne della fama costruita in tre decenni.
I Fates Warning sembrano non accusare lo scorrere del tempo e sono ancora un gruppo da seguire, sia nelle opere in studio che sul versante live, e Live Over Europe risulta appunto una tappa fondamentale non solo per i fans, ma per tutti gli amanti del progressive metal.

Tracklist
CD 1:
1.From The Rooftops
2.Life In Still Water
3.One
4.Pale Fire
5.Seven Stars
6.SOS
7.Pieces Of Me
8.Firefly
9.The Light And Shade Of Things
10.Wish
11.Another Perfect Day
12.Silent Cries
13.And Yet It Moves

CD 2:
1.Still Remains
2.Nothing Left To Say
3.Acquiescence
4.The Eleventh Hour
5.Point Of View
6.Falling
7.A Pleasant Shade Of Gray, Pt. IX
8.Through Different Eyes
9.Monument
10.Eye To Eye

Line-up
Ray Alder – Vocals
Jim Matheos – Guitars
Joey Vera – Bass and Vocals
Bobby Jarzombek – Drums
Mike Abdow – Guitars and Vocals

FATES WARNING – Facebook

Descrizione Breve

Autore
Alberto Centenari

Voto
85

Genere – Sottogeneri – Anno – Label
2018 Progressive Metal 8.50