The Quartet OF Woah! – The Quartet Of Woah!

Un album intenso e affascinante, un viaggio psichedelico attraverso i generi che più hanno valorizzato il rock degli ultimi decenni concentrato in quattro lunghe jam.

Ecco un altro album per cui vale la pena spendere gran parte del proprio tempo libero per una webzine come la nostra: il classico lavoro della band sconosciuta, in arrivo da un paese ai confini delle mappe del music business eppure talmente affascinante da non passare inosservato, almeno per chi della musica underground ne fa una questione di stimoli.

Perché è chiaro che in queste quattro jam stoner/psichedeliche targate The Quartet Of Woah! c’è tanta musica da riempire un’enciclopedia: stonata, psichedelica, alternativa e profonda come un trip con il quale veniamo scaraventati in un deserto pinkfloydiano dove David Gilmour presta il suo talento ai Kyuss per poi darsi appuntamento al calar delle tenebre con mezza Seattle, oppure scagliati nella metà degli anni novanta quando i Trouble arricchivano il loro doom metal di hard rock e i Tea Party ci avvolgevano nelle trame del loro capolavoro The Edges Of Twilight.
Attiva dal 2010 e con il debutto Ultrabomb uscito ormai cinque anni fa, la band di Lisbona porta lo stoner rock ad un livello altissimo, adulto, maturo e dannatamente drogato di psichedelia progressiva molto anni settanta, mentre il poker di brani ci avvicina ai confini di un abisso che comunica direttamente con il centro della Terra.
In fondo The Quartet Of Woah! è un album assolutamente terrestre, con la sabbia calda del deserto che arroventa i piedi, con i passi che si fanno lenti e strascicati seguendo il lento incedere, prima che il sound esploda in fuochi stoner/alternative come in Forth By Light o A Flock Of Leaves.
Le ritmiche funky rock di Days Of Wrath farebbero impallidire il Flea di turno, in un delirio di hard rock progressivo e stonerizzato, lungo tredici minuti: un mezzo capolavoro.
Un album intenso e affascinante, un viaggio psichedelico attraverso i generi che più hanno valorizzato il rock degli ultimi decenni concentrati in queste quattro lunghe e dopate jam.

Tracklist
1.As In Life
2.Forth By Light
3.A Flock Of Leaves
4.Days Of Wrath

Line-up
Gonçalo Kotowicz – vocals, guitars
Rui Guerra – vocals, keyboards
Miguel Costa – vocals, drums
André Gonçalves – vocals, bass

THE QUARTET OF WOAH – Facebook

Caligula’s Horse – In Contact

Licenziato da Inside Out, una garanzia nei suoni progressivi, In Contact risulta un album con più luci che ombre ma con diversi dettagli da registrare per la band australiana, che a mio parere ha da fare ancora un po’ di strada prima di arrivare ad ambire ad un posto al sole nel panorama progressivo odierno.

Questa volta non posso esimermi da fare una considerazione per alcuni antipatica: il progressive moderno, che poi in molti casi non è altro che rock/metal alternativo dilatato e con soluzioni ritmiche prese in prestito dal tanto vituperato prog metal (alla Dream Theater, per intenderci) che ormai si può tranquillamente definire classico, sta arrivando ad un punto di non ritorno.

Mentre viene sempre più accettato nell’ambiente del prog che conta, le band che veramente fanno la differenza si contano sulle dita di una mano: il resto è buona musica, a tratti intimista e lasciata in balia delle tempeste alternative.
Gli australiani Caligula’s Horse si posizionano perfettamente tra le realtà che ambiscono ad un posto di primo piano nel nuovo progressive mondiale e quelle che rischiano inevitabilmente di cadere in uno stagno da dove rimane difficile riemergere, musicalmente e concettualmente parlando.
Attivi da ormai sette anni, i nostri arrivano al traguardo del quarto album con In Contact, un lavoro che come si diceva rimane incastrato tra il progressive moderno ed il metal, un palazzo di note che crolla ed imprigiona il sound in schemi ormai abusati da gruppi più o meno noti e giunti alla ribalta negli ultimi tempi.
Grande preparazione strumentale, ghirigori ritmici, qualche buona idea ma un sentore di già sentito pervade l’ascolto già dalle prime note dell’opener Dream the Dead.
Non fraintendetemi, In Contact è un buon lavoro e non mancherà di trovare estimatori negli amanti del rock progressivo e di band come Karnivool e Tesseract, però manca l’ispirazione vincente, quella che porterebbe a giudicare con più entusiasmo brani già di per sé buoni come Songs For No One, Fill My Heart o la conclusiva suite Graves.
Licenziato da Inside Out, una garanzia nei suoni progressivi, In Contact risulta un album con più luci che ombre ma con diversi dettagli da registrare per la band australiana, che a mio parere ha da fare ancora un po’ di strada prima di arrivare ad ambire ad un posto al sole nel panorama progressivo odierno.

Tracklist
01. Dream the Dead
02. Will’s Song (Let the Colours Run)
03. The Hands are the Hardest
04. Love Conquers All
05. Songs for No One
06. Capulet
07. Fill My Heart
08. Inertia and the Weapon of the Wall
09. The Cannon’s Mouth
10. Graves

Line-up
Jim Grey – lead vocals
Sam Vallen – lead guitar
Adrian Goleby – guitar
Dave Couper – bass & vocals
Josh Griffin – drums

CALIGULA’S HORSE – Facebook

Wormwood – Ghostlands: Wounds from a Bleeding Earth

La band di Stoccolma ci trasporta nel proprio mondo, molto meno oscuro e misantropico rispetto alle abitudini del genere, privilegiando invece un impatto più diretto e ricco di ampie aperture epiche e melodiche.

Dalla Svezia ecco arrivare i Wormwood, portatori di un black metal melodico e dalle sfumature viking/folk.

Come sempre, in questi casi l’attenzione va posta sulla bontà compositiva ed esecutiva della proposta piuttosto che sulla sua originalità e, in tal senso, Ghostlands: Wounds from a Bleeding Earth non delude affatto: in circa un’ora la band di Stoccolma ci trasporta nel proprio mondo, molto meno oscuro e misantropico rispetto alle abitudini del genere, privilegiando invece un impatto più diretto e come detto ricco di ampie aperture melodiche.
L’album si snoda con grande efficacia, specialmente nei più efficaci ed incalzanti brani iniziali, lasciando sfogare al meglio una magnifica vena epica che, dopo una parte centrale pervasa maggiormente da una componente folk, con la comunque bella accoppiata Silverdimmans återsken / Tidh ok ödhe, per poi riprendere nuovamente con un incedere dai tratti più marcatamente viking.
Il fatto stesso che Rydsheim, chitarrista e fondatore della band assieme alla copia ritmica Borka/Jothun, suoni stabilmente dal vivo negli storici Månegarm non è certo un caso, e il risultato fa capire come l’influsso dei nomi più importanti sia stato sicuramente ben assimilato, perché non accade così frequentemente che un full length d’esordio si dimostri così maturo e ben focalizzato a livello compositivo.
Peccato solo che il posizionamento in scaletta, subito dopo l’intro, di un brano perfetto e di sfolgorante bellezza come The Universe Is Dying finisca leggermente per offuscare con la sua luce il resto di un lavoro che si mantiene, costantemente, su una soglia d’eccellenza senza denotare particoloari cali di tensione.
I Wormwood, con Ghostlands:Wounds from a Bleeding Earth, si propongono come nuovi potenziali protagonisti della fertile scena viking/folk black scandinava.

Tracklist:
1. Gjallarhornet
2. The Universe Is Dying
3. Under hennes vingslag
4. Godless Serenade
5. Oceans
6. Silverdimmans återsken
7. Tidh ok ödhe
8. Beneath Ravens and Bones
9. The Windmill
10. What We Lost in the Mist
11. The Boneless One
12. To Worship

Line up:
Borka – Bass
Johtun – Drums
Nox – Guitars
Rydsheim – Guitars
Nine – Vocals

WORMWOOD – Facebook

Caronte – Yoni

Yoni è musicalmente molto ricco e avrà una lunga durata nei vostri stereo, perché ha tante stanze e passaggi segreti come il castello di un alchimista, anche perché questa è alchimia in musica, così su disco come nel vostro cervello, e viceversa.

Terzo album per la band parmense dei Caronte, uno dei nomi di punta italiano non solo del panorama sludge stoner: Yoni è il terzo capitolo della trilogia dedicata alla sciamanesimo e a Crowley e la sua legge di Thelema.

I Caronte sono uno dei pochi gruppi realmente interessati e competenti dell’occulto nelle sue accezioni più vere. Il gruppo suona uno sludge stoner in continuo mutamento, compatto e molto influenzato dalla psichedelia pesante degli anni settanta. L’atmosfera creata dalla band è una felice e tenebrosa aura nera che si espande come un funghetto allucinogeno nel nostro cervello, e ci fa rivolgere l’attenzione verso le cose nascoste che stanno fuori e dentro di noi. Rispetto ai dischi precedenti Yoni è musicalmente più psichedelico e stoner, con uno svolgimento strutturato in maniera simile alle altre opere, ma risultando ugualmente un importante capitolo a sé. In netta controtendenza rispetto a ciò che ci offre la nostra società, i Caronte ci offrono gli elementi che riportano la musica alle sue originarie funzioni catartiche e di coadiuvatrice dei misteri. In Yoni c’è un mondo che si trova alla nostra portata, dobbiamo solo cambiare il nostro cervello e la visione davvero ristretta che abbiamo del mondo, ricercando archetipi soffocati per troppo tempo. Per ottenere ciò i Caronte fanno un disco che colpisce al cuore chi ama la musica fatta con totale immedesimazione e competenza: qui ogni canzone è da esplorare con profondità e il gruppo dà alle stampe il proprio album migliore e più accessibile. In realtà tutta la produzione dei Caronte è ottima, e questo è un ulteriore passo in avanti. Si rimane colpiti da queste visioni e dalla profondità della loro musica, che ha molteplici livelli di fruizione e di lettura. Yoni è molto ricco e avrà una lunga durata nei vostri stereo, perché ha tante stanze e passaggi segreti come un castello di un alchimista, anche perché questa è alchimia in musica, così su disco come nel vostro cervello, e viceversa.

Tracklist
01. ABRAXAS
02. Ecstasy Of Hecate
03. Promethean Cult
04. Shamanic Meditation Of The Bright Star
05. TOTEM
06. The Moonchild
07. V.I.T.R.I.O.L

Line-up
Dorian Bones – Voice
Tony Bones – Guitars & Chorus
Henry Bones – Desecrator Bass
Mike De Chirico – Drums

CARONTE – Facebook

Wait Hell In Pain – Wrong Desire

Un lavoro riuscito e personale, che prende forza da più generi per trovare il suo equilibrio in un metal moderno e progressivo, senza rinunciare a sfumature estreme come il tema trattato: Wrong Desire è tutto questo, e non è poco.

Torniamo a parlare della Revalve Records, label sempre attenta alle realtà rock e metal che si aggirano sul nostro territorio, in occasione dell’uscita del debutto sulla lunga distanza dei Wait Hell In Pain, quintetto proveniente dalla capitale attivo da una manciata d’anni.

E’ infatti il 2011 l’anno di nascita del gruppo da un’idea della coppia di musicisti formata dal chitarrista Stefano Prejanò e della cantante Kate Sale.
I soliti avvicendamenti nella line up, che attanagliano molte band agli inizi, portano all’attuale formazione ed alla creazione di Wrong Desire, album scritto nel 2016 ed ora sul mercato a portare un po’ di freschezza a quello che di fatto è un buon esempio di metallo progressivo, moderno e contaminato da sfumature alternative e hard & heavy.
Incentrato su tematiche forti come l’abuso e la violenza sulle donne (anche dal lato psicologico), Wrong Desire risulta un album duro, pressante ma splendidamente melodico, dove hard rock, dark e prog metal si uniscono per donare alla protagonista May la forza di liberarsi dal suo aguzzino, mentre le chitarre sono corde che si strappano dai polsi, le tastiere tessono ricami progressivi o tappeti elettronici (la parte più moderna del sound) e la sezione ritmica lavora di potenza mantenendo il lavoro, nel suo complesso, entro i confini del metal.
Kate Sale, senza prendere strade liriche, interpreta i brani con trasporto, graffia quandoi testi descrivono scenari di ribellione, tragici momenti di un’anima tormentata, mentre la musica racconta a modo suo le vicende (anche interiori) della protagonista.
Metal che si fa alternativo e melodico per poi esplodere in rabbiose ripartenze dove i tasti d’avorio fanno da struttura moderna al gran lavoro di chitarra, basso e batteria: questo è  il sound di cui è composto Wrong Desire e le sue nove tracce, tra le quali l’opener Behind The Mask è il singolo in cui le caratteristiche peculiari della musica dei Wait Hell In Pain sono in bella mostra, mentre New Moon è il momento più intenso e She Wolf quello della consapevolezza di non essere più preda, ma splendida predatrice.
Un lavoro riuscito e personale, che prende forza da più generi per trovare il suo equilibrio in un metal moderno e progressivo, senza rinunciare a sfumature estreme come il tema trattato: Wrong Desire è tutto questo, e non è poco.
Tracklist
1.Behind The Mask
2.Castaway
3.Get It Out
4.Lost In Silence
5.New Moon
6.Rain Of May
7.She Wolf
8.The Confession
9.The Last Trip

Line-up
Kate Sale – vocals
Stefano Prejano’ – guitar
Marco “Vonkreutz” Novello – keyboards
Alfonso Pascarella – bass
Stefano “Black” Rossi – drums

WAIT HELL IN PAIN – Facebook

Belphegor – Totenritual

Il gruppo austriaco firma una delle sue opere più nere e potenti, con una produzione davvero magistrale, e perfettamente centrata nel renderne il suono il migliore possibile, addirittura sopra il livello di Black Magick Necromance.

Dopo tre anni di astinenza da Conjuring The Dead ritorna la congrega austro satanica nota nei grimori come Belphegor.

Dal lontano 1995, se si vogliono considerare solo i dischi completi, i Belphegor massacrano le nostre orecchie e il nostro cervello, cercando di aprire i cancelli dell’inferno. Con molta onestà ci si poteva aspettare una prova certamente dignitosa e magari un po’ molle, invece gli austriaci firmano uno dei loro album più belli e complessi dal punto di vista compositivo. La potenza è la stessa se non addirittura di più, ma è distribuita in maniera diversa. I Belphegor hanno costruito una carriera sulla potenza sonora nel tentativo di saturare ogni possibile stilla di spazio con un suono nero e marcio. Oltre a tutto ciò ora, gli austriaci hanno portato a compimento ciò che avevano cominciato a far intravedere con i due album precedenti, e in particolare con l’ultimo Conjuring The Dead, ovvero composizioni con molti sviluppi sonori, dove la potenza black metal si sposa con quella del death come sempre, ma con un respiro più ampio. I Belphegor sono entrati in una fase differente della loro maniera di comporre, e hanno reso il loro suono più ricco e variegato rendendolo ancora più possente e magnifico. Totenritual è una danza sull’abisso e a volte ben oltre, non ci si ferma nemmeno davanti alla morte e tutto parla di Satana e delle ribellione primigenia dell’uomo. La musica del disco ci proietta in una nera cava fatta di dolore e molto vicina al sud del paradiso, dove ci sono demoni che ci faranno soffrire molto. Piovono membra sanguinolente, e noi persi sulla spiaggia mentre aspettiamo Caronte non possiamo fare altro che resistere, ma non possiamo vincere. Il gruppo austriaco firma una delle sue opere più nere e potenti, con una produzione davvero magistrale, e perfettamente centrata nel renderne il suono il migliore possibile, addirittura sopra il livello di Black Magick Necromance. Si sale e si scende in continuazione, non c’è tregua, anche se sono notevoli gli intarsi melodici in mezzo alla lava. I Belphegor si amano o si odiano, e c’è chi adora solo i primi album, ma qui c’è un’opera di valore assoluto, un massacro senza se e senza ma, fatto alla loro maniera.
Venite, manca il vostro sangue in calce al contratto.

Tracklist
1. Baphomet
2. The Devil’s Son
3. Swinefever – Regent of Pigs
4. Apophis – Black Dragon
5. Totenkult – Exegesis of Deterioration
6. Totenbeschwörer instrumental
7. Spell of Reflection
8. Embracing a Star

Line-up
Helmuth: Heretic Grunts/ Chainsaw
Serpenth: Bass Devastator/ Vokills
Bloodhammer: Drums
Impaler: 6-String Storm [Live]

BELPHEGOR – Facebook

Sarkrista – Summoners of the Serpents Wrath

Ottima produzione, belle canzoni, intensità e padronanza assoluta del genere: in sintesi, il black metal in una delle sue vesti migliori.

Quattro anni dopo il debutto The Acheronian Worship, i tedeschi Sarkrista si riaffacciano con un nuovo full length dopo alcune uscite di minutaggio ridotto.

Nel frattempo, il loro black di matrice decisamente il old school, pur senza evidenziare uno snaturamento eccessivo, si è evoluto in una forma senz’altro più melodica ed accattivante, andando un po’ in controtendenza rispetto alla scena germanica ma trovando, in ogni caso, una propria identità definita.
Il tremolo picking guida decisamente il sound verso un’interpretazione del black piuttosto atmosferica senza far venire meno le caratteristiche essenziali del genere; è cosi, quindi, che l’album si snoda lungo un serie di brani di grande impatto, spesso trascinanti (The Gathering of Blackest Shadows, He, Who Liveth and Reigneth Forevermore, Rituals of Flames and Skulls) con il solo lievissimo difetto di mantenere un andamento ritmico pressoché costante dall’inizio alla fine.
Detto ciò, non è affatto banale imbattersi in lavori che coniughino in maniera così efficace la tradizione di un genere con elementi in grado di tenere costantemente viva l’attenzione dell’ascoltatore: gli ottimi Sarkrista ci riescono nel migliore dei modi senza particolari sbavature e alla loro adesione piuttosto netta alla tradizione del genere non credo sia estranea la collocazione geografica all’estremo nord della Germania, che li vede così molto più vicini ai modelli scandinavi rispetto a quelli dei länder meridionali.
Ottima produzione, belle canzoni, intensità e padronanza assoluta del genere: in sintesi, il black metal in una delle sue vesti migliori.

Tracklist:
1. Intro
2. The Lurking Giant
3. The Gathering of Blackest Shadows
4. Summoners of the Serpents Wrath
5. Ascending from the Deep
6. He, Who Liveth and Reigneth Forevermore
7. The Sea Pt. 2 (My Cold Grave)
8. Black Devouring Flames
9. Rituals of Flames and Skulls

Line up:
Exesor – Drums, Bass
Farbauti – Guitars
Revenant – Vocals, Guitars

SARKRISTA – Facebook

Air Raid – Across The Line

La produzione rende giustizia alla musica creata dal gruppo ed Across The Line può sicuramente trovare il suo spazio nelle discografie dei metallari dai gusti classici e tradizionali.

Heavy metal classico di scuola scandinava è quello che ci propongono gli Air Raid, quintetto svedese proveniente dalla capitale e attivo dal 2009.

Across The Line è il terzo lavoro sulla lunga distanza licenziato dal gruppo capitanato dal chitarrista Andreas Johansson, dopo un primo ep e due album, usciti rispettivamente nel 2012 e nel 2014, che confermano la bravura degli Air Raid nel riproporre una formula collaudatissima in auge negli anni ottanta e poi vissuta nell’ombra negli anni successivi, cullata e valorizzata nelle terre scandinave ed in Giappone.
Hard & heavy quindi, ritmicamente graffiante, sostenuto da chitarre affilate come rasoi, in poche parole la glorificazione del semplice ma sempre piacevole genere nella sua veste old school, tra tradizione britannica e statunitense che in Svezia hanno fatto loro accentuando quel tocco neoclassico apparentemente nascosto tra riff e solos.
Il songwriting di Across The Line, pur non toccando vette clamorose, risulta di ottima qualità, così che l’album vola spedito tra i cieli in tempesta, alternando buone ritmiche e canzoni dai chorus accattivanti a forme metalliche più vicine all’heavy epico e neoclassicom come la doppietta Entering The Zone Zero, strumentale dai rimandi malmsteeniani, e Hell And Back, canzone dura come l’acciaio ed inno metallico di questo lavoro.
Il gruppo convince e consegna agli amanti del genere un piccolo gioiellino, magari fuori dai normali ascolti anche in campo classico, ma sicuramente appagante per chi ha un minimo di confidenza con queste sonorità.
La produzione rende giustizia alla musica creata dal gruppo ed Across The Line può sicuramente trovare il suo spazio nelle discografie dei metallari dai gusti classici e tradizionali.

Tracklist
1. Hold The Flame
2. Line Of Danger
3. Aiming For The Sky
4. Cold As Ice
5. Entering The Zone Zero
6. Hell And Back
7. Northern Light
8. Raid Or Die
9. Black Dawn

Line-up
Fredrik Werner – vocals
Andreas Johansson – guitars
Magnus Mild – guitars
Robin Utbult – bass
David Hermansson – drums

AIR RAID – Facebook

Comeback Kid – Outsider

Outsider è ciò che dovrebbe essere un disco di hardcore melodico ben fatto e sudato che non delude in nessun momento e ha anche deflagrazioni vicine al metal, il tutto di alta qualità.

I Comeback Kid non hanno mai tradito le attese, e non lo hanno fatto nemmeno questa volta, anzi Outsider è una delle cose migliori pubblicate dal gruppo canadese.

La produzione è ottima e mette in risalto la loro grande furia, preservando le loro peculiarità maggiori, ovvero quelle d’essere un gruppo veloce ma molto melodico, senza mai scadere nelle ridicole melodie che contraddistinguono diversi gruppi odierni di hardcore melodico. Spesso in passato è successo che band hardcore pubblicassero senza grande successo dischi per etichette prevalentemente metal come la Nuclear Blast, ma qui c’è la smentita sonora a quanto sopra. I Comeback Kid incendiano nuovamente i nostri stereo senza lasciar scampo a nessuno, con un disco potente e bilanciato. Nati alla fine del 2000 a Winnipeg sono diventati con il passare degli anni e degli album uno dei gruppi più seguiti e amati del melodic hardcore, e hanno sempre provato a fare musica meno convenzionale, non rinunciando però alla melodia. Nonostante siano nati in leggero ritardo rispetto al boom di questo genere, sono tra le poche band veramente valide a portare avanti questo discorso, e molti gruppi giovani avrebbero molto da imparare dai Comeback Kid, a partire da questo disco potente e melodico. Con notevoli passaggi da pezzi più duri a momenti maggiormente melodici nella stessa canzone, Outsider è ciò che dovrebbe essere un album di hardcore melodico ben fatto e sudato che non delude in nessun momento e ha anche deflagrazioni vicine al metal, il tutto di alta qualità.
Inoltre il disco è palesemente fatto per scatenare l’inferno dal vivo, sappiatelo.

Tracklist
01. Outsider
02. Surrender Control
03. Absolute feat. Devin Townsend
04. Hell Of A Scene
05. Somewhere, Somehow
06. Consumed The Vision feat. Chris Cresswell
07. I’ll Be That
08. Outrage (Fresch Face, Stale Cause)
09. Blindspot
10. Livid, I’m Prime
11. Recover
12. Throw That Stone
13. Moment In Time feat. Northcote

Line-up
Andrew Neufeld aka GOOSE
Jeremy Hiebert
Stu Ross aka TOAD
Ron Friesen
Jesse Labovitz

COMEBACK KID – Facebook

Drastic Solution – Thrash ‘Till Death

Questi sono i Drastic Solution e questo è Thrash ‘Till Death, un concentrato di thrash old school da barricate, una violenta raffica di brani che dal vivo attaccano al muro o spezzano ossa in mosh sfrenati.

Eccoci ancora una volta a parlare di thrash metal, oggi più che mai suonato come se non ci fosse un domani sul suolo nazionale e precisamente in Puglia, terra di provenienza dei Drastic Solution.

Siamo alla seconda prova del trio che si aggira a far danni nella provincia di Taranto da cinque anni e che da almeno tre non dava più notizie. discograficamente parlando, all’indomani dell’uscita del loro debutto Thrashers.
L’album aveva ottenuto ottimi riscontri tra le webzine di settore e gli appassionati per il sound che contraddistingueva mezzora di musica veloce, dall’impatto devastante e senza compromessi, con cui la band aveva dato il via alla sua carriera discografica, ora confermata da questo ritorno dal titolo Thrash ‘Till Death.
Thrash metal che si potenzia con accenni hardcore, una buona padronanza dei mezzi e un’attitudine che si avvicina all’urgenza musicale e all’attacco frontale di gruppi come S.O.D. e Municipal Waste, il tutto concentrato in un minutaggio appena più ampio ma sempre da ingurgitare in un sol boccone, o da buttare giù come un bicchierino di acquavite dai gradi vicini alla terza cifra.
Questi sono i Drastic Solution e questo è Thrash ‘Till Death, un concentrato di thrash old school da barricate, una violenta raffica di brani che dal vivo attaccano al muro o spezzano ossa in mosh sfrenati.
L’album corre veloce e inarrestabile, non ci sono pause di sorta e i brani passano davanti a noi come treni impazziti, mentre Marco “Big Jerk” Lecce (voce e basso), Piero Greco (chitarra) e Patrizio Panariti (batteria), sbattono sul tavolo tutte le carte in loro possesso (immancabile qualche riferimento agli Slayer) per non lasciarci vie di scampo- Thrash metal rules!

Tracklist
1.Fucked By….
2.Extreme Probleme Extreme Solution
3.Taste Of Blood
4.Full Metal Cock
5.Thrash ‘Till death
6.Killing
7.T.O.J.I.F.Y.M.A.
8.Adelphiliac
9.Infamous Bastrd
10.Stronger

Line-up
Marco ” Big Jerk ” Lecce – Vocals and Bass
Piero Greco – Guitars
Patrizio Panariti – Drums

DRASTIC SOLUTION – Facebook

Gutslit – Amputheatre

Amputheatre sta tutto qui, nel suo essere un buon esempio di musica brutale e senza compromessi, un massacro che non concede tregua con il growl malvagio di un boia che tortura sadicamente le proprie vittime fino alla morte.

Che una società come quella indiana lasci spazio alla brutalità è un dato di fatto, con milioni di persone racchiuse in gigantesche metropoli dove la vita vale meno di zero, le malattie decimano gran parte della popolazione e la violenza molte volte degenera.

Film e musica spesso raccontano fantasie mentre la realtà è ancora più terrificante e a noi amanti dell’horror e del gore non rimane che ignorare le solite prese di posizione del benpensanti, infastiditi da una copertina o dalla brutalità della musica, ma totalmente indifferenti a quello che accade ai propri simili in molti luoghi del mondo.
Questo brutal death metal proveniente da Mumbai, la metropoli più pericolosa del mondo, non può che convincere gli amanti del genere, rivelandosi dannatamente coinvolgente, devastante e deliziosamente gore.
Loro sono i Gutslit, quartetto nato una decina di anni fa e arrivato al secondo album, licenziato dalla Transcending Obscurity dopo uno split ed un primo lavoro intitolato Skewered in the Sewer.
Impatto a iosa, blast beat e velocità a manetta per un sound che poggia le sue radici nella storia del genere, non rinunciando alle caratteristiche peculiari tanto amate dai fans del death metal più estremo.
Amputheatre sta tutto qui, nel suo essere un buon esempio di musica brutale e senza compromessi, un massacro che non concede tregua con il growl malvagio di un boia che tortura sadicamente le proprie vittime fino alla morte, che per i poveri malcapitati risulta una liberazione.
Mezz’ora scarsa che non conosce il minimo cedimento, consigliato senza riserve a chi fa del brutal e delle sue band un ascolto abituale.

Tracklist
1.Amputheatre
2.Brazen Bull
3.From One Ear to Another
4.Necktie Party
5.Blood Eagle
6.Brodequin
7.Maraschino Eyeballs
8.Scaphism
9.Death Hammer

Line-up
Gurdip Singh Narang – Bass
Aaron Pinto – Drums
Prateek Rajagopal – Guitars
Kaushal LS – Vocals

GUTSLIT – Facebook

Novae Militiae – Gash’khalah

La band è di livello superiore e ci annichilisce con black metal senza compromessi: la Francia si dimostra ancora una terra prolifica per l’arte nera.

Tenebrosi cori con un sinistro clangore di catene ci introducono alla seconda opera dei francesi Novae Militiae, già presentatisi nel 2011 con Affliction of the Divine: della band si sa soltanto che è originaria di Parigi mentre non si ha idea di chi e cosa suoni, né dove sia stato registrato il disco.

L’unica cosa su cui dobbiamo concentrarci è il puro suono del black metal denso, incompromissorio, violento, figlio delle migliori espressioni estreme d’oltralpe (Antaeus, Arkhon Infaustus). Non vi sono le commistioni post-black, post metal di cui alcune buone band francesi si nutrono, qui l’unico verbo è l’arte nera vomitata con violenza a incarnare il puro spirito del genefre. Fin dall’inizio la lezione è chiara, brani come Chasm of the cross e la violentissima Daemon est deus inversus annichiliscono con la loro furia iconoclasta, le melodie sono malate, oscure e sono sommerse da uno scream brutale e luciferino. I brani sono lunghi, carichi di odio, intensi a creare un rituale occulto dove non ci sono speranze per chi vi si addentra.
E’ il grido bestiale di una band che non si piega e lascia fluire come un fiume in piena la sua arte dannata infliggendo all’ascoltatore arcane e forti emozioni; la durata di circa un’ora impone di essere nel giusto mood per riuscire ad uscire sani di mente da questa agonia sonora. I ritmi cadenzati di Annunciatione e Fall of the idolsprovocano, ricordando a mio parere anche il Religious Bm, momenti di sconfinata angoscia e mistero dove l’atmosfera si impregna di zolfo e occulto e veramente l’inferno dista pochi passi. La perversa e blasfema follia non conosce pause e nel brano finale Seven cups of divine outrage l’atmosfera infernale sublima i nostri sensi e fa ricordare i tempi passati quando pronunciare la parola black metal impressionava e atterriva l’ascoltatore.

Tracklist
1. The Chasm of the Cross
2. Daemon Est Deus Inversus
3. Orders of the Most-High
4. Koakh Harsani
5. Annunciation
6. Black Temple Consecration
7. Fall of the Idols
8. Seven Cups of Divine Outrage

NOVAE MILITIAE – Facebook

Apophis – Under A Godless Moon

Cibich, al contrario di molti suoi colleghi, non si incarta in inutili giochini tecnici ma punta tutto sulle emozioni che la sua musica elargisce a piene mani, confermandosi figlio di una generazione di musicisti che con le loro opere stanno regalando nuova linfa ai lavori strumentali.

Apophis è il dio serpente, divinità che incarna il male e le tenebre nelle credenze dell’antico Egitto, terra e popolo che con divinità poco raccomandabili avevano a che fare abitualmente.

Portatori di guerre, pestilenze e terribili maledizioni, gli dei egizi sono stati ampiamente menzionati nell’ormai lunga storia del metal con gruppi che ci hanno scritto un’intera discografia, un solo album o semplicemente si sono ispirati per il monicker.
Gli Apophis di cui vi parliamo sono australiani, una one man band di cui si conosce pochissimo se non il nome del polistrumentista autore di questo piccolo gioiello estremo, Aidan Cibich che, oltre a suonare tutti gli strumenti si è prodotto, masterizzato e mixato l’intero album, intitolato Under A Godless Moon.
Presentato come un’opera melodic death metal con atmosferiche parti doom, l’album risulta interamente strumentale, suonato e prodotto benissimo e composto da un lotto di brani che, se al doom schiacciano l’occhiolino in pochissime occasioni, ci travolgono con una serie tempeste sonore estreme, dove la sei corde è assoluta protagonista, meravigliosa compagna del musicista australiano che da par suo la fa suonare e cantare come una sirena persa nelle acque del Nilo.
Poche atmosfere, dunque, e tanto death metal melodico, squisitamente thrash in qualche passaggio ma debitore della scena scandinava e il pensiero non può che andare al nostro Hitwood, progetto death strumentale del polistrumentista italiano Antonio Boccellari a cui Cibich si avvicina non poco, mantenendo solo un approccio più estremo ed oscuro.
Un paio sono i brani atmosferici (Chaos Under Cimmerian Skies e Ad Absolutum Finem), il resto è un ottimo e alquanto tempestoso melodic death che trova la sua naturale valorizzazione strumentale tra le trame di tracce davvero belle come Watchtowers Of Anubis, la title track e The Kinslayer, anche se l’album merita di essere apprezzato nella sua interezza.
Cibich, al contrario di molti suoi colleghi, non si incarta in inutili giochini tecnici ma punta tutto sulle emozioni che la sua musica elargisce a piene mani, confermandosi figlio di una generazione di musicisti che con le loro opere stanno regalando nuova linfa ai lavori strumentali.

Tracklist
1.Chaos Under Cimmerian Skies
2.Cyclopean Rage
3.Monarchs Throne
4.The Kinslayer
5.Fountains Of Crimson
6.Ad Absolutum Finem
7.Empyreal
8.Watchtowers Of Anubis
9.Firestorm Of Luna
10.Under A Godless Moon

Line-up
Aidan Cibich

APOPHIS – Facebook

Alcest – Souvenirs D’Un Autre Mond

Questa opera è davvero ciò che dice il titolo, ricordi di un altro mondo, e il disco è la narrazione folclorica di questo mondo che è dentro di noi.

Sono passati dieci anni dalla data di pubblicazione di questo flusso onirico messo in musica, di un disco che ha sparigliato tutte le carte, di uno dei dischi preferiti da molti, come Pitchfork che lo ha inserito nella classifica dei migliori dischi di shoegaze di sempre.

In origine Souvenirs D’Un Autre Mond dovevca essere un breve progetto solista di Neige, chitarrista dei Peste Noire e dei Forgotten Woods, ma questo disco ha cambiato tutto, e ora Alcest è un nome consolidato nel metal altro.
Questa opera rielaborava in maniera molto personale sonorità che fino a quel momento si erano incontrate solo sporadicamente, come il post black metal, che è uno sviluppo del black metal, uno sfruttare alcune sue caratteristiche per portare avanti una musica di più ampio respiro. Lo shoegaze è un grande protagonista di questo disco, quel muro del suono che porta a galla il nostro subconscio e che qui si sposa benissimo con sfuriate black metal. La voce di Neige è un sogno nel sogno, come se qualcuno ci parlasse nell’orecchio durante il sonno. Come nelle opere maggiori delle arti, c’è un ribaltamento fra realtà e sogno, i piani si capovolgono e veniamo catturati da un’altra dimensione, nella quale il dolore e la gioia sono puri e un senso di leggerezza permea tutto. L’immaginario di questo disco è fortemente francese, infatti i cari significati sono occulti e le canzoni sono brevi romanzi di cose che nell’esagono sono molto sentite.
Come ristampa ci saranno varie sorprese sia per l’edizione in cd che per quella in vinile, come la copertina originale della prima stampa su lp, un libretto sull’anniversario, foto inedite, commenti di Andy Julia, il fotografo che è praticamente un membro del gruppo, e di Aaron Weaver dei Wolves In The Throne Room per testimoniare l’enorme influenza di questo disco.
Soprattutto ci sarà questo capolavoro che ci fa tornare bambini, un disco profondamente diverso e quasi perfetto, in grado di scatenare tempeste di emozioni, e che chiede solo di toglierci le zavorre e di chiudere gli occhi, perché questa opera è davvero ciò che dice il titolo, ricordi di un altro mondo, e il disco è la narrazione folclorica di questo mondo che è dentro di noi.

Tracklist
1. Printemps Émeraude
2. Souvenirs d’un autre monde
3. Les Iris
4. Ciel Errant
5. Sur l’autre rive je t’attendrai
6. Tir Nan Og

Line-up
Neige : guitars/bass, synths and vocals
Winterhalter : drums

ALCEST – Facebook

Sorrow Plagues – Homecoming

Homecoming è un lavoro che non mostra cedimenti e riesce a mantenere sempre un invidiabile equilibrio tra le diverse componenti del sound.

Sorrow Plagues è il nome del progetto solista di David Lovejoy, musicista inglese che ha iniziato questa sua avventura nel 2014, pubblicando diversi ep e singoli fino ad approdare all’esordio su lunga distanza l’anno scorso, per giungere infine a questo suo secondo full length intitolato Homecoming.

L’ambito entro il quale si muove il ragazzo britannico è un black atmosferico con spiccata propensione verso lo shoegaze: una soluzione che abbiamo già incontrato più volte ma che si rivela sempre gradevole ed opportuna, in special modo se esibita con il buon talento e la sensibilità che contraddistinguono questo album.
La malinconia di fondo che pervade il lavoro è percepibile anche dai titoli dei brani che non lasciano molto spazio all’immaginazione: David si dimostra anche un musicista a tutto tondo, esibendo un buon gusto dal punto di vista tastieristico ed un bel tocco chitarristico, mentre come da copione nel genere la voce viene un po’ sopraffatta dagli strumenti a livello di produzione.
Continuo a pensare che questa soluzione stilistica abbia un senso solo quando proviene dai bassifondi dell’underground musicale, come avviene appunto in questo caso, rivelandosi frutto di un’espressione spontanea, fresca e ricca di spunti eccellenti, ben lontana dai tentativi di rendere più fruibile, con solo il risultato di farlo apparire artefatto, un sottogenere che per finalità e tematiche dovrebbe posizionarsi esattamente agli antipodi di ogni tentazione commerciale (ogni riferimento agli ultimi Ghost Bath è del tutto voluto …).
Del resto David fa propri gli insegnamenti del maestro Neige e ne sviluppa in maniera competente e spesso emozionante le coordinate tipiche, grazie ad ariose ed ampie aperture melodiche che vengono sporcate solo da uno screaming di stampo DSBM.
Homecoming è un lavoro che non mostra cedimenti e riesce a mantenere sempre un invidiabile equilibrio tra le diverse componenti del sound, trovando il suo picco ideale nella più lunga e magnifica Disillusioned ed il suggello con una title track che vede anche l’utilizzo di parti di sax, a testimoniare la volontà di Lovejoy di non rendere troppo monodimensionale la proposta.
Al momento il nostro ha chiamato a sé altri musicisti per poter offrire anche dal vivo la propria musica: una scelta condivisibile e che, spesso, consente ai titolari di one man band di ampliare ulteriormente i propri orizzonti con ricadute ovviamente positive anche sull’approccio compositivo; già così, comunque, i Sorrow Plagues si dimostrano una delle migliori espressioni odierne dello shoegaze abbinato al black atmosferico.

Tracklist:
1. Departure
2. Disillusioned
3. Isolated
4. Irreversible
5. Relinquish
6. Homecoming

Line up:
David Lovejoy – All Instruments

SORROW PLAGUES – Facebook

Ace Frehley – Anomaly-Deluxe

Il Frehley solista non si discosta poi granché dal sound dei Kiss, se non per una più marcata vena heavy, spostando il sound dal rock’n’roll ipervitaminizzato e melodico del gruppo mascherato ad sound più duro e diretto, crudo ed americano fino al midollo.

Qui si fa la storia dell’hard rock americano,  perché potremmo metterci a discutere per giorni su quanto possano piacere i Kiss, ma è indubbio che i volti mascherati più famosi del rock abbiano avuto un’importanza assoluta sul rock duro mondiale.

Il loro più famoso chitarrista solista, membro originale con la maschera dello Spaceman e sul palco con la band fino al 1981, all’uscita del controverso Music From The Elder, e poi tornato nel gruppo nella seconda metà degli anni novanta in tempo per registrare con i suoi vecchi compagni il bellissimo Kiss Unplugged ed il dignitoso Psycho Circus, ha avuto una carriera in proprio di tutto rispetto con l’esperienza Frehley’s Comet, durata solo un paio d’anni e tre album, un’infinità di collaborazioni in veste di ospite e otto uscite a nome Ace Frehley tra le quali questo ottimo Anomaly risulta il quinto album di inediti, uscito originariamente nel 2009.
Anomaly Deluxe esce rimasterizzato e con l’aggiunta di tre bonus track tra cui due brani (Hard For Me e Pain In The Neck) scritti per i Kiss e mai pubblicati.
Il Frehley solista non si discosta poi granché dal sound dei Kiss, se non per una più marcata vena heavy, spostando il sound dal rock’n’roll ipervitaminizzato e melodico del gruppo mascherato ad sound più duro e diretto, crudo ed americano fino al midollo.
Continuando sulla strada del paragone con la band madre direi che Anomaly (non me ne voglia il buon Ace) si avvicina di più al periodo senza maschere di Simmons e Stanley, inserendo nel sound di brani come Outer Space, Too Many Faces o Sister quegli elementi ritmici grassi tipici del rock poi sviluppatosi negli anni novanta.
Il rock’n’roll è ben rappresentato dall’irresistibile verve di Fox The Run (il brano più Kiss oriented di tutto l’album), mentre la voce di Ace risulta vera, regalando ai brani quell’atmosfera da musicista condannato ad una vita per il rock (e non solo).
Da applausi sono le due ballad, l’elettrica Change The World e l’acustica A Little Below The Angels, dove Ace duetta con un coro di bambini e profuma di cieli lavati dalla tempesta nei deserti del nuovo continente.
Bene ha fatto la Steamhammer/SPV ha dare un’altra chance a questo bellissimo lavoro di un artista che è parte essenziale della storia del rock.

Tracklist
1. Foxy & Free
2. Outer Space
3. Pain In The Neck
4. Fox On The Run
5. Genghis Khan
6. Too Many Faces
7. Change The World
8. Space Bear
9. A Little Below The Angels
10. Sister
11. It’s A Great Life
12. Fractured Quantum
13. Hard For Me (previously unreleased)
14. Pain In The Neck (slower version, previously unreleased)
15. The Return Of Space Bear (first time on CD)

Line-up
Ace Frehley – Guitars, Lead Vocals, Bass
Anthony Esposito – Bass
Anton Fig – Drums
Derrek Hawkin – Guitars
Scot Coogan – Drums
Marti Frederiksen – Keyboards, Guitars

ACE FREHLEY – Facebook

Unreal Terror – The New Chapter

The New Chapter è un lavoro di heavy metal tradizionale che non rinuncia a piccoli dettagli tali da renderlo appetibile sul mercato di questo nuovo millennio, con la band nostrana che si destreggia perfettamente con la materia e con infinita esperienza tra le trame del genere classico per antonomasia.

Tornano dopo più di trent’anni con un album nuovo di zecca i pescaresi Unreal Terror, storico gruppo heavy metal nostrano.

Infatti è dal 1986, anno di uscita del primo ed unico full length Hard Incursion, che del gruppo si era parlato solo per alcune ristampe uscite negli anni, mentre quest’anno è giunto il momento dell’uscita del tanto atteso successore di quello storico album e di altri due lavori minori, il demo del 1982 e Heavy & Dangerous, ep licenziato nel 1985.
Il gruppo abruzzese ha visto i suoi natali addirittura sul finire degli anni settanta con il monicker U.T. per poi adottare quello di Unreal Terror dal 1982, anno di uscita del demo: in quegli storici anni alla chitarra si destreggiava anche Mario Di Donato, storico personaggio del metal tricolore successivamente nei Requiem e soprattutto nei The Black.
Dell’iconico artista abruzzese in tutti questi anni è stato fedele compagno il bassista Enio Nicolini, che ritroviamo qui assieme agli due membri fondamentali del gruppo come il singer Luciano Palermi ed il batterista Silvio “Spaccalegna” Canzano, ai quali si aggiungono i nuovi chitarristi Iader D. Nicolini e Paolo Ponzi (Arkana Code): con questa configurazione la band ci conduce indietro nel tempo, fino alla metà degli anni ottanta, con un sound  definibile hard & heavy al 100%.
Il nuovo capitolo di questa lunga storia non poteva che essere proprio un ritorno al metal tradizionale, valorizzato da una buona produzione che però non tradisce lo spirito old school dell’opera, risultando moderna ma rispettosa dei suoni che i musicisti del gruppo hanno creato senza allontanarsi da quello che sono sempre stati gli Unreal Terror.
The New Chapter è un lavoro che non rinuncia a piccoli dettagli tali da renderlo appetibile sul mercato di questo nuovo millennio, con la band nostrana che si destreggia perfettamente con la materia e con infinita esperienza tra le trame del genere classico per antonomasia, senza esagerare con i watt ma dando dimostrazione di classe.
L’album infatti alterna cavalcate in stile NWOBHM a brani in cui l’elemento heavy si scontra con parti hard o progressive, con uno splendido lavoro delle sei corde e sfumature oscure che non fanno scendere l’attenzione neppure nelle tracce più ragionate, mentre lo storico cantante interpreta i brani con la giusta determinazione e le ritmiche variano lasciando ad altri facili compitini.
Il gruppo ha esperienza da vedere e si sente, i brani al secondo giro nel lettore si incollano nella mente grazie ad una serie di refrain davvero azzeccati, con il brano Time Bomb (scelto per l’anteprima dell’album), The Fall, The Thread e Lost Cause a spingere l’album verso un giudizio positivo.
The New Chapter sarà un ritorno gradito per i rockers di vecchia data e potrebbe diventare una bella sorpresa per i più giovani consumatori di musica dura

Tracklist
1. Ordinary King
2. Time Bomb
3. All This Time
4. Fall
5. The Thread
6. One More Chance
7. Trickles of Time
8. It’s the Shadow
9. Lost Cause
10. Western Skies

Line-up
Luciano Palermi – Vocals
Enio Nicolini – Bass
Iader D. Nicolini – Guitars
Arcanacodaxe – Guitars
Silvio “Spaccalegna” Canzano – Drums

UNREAL TERROR – Facebook

Osculum Infame – Axis Of Blood

Musica estrema di altissimo livello, sinistra, diabolica e con quel talento naturale che i francesi hanno nel saper rendere raffinata anche una proposta come Axis Of Blood.

Partiamo da questa importantissima considerazione: in Francia si suona grande metal estremo, molto del quale fuori dai soliti schemi.

Noi che per vocazione vi parliamo di sonorità per lo più underground, siamo da anni sottoposti agli ascolti di opere in arrivo dalla terra transalpina: molte sono piacevoli novità, altri nuovi lavori di realtà storiche dell’ underground estremo francese, per molti territorio impervio e poco conosciuto, a meno che non siate esperti della scena.
L’Osculum Infame, nel linguaggio della demonologia, è il bacio sull’ano con cui la strega saluta il diavolo nel corso del sabba, ma è anche il monicker con cui agisce questa notevole band parigina, devota al black metal ed attiva dai primi anni novanta.
Con il primo ed unico full length diventato di culto (Dor-nu-Fauglith 1997) ed una serie di ep, il quintetto si è costruito una fama sinistra che lo ha portato fino ai giorni nostri e all’uscita di quello che è il suo secondo lavoro sulla lunga distanza, un’opera nera dal titolo Axis Of Blood.
Accompagnato da una copertina che ci ricorda cosa si incontra tra le buie strade in luoghi e tempi dove domina l’oscuro signore, l’album risulta uno splendido spaccato di musica demoniaca e satanica, fuori dalle mode, inquietante e autentico come ci hanno abituato le band provenienti dalla scena francese.
Attenzione però, perché Axis Of Blood non è il solito album prodotto male ed ovattato per suscitare chissà quali suggestioni in giovani blacksters brufolosi: il sound prodotto è perfetto e professionale, le atmosfere oscure e diaboliche raggelano come non mai la stanza di chi si mette all’ascolto dell’opera, noncurante di quale forza si possa risvegliare dal torpore di anni nel più profondo silenzio.
Licenziato dal gruppo nel 2015 e ritornato sul mercato per mezzo della Necrocosm, Axis Of Blood torna a far parlare dei suoi creatori, anche per mezzo di un documentario uscito all’inizio dell’anno sulla nascita e lo sviluppo della scena black metal francese intitolato Blu Bianco Satana, a conferma dell’assoluta attitudine dei protagonisti riguardo alla cultura del genere e a tutto quello che ne consegue.
Musica estrema di altissimo livello, sinistra, diabolica e con quel talento naturale che i francesi hanno nel saper rendere raffinata anche una proposta come Axis Of Blood.

Tracklist
1.ApokalupVI
2.Cognitive Perdition of the Insane
3.Kaoïst Serpentis
4.My Angel
5.Absolve Me Not!
6.Let There Be Darkness
7.Inner Falling of the Glory of God
8.White Void
9.Asphyxiated Light
10.I in the Ocean of Worms
11.Solemn Faith

Line-up
Dispater – Guitars
I. Luciferia – Guitars, Keyboards
S.RV.F – Bass
Malkira – Drums
Deviant Von Blakk – Vocals, Guitars, Bass

OSCULUM INFAME – Facebook

Church Of Void – Church Of Void

Il gruppo ha un suono trasversale che accoglie molti generi, e che può quindi essere apprezzato da amanti di diverse sonorità metalliche.

Finalmente sono tornati i maestri del doom finlandese, i Church Of Void.

Questi ultimi sono uno dei gruppi più influenti e validi del genere, e basta ascoltare questo disco per venire rapiti dal loro doom che va a braccetto con un hard rock molto anni settanta. I Church Of Void nascono nel 2010 in Finlandia per opera del cantante Magnus Corvus e di G.Funeral, ex membro degli Horna e dei Battlelore. Dopo il primo ep Winter Is Coming, pubblicano nel 2013 il loro debutto sulla lunga distanza per la migliore etichetta finnica, la Svart Records. Il disco fu accolto molto bene sia dalla critica che dal pubblico, anche perché il gruppo ha un suono trasversale che accoglie molti generi, e che può quindi essere apprezzato da amanti di diverse sonorità metalliche. Il cuore del loro suono è il doom classico, leggermente più veloce di altri gruppi simili, ma i giri di chitarra sono sempre poderosi e magniloquenti e sono la struttura principale delle canzoni. Il disco ha un suo sviluppo naturale, i temi trattati sono le tenebre e i residui di certe antichità che sono state molto più grandi della civiltà attuale. C’è anche una canzone su Lovecraft, che è un’ottima lettura mentre si ascolta questo disco, anche se H.P. è una buona lettura a prescindere. Oltre al doom qui ci sono robusti innesti di hard rock anni settanta che rendono il suono ancora più potente, e non manca una psichedelia molto funzionale al tutto. L’incedere è lento e maestoso ma non troppo, perché come detto sopra, nell’ossatura è presente l’hard rock. Certamente i Black Sabbath sono un’influenza e non potrebbe essere altrimenti, ma qui si va bene oltre, elaborando una nuova poetica. Una delle cose che stupisce maggiormente del doom classico è come possa essere vario e melodico se fatto bene, innalzando un muro di suono nel quale però è sempre ben riconoscibile una melodia. Un disco di ottima qualità da sentire a volume molto alto.

Tracklist
1. Prelude
2. Passing the Watchtower
3. Harlot’s Dream
4. Moonstone
5. Lovecraft
6. Beast Within
7. World Eater

Line-up
Magus Corvus -Voice
G. Funeral – Lead Guitar
A. D. – Lead Guitar
H. Warlock – Bass Guitar, Bc Vox.
Byron V.- Drum Attack

CHURCH OF VOID – Facebook

Wormwitch – Strike Mortal Soil

Strike Mortal Soil è un album che convince nel corso dei suoi quaranta minuti intensi, feroci e che non lasciano tregua al rachide cervicale.

Un paio di anni fa abbiamo fatto la conoscenza di Colby Hink, musicista canadese alle prese con una notevole interpretazione del black metal atmosferico con il suo progetto solista Old Graves.

Lo ritroviamo oggi alla guida di un ben più incalzante trio denominato Wormwitch e dedito ad una versione del genere ben più movimentata e definibile, a grandi linee, come black/death n’roll, risultando un potenziale crocevia dove gli Entombed “wolveriniani” incontrano gli ultimi Satyricon e Darkthrone e, tutti assieme, omaggiano doverosamente i Motorhead.
Al di là delle sensazioni più o meno soggettive che Strike Mortal Soil possa lasciare nell’ascoltatore, è fuor di dubbio che questo primo full length dei Wormwitch sia una buonissima esecuzione di uno stile che rifugge i fronzoli e va dritto all’obiettivo, grazie al suo carico di groove e ad una notevole prova d’assieme, con il ringhio del bassista Robin Harris ad imperversare lungo tutta la durata del lavoro ed un Hink che lascia da parte i delicati arpeggi della sua veste solista per sfornare riff ficcanti a getto continuo, sorretto anche dal lavoro percussivo di un bravo Cam Sauders.
Quaranta minuti intensi, feroci e che non lasciano tregua al rachide cervicale, salvo qualche mortifero rallentamento piazzato qua e là: Strike Mortal Soil è un album che convince, trovando la sua probabile punta in Everlasting Lie, non a caso la traccia scelta per essere abbinata ad un video, ma con tutti gli altri nove brani collocabili tranquillamente su uno stesso apprezzabile livello.

Tracklist:
1. As Above
2. Howling From the Grave
3. Weregild
4. Even the Sun Will Die
5. Relentless Death
6. Cerulean Abyss
7. Everlasting Lie
8. …And Smote His Ruin Upon the Mountainside
9. Mantle of Ignorance
10. So Below

Line up:
Colby Hink – Guitar
Robin Harris – Bass/Vocals
Cam Saunders – Drums

WORMWITCH – Facebook