Magia Nera – L’Ultima Danza Di Ophelia

L’Ultima Danza di Ophelia è un bellissimo viaggio nella cultura e nelle leggende del dark rock nazionale, un tuffo nelle trame oscure e mistiche di cui la nostra penisola è ammantata da nord a sud.

Letteratura, cinema, pittura e soprattutto musica: gran parte dell’arte italiana porta inevitabilmente a parlare di leggende mistiche ed occulte e non è la prima volta che, per raccontarvi la storia di una band o di un album, partiamo dalla propensione per questi oscuri argomenti che da sempre contraddistingue la nostra penisola.

Magia Nera, un monicker che, dopo tutta la musica passata negli ultimi quarant’anni. porta a pensare ad un gruppo estremo: invece lo storico quintetto proveniente dalla provincia spezzina suona hard rock, a tratti psichedelico, ma vicino al sound dei maggiori gruppi britannici a cavallo tra gli anni sessanta e settanta, primi fra tutti gli Uriah Heep ai quali viene dedicata la cover dell’immortale Gypsy, opener del debutto Very ‘Eavy Very ‘Umble.
Una storia praticamente finita prima di iniziare quella dei Magia Nera, spentasi prima di incidere l’album d’esordio e partire in tour con i New Trolls, e ora tornata a risplendere grazie alla reunion del gruppo al completo, con il solo ingresso del tastierista Andrea Foce e la registrazione di questo disco, rimasto in attesa d’essere terminato per lunghi decenni.
L’Ultima Danza di Ophelia è un bellissimo viaggio nella cultura e nelle leggende del dark rock nazionale, un tuffo nelle trame oscure e mistiche di cui, come detto, la nostra penisola è ammantata da nord a sud, e la colonna delle sonora delle poesie dark  raccontate dal cantastorie Emilio Farro non può non essere rock duro dal taglio dark progressive, con grintose sfumature che, appunto, riportano alla storica band britannica: un sound che ritrova nuova linfa anche grazie alla chitarra di Bruno Cencetti, ai tasti d’avorio di Andrea Foce, al basso di Lello Accardo e alle pelli percosse da Pino Fontana.
Nell’oscurità di un maniero, tra le colline che dividono la Liguria dalla Toscana, si celebra questo vecchio rito sabbatico con l’inizio dedicato ad Ophelia, seguita dal riff della splendida ed oscura Il Passo Del Lupo, La Strega Del Lago (in quota Uriah Heep) ed il canto di LaTredicesima Luna.
Il cuore del disco è lasciato a Dieci movimenti in cinque tracce, suite che porta alla conclusiva cover di Gypsy, chiusura di quest’opera d’altri tempi, affascinante ed imperdibile per tutti gli amanti del genere.
L’Ultima Danza di Ophelia non poteva rimanere nell’oscuro limbo al quale sembrava ormai destinata, e bene hanno fatto gli storici musicisti liguri a dargli finalmente una vita discografica.

Tracklist
1.Ophelia
2.Il passo del lupo
3.La strega del lago
4.La tredicesima luna
5.Suite: Dieci movimenti in cinque tracce
– Traccia uno: Movimento uno
– Traccia due: Movimenti due, tre, quattro
– Traccia tre: Movimenti cinque, sei
– Traccia quattro: Movimenti sette, otto
– Traccia cinque: Movimenti nove, dieci
6.Gypsy (Huriah Heep) bonus track

Line-up
Emilio Farro: Vocals
Pino Fontana: Drums
Lello Accardo: Bass
Andrea Foce: Keyboards
Bruno Cencetti: Electric Guitar

Klogr – Keystone

Il gruppo mantiene un attitudine live anche su disco: Keystone così si rivela un album dall’impatto diretto e bisogna arrivare alla nona traccia prima che la tempesta alternative metal fatta sfogare dalla band trovi un minimo di pace.

Torna sul mercato il gruppo alternative metal/rock nazionale che meglio ha fatto in questi ultimi anni.

Sono passati ormai due anni da quando la band di Gabriele “Rusty” Rustichelli licenziava l’ep Make Your Stand, con incluso un dvd che immortalava il gruppo sul palco del Live Club Di Trezzo nel 2014 e confermava, specialmente a chi aveva solo sentito parlare dei Klogr, l’enorme potenziale che il quartetto si portava appresso.
Vero è che la band ha continuato a solcare palchi in giro per il mondo accompagnando nomi storici come i Prong di Tommy Victor, trovando comunque il tempo di registrare la chiave di volta, il viaggio musicale che il gruppo nostrano ci invita ad intraprendere per giungere alla comprensione di ciò che tiene insieme l’equilibrio del mondo.
Keystone si nobilita di questo difficile e serioso concept per espanderlo su un alternative metal altamente melodico, ma che non manca di una componente thrash e con la voce del leader ad alternare sapientemente un cantato dal piglio melodico e un altro più rabbioso ed in linea con l’anima metallica del gruppo.
Come ormai da tradizione i Klogr non risparmiano ritornelli accattivanti, molte volte in contrasto con la forza espressiva della musica che raggiunge lidi di potenza ben oltre le classiche ripartenze dei gruppi alternative, amalgamando thrash metal classico e moderno e inserendolo in un contesto che spinge la musica verso gli Alter Bridge.
Ecco in due parole la chiave di volta per comprendere la musica dei Klogr, che si rivelano degli Alter Bridge induriti e trasformati in una macchina metal da iniezioni metalliche e da qualche passaggio alla Prong.
Il gruppo mantiene un attitudine live anche su disco: Keystone così si rivela un album dall’impatto diretto e bisogna arrivare alla nona traccia (Dark Tides), prima che la tempesta alternative metal fatta sfogare dalla band trovi un minimo di pace.
Prison Of Light, la devastante Technocracy, Pride Before The Fall, l’inizio a tutta velocità thrash di Enigmatic Smile sono i momenti più intensi di Keystone, album riuscito che rappresenta une ottimo ritorno per i Klogr.

Tracklist
1.Sleeping Through The Seasons
2.Prison Of Light
3.Technocracy
4.The Echoes Of Sin
5.Pride Before The Fall
6.Something’s In The Air
7.Drag You Back
8.Sirens’ Song
9.Dark Tides
10.Silent Witness
11.Enigmatic Smile
12.The Wall Of Illusion

Line-up
Gabriele “Rusty” Rustichelli – Vocals, Guitar
Pietro Quilichini – Guitars
Maicol Morgotti – Drums
Roberto Galli – Bass

KLOGR – Facebook

Holy Soldier – Last Train (reissue)

Last Train fa parte degli ultimi colpi di coda del glam metal, un album assolutamente da fare vostro se ancora oggi non potete fare a meno di Motley Crue, Warrant, Cinderella e degli eroi del Sunset.

Una chicca per gli amanti del metal/rock che risplendeva nelle notti dell’allora capitale della nostra musica preferita, Los Angeles, la Roxx Records, label specializzata in christian metal, ristampa il bellissimo album dei glamsters Holy Soldier, Last Train, uscito originariamente nel 1992, quando ormai il genere tendeva a lasciare il campo in favore dei suoni che giungevano dalla piovosa Seattle.

Nato nel 1985, il gruppo giunse al suo capolavoro alla seconda prova, dopo il debutto omonimo del 1990, e  Last Train fu l’ultimo treno anche per il vocalist Steven Patrick, un duro colpo per il gruppo che un paio d’ anni dopo si ripresentò sul mercato con Eric Wayne al microfono ed un album (l’ultimo Promise Man) che schiacciava l’occhiolino alle sonorità grunge e che faceva perdere al gruppo fans e fascino.
Ma veniamo a Last Train, album spumeggiante picco di questa notevole band che già aveva raggiunto un buon successo con il disco precedente, ma che con questo lavoro metteva la quinta e sverniciava un bel po’ di gruppi più famosi, specialmente nel vecchio continente: glam metal, quel tocco di hard rock sporcato di blues (alla Cinderella del primo, splendido Night Songs) incastonato in un lotto di brani uno più bello dell’altro, peccato solo per l’uscita tardiva ed ormai in pieno calo di consensi per il genere.
Forti della bellissima voce del singer, gli Holy Soldier facevano parte della corrente White Metal, in una cultura rock dove le buone intenzioni erano lasciate dentro le case dei fans ed il cristianesimo non aveva certo molto feeling con trucchi, pailettes e vite bruciate sul Sunset Boulevard.
Parlando di musica, Last Train rimane un gran bel lavoro, tra grinta patinata, semi ballad e rocciose hard rock songs come le splendide Crazy, Hallow’s Eve, la cover degli Stones Gimme Shelter ed il rock, sparato a duecento all’ora sulla collina che domina la città degli angeli, dal titolo Dead End Drive.
Last Train fa parte degli ultimi colpi di coda del glam metal, un album assolutamente da fare vostro se ancora oggi non potete fare a meno di Motley Crue, Warrant, Cinderella e degli eroi del Sunset.

Tracklist
1.Virtue & Vice
2.Crazy
3.Hallows Eve
4.Gimme Shelter (The Rolling Stones cover)
5.Love Is on the Way
6.Dead End Drive
7.Tuesday Mourning
8.Fairweather Friend
9.Last Train

Line-up
Andy Robbins – Bass, Vocals
Terry Russell – Drums, Vocals
Jamie Cramer – Guitars, Vocals
Steven Patrick – Vocals
Scott Soderstrom – Guitars

HOLY SOLDIER – Facebook

MoE / Gerda – Karaoke

Questo split è quanto di meglio possa offrire l’underground in quanto a rumore e sentimenti, distorsioni e amore per musica che è oltre la musica e si va scontrare con la vita, e con quello che c’è là fuori.

Ci sono amicizie che nascono con la musica e poi vanno ben oltre, dovute al comune sentire che poi si fa sentimento.

I MoE sono un trio norvegese che ha fatto del noise ,del rumore e del situazionismo la propria ragion d’essere, e nel loro genere sono molto bravi, fra i migliori. I Gerda invece sono italiani, vengono da Jesi e sono molto bravi nel fare emocore violento e distorto, e anche nel noise se la cavano. Entrambi i gruppi sono due gioie che vengono dal sottobosco musicale di chi ci crede per davvero, non cavalca le mode e fa tutto per passione. Se poi possiedi anche un bel talento è ancora più bello. Forse un’altra definizione di questi gruppi potrebbe essere diversamente hardcore, perché l’attitudine è quella, do it yourself e fallo con rabbia, ma con creatività. I due gruppi si conoscono e stimano da dieci anni, hanno suonato assieme e il tutto è partito dal rumore finito nell’atmosfera, ed è poi ridisceso sotto forma di rumore. I Gerda interpretato un canzone dei MoE, e i norvegesi hanno rifatto un pezzo degli italiani. È molto interessante sentire le strutture sonore che si incrociano e che seguono pulsando fortissimo altri canali. I MoE fanno diventare i Gerda un qualcosa di più lento e catartico, quasi un emo noise, molto originale e graffiante, andando un po’ oltre il loro canone. Invece i MoE come al solito rivoltano tutto e lo vomitano in maniera violenta e pazzesca, come se dei dipinti surrealisti prendessero vita e vi picchiassero, surrealità e schiaffoni. Questo split è quanto di meglio possa offrire l’underground in quanto a rumore e sentimenti, distorsioni e amore per musica che è oltre la musica, e si va scontrare con la vita, e con quello che c’è là fuori. Ma dentro vi garantiamo che siamo come questo split, Karaoke.

Tracklist
side A – Fucked Up Voice
composed by Gerda, performed by MoE

side B – Mucosa
composed by MoE, performed by Gerda

GERDA – Facebook

MOE – Facebook

The Wake – Earth’s Necropolis

Il black metal offerto in questo esordio intitolato Earth’s Necropolis è connotato da un grande equilibrio tra furia ritmica e melodia, il che rende ogni traccia meritevole di ascolto.

The Wake è il nome di questa nuova band formata da due soli musicisti, uno rumeno e l’altro tedesco, celati dietro gli pseudonimi V e XII.

Indipendentemente da chi siano effettivamente i due, appare subito evidente che si tratta di elementi sicuramente esperti e comunque a proprio agio con la materia: infatti il black metal offerto in questo esordio intitolato Earth’s Necropolis è connotato da un grande equilibrio tra furia ritmica e melodia, il che rende ogni traccia meritevole di ascolto.
A livello stilistico ci si trova comunque in lidi tipicamente scandinavi, in quanto non sembrano prevalere in maniera netta le componenti tipiche né della consolidata scena tedesca né di quella emergente rumena
Il black dei The Wake ha un notevole impatto e non è scevro di una sua aura drammatica, grazie ad un bel lavoro chitarristico di XII, che delinea armonicamente il sound a cui fa da contraltare lo screaming di V, la cui provenienza dalla band hardcore di Costanza Protest Urban si evince non solo nello stile vocale ma anche da alcune sfuriate tipiche (Lost Painting), anche se di fatto il lato compositivo è appannaggio del chitarrista/bassista di nazionalità tedesca, facente parte peraltro di una band di buona notorietà come i Night In Gales.
Indubbiamente, il gusto melodico che è un tratto dominante della band madre è stato ampiamente trasferito ai The Wake, associandolo con naturalezza e sapienza alla componente black e portando a risultati di un certo spessore, rappresentati da brani azzeccati e trascinanti come Ship Of Hope, Earth’s Necropolis e la magnifica Trial Against Humanity, con gli ultimi due rinforzati dalle ospitate vocali di Michael Pilat e Costin Chioreanu, rinomato grafico oltre che leader degli ottimi Bloodway.
In definitiva, Earth’s Necropolis è un altro album da non perdere per chi desidera ascoltare sonorità riconducibili ai primi Dissection e successiva genia svedese, il tutto reso peraltro con un gusto piuttosto personale.

Tracklist:
1. Proem”
2. Isolated Illusion
3. Lost Painting
4. Cadavers
5. Ship Of Hope [featuring Joshua Kabe Ashworth]
6. The Painter Of Voices
7. Earth’s Necropolis [featuring Michael Pilat]
8. Trial Against Humanity [featuring Costin-Alexandru Chioreanu]
9. Closure

Line-up:
V – screams, voices, lyrics
XII – guitars, bass, programming

THE WAKE – Facebook

Josh Todd & The Conflict – Year Of The Tiger

Secondo album solista per Todd e secondo capitolo personale di un musicista che non molla la presa e continua a sfoggiare una forza sorprendente.

E’ dunque arrivato l’anno della tigre, almeno è quello che giura Josh Todd, cantante dei rockers statunitensi Buckcherry, qui alle prese con un album di esplosivo hard rock sotto il monicker di Josh Todd & The Conflict, con il quale dimostra d’essere un musicista che non molla la presa continuando a sfoggiare una forza sorprendente.

In Year Of The Tiger il famoso cantante americano si è fatto aiutare dal chitarrista e suo compagno nei Buckcherry Stevie D, che ha anche co-prodotto il disco insieme a Eric Kretz (Stone Temple Pilots), mentre la sezione ritmica è stata affidata a Greg Cash (basso) e Sean Winchester (batteria).
Nessuna grossa sorpresa, Todd continua a graffiare da par suo su un sound molto più hard rock rispetto a quello della band madre, e urla indiavolato come al solito la sua voglia di rock al mondo dimostrandosi come sempre all’altezza della situazione.
Che Todd sia un animale (in questo caso, una tigre) selvaggio lasciato libero di sbranare a colpi di rock’n’roll ipervitaminizzato tutto sesso e whisky che brucia nella gola è confermato da questa raccolta di brani che in poco più di mezzora, sanno scaricare adrenalina a fiumi, ma non disdegnano di affondare i colpi con le classiche ballate perdenti come chi con il rock ci ha bruciato una vita, tradito, perduto, ma poi puntualmente tornato più forte e deciso di prima, nutrito di rabbia positiva ma devastante come nella roboante title track e in The Conflict, vere esplosioni di musica del diavolo lasciata tra le mani di questi insani guerrieri.
Se volete ancora confronti con la band che ha reso famoso il singer americano, direi che questo lavoro porta in sé un po’ di quella carica che aveva un album come Time Bomb, anche se meno leggero e sfrontato e come già accennato più rabbioso, heavy e moderno.
La voglia c’è sempre, il talento pure: lunga vita professionale a Josh Todd.

Tracklist
1.Year Of The Tiger
2.Inside
3.Fucked Up
4.Rain
5.Good Enough
6.The Conflict
7.Story Of My Life
8.Erotic City
9.Push It
10.Atomic
11.Rain

Line-up
Josh Todd – Vocals
Steve Dacanay – Guitars
Sean Winchester – Drums
Gregg Cash – Bass

JOSH TODD AND THE CONFLICT – Facebook

Bluedawn – Edge Of Chaos

Un album nato da un’arcobaleno di tonalità che dal nero si spostano al grigio, teatrale ed affascinante: Edge Of Chaos è un lavoro riuscito, magari di nicchia, ma in grado di intrattenere le anime dalla sensibilità dark che popolano le notti del nuovo millennio.

Misteri, leggende, storie tramadate per secoli in una città che fu repubblica e crocevia di razze, ombre che le strette strade dei vicoli trasformano in oscure creature che ci inseguono fino al mare.

Una Genova alternativa fuori dagli sguardi superficiali dei turisti o di chi vive la città senza fermarsi un attimo a condividerne l’anima e la sua totale devozione alla musica rock, fin dai tempi dell’esplosione progressiva negli anni settanta, dei cantautori e del sottobosco musicale che ha dato i natali a straordinarie realtà metal.
In questo contesto si colloca la Black Widow Records e di conseguenza i Bluedawn, band heavy/prog doom metal capitanata dal bassista e cantante Enrico Lanciaprima, attiva dal 2009 ed arrivata con questo Edge Of Chaos al terzo capitolo di una discografia che si completa con il primo album omonimo e Cycle Of Pain, licenziato quattro anni fa.
Con l’aiuto di una serie di ospit,i tra cui spicca Freddy Delirio (Death SS), la band genovese esplora in lungo e in largo il mondo oscuro del doom/dark progressivo, ed Edge Of Chaos risulta così un lavoro affascinante anche se pesante e dipinto di nero, cantato a due voci da Lanciaprima e da Monica Santo, interprete perfettamente calata nel sound disperatamente oscuro e malato dell’album.
E sin dalle prime note dell’intro The Presence la tensione e la soffocante atmosfera dell’album sono ben evidenziate, con un’aura occulta ed evocativa a permeare tutti i brani dell’opera che sono valorizzati dai vari ospiti e da un uso molto suggestivo delle voci, uno dei punti di forza di un brano come Dancing On The Edge Of Chaos.
Il sax di Roberto Nunzio Trabona conferisce ad alcune tracce un tocco crimsoniano e l’anima progressiva del gruppo si fa tremendamente mistica ed occulta, con accenni atmosferici a Devil Doll ed al dark rock dei Fields Of The Nephilim, mentre la parte elettronica spinge la splendida The Serpent’s Tongue verso il podio virtuale all’interno della tracklist di Edge Of Chaos.
Sofferto, pesante ma tutt’altro di ascolto farraginoso, il pregio di questo lavoro è proprio quello di tenere l’ascoltatore con le cuffie ben salde alle orecchie: le sorprese del primo passaggio nel lettore diventano conferme dello stato di salute dei Bluedawn che, al terzo album, centrano il bersaglio, come confermato dalla notevole Baal’s Demise, nella quale tornano protagonista il sax, e di conseguenza, le sfumature crimsoniane.
Un album nato da un’arcobaleno di tonalità che dal nero si spostano al grigio, teatrale ed affascinante: Edge Of Chaos è un lavoro riuscito, magari di nicchia, ma in grado di intrattenere le anime dalla sensibilità dark che popolano le notti del nuovo millennio.

Tracklist
1.The Presence
2.Sex (Under A Shell)
3.The Perfect me
4.Serpent’s Tongue
5.Dancing On The Edge Of Chaos
6.Wandering Mist
7.Black Trees
8.Burst Of Life
9.Sorrows Of The Moon
10.Baal’s demise
11.Unwanted Love

Line-up
Monica Santo – Vocals
Enrico Lanciaprima – Bass, Vocals
Andrea “Marty” Martino – Guitars
Andrea Di Martino – Drums

James Maximilian Jason – Keyboards, Synth, Vocals
Caesar Remain – Guitars
Roberto Nunzio trabona – Saxophone
Marcella Di Marco – Vocals
Freddy delirio – Keyboard, Synth
Matteo Ricci – Guitars

BLUE DAWN – Facebook

71TonMan – Earthwreck

Chiaramente sconsigliato a chi nella musica ricerca ricami e svenevolezze assortite, questo monolite firmato 71TonMan è esattamente ciò che si vorrebbe sempre ascoltare da una band sludge.

Il secondo full length dei polacchi 71TonMan è uno di quei lavori la cui pesantezza potrebbe far crollare il pavimento sul quale sta appoggiato il mobiletto con lo stereo e le casse.

Del resto, la band di Wroclaw tiene fede al proprio monicker, per cui queste 71 tonnellate di sludge doom si riversano come una cascata di fango sull’ascoltatore, seppellendolo definitivamente a colpi di riff densi e rallentati come da copione.
Non è solo pachidermico il sound dei nostri, però: benché una certa ossessività stia alla base della proposta, sottotraccia si celano linee che attribuiscono una precisa definizione ai diversi brani, anche se la resistenza uditiva viene messa a dura prova da quest’ora scarsa di sludge d’autore.
Messa così, a qualcuno potrebbe sembrare che Earthwreck sia essenzialmente un susseguirsi di riff senza arte né parte: invece qui di arte musicale ce n’è da vendere, perché non è affatto banale far coincidere una potenza di fuoco inarrestabile ad una (sempre relativa, naturalmente) fruibilità di fondo.
Chiaramente sconsigliato a chi nella musica ricerca ricami e svenevolezze assortite, questo monolite firmato 71TonMan per quanto mi riguarda è esattamente ciò che vorrei sempre ascoltare da una band sludge: forza, compattezza e idee chiare, che consentono di piazzare, dopo quasi venti minuti di randellate inferte senza soluzione di continuità, un arioso assolo di chitarra, oppure spingersi a lambire il funeral nella seconda parte di brani come Phobia e Torment, senza che il tutto vada ad attenuare o travalicare il senso di un impatto di rara efficacia.
Earthwreck è molto vicino ad un ipotetico stato dell’arte dello sludge, nel suo versante più vicino al death doom e al funeral piuttosto che a quello dello stoner e della psichedelia e, francamente, credo sia davvero molto difficile rendere questo genere in maniera più efficace.

Tracklist:
01. Lifeless
02. Negative
03. Phobia
04. Zero
05. Torment
06. Spiral

Line up:
K.K. vocals
M.Z. guitar
T.G.guitar
J.W. bass
J.K drums

71TONMAN – Facebook

Goatpenis – Anesthetic Vapor

Il suono dei Goatpenis è incessante, monolitico e tempestoso, eppure hanno un grandissimo senso della melodia, infatti riescono a costruire le canzoni con un andamento molto ondulato e non soltanto nella direzione della velocità, dando una struttura forte alle loro canzoni.

Venticinque anni di onorata carriera di massacri e olocausti sonori per i black metallers brasilani Goatpenis, e la storia continua.

Questo Anesthetic Vapor è sicuramente uno dei dischi migliori della loro già ottima carriera, cominciata nell’ormai lontano 1993, quando il Brasile vomitava gruppi come i Sarcofago ed altri, aprendo la strada a tanti gruppi sudamericani che poi avrebbero seguito la strada asfaltata da questi pionieri. In questo sesto album per i Goatpenis non c’è nessun cedimento, ma anzi si alza il livello di violenza in questa guerra. Il loro black metal veloce e saturo raggiunge apici molto alti, fondendosi con il death metal, che è un’altra caratteristica molto importante del loro suono. La produzione è molto accurata, non è assolutamente lo fi e permette di gustare al meglio questo suono davvero potente e magniloquente, che si potrebbe definire “war black death metal”. I Goatpenis mostrano la razza umana per quello che è, una distesa di cadaveri che fanno altri cadaveri, un sacco di carne morta e non molto di più. Questi brasiliani parlano di morte e sangue in maniera non casuale, sanno leggere tra le pieghe e la piaghe della storia. Il loro suono è incessante, monolitico e tempestoso, eppure hanno un grandissimo senso della melodia, infatti riescono a costruire le canzoni con un andamento molto ondulato e non soltanto nella direzione della velocità, dando una struttura forte alle loro canzoni. Anesthetic Vapor è un disco che farà felici i loro fans, ma è un gran disco per tutti, e continua la storia dei ragazzi di Santa Catalina.

Tracklist
01 Intro – Tambours Géants
02 Anesthetic Vapors
03 Humanatomy Grinder Chatter Studie
04 Machiavelli Reputation – Chapter
05 Excrementory Genocide
06 Carnivorous Ability
07 Krieg Und Frieden
08 Front Toward Enemy
09 Hallucinatory Sirens
10 Oppressive Ferric Noise
11 Pleasant Atrocities March

Line-up
Sabbaoth – Bass / Vocals
Virrugus Apocalli – Guitars

GOATPENIS – Facebook

Descrizione Breve

Autore
Massimo Argo

Voto
75

Devangelic – Phlegethon

L’inferno in musica viene descritto con l’aiuto del death metal estremo e brutale: Phlegethon è tutto questo e non risparmia nessuno, con ritmiche incalzanti ed una fluidità compositiva.

Dalla scena estrema romana, nido di mostruose creature metalliche brutali, ne abbiamo parlato in abbondanza in passato facendovi partecipi di molte delle opere uscite dalle menti di Corpsefucking Art, Degenerhate (tra le altre) ed appunto Devangelic.

Il passato per questa congrega di brutali musicisti si chiamava Resurrection Denied, ottimo esordio targato 2014, seguito dall’ep Deprecating the Scriptures l’anno dopo, mentre il presente è Phlegethon, nuovo lavoro licenziato dalla Comatose Music ed incentrato su un viaggio immaginario tra gli elementi più oscuri e brutali della Divina Commedia del sommo poeta Dante Alighieri.
L’inferno di Dante ben si adatta all’atmosfera da tregenda che il gruppo conferisce al proprio sound, una tempesta di suoni maligni accompagnati da un growl animalesco o, in questo caso, luciferino, profondo e più adatto per descrivere l’ambiente demoniaco che viene descritto da musica e testi.
L’inferno in musica viene descritto con l’aiuto del death metal estremo e brutale: Phlegethon è tutto questo e non risparmia nessuno, con ritmiche incalzanti ed una fluidità compositiva, già evidenziata nel primo lavoro, che è esemplificativo del livello raggiunto dai quattro deathsters capitolini.
Non ci si annoia con i Devangelic, anche se la proposta è ovviamente più indicata agli amanti del genere (e non potrebbe essere altrimenti), trattandosi di puro brutal death metal ispirato dalla scena statunitense con tanto di cover, nella versione digipack,  di He Who Sleeps tratta dal mastodontico Gateways to Annihilation dei Morbid Angel.
Ottima conferma e album da annoverare tra le migliori uscite tricolori nel genere, Phlegethon non deluderà gli amanti del brutal death metal, i quali avranno di che crogiolarsi tra gli inferi in questo ultimo scorcio d’anno.

Tracklist
1. Plagued By Obscurity
2. Mutilation Above Salvation
3. Of Maggots And Disease
4. Malus Invictus
5. Abominated Impurity Of The Oppressed
6. Condemned To Dismemberment
7. Wretched Incantations
8. Manifestation Of Agony
9. Decaying Suffering
10.Asphyxiation Upon Phlegethon
—-
11.He Who Sleeps (Morbid Angel cover)
12.Abominated Impurity Of The Oppressed (Promo 2016)

Line-up
Paolo Chiti – Vocals
Mario Di Giambattista – Guitars
Damiano Bracci – Bass
Marco Coghe – Drums

DEVANGELIC – Facebook

Putrid Offal – Anatomy

I Putrid Offal sono una delle realtà underground più estreme e devastanti, il loro sound è pari ad una apocalisse metallica dalle ritmiche da bombardamento a tappeto e assoli chirurgici.

Torna quel muro estremo transalpino che sono i Putrid Offal, gruppo che seguiamo da quando il quartetto è tornato sul mercato in occasione dell’ep Suffering, licenziato tre anni fa.

Dieci anni di silenzio dividevano gli inizi della carriera dei Putrid Offal dal ritorno nel 2014, seguito da una costanza nelle uscite sorprendente.
Infatti dopo l’ep il gruppo francese ha licenziato una compilation con i vecchi brani scritti nei primi anni novanta e soprattutto il full length Mature Necropsy del 2015.
Tornano dunque con questo ep intitolato Anatomy, composto da due brani inediti (Anatomy e Didactic Exploration), due ri-registrazioni (Rotted Flesh e Gurgling Prey, presenti nel primo demo, con il primo anche nel full length) e due brani live, tanto basta per sconvolgere l’ascoltatore con il loro devastante death/grind.
Niente di nuovo, solo la conferma che i Putrid Offal sono una delle realtà underground più estreme e devastanti, il loro sound è pari ad una apocalisse metallica dalle ritmiche da bombardamento a tappeto e assoli chirurgici per mandare in tilt il vostro lettore cd.
Come da tradizione, gran lavoro delle due voci (growl e scream) che continuano imperterrite a darsi battaglia tra accelerazioni, pochi rallentamenti e potenza inaudita espressa come se non ci fosse un domani.
I Putrid Offal non lasciano scampo, se vi prendono siete fottuti…

Tracklist
1. Anatomy
2. Didactic Exploration
3. Rotted Flesh
4. Gurgling Prey
5. Requiem for a Corpse
6.Purulent Cold

Line-up
Franck Peiffer – Vocals
Phil Reinhalter- Guitars
Frédéric Houriez – Bass
Laye Louhenapessy – Drums

PUTRID OFFAL – Facebook

Crimson Altar – Clairvoyance

Buoni riff che denotano la devozione per il sound ottantiano, interessanti e auspicabilmente incrementabili interventi del flauto, che conferiscono al tutto un’aura particolare, ed una sincera attitudine per il genere, rendono Clairvoyance una prova interessante soprattutto in prospettiva.

Un anno dopo la sua uscita come demo su musicassetta, il primo atto discografico dei Crimson Altar, Clairvoyance, viene pubblicato in versione cd dalla Loneravn Records.

La band proviene da Portland ed è dedita ad un doom di concezione piuttosto antica, dai richiami occulti e psichedelici, caratterizzato dalla voce femminile e dall’uso del flauto, sempre da parte della stessa Alexis Kralicek.
Trattandosi di un esordio assoluto non è il caso d’essere troppo esigenti, per cui si può perdonare qualche imperfezione perché musicalmente il lavoro scorre via bene ed ha decisamente un suo fascino; quindi si può passare sopra al fatto che l’interpretazione vocale non sia sempre impeccabile, complice anche una produzione minimale che impedisce di dare una minima sistematina dove ce ne sarebbe stato bisogno: nel complesso la timbrica di Alexis è intrigante ma nei passaggi più rallentati emergono dei limiti che invece vengono superati allorché i ritmi accelerano.
Chiaramente tutto ciò intacca solo in parte l’esito di un ep che mostra diversi spunti notevoli, con il brano di apertura Soul Seer che si rivela piuttosto emblematico di come potrà svilupparsi il sound dei Crimson Altar nel momento in cui riusciranno a curare al meglio ogni dettaglio.
Buoni riff che denotano la devozione per il sound ottantiano, interessanti e auspicabilmente incrementabili interventi del flauto, che conferiscono al tutto un’aura particolare, ed una sincera attitudine per il genere, rendono Clairvoyance una prova interessante soprattutto in prospettiva, anche se al netto delle imperfezioni il lavoro si rivela fin d’ora meritevole di un ascolto.

Tracklist:
01. Soul Seer
02. Break Free
03. Dead Winter
04. Clairvoyance

Line up:
Rob Turman – Bass
Jesse Fernandez – Drums
Mat Madani – Guitars
Alexis Kralicek – Vocals, Flute

CRIMSON ALTAR – Facebook

Ankor – Beyond the Silence of These Years

La proposta degli Ankor è oltremodo immatura, poco personale e piena di melodie facili quel tanto da rapire adolescenti, non certo alternative rockers di vecchia data.

Ecco un album che teoricamente potrebbe far impazzire sfilze di ragazzini alternativi: un sound alternative rock con qualche spunto core, una serie di brani dall’appeal perfetto per non uscire dal lettore dello smartphone, momenti di scream vocals in contrasto con la vocina da lolita che fa il buono ed il cattivo tempo e la cover di un brano dei Linkin Park (Numb) uscito come video tanto per ribadire l’alto grado di ruffianeria dei catalani Ankor.

Il quartetto è diviso in egual misura tra la parte femminile e quella maschile, attivo dal 2003 e con una buona discografia alle spalle che conta tre full length ed una manciata di lavori minori, fino ad arrivare a questo Beyond the Silence of These Years che sinceramente lascia l’amaro in bocca.
Intendiamoci, non c’è niente che non funzioni in questo lavoro, ma la proposta degli Ankor è oltremodo immatura, poco personale e piena di melodie facili quel tanto da rapire adolescenti, non certo alternative rockers di vecchia data.
Quindi sappiate che Beyond the Silence of These Years è un lavoro composto da una serie di brani che sembrano usciti da qualche pubblicità per articoli da ragazzini, skateboard sotto i piedi e lacrimuccia rabbiosa che cade da sguardi da finti duri.
Poco, insomma per smuovere, l’interesse degli amanti del genere, anche se qualche traccia presenta buone melodie e Shhh… (I’m Not Gonna Lose It) ribadisce l’amore del gruppo per i Linkin Park del compianto Chester Bennington.
Troppo poco, ma forse abbastanza per riuscire a far breccia tra gli adolescenti iberici.

Tracklist
1.The Monster I Am
2.Love Is Not Forever
3.Lost Soul
4.Nana
5.Shhh… (I’m Not Gonna Lose It)
6.Kiss Me Goodnight
7.From Marbles to Cocaine
8.The Legend of Charles the Giant
9.Endless Road
10.Unique & Equal
11.Interstellar

Line-up
Jessie Williams – Vocals/Screams
David Romeu – Guitar/Vocals
Fito Martínez – Guitar/Insane vocals
Ra Tache – Drums/Keys

ANKOR – Facebook

Dragonhammer – Obscurity

L’oscurità sta arrivando e la colonna sonora dei tempi bui che ci aspettano non può che essere Obscurity, il nuovo album dei Dragonhammer.

L’oscurità sta arrivando e la colonna sonora dei tempi bui che ci aspettano non può che essere il power metal progressivo dei nostrani Dragonhammer.

Lo storico gruppo torna con un nuovo lavoro dopo l’ottimo The X Experiment, uscito quattro anni, fa e le ristampe dei primi due album licenziate dalla My Kingdom Music, label che firma anche Obscurity.
Band che si può senz’altro definire storica essendo attiva da quasi vent’anni, i Dragonhammer non sbagliano un colpo e i fans del gruppo e dei suoni classici legati al power metal possono stare tranquilli: il nuovo album è ancora una volta un’opera che non cambia di una virgola il sound della band, ma rimane saldamente ancorato su ottimi livelli qualitativi, in un genere nel quale il nostro paese è diventato con gli anni fucina di realtà sopra le righe.
Ovviamente i Dragonhammer, sempre saldi tra le mani della storica coppia formata dal cantante e chitarrista Max Aguzzi e dal bassista Gae Amodio, fanno sicuramente parte di quel gruppo di band che traina la scena italiana verso la gloria metallica, con il loro power metal dal taglio progressivo, oscuro e perfettamente bilanciato tra la tradizione europea e quella classica statunitense.
L’intro Darkness Is Coming ci avverte che tempi bui si prospettano all’orizzonte, mentre The Eye Of The Storm imprime a chiare lettere il marchio dei Dragonhammer: una cavalcata metallica, potente ma non troppo veloce, animata da un’anima progressiva e da un chorus epico.
L’album prosegue con Brother vs Brother, dal piglio hard rock e lascia alla memorabile Under The Vatican’s Ground il gradino più alto del podio, tra Dio e progressive metal, dai tasti d’avorio che inventano ricami neoclassici in un’atmosfera di opprimente oscurità.
Continuiamo ad esaltarci tra le trame delle varie tracce, una più oscura e progressivamente melodica dell’altra, Aguzzi fa il Ronnie James Dio in più di un’occasione ed il gruppo gira a mille, regalandoci ottimo metal con The Town Of Evil, ill crescendo classicamente heavy di Children Of The Sun e la conclusiva title track.
Ottimo ritorno di un gruppo che non ha mai sbagliato un colpo, centrando bersagli a ripetizione, e che ormai si può certamente considerare un’istituzione nel genere sul suolo italico.

Tracklist
01. Darkness Is Coming
02. The Eye Of The Storm
03. Brother vs Brother
04. Under The Vatican’s Ground
05. The Game Of Blood
06. The Town Of Evil
07. Children Of The Sun
08. Fighting The Beast
09. Remember My Name
10. Obscurity

Line-up
Max Aguzzi – Lead Guitar and Voice
Gae Amodio – Bass Guitar
Flavio Cicconi – Guitar
Giulio Cattivera – Keyboards
Andrea Gianangeli – Drums

DRAGONHAMMER – Facebook

Vindland – Hanter Savet

Mirabile fusione di black e pagan, un’opera affascinante e ricca di antiche suggestioni.

Ritornano dopo sette anni i francesi Vindland con un’opera di pagan black metal di buon livello, ispirata, emozionante e coinvolgente; il disco in questione Hanter Savet è uscito nel 2016, è andato sold out e ora è stato ristampato con differente artwork, ma il contenuto è rimasto immutato, con nove brani per circa un’ora di grande musica.

La band, un trio, chitarra, vocals and drums, aveva già prodotto un demo (2007) e un EP (2009), ma ora per Black Lion Records compie il grande passo e memore delle proprie origini, la Bretagna nel nord ovest della Francia, esprime tutta la fierezza del suo popolo, abbandonando la lingua inglese e cantando in bretone. E’ come il ritorno di un guerriero dimenticato che vuole riappropriarsi del tempo perduto e fin dal primo brano Orin Kozh i bretoni esprimono tutta la loro furia e il loro gusto compositivo, intessendo su base black continui riff che denotano un grande gusto melodico; lo scream è convincente e deciso, le atmosfere evocative e fiere. Tutti i brani hanno grande forza, non ci sono filler, la band conosce l’arte di creare pagan black di gran classe e il pensiero corre a una leggenda norvegese di fine anni 90, i Windir del grande Valfar, che con la loro musica hanno emozionato nel profondo: i loro quattro full (Soknardair, Arntor, 1184 e Likferd) hanno rappresentato la quintessenza del pagan/viking black e, a mia memoria, nessuna band successiva ha mai raccolto la loro eredità. Ora i Vindland con la loro musica si avvicinano a quelle atmosfere e con il loro suono fanno riandare la memoria a quei gloriosi tempi. Un brano magnifico come Treuzwelus non può non “riscaldare” i cuori del vero ascoltatore di black, e l’alternarsi di furia e melodia con inserti di fisarmonica di Serr-noz lasciano stupiti di fronte alla capacità compositiva dei tre musicisti. E’ incredibile che una band non scandinava conosca così bene il segreto di coinvolgere l’ascoltatore in un affascinante turbinio di emozioni; non ci sono suoni post-metal, post-black, sludge,doom o altre forme di musica estrema, ma solo arrembante ed evocativo pagan black metal ricco di forza e gusto melodico: un fiume in piena che travolge tutto come nel brano Skorneg Du, dove la chitarra trova riff di altri tempi e la sezione ritmica non conosce ostacoli. Anche gli inserti folk e acustici inframmezzati nei brani sono ricchi di buon gusto e non spezzano la tensione e l’epicità del suono. Gli abbondanti undici minuti di Skeud ar gwez con i suoi iniziali arpeggi meditativi, tristi e melanconici, suggellano l’arte del trio bretone prima di una fluida e lunga cavalcata senza ritorno. Veramente un magnifico e inatteso lavoro che non lascerà tanto presto i vostri lettori di cd e la vostra anima.

Tracklist
1. Orin kozh
2. Treuzwelus
3. Serr-noz
4. Pedenn koll
5. Skleur Dallus
6. Morlusenn
7. Skorneg du
8. Skeud ar gwez
9. And the Battle Ended

Line-up
Camille Lepallec – guitars
Marc Le Gall – drums
Romuald Echival – vocals

VINLAND – Facebook

E.G.O.C.I.D.E. – What Price For Freedom?

Un massacro di moshpit, hardcore metal e disagio che si sublima in rabbia e musica che segna.

Debutto discografico per gli E.g.o.c.i.d.e., fautori di un hardcore metal molto vicino alle bellissime cose degli anni novanta come Integrity e tutta la scena del Benelux, ovvero metal con un cuore hardcore, mid tempo esplosivi e tanta cattiveria.

Questo ep di sei tracce ci mostra un gruppo con le idee chiare, tanta rabbia e la giusta attitudine musicale. Ascoltare questo suono è un rituffarsi in sonorità che pensavo dimenticate ma che mi hanno accompagnato per gran parte della mia vita, come quella di altri miei coetanei e non solo. Il suono è l’hardcore metal, figlio degenere dell’hardcore delle generazioni precedenti, di quel suono che parte dall’Inghilterra, passa per l’Italia, con alcuni fondamentali gruppi come i Raw Power per intenderci, e poi arriva per la sua mutazione finale e necessaria negli States, dove assume la sua forma definitiva. Gli E.g.o.c.i.d.e. sono tutto ciò e ancora di più, perché seppur con una produzione molto casalinga, riescono a rielaborare il tutto personalmente e con un tiro davvero micidiale, che li porta al di sopra di molti altri gruppi. Le tracce migliori, ma questa è un’opinione totalmente personale che porto avanti da anni, sono quelle cantate in italiano, perché sono qui che gli E.g.o.c.i.d.e. spiccano particolarmente. Anche le tracce in inglese sono di buonissimo livello, per un giudizio complessivo sicuramente ben al di sopra della media, ma quelle in italiano sono spettacolari.
Un massacro di moshpit, hardcore metal e disagio che si sublima in rabbia e musica che segna.

Tracklist
1.No Cause For Concern
2.Declama
3.Gloria Riflessa
4.Prayer (Of A Cynic)
5.Three Crowns
6.Verba Manent

Line-up
Alex – Vocals/Lyrics
Gab – Guitar/Choruses
Matt – Bass/Choruses
Nico – Drums/Choruses

Fragarak – A Spectral Oblivion

L’ennesima conferma di quanta buona musica si possa scoprire se ci si spinge oltre le consuete a frontiere del metal/rock.

Sono ormai un bel po’ di anni che, prima nella sezione dedicata al metal di In Your Eyes e ora su MetalEyes IYE, vi teniamo informati sul metal che viene suonato nell’estremo oriente, soprattutto in India.

Il paese asiatico è un enorme scrigno di musica metal/rock, con una manciata di eccellenze in campo estremo e classico che non sfigurano sicuramente al cospetto dei più blasonati colleghi europei.
Il death metal progressivo, un genere che in Europa comincia ad inciampare in quanto a freschezza compositiva, sulle rive del Gange trova nuova linfa tra lo spartito dei Demonic Resurrection e dei Fragarak, di cui vi avevamo parlato tre anni fa in occasione dell’uscita del primo full length (Crypts of Dissimulation).
Non sono le uniche band da nominare, ovviamente, ma con questo nuovo album il gruppo di New Delhi risponde da par suo al bellissimo lavoro dei colleghi di Mumbai con questo mastodontico A Spectral Oblivion, ottantacinque minuti di musica estrema progressiva sopra le righe, violenta, atmosfericamente oscura, splendida colonna sonora di un mondo e di una società estrema raccontata per mezzo di un death metal old school, tecnicamente di un altro pianeta e dal sound che varia tra la furia del genere e le parti acustiche, progressivamente ineccepibili.
La differenza non da poco tra queste due spettacolari band sta nell’uso delle orchestrazioni da parte dei Demonic Resurrection, mentre nei Fragarak, l’epico andamento dei brani porta a sfumature evocative che si manifestano tra i ricami acustici di una bellezza devastante.
Supratim Sen usa tutti i mezzi in possesso di un singer di genere per rendere ancora più drammatica e maligna l’atmosfera, con growl profondi e scream laceranti, mentre i suoi compagni inventano fughe su e giù per uno spartito dato alle fiamme dagli strumenti che divampano tra le loro mani.
A Spectral Oblivion sembra durare lo spazio di un brano e l’ascoltatore viene catturato dalle lunghe suite, inframezzate da intermezzi acustici, con un attenzione particolare per In Rumination II – Reflections, Spectre – In Oblivion Awaken e Of Ends Ethereal.
Come nel primo album, l’influenza degli Opeth si fa sentire nelle parti progressive, mentre il lato estremo dei Fragarak mantiene le sue splendide coordinate old school death metal.
Un album bellissimo, l’ennesima conferma di quanta buona musica si possa scoprire se ci si spinge oltre le consuete a frontiere del metal/rock.

Tracklist
1.In Rumination I – The Void
2.In Rumination II – Reflections
3.The Phaneron Eclipsed
4.Ālūcinārī I – Transcendence
5.Fathoms of Delirium
6.Ālūcinārī II – Revelations
7.Spectre – An Oblivion Awakens
8.Ālūcinārī III – A Reverie
9.This Chastising Masquerade
10.Of Ends Ethereal
11.Ālūcinārī IV – The Fall

Line-up
Supratim Sen – Vocals
Kartikeya Sinha – Bass
Arpit Pradhan – Guitar
Ruben Franklin – Guitar

FRAGARAK – Facebook

Electric Swan – Windblown

Per gli amanti dell’hard rock vintage Windblown è un lavoro imperdibile, con il quale gli Electric Swan si confermano come una delle migliori realtà del genere, non solo nel nostro paese.

In questi anni che hanno visto il ritorno in auge delle sonorità chiamate old school o vintage (a seconda del genere), ogni scena ha tirato fuori dal cilindro i propri eroi, dalla Scandinavia agli States, passando per l’Europa centrale ed ovviamente dal suolo italico.

La Black Widow, storica label genovese e punto fermo per gli amanti dell’hard rock e del progressive, licenzia questo bellissimo lavoro, il terzo degli Electric Swan del chitarrista piacentino Lucio “Swan” Calegari, dopo il debutto omonimo uscito ormai una decina d’anni fa ed il precedente Swirl In Gravity del 2012, primo album sotto l’ala dell’etichetta ligure.
Da qui partiamo per raccontarvi in poche righe il viaggio sulle ali del cigno elettrico, un volo lungo sessanta minuti, in cui l’hard rock settantiano si ammanta di psichedelia e funky, lasciando senza fiato come si trattasse di un virtuale giro sulle montagne russe del rock.
Presi per il colletto e strattonati dai riff di Calegari, che sanno tanto di Led Zeppelin, Black Sabbath e blues rock, ipnotizzati dalla prova di una Monica Sardella all’attacco delle nuove eroine dell’hard rock (Heidi Solheim, Elin Larsson, Alia Spaceface) e colpiti ai fianchi da una sezione ritmica che si prende carico della struttura dei brani con una varietà stilistica sorprendente (Vincenzo Ferrari al basso e Alessandro Fantasia alla batteria), veniamo dunque portati in alto dalla musica del bellissimo cigno lombardo che non ne vuol sapere di tornare al suolo e continua a farci volare con una serie di straordinarie jam.
Ed i bran sono proprio questo, lunghe jam nelle quali il gruppo mette a disposizione dell’ascoltatore il proprio talento, non scendendo mai sotto un livello d’eccellenza e stupendo grazie ad un  songwriting che non permette di distrarsi un attimo, rapiti dal vortice di musica di cui si compone Windblown.
Pur dovendo teoricamente nominare tutte le tracce dell’album, per dovere di cronaca cito le tre bellissime cover Sin’s A Good Man’s Brother (Grand Funk Railroad), Midnight (T.Rex) e If I’m In Luck I Might Get Picked Up (Betty Davis) ed almeno un tris di capolavori, il poderoso hard rock di Leaves, spezzato in due da un intermezzo soul/funky,  lo strumentale Beautiful Bastard, sette minuti di delirio rock con il sax dell’ospite Simone Battaglia, e l’emozionante Here Is Nowhere, ballad che sanguina blues valorizzata dall’interpretazione straordinaria di Monica Sardella.
Non rimane che fare i complimenti agli Electric Swan per questa bellissima opera consigliata agli amanti dell’hard rock legato alla tradizione settantiana.

Tracklist
01. Cry Your Eyes Out
02. Face To Face
03. Bad Mood
04. Leaves
05. Losin’ Time
06. Sin’s A Good Man’s Brother (Grand Funk Railroad cover)
07. Beautiful Bastard
08. Carried By The Wind
09. Here Is Nowhere
10. If I’m In Luck I Might Get Picked Up (Betty Davis cover)
11. Windblown
12. Midnight (T.Rex cover)

Line-up
Monica Sardella: Vocals
Lucio Calegari: Guitars, Vocals
Vincenzo Ferrari: Bass
Alessandro Fantasia: Drums

Special guests:
Sergio Battaglia: Saxophones (tracks 2, 7)
Samuele Tesori: Flute (track 9)
Paolo Negri: Hammond Organ, Electric Piano, Mellotron, Moog (track 10)

ELECTRIC SWAN – Facebook

Kadavar – RoughTimes

I tre album precedenti dei Kadavar sono stati un continuo crescendo fino al penultimo Berlin, il loro disco migliore ma solo fino all’uscita di Rough Times.

Rough Times è un disco di una profondità e di uno spessore eccezionale, un mastodonte che farà molta strada.

I Kadavar sono sempre stati uno dei gruppi più interessanti della psichedelia pesante, e definirli vintage è quasi un’offesa, perché questi tedeschi hanno fatto fare passi da gigante al loro genere. Le atmosfere di Rough Times sono tali che questo disco deve essere gustato lontano dalla nostra civiltà, meglio se in un bosco in solitudine. Cosa potete trovarvi dentro? La risposta è tutto: dal rock allo stoner, da momenti psichedelici a canzoni in totale trance da possessione da parte dei Beatles, e il risultato è magnifico. Si arriva persino al southern rock, ma questo elenco di generi è solo per farvi capire quanta ricchezza ci sia qui dentro. I tre tedeschi sono abituati a far contenti chi cerca qualcosa di più profondo rispetto a certa musica pesante attuale troppo standardizzata, e i Kadavar sono sempre stati originali, possedendo un’immagine ed una comunicazione anni settanta, ovvero lasciando parlare in primis la musica. I tre dischi precedenti dei Kadavar sono stati un continuo crescendo fino al penultimo Berlin, il loro album migliore ma solo fino all’uscita di Rough Times, con il quale non si esce molto da quei binari di Berlin, ma si perfezionano alcune direzioni intraprese in precedenza, migliorando ancora il tutto: la differenza principale è che in Rough Times troviamo meno fuzz e riverberi per una costruzione di psichedelia pesante. I Kadavar per tutta la lunghezza del disco sono una continua sorpresa, costruiscono case nel cielo, aprono porte della percezione e ci invitano in luoghi che si pensavano dimenticati. E’ anche difficile trovare un gruppo come loro che ci convinca a sentire, in questa epoca di dislessia fonica, tutte le tracce del disco da quanto sono belle. Con Rough Times la discografiadei Kadavar si arricchisce di un ulteriore eccezionale capitolo, e come ben rappresenta la seconda traccia Into The Wormhole, qui siamo in un corridoio temporale da attraversare assolutamente.

Tracklist
1. Rough Times
2. Into The Wormehole
3. Skeleton Blues
4. Die Baby Die
5. Vampires
6. Tribulation Nation
7. Words Of Evil
8. The Lost Child
9. You Found The Best in Me
10. A L’Ombre Du Temps

Line-up
Lupus Lindemann – Gesang & Gitarre
Simon “Dragon” Bouteloup – Bass
Tiger – Drums
KADAVAR – Facebook