Hex A.D. – Netherworld Triumphant

Netherworld Triumphant risulta quindi un ritorno altamente riuscito da parte della band norvegese, altra ottima band dalle sonorità vintage in arrivo da quel paradiso musicale che è la penisola scandinava, almeno per quanto riguarda le sonorità rock e metal.

Terzo full length per i rockers norvegesi Hex A.D., quartetto che fa delle sonorità vintage la sua prerogativa.

La band norvegese asseconda la tradizione scandinava per i suoni hard rock di matrice settantiana, li potenzia con mid tempo di ispirazione doom classica e li personalizza con atmosfere progressive, per un risultato che va oltre le aspettative, almeno per chi ancora non si era imbattuto nei suoi lavori.
Netherworld Triumphant è dunque un album che soddisferà non poco gli amanti del rock pesante di matrice classica, un mix perfetto di Deep Purple, Uriah Heep e primi King Crimson, votati alla musica del destino.
Himmelskare funge da intro prima che il gruppo capitanato dal vocalist e chitarrista Rick Hagan cominci a disegnare su uno spartito vintage tappeti di musica maggiormente progressiva, nelle due parti della title track che formano dieci minuti abbondanti di rock duro di ottima qualità.
L’uso dell’hammond conferisce quel tocco lordiano ai brani che risultano il punto di forza del sound firmato dagli Hex A.D., i quali continuano a macinare grande rock con il doom sabbathiano della pesantissima Warchild, brano potente ed evocativo perfetto per chi ama in egual misura Black Sabbath ed Uriah Heep.
Sette brani per cinquanta minuti calati alla perfezione in una musica che, se prende ispirazioni ed influenze dalle band storiche citate, si avvale di un buon songwriting che non lascia indifferenti.
La lunga Ladders To Fire chiude alla grande questo nuovo lavoro con i suoi tredici minuti di sunto compositivo, tra lenti passaggi doom, hard rock e slanci progressive.
Netherworld Triumphant risulta quindi un ritorno altamente riuscito da parte della band norvegese, altra ottima band dalle sonorità vintage in arrivo da quel paradiso musicale che è la penisola scandinava, almeno per quanto riguarda le sonorità rock e metal.

Tracklist
1. Himmelskare
2. Skeleton Key Skeleton Hand
3. Netherworld Triumphant pt. I
4. Netherworld Triumphant pt. II
5. WarChild
6. Boars On Spears
7. Ladders To Fire

Line-up
Rick Hagan – Vocal, guitar
Mags Johansen – Organ, mellotron, keyboard
‘Arry Gogstad – Bass
Matt Hagan – Drums

HEX A.D. – Facebook

Poste 942 – Long Replay

Long Play diventa Long Replay in questa nuova uscita targata 2019 che vede il gruppo tornare a far esplodere gli altoparlanti con quasi cinquanta minuti di ottima musica.

La label Bear Beer Boar Prod. ristampa in una nuova versione con titolo e artwork rinnovati il primo album dei rockers transalpini Poste 942, un dinamitardo combo che suona hard rock potente ed ispirato tanto dagli anni settanta, quanto dal southern e dal grunge.

Long Play diventa Long Replay in questa nuova uscita targata 2019 che vede il gruppo tornare a far esplodere gli altoparlanti con quasi cinquanta minuti di ottima musica.
Hard rock, stoner e groove a manetta, senza rinunciare ad atmosfere southern: le verdi colline francesi ai piedi delle Alpi si trasformano così nei caldi deserti americani o nelle paludi dell’estremo territorio della misteriosa Lousiana.
Lo stile dei Poste 942 è più semplice di quanto si possa immaginare ma molto interessante, così come il modo in cui il gruppo riesce, senza essere dispersivo o approssimativo, ad inserire svariate influenze tra i brani di Long Play.
Partendo dal metal stonerizzato di Down e Pantera, passando per elettrizzanti tratti grunge rock che ricordano non poco i Nirvana, per giungere allo stoner della Sky Valley ed il southern rock, il tutto viene ben calibrato dal gruppo francese in questa raccolta di brani che hanno nel singolo Whiskey, nell’esuberante vena di 49.3, nella semiballad desertica Grace e nella rabbiosa Lonely Day i punti salienti di questo piacevole lavoro.
Un album da ascoltare a volume importante, magari quando la voglia di libertà si fa spazio tra le svogliate giornate tutte uguali: allora una camicia di flanella, un giubbotto di pelle ed il pieno di benzina nel serbatoio accompagneranno sicuramente l’ascolto di Long Replay.

Tracklist
1.49.3 (Reboot)
2.Color of Red
3.Devil’s Complaint
4. Whiskey
5.Punky Booster
6. Grace
7. Pigs in Paradise
8.Lonely Day
9.Psycho Love Part.I
10.Psycho Love Part.II
11. Breathe
12.Kill the Princess

Line-up
Sébastien Mathieu – Guitars
Sébastien Usel – Vocals
Ludovic Favro – Bass
Bruno Pradels – Guitars
Fred Charles – Drums
Stephen Giner – Cornemuse

POSTE 942 – Facebook

White Cowbell Oklahoma – Seven Seas Of Sleaze

Alle malinconiche ballate intrise di blues al caldo di un tramonto con vista sulla frontiera, la band preferisce un diretto in pieno volto, un eccesso di attitudine che si traduce in un sound sfacciato e dalle chiare influenze hard, rock’n’roll e blues.

Gli White Cowbell Oklahoma sono di fatto la spettacolarizzazione del southern rock, o almeno la sua anima più corrotta e deviata.

Alle malinconiche ballate intrise di blues al caldo di un tramonto con vista sulla frontiera, la band preferisce un diretto in pieno volto, un eccesso di attitudine che si traduce in un sound sfacciato e dalle chiare influenze hard, rock ‘n’ roll e blues, ma di quello dannato, regalato dal solito satanasso che non ne vuole sapere di allontanarsi da crocicchi e drugstore di quell’ America in cui si balla a ritmo del country rock e ci si butta via tra alcool e anfetamine.
Questo lavoro, licenziato dalla Slick Monkey Records ed ultimo di una discografia che vede una manciata di album ed una carriera fondata sui concerti dal vivo che si trasformano in veri e propri spettacoli tra ballerine, fuochi d’artificio e pericolose motoseghe., è composto da un paio di inediti più cinque brani registrati appunto nella dimensione più consona alla band canadese, il palco.
E’ on stage che gli White Cowbell Oklahoma non perdono un colpo e, anche se non disponiamo del supporto video, la sensazione di vivere uno spettacolo che va oltre alla musica è percettibile tra le note di brani travolgenti come Flapjack Flytrap, Monster Railroad e Flush In The Pocket.
Lynyrd Skynyrd, Deep Purple, ZZ Top e Allman Brothers in salsa hard rock, punk, blue … non male davvero.

Tracklist
1.Into The Sun
2.Harder Come, Harder Come
3.Flapjack Flytrap (Live)
4.Cheerleader (Live)
5.Monster Railroad (Live)
6.Flash In The Pocket (Live)
7.Shot A Gamblin’ Man (Live)

WHITE COWBELL OKLAHOMA – Facebook

IX-The Hermit – Present Days, Future Days

Dei IX-The Hermit ne sentiremo ancora parlare, nel frattempo si può ascoltare Present Days, Future Days per farsi un’idea sulle buone potenzialità messe in mostra dal gruppo.

Chi è abituato a frequentare l’underground metallico sa che le sorprese sono sempre dietro l’angolo e diventa quasi un’urgenza scovare nuove realtà, sorprendendosi piacevolmente all’ascolto di demo, ep o primi full length che potrebbero diventare l’inizio di qualcosa d’importante.

Ovviamente, quando si parla di underground si intende quello mondiale, lasciando ad altri antipatici confini da proteggere, per abbracciare ogni impulso musicale che riesca ad emozionare.
In questo caso rimaniamo nel nostro paese per presentare questa ottima nuova band, i IX-The Hermit, fondata da musicisti dal diverso background e con l’intento di creare qualcosa di nuovo ed originale, inglobando in unico sound i diversi generi musicali da cui provengono.
Dopo diversi cambi di line up, la formazione si stabilizza lo scorso anno così che, la band si può concentrare sui sei brani che compongono questo primo lavoro, un ep dal titolo Present Days, Future Days.
Sei buoni motivi per dare un ascolto alla proposta dei IX-The Hermit sono racchiusi nel sound di questo album che parte con Party Animal, titolo dai richiami street metal, ma pesante come un macigno seppur devota ad un hard & heavy che non manca di potenza e groove.
Ma già dal secondo brano la band lascia le strade dirette e hard rock del brano di apertura per salire su per tornanti progressivi, alternati da ripartenze pesanti come nella decisa You’re Not Worth e nel crescendo di Boston.
Buona tecnica unita ad una non facile catalogazione, fanno di Your Pain e soprattutto della conclusiva The Hermit, brani che uniscono metal estremo, sfumature alternative ed atmosfere progressive.
Dei IX-The Hermit ne sentiremo ancora parlare, nel frattempo si può ascoltare Present Days, Future Days per farsi un’idea sulle buone potenzialità messe in mostra dal gruppo.
Tracklist
1.Party Animals
2.Beyond All My Days
3.You’Re Not Worth
4.Boston
5.Your Pain
6.The Hermit

Line-up
Fabrizio Vindigni – Vocals
Fabrizio Miceli – Guitars
Luigi Gabriele – Guitars
Matteo De Franco – Bass
Giacomo Marsiglia – Drums

IX THE HERMIT – Facebook

Athlantis – The Way To Rock’n’Roll

The Way To Rock’n’Roll è un altro album da custodire gelosamente nella propria discografia, e l’invito agli amanti dei suoni classici è quello di non perdere questo splendido album firmato da uno dei personaggi più importanti della scena hard & heavy nazionale: la strada per il rock’n’roll passa tra i vicoli di una Genova metallica sempre più in evidenza.

Neanche il tempo di somatizzare lo splendido ritorno dei Ruxt che la label Diamonds Prod ci presenta il nuovo album degli Athlantis, progetto del bassista Steve Vawamas, musicista attivissimo nella scena hard rock e metal ligure.

Il bassista di Ruxt, Mastercastle, Bellathrix e Odyssea torna dunque con la sua creatura ed un nuovo album, The Way To Rock’n’Roll, a distanza di un paio d’anni dal precedente Chapter IV e dalla ri-registrazione del secondo lavoro, quel Metalmorphosis ripreso in mano dopo ben dieci anni.
La strada per il rock’n’roll passa dagli Steve Vawamas Studios e MusicArt di Pier Gonella, strepitoso chitarrista di Necrodeath, Vanexa e Odyssea che con Davide Dell’Orto alla voce (Drakkar, Verde Lauro), Alessandro “Bix” Bissa alla batteria (A Perfect Day, ex-Vision Divine) e Stefano Molinari alle tastiere completa la line up all’opera su questo nuovo lavoro firmato Athlantis.
Hard rock e power metal si alleano fin dall’opener Letter To Son, in questo ennesimo bellissimo album, dove tutto è perfettamente bilanciato verso l’alto, dalla qualità dei brani, alcuni veramente fenomenali come la già citata Letter To Son, l’hard ad heavy di Heaven Can Wait (con un solo centrale di Gonella da applausi), l’hard rock melodico della successiva Forgive Me, l’atmosfera epica di Lady Starlight e l’irresistibile title track posta in chiusura (un brano che unisce il sound purpleiano con il power metal), fino alle prove dei musicisti con una menzione particolare per Davide Dell’Orto, mattatore incontrastato di questo monumento all’hard & heavy.
The Way To Rock’n’Roll è un altro album da custodire gelosamente nella propria discografia, e l’invito agli amanti dei suoni classici è quello di non perdere questo splendido album firmato da uno dei personaggi più importanti della scena hard & heavy nazionale: la strada per il rock’n’roll passa tra i vicoli di una Genova metallica sempre più in evidenza.

Tracklist
01. Letter To A Son
02. Prayer To The Lord
03. Heaven Can wait
04. Forgive Me
05. No Pain No More
06. Black Rose
07. Lady Starlight
08. If I
09. Reborn
10. The Way To Rock’n’Roll

Line-up
Steve Vawamas – Bass
Pier Gonella – Guitars
Davide Dell’orto – Vocals
Alessandro “Bix” Bissa – Drums
Stefano Molinari – Keyborads

ATHLANTIS – Facebook

Buckcherry – Warpaint

I Buckcherry non hanno raccolto quello che ci si aspettava all’indomani dell’uscita dei primi due lavori, anche per scelte compositive del suo leader mal digerite da molti fans e addetti ai lavori, e in tal senso anche Warpaint non fa eccezione, per cui prendere o lasciare.

La Century Media ha deciso di andarci giù duro con il rock ‘n’ roll e a distanza di una settimana l’uno dall’altro mette sul mercato i nuovi lavori di due icone del genere, almeno per quanto riguarda le ultime battute del vecchio secolo: gli svedesi Backyard Babies e gli statunitensi Buckcherry.

Neanche il tempo di riabbracciare Borg e Dregen che quell’animale rock’n’roll di Josh Todd reclama la giusta attenzione per sè stesso e la sua band, a distanza di un anno dal suo secondo album solista con Josh Todd & The Conflict, progetto a cui questo nuovo lavoro deve non poco.
Rock’n’roll di scuola Aerosmith, hard rock e divagazioni mainstream e nere, fanno di Warpaint un lavoro duro e deciso, con la band convincente nel proporre un rock d’assalto, americano fino al midollo, ma lontano dal rock’n’roll del capolavoro Time Bomb.
Oggi i Buckcherry sono una band moderna, dai non pochi rimandi alternative che sommati al rock stradaiolo e sporco formano un sound che dividerà non poco i fans, facendo storcere il naso a quelli della prima ora.
Todd continua ad essere una tigre, vero mattatore di brani come la title track, Head Like a Hole e The Vacuum, mentre perde qualcosina quando attenua la voglia di far male per ballad che tanto sanno di già sentito.
Warpaint è dunque un album che alterna brani d’assalto ad altri in cui la band perde quella carica esplosiva che permette all’ascoltatore di perdonare qualche spunto moderno di troppo, anche se l’interpretazione del leader che emana carisma da tutti i pori è come sempre sopra la media.
I Buckcherry non hanno raccolto quello che ci si aspettava all’indomani dell’uscita dei primi due lavori, anche per scelte compositive del suo leader mal digerite da molti fans e addetti ai lavori, e in tal senso anche Warpaint non fa eccezione, per cui prendere o lasciare.

Tracklist
1.Warpaint
2.Right Now
3.Head Like A Hole
4.Radio Song
5.The Vacuum
6.Bent
7.Back Down
8. The Alarm
9. No Regrets
10.The Hunger
11.Closer
12.The Devil’s In the Details

Line-up
Josh Todd – vocals
Stevie D. – guitar, backing vocals
Kelly LeMieux – bass, backing vocals
Kevin Roentgen – guitar, backing vocals

BUCKCHERRY – Facebook

Backyard Babies – Sliver & Gold

Buon ritorno per il gruppo svedese, Silver & Gold non deluderà di certo i fans: gli anni d’oro del genere sono tramontati da tempo ma del rock ‘n’ roll suonato alla Backyard Babies non ci si stanca mai.

Come sempre, quando un genere musicale raggiunge il successo, le luci che si spengono dopo i titoloni sulle riviste di settore ed i concerti sold out lasciano solo i migliori a raccogliere i cocci della lunga festa nella quale molti si sono imbucati, ripartendo con ancora la voglia di portare la propria musica in giro per il mondo.

Questo accade sistematicamente da ormai settant’anni, da quando è nato il rock ed il suo meraviglioso e controverso mondo, con generi e band esplose a livello commerciale con la stessa velocità con cui sono tornate nell’underground o addirittura sparite per poi magari tornare in reunion più o meno riuscite.
La scena scandinava che trovò gloria e clamore a cavallo dei due secoli, ha lasciato ormai da anni cicche di sigarette, alcool e vomito sul pavimento dei locali dove The Hellacopters, Gluecifer, Turbonegro, Hardcore Superstar e i Backyard Babies di Nicke Borg e Dregen facevano impazzire i fans europei a suon di rock ‘n’ roll adrenalinico e, come sempre quando si parla delle terre del nord, di altissima qualità.
Tocca a Sliver & Gold, ultimo lavoro dei Backyard Babies, il compito di regalare mezz’ora abbondante di quella musica che non smetteremo mai di amare, anche se nel corso degli anni la nostra attenzione è stata attratta da una vastità impressionante di generi lontanissimi tra loro.
Dregen e i Backyard Babies sono tornati, dando un successore a Four By Four, precedente lavoro uscito nel 2015, con l’ottavo full length di una discografia avara di album inediti, visto che il debutto Diesel And Power è targato 1994.
Sliver And Gold è il classico lavoro che ci si sarebbe attesi con ingredienti ben noti: una serie di tracce che scaricano adrenalina rock ‘n’ roll, un talento per le melodie straordinario, il familiare cantato di un Borg a tratti tornato ad esaltare come su Making Enemies Is Good e Stockholm Syndrome (Total 13 lasciamolo dove merita, nell’olimpo del genere), e la sei corde di uno dei chitarristi e personaggi più carismatici della scena.
La sezione ritmica, sempre al suo posto con i veterani Johan Blomqvist e Peder Carlsson, non manca certo di fare il suo sporco lavoro e già dal buongiorno dato da Good Morning Midnight si capisce che ci sarà da divertirsi.
Il singolo Shovin’ Rocks è da infarto, pura adrenalina rock ‘n’roll che la band non smette di cantare in tre minuti abbondanti di party song irresistibile, Yes To All No placa il graffiante inizio e l’album si assesta su una serie di brani che vedono rock da battaglia (Bad Seeds, 44 Undead) e una ballad leggermente prolissa ma nostalgicamente perfetta per chiudere l’album (Laugh Now Cry later).
Buon ritorno per il gruppo svedese, Sliver & Gold non deluderà di certo i fans: gli anni d’oro del genere sono tramontati da tempo ma del rock’n’roll suonato alla Backyard Babies non ci si stanca mai.

Tracklist
1.Good Morning Midnight
2.Simple Being Sold
3.Shovin‘ Rocks
4.Ragged Flag
5.Yes To All No
6.Bad Seeds
7.44 Undead
8.Sliver And Gold
9.A Day Late In My Dollar Shorts
10.Laugh Now Cry Later

Line-up
Nicke Borg – Vocals, Guita
Andreas “Dregen” – Guitar
Johan Blomquist – Bass
Peder Carlsson – Drums

BACKYARD BABIES – Facebook

Ex – I nostri fantasmi

Hard rock. Quello classico, duro e puro, provocatorio e senza tempo, privo di fronzoli.

Da Verona, con oltre vent’anni di attività sulle spalle. Gli Ex furono formati da musicisti dalla lunga e provata esperienza, attivi sul territorio nazionale sin dal lontano 1981 (anche nei prime movers del metal tricolore Spitfire).

La musica della band è oggi la naturale somma delle singole esperienze dei suoi componenti: un hard rock, cantato in italiano, con forti influenze Seventies. Essenziali e liberi dai modelli: questi sono gli Ex. Come il grande e compianto Sergio Leone nel cinema, gli Ex altro non fanno che ‘demitizzare’ il loro stesso genere musicale, con testi di contestazione sociale verso i luoghi comuni della realtà urbana odierna. Una band indipendente, priva di compromessi, nemica di ogni troppo facile etichetta. Già il loro disco precedente, Cemento armato (2016) – promosso live in Svizzera, Francia, Scozia – era un validissimo esempio di combat rock (per citare qui il classico dei Clash, targato 1982). Del resto, se non il genere suonato, l’attitudine è molto punk. I pezzi sono tutti scarni ed immediati, energici e di forte impatto. Raccontano le periferie, la passione per la musica, la vita di strada (un po’ alla Rolling Stones) e il desiderio insopprimibile di libertà, l’insofferenza per ipocrisia e perbenismo, nonché la difficoltà di essere visibili all’interno di un sistema che appiattisce e livella, oggi, tutto e tutti. Le undici canzoni de I nostri fantasmi, sesto capitolo nella carriera degli Ex, sono tutto questo. Con la giusta dose di orgoglio e tanto, tantissimo cuore.

Tracklist
1- Vieni a vedere
2- La mia donna odia il rocchenroll
3- No Panic
4- L’ambiguità
5- Ora
6- La sconfitta del 2000
7- (Ogni giorno è) un nuovo giorno
8- Idee uniche
9- California
10- Santi e delinquenti
11- Cicatrice

Line up
Roberto Mancini – Vocals
Gabriele Agostinelli – Bass
Yari Borin – Drums
Stefano Pisani – Guitars

EX – Facebook

https://www.youtube.com/expastarock

Kings Destroy – Fantasma Nera

La musica dei Kings Destroy è fatta per durare, si può ascoltare molte volte, ed ogni volta è come fosse la prima.

Dal 2010 i Kings Destroy fanno musica pesante di gran classe, coniugando sonorità vicino allo stoner, all’hard rock e al noise con melodia e grande tecnica.

Fantasma Nera è un disco pieno di canzoni entusiasmanti, che cominciano con un motivo per poi andare davvero lontano, portando l’ascoltatore a spasso per mondi fatti di melodia e grazia musicale. Questi nativi di Brooklyn sono andati a Toronto per collaborare con David Bottrill, già al lavoro con Tool, King Crimson, Stone Sour, ed infatti qui troviamo molto del suono progressivo delle prime due band di cui sopra. Rispetto a Maynard e soci e alla creatura di Fripp, i Kings Destroy hanno una grande facilità nel rendere maggiormente immediata la loro musica, con passaggi molto melodici e fantastici ritornelli. Questo loro quarto album differisce dagli altri, come ogni altro album che hanno fatto gli americani, sempre differente da quello precedente, in una continua ricerca sonora. La musica dei Kings Destroy è fatta per durare, si può ascoltare molte volte, ed ogni volta è come fosse la prima. Dentro alle loro canzoni c’è qualcosa che riesce a dare una notevole pace, come se ci si ricongiungesse con un’altra parte di noi stessi che avevamo perduto. Ogni canzone è una nuova scoperta, si viene avvolti da una grande quantità di luce, anche se la tenebra non è sconosciuta. Nella bella ed esoterica copertina c’è quello che potrebbe sembrare un lago od un mare, comunque tanta acqua, e proprio la sensazione di stare nell’elemento acqueo è una della grandi emozioni che ci regala questo gruppo. Possiamo anche trovare un po’ di grunge in chiave hard rock, ma i Kings Destroy non appartengono ad un genere ben preciso. Ci sono moltissime cose qui dentro e sono tutte da scoprire in un lavoro che è molto superiore e non lo nasconde.

Tracklist
1.The Nightbird
2.Fantasma Nera
3.Barbarossa
4.Unmake It
5.Dead Before
6.Yonkers Ceiling Collapse
7.Seven Billion Drones
8.You’re The Puppet
9.Bleed Down The Sun
10.Stormy Times

KINGS DESTROY – Facebook

Green River – Rehab Doll

I Green River non erano solo dei precursori ma furono un gruppo che fece qualcosa di nuovo partendo da elementi già presenti nella scena musicale del tempo e di quella precedente.

Ristampa di lusso per l’unico disco su lunga distanza dei Green River.

Uscito originariamente nel 1988, Rehab Doll può essere considerato la summa e contemporaneamente il punto più alto della loro carriera: sintomo di un’epoca che stava cambiando musicalmente, a parte le note vicende future dei suoi membri, l’album è un piccolo capolavoro per quanto riguarda la musica e la sintesi fra post punk ed un hardcore altro. Registrato da Jack Endino, vero e proprio fautore di un certo suono, Rehab Doll è un compendio di un certo alternativo americano che in quegli anni da un lato annoverava gruppi come i Black Flag e dall’altro lato i Green River, che stavano facendo qualcosa di veramente differente. Rispetto a Dry As A Bone qui la musica è maggiormente strutturata, le canzoni mutano molto nel loro divenire, e la carica distorsiva è preponderante. Rehab Doll è un disco irripetibile di un gruppo che, oltre che anticipare alcune istanze musicali come il grunge, ha saputo proporre una sintesi molto riuscita fra post punk e il rock. La musica dei Green River non nasce con loro ma è originale la proposta musicale che fanno, di grande importanza ancora adesso. Ascoltando Rehab Doll si può facilmente comprendere come questo disco sia ancora avanti di anni ai giorni nostri e, cosa più importante, sia bellissimo dalla prima all’ultima canzone. Questa ristampa di lusso della Sub Pop comprende gli otto brani originali, più alcune versioni dei brani presi dalle cassette di prova di Jack Endino, e due inediti, un documento prezioso e occasione per poter riascoltare un capolavoro quanto mai attuale. I Green River non erano solo dei precursori ma furono un gruppo che fece qualcosa di nuovo partendo da elementi già presenti nella scena musicale del tempo e di quella precedente. Qualcosa a Seattle si stava muovendo e non sarebbe finito tanto presto.

Tracklist
01. Forever Means
02. Rehab Doll
03. Swallow My Pride
04. Together We’ll Never
05. Smilin’ and Dyin’
06. Porkfist
07. Take a Dive
08. One More Stitch
09. 10000 Things
10. Hangin’ Tree
11. Rehab Doll
12. Swallow My Pride
13. Together We’ll Never
14. Smilin’ and Dyin’
15. Porkfist
16. Take a Dive
17. Somebody
18. Queen Bitch

SUB POP – Facebook

Electric Mary – Mother

Rusty è un cantante eccezionale e trascina tutto il gruppo, musicisti rock di livello superiore che fanno storia a sé, ed infatti il disco bissa e supera la già alta qualità di III, il disco precedente.

In Australia hanno un tocco particolare per il rock in tutte le sue forme, ma in particolare per quelle più ruvide e vicine allo spirito del blues.

Gli Electric Mary sono appunto australiani e fanno un ottimo hard rock, molto bene suonato e dominato dalla bellissima voce di Rusty, fondatore del gruppo nel 2003. Da una sua particolare visione musicale nasce questa band che con Mother arriva al quarto album, con un seguito sempre maggiore in tutto il mondo. La gente che ama il gruppo oceaniano troverà in Mother un approdo sicuro, un hard rock di alta qualità che vive di momenti diversi, alcuni quasi stoner, altri molto blues, che è poi un po’ la cifra stilistica che lega il tutto. Il suono è ciò che fa smuovere i cuori di molti amanti dell’accezione più ruvida del rock, dove la strada diventa bollente e ci fa muovere gli stivali. Rusty è un cantante eccezionale e trascina tutto il gruppo, musicisti rock di livello superiore che fanno storia a sé, ed infatti il disco bissa e supera la già alta qualità di III, il disco precedente. C’è un qualcosa di sensuale e di fisico nelle note di Mother, un richiamo alla nostra vera natura, un riportarci là dove ci sono polvere e sudore. Il gruppo ruota benissimo dietro alla voce blues e maledetta del cantante, e si arriva ad un livello alto; infatti la band ha suonato in giro per il mondo con nomi molto importanti e nella loro Australia sono molto famosi, anche quella nazione ha una grande attenzione per gruppi come gli Electric Mary, dalla formula musicale in apparenza semplice ed in realtà di grande effetto. Non si trova nulla fuori posto in questo disco, tutto scorre bene, ma per ottenere un tale effetto il lavoro è grandissimo e deve essere strutturato molto bene. Venticinque anni fa questo disco avrebbe venduto moltissimo e gli Electric Mary sarebbero stati fissi in America; i tempi sono cambiati, ma un album così apre ancora i cuori di chi ama questi suoni stradaioli e da bar fumosi. L’hard rock continua a produrre buone cose grazie a realtà come queste, figlie della passione e della preparazione tecnica.

Tracklist
1 Gimme Love
2 Hold Onto What You Got
3 How Do You Do It
4 Sorry Baby
5 The Way You Make Me Feel
6 It’s Alright
7 Long Long Day
8 Woman

Line-up
Rusty – vocals
Pete Robinson – guitar and vocals
Alex Raunjak – bass guitar
Brett Wood – guitar and vocals
Paul “Spyder” Marrett – drums

ELECTRIC MARY – Facebook

Warp – Warp

Diverse ma ancora più estreme rispetto a quelle americane, le aree desertiche del loro paese hanno ispirato non poco questo trio israeliano che dimostra notevole competenza in fatto di psichedelia, stoner ed heavy doom.

Questa macchina macina riff chiamata Warp proviene da Tel Aviv e debutta con questa mezzora di stordente e psichedelico lavoro omonimo.

Diverse ma ancora più estreme rispetto a quelle americane, le aree desertiche del loro paese hanno ispirato non poco i tre musicisti israeliani che corrispondono a Itai Alzaradel (chitarra e voce), Sefi Akrish (basso e voce) e Mor Harpazi (basso e voce), un trio che dimostra notevole competenza in fatto di psichedelia, stoner ed heavy doom con questa jam di mezzora divisa in otto brani potenti, drogati ed ispirati tanto dall’heavy rock settantiano, quanto dallo stoner/doom anni novanta.
Il riff viene rimesso sul trono del rock dagli Warp, stordente come i raggi del sole che scaldano la sabbia del deserto, accompagnato da liquide parti jammate dove psych e hard rock si fondono tra le rocce arroventate tra le quali stanno in agguato serpi e scorpioni micidiali in attesa del passaggio delle loro vittime.
Licenziato in cd dalla Reality Rehab Records ed in seguito nella versione in vinile dalla Nasoni Records, Warp ci fa viaggiare tra illusioni ottiche in cui appaiono oasi di musica fuori dal tempo, tra atmosfere dilatate, solos incisivi e blues sporco di hard rock stonato a caratterizzare brani come l’opener Wretched, Gone Man, Out Of My Life e la conclusiva Enter The Void.
Sleep, Orange Goblin, Radio Moscow sono i primi nomi che sovvengono tra gli indistinti miraggi che appariranno dopo le troppe ore trascorse al sole.

Tracklist
1.Wretched
2.Into My Life
3.Gone Man
4.”Confusion Will Be My Epitaph” Will Be My Epitaph
5.Intoxication
6.Out Of My Life
7.Hey Littly Rich Boy II
8.Enter The Void

Line-up
Itai Alzaradel – Lead Guitar, Vocals
Sefi Akrish – Bass Guitar, Vocals
Mor Harpazi – Drums, Vocals

Kamion – Gain

I Kamion si presentano in modo assolutamente convincente sulla scena underground con un lavoro robusto e tellurico come Gain, consigliato agli amanti dei gruppi citati quale riferimento.

Una folle corsa senza freni con un mastodontico mostro a sei ruote, un muro d’acciaio e sangue che spazza via ogni ostacolo.

Gain è il debutto dei Kamion, uscito autoprodotto lo scorso anno e ora promosso dall’Atomic Stuff, label nostrana con cui il quintetto veneto ha iniziato a collaborare.
Mezzora di pesantissimo heavy/thrash rock è quello che ci propone il gruppo con Gain, lavoro composto otto brani pregni di groove, ripartenze veloci e mid tempo pesantissimi.
L’opener The Reaper apre le ostilità, come un micidiale predatore aspetta il momento giusto per colpire, tra bordate metalliche, sferzate thrash metal ed attitudine heavy rock.
Bruciante e diretta, Another God va a formare un’accoppiata vincente con l’opener, ma è tutta la tracklist di Gain che non perde un colpo, tra esplosioni di nitroglicerina metallica.
I Kamion vedono al microfono una vera tigre come Dodo, singer molto conosciuto nella scena veneta, i due chitarristi e fondatori Paul e Patch e la sezione ritmica composta dal bassista Lux e dal batterista Dan a formare un combo massiccio, ispirato dalla scena metal statunitense e da band come Black Label Society, Pantera ed Alice In Chains, influenze primarie del quintetto che marchiano brani granitici come Mr.Sucker e Going Wrong.
Un grande brano è anche la conclusiva Jungle, mix perfettamente bilanciato tra le band dell’orso Zakk Wilde e di Jerry Cantrell due dei musicisti più influenti della scena metal/rock a stelle e strisce degli ultimi trent’anni.
I Kamion si presentano in modo assolutamente convincente sulla scena underground con un lavoro robusto e tellurico come Gain, consigliato agli amanti dei gruppi citati quale riferimento.

Tracklist
01. The Reaper
02. Another God
03. Queen Of Hate
04. Home
05. Mr. Sucker
06. Going Wrong
07. Escape
08. Jungle

Line-up
Dodo – Vocals
Paul – Lead Guitar
Patch – Rhythm Guitar
Lux – Bass
Dan – Drums

KAMION – Facebook

Ruxt – Back To The Origins

La voce che fa vibrare corde ormai sopite, le chitarre foriere di riff spettacolari e la sezione ritmica rocciosa e sempre sul pezzo danno lustro ad una raccolta di brani a tratti esaltanti: questo è Back To The Origins e questi sono i Ruxt, che con una punta d’orgoglio campanilistico possiamo senz’altro definire una delle massime espressioni del genere in assoluto.

Era il 2016 quando sulle pagine di MetalEyes si parlava per la prima volta dei Ruxt, hard rockers genovesi che debuttavano con il notevole Behind The Masquerade, album che proponeva un sound ispirato da Dio e Whitesnake, ma riletto in chiave moderna e groovy.

Il secondo, bellissimo Running Out of Time vedeva un gruppo in continua crescita con il proprio sound che, ben radicato nella scuola britannica, espandeva i suoi orizzonti tra Rainbow e Deep Purple con l’asso nella manica rappresentato dal singer Matt Bernardi, straordinario interprete a metà strada tra Coverdale e Dio o, più semplicemente emulo del grande Jorn Lande.
Il gruppo si presenta con un nuovo album ed una line up che vede l’avvicendamento alla batteria tra Alessio Spallarossa (Sadist) e Alessandro Fanelli (Ashen Fields , ex Path Of Sorrow), mentre le vecchie volpi del rock genovese sono tutte ancora al loro posto (il bassista Steve Vawamass, Stefano Galleano e Andrea Raffaele alle chitarre, ed ovviamente Matt Bernardi al microfono).
Back To The Origins conferma dunque il valore assoluto di questa band nel genere, andando forse oltre alle più rosee aspettative grazie ad una alchimia consolidata tra i musicisti, un tocco di sana gioventù portata dal nuovo drummer, ed una consapevolezza ancora più accentuata dell’essere una delle realtà più convincenti nel portare avanti la tradizione britannica sulla scena hard rock del nuovo millennio.
Già dal titolo si intuisce che i Ruxt questa volta hanno dato ampio spazio alle produzioni a cavallo tra gli anni settanta e ottanta con l’accoppiata d’apertura Here And Now/I Will Find Away che fanno vibrare la lingua del serpente bianco tatuato sulla mia spalla (dalla copertina di Trouble).
E’ un sussulto continuo l’ascolto del nuovo lavoro targato Ruxt: la scaletta alterna tracce dall’appeal più moderno ed in linea con quanto fatto dal Lande solista a quelle di ispirazione tradizionale che gli esperti del genere avranno già potuto ascoltare non solo sui monumentali lavori delle band storiche ma anche in quel Once Bitten… che Lande registrò con la storica coppia Moody/Marsden sotto il monicker The Snakes.
La voce che fa vibrare corde ormai sopite, le chitarre foriere di riff spettacolari e la sezione ritmica rocciosa e sempre sul pezzo danno lustro ad una raccolta di brani a tratti esaltanti, heavy rock alla massima potenza sporcato da quel tocco di blues che fece la fortuna del rettile più famoso della storia del rock: questo è Back To The Origins e questi sono i Ruxt, che con una punta d’orgoglio campanilistico possiamo senz’altro definire una delle massime espressioni del genere in assoluto.

Tracklist
1. Here And Now
2. I Will Find The Way
3. All You Got
4. River Of Love
5. Be What You Are
6. Train Of Life
7. Another Day Without Your Soul
8. Come Back To Life
9. Remember The Promise You Made
10. Tonight We Dine In Hell
11. Back To The Origins

Line-up
Matt Bernardi – Vocals
Stefano Galleano – Guitars
Andrea “Raffo” Raffaele – Guitars
Steve Vawamas – Bass
Alessandro “Attila” Fanelli – Drums

RUXT – Facebook

Frank Caruso Feat. Mark Boals – It’s My Life

Quattro brani che nulla aggiungono e nulla tolgono al talento del chitarrista nostrano e che risultano un buon ascolto per gli amanti dell’hard rock melodico, valorizzati dalla sempre coinvolgente voce del leone Statunitense.

Frank Caruso è uno dei chitarristi più quotati della scena hard & heavy tricolore, protagonista con la sua sei corde nei seminali Arachnes, nei Thunder Rising ed ultimamente contattato dal compositore Mistheria per collaborare in qualità di arrangiatore all’imponente progetto Vivaldi Metal Project.

Il suo vagare in compagnia della sua chitarra e del suo talento lo ha portato ad interagire con alcuni mostri sacri del’hard rock internazionale tra cui il singer Mark Boals (Malmsteen, Dokken e Ted Nugent), con il quale ha scritto i brani racchiusi in It’s My Life, ep prodotto dalla RTI.
La title track è un brano roccioso con un chorus che mette subito in evidenza la buona forma di Boals, un hard & heavy d’ordinanza che Caruso valorizza con un solo graffiante, mentre armonie acustiche riempiono la stanza con I Don’t Want To Come Back.
Born To New Life è una power ballad melodica, intimista e molto anni ottanta, mentre Summer Road lascia il palcoscenico al chitarrista nostrano, impegnato in uno strumentale diviso tra splendide melodie ed una robusta chitarra hard rock.
I quattro brani nulla aggiungono e nulla tolgono al talento del chitarrista milanese, rivelandosi un buon ascolto per gli amanti dell’hard rock melodico, valorizzati dalla sempre coinvolgente voce del leone statunitense.

Tracklist
1.It’s My Life
2.I Don’t Want To Come Back
3.Born To New Life
4.Summer Road

Line-up
Frank Caruso – Guitars
Mark Boals – Vocals

FRANK CARUSO – Facebook

The Heard – The Islands

Altro ottimo lavoro di genere, The Islands presenta una band di talento in grado di posizionarsi ai piani alti della scena hard rock vintage.

E’ indubbio il fatto che, di questi tempi, suonare hard rock vintage dai rimandi occulti e pregni di atmosfere dark sia diventato un trend, ma non c’è niente di male anche perché per il momento quanto viene proposto è di qualità mediamente alta.

La nuova super band in arrivo dalla Svezia, terra che ultimamente sforna realtà del genere a palate, si chiama The Heard ed è composta da tre quinti delle ormai scioltesi Crucified Barbara (la chitarrista Klara Force, la bassista Ida Evileye e la batterista Nikki Wicked), Jonas “Skinny Disco” Kangur dei Deathstars (chitarra) e Pepper Potemkin alla voce (modella e burlesque performer).
Bravura e bellezza al servizio di un hard rock settantiano, che richiama il sound proposto dai Lucifer della sacerdotessa Johanna Sadonis, con in primo piano i riff potenti e sabbathiani accompagnati da una performance vocale di tutto rispetto.
I dieci brani creano un’atmosfera di magico rituale, un occult rock piacevole all’ascolto, con il gruppo molto attento alle melodie di facile presa senza spingersi troppo nella psichedelia e con un approccio che tradisce il passato rock ‘n’ roll di tre delle sue componenti.
The Islands ha dalla sua l’esperienza dei musicisti in questione, che conoscono la materia e sanno dove colpire con il giusto riff e la melodia vincente, alternando mid tempo, che si crogiolano in armonie semiacustiche dal buon appeal, ad altri più graffianti e dinamici, con in primo piano la voce della bellissima cantante che ammalia, rivelandosi perfetta interprete di brani affascinanti come A Death Supreme, Tower Of Silence, It e l’accoppiata Queen Scarlet / Crystal Lake.
Altro ottimo lavoro di genere, The Islands presenta una band di talento in grado di posizionarsi ai piani alti della scena hard rock vintage.

Tracklist
01. The Island
06. Caller Of The Storms
02. A Death Supreme
07. Revenge Song
03. Tower Of Silence
08. Queen Scarlet
04. Sirens
09. Crystal lake
05. It
10. Leaving The Island

Line-up
Klara Force – Guitar
Ida Evileye – Bass
Nikki Wicked – Drums
Jonas “Skinny Disco” Kangur – Lead Guitar
Pepper Potemkin – Vocals

THE HEARD – Facebook

Angeles – Time of Truth

We’re No Angels cantano i rockers americani, ragazzi cattivi sopravvissuti alla storia di una generazione di musicisti diventata leggenda e che si respira in ogni passaggio di questo ottimo lavoro, in cui non si sente per nulla il tanto, tempo passato ma che sa invece regalare grande musica hard & heavy.

Tornano gli Angeles, veterani della scena hair/street metal degli anni ottanta, che di Los Angels sono originari e che bazzicavano sul Sunset Boulevard in compagnia di Quiet Riot, Motley Crue, Ratt, Guns’n’Roses ma non solo: all’epoca furono visti sul palco insieme a Metallica e Ronnie James Dio, Jefferson Starship, Robbie Krieger dei Doors, Jack Russell “Great White”, The Tubes, Foghat, Y & T, Michael Schenker e Dokken, solo per citare alcune delle leggende del con le quali il quartetto andava a spasso per gli States.

Gli Angeles non fecero mai il botto commerciale, ma i loro album (una decina in totale) sono un vero spasso per chi ama queste sonorità: street metal, blues, rock’n’roll, glam, nel sound del gruppo ci si ritrovano tutte le varie anime che compongono il genere più irriverente della storia, tornato a risplendere in questo nuovo album intitolato Time of Truth.
1977/2018: più di quarant’anni vengono riassunti in questi undici brani dove troverete tutto, ma proprio tutto quello che negli anni ottanta fece innamorare molti della scena losangelina, un’attitudine che si riassume in un impatto ancora esplosivo come ai vecchi tempi e tanto rock’n’roll.
We’re No Angels, cantano i rockers americani, ragazzi cattivi sopravvissuti alla storia di una generazione di musicisti diventata leggenda e che si respira in ogni passaggio di questo ottimo lavoro, in cui non si sente per nulla il tanto tempo passato ma che sa invece regalare grande musica hard & heavy.
Pain, Hollywood, Trouble e tutte le altre sorelline in calze a rete e mascara sono pronte a donarsi in cambio di un prezioso pass per entrare nel mondo sporco, perverso e cattivo del rock’n’roll, ancora una volta, anche se quando si accenderanno le luci tutto svanirà e a noi non resterà che premere di nuovo il tasto play.

Tracklist
1. Pain
2. Not Here to Play
3. Hollywood
4. Trouble
5. Goodbye
6. We’re No Angels
7. Are You Ready For Your Sins
8. Lonely Road
9. Band Plays On
10. Shiver Me Timbers
11. God, Country and King

Line-up
Demon Dale aka Dale Lytle – Guitar
Daniel Ferreira -Vocals
Cal Shelton – Bass Guitar
Danny Basulto – Drums

ANGELES – Facebook

The Night Flight Orchestra – Internal Affairs/Skyline Whispers

Licenziati anche in vinile, questi due lavori risultano imperdibili per chi ha amato i successivi, confermando i The Night Flight Orchestra come una delle proposte più geniali degli ultimi anni.

La Nuclear Blast saggiamente, dopo il successo degli ultimi due bellissimi lavori (Amber Galactic e Sometimes the World Ain’t Enough), ristampa il debutto Internal Affairs e il successivo Skyline Whispers, i primi due album dei rockers The Night Flight Orchestra originariamente usciti per Coroner Records rispettivamente nel 2012 e nel 2015.

Look rinnovato e l’aggiunta di una bonus track sono le novità di queste due nuove versioni per il super gruppo che vede cimentarsi con il pop/rock anni ottanta una manciata di pilastri del metal estremo capitanati da Björn “Speed” Strid dei Soilwork.
Internal Affairs e Skyline Whispers non hanno nulla da invidiare ai loro successori, dando il via alla saga di questo geniale progetto che raccoglie in sé lo spirito della musica pop rock tra anni settanta e ottanta tra pop, dance e hard rock da arena.
Qualcuno ancora oggi storcerà il naso di fronte a questo gruppo di musicisti che, mettendo da parte l’anima estrema che li contraddistingue, si sono messi in gioco con talento e passione, creando musica che definire senza tempo è un eufemismo, piacevolmente vintage ma dall’appeal stratosferico già dalle prime note del debutto, una raccolta di brani splendidi che hanno nell’eclettismo e la loro arma migliore.
Sul primo album quindi si passa dall’hard rock americano di California Morning, al rock sporcato di blues che ricorda gli Whitesnake di Transatlantic Blues, al funky nero della title track in un turbinio di luci colorate da balere raccontate da Thank God It’s Friday o Saturday Night Fever.
Qualità altissima ed acquisto obbligato anche per il secondo album, Skyline Whispers, uscito tre anni dopo il debutto e che consolidava una proposta fino ad allora vista come un piacevole diversivo dei suoi protagonisti.
Anche qui si viaggia spediti sulle ali dell’assoluta libertà artistica con brani che a turno fotografano le imprese di Van Halen, Electric Light Orchestra, Kiss o Spandau Ballet in brani che chiamare trascinanti è un eufemismo come Stiletto, Lady Jane o Roads Less Travelled.
Licenziati anche in vinile, questi due lavori risultano imperdibili per chi ha amato i successivi, confermando i The Night Flight Orchestra come una delle proposte più geniali degli ultimi anni.

Tracklist
Internal Affairs:
1. Siberian Queen
2. California Morning
3. Glowing City Madness
4. West Ruth Ave
5. Transatlantic Blues
6. Miami 502
7. Internal Affairs
8. 1998
9. Stella Ain’t No Dove
10. Montreal Midnight Supply
11. Green Hills Of Glumslöv
12. Song For Ingebörg

Skyline Whispers:
1. Sail On
2. Living For The Nighttime
3. Stilletto
4. Owaranai Palisades
5. Lady Jade
6. I Ain’t Old I Ain’t Young
7. All The Ladies
8. Spanish Ghosts
9. Demon Princess
10. Skyline Whispers
11. Roads Less Travelled
12. The Heather Reports
13. September You’re A Woman

Line-up
Björn Strid -Vocals
Sharlee D’ Angelo – Bass
David Andersson – Guitar
Richard Larsson – Keyboards
Jonas Källsbäck – Drums
Sebastian Forslund – Guitar
Backing Vocals by the Airline Annas – Anna Brygård and Anna-Mia Bonde

THE NIGHT FLIGHT ORCHESTRA – Facebook

Def Leppard – The Story So Far-The Best Of

The Story So Far- The Best Of è la classica raccolta che ripercorre gli anni di una band che ha fatto la storia del genere, per cui è ovvio che qui si trovino i maggiori successi, così come qualche brano degli ultimi lavori, magari sfuggito ai fans della prima ora.

I Def Leppard sono un’istituzione per gli amanti dell’hard & heavy, perché anche se inserita con non poca fatica nel carrozzone della new wave of british heavy metal, la band di Joe Elliot si è sempre espressa su coordinate melodiche dall’appeal irresistibile, trovando il successo anche tra chi non ascolta metal abitualmente.

Rock, pop, hard rock da arena, super ballad che hanno conquistato migliaia di fans in giro per il mondo, lungo una carriera arrivata oltre i quarant’anni costellata da successi planetari e tragedie umane che hanno segnato in modo indelebile la storia del gruppo britannico.
The Story So Far- The Best Of è la classica raccolta che ripercorre gli anni di una band che ha fatto la storia del genere, per cui è ovvio che qui si trovino i maggiori successi, così come qualche brano degli ultimi lavori, magari sfuggito ai fans della prima ora.
I Def Leppard arriveranno nel nostro paese all’inizio dell’estate insieme agli Whitesnake, formando una coppia d’assi imperdibile per i rockers con qualche capello bianco sulla chioma ormai rada, e The Story So Far è l’occasione per una retrospettiva sul meglio che il gruppo ha offerto nella sua lunga carriera.
La raccolta esce in vari e formati e per tutti i gusti: 2 CD /1 CD/ 2 LP + bonus 7” con appunto una raccolta di singoli, “The Hysteria Singles”, box in edizione limitata con 10 singoli 7” in vinile, ma ci sono anche note dolenti: a parte il singolo natalizio We All Need Christmas e la cover di Personal Jesus dei Depeche Mode, non ci sono tracce inedite e vengono completamente ignorati i brani dai primi due lavori (On Through the Night e High ‘n’ Dry), scelta che lascia con l’amaro in bocca per l’importanza storica dei due lavori in questione.
Per il resto The Story So Far è un tuffo nella musica dei Def Leppard tra classici immortali e brani splendidi ma meno conosciuti, in un lungo abbraccio con questi signori dell’hard & heavy, con cui più o meno tutti siamo cresciuti e che hanno segnato qualche stagione della nostra vita con le loro hit.
Non siamo molto in sintonia con questo tipo di operazioni, ma per i Def Leppard facciamo volentieri un’eccezione, anche per l’immensa discografia dei nostri e l’importanza che hanno avuto nel portare al successo la nostra musica preferita.

Tracklist
Disc 1
01. Animal
02. Photograp
03. Pour Some Sugar On Me
04. Love Bites
05. Let’s Get Rocked
06. Armaggedon It
07. Foolin’
08. Two Steps Behind
09. Heaven Is
10. Rocket
11. Hysteria
12. Have You Ever Needed Someone So Bad
13. Make Love Like A Man
14. Action
15. When Love & Hate Collide
16. Rock of Ages
17. Personal Jesus

Disc 2
01. Let’s Go
02. Promises
03. Slang
04. Bringin’ On The Heartbreak
05. Rock On (Radio Remix)
06. Nine Lives” (feat. Tim McGraw)
07. Work It Out
08. Stand Up
09. Dangerous
10. Now
11. Undefeated
12. Tonight
13. C’Mon C’Mon
14. Man Enough
15. No Matter What
16. All I Want Is Everything
17. It’s All About Believing
18. Kings Of The World

Line-up
Joe Elliott – Vocals
Phil Collen – Guitar & Vocals
Vivian Campbell – Guitars & Vocals
Rick “Sav” Savage – Bass & Vocals
Rick Allen – Drums & Vocals

DEF LEPPARD – Facebook

Heart – Live In Atlantic City

L’ottima forma del gruppo, sommata ad una scaletta straordinaria, rendono questo live un evento imperdibile per tutti gli amanti del hard rock, tributato con il giusto talento dalle sorelle Wilson e dai loro ospiti.

Nell’universo del rock a stelle e strisce un posto tra i grandi è riservato agli Heart, il gruppo capitanato da Ann e Nancy Wilson, per anni le sorelle più famose del rock’n’roll.

Una storia lunga più di quarant’anni, con alti e bassi fisiologici in una carriera che vede la band ancora in sella nel nuovo millennio, portando in dote una discografia che vede il suo picco nei tre album usciti sul finire degli anni settanta (Little Queen, Dog & Butterfly e Bébé le Strange) e nella coppia Heart e Bad Animals, risalenti al decennio successivo.
Tra hard rock, blues, folk e patinate sonorità da arena rock, gli Heart hanno scritto pagine importanti nella storia del rock americano: nel 2006 ebbero l’occasione di registrare un live per il programma di VH1 Decades Rock Live, nel corso del quale la band diede spettacolo in compagnia di altre stelle del firmamento musicale statunitense.
Gli artisti che presenziarono a questo tributo al rock delle sorelle Wilson furono tanti e di spessore: dagli Alice In Chains a Dave Navarro, dalla star del country Carrie Underwood a Duff McKagan, dalla la cantante country Gretchen Wilson per finire con il compositore Rufus Wainwright.
Live In Atlantic City vede la band alle prese con i brani che hanno segnato la sua storia, come Bebè La Strange, Barracuda e Lost Angel e con cover dei Led Zeppelin come Rock ‘n’ Roll e Misty Mountain Hop, quest’ultima con Navarro a fare il Jimmy Page sullo storico brano tratto dal quarto album degli Zep.
Ma il culmine della performance arriva quando salgono sul palco gli Alice In Chains (con Duff Mckagan) e prima una graffiante Would? e poi le note della sentita Rooster alzano il clima emozionale del concerto.
L’ottima forma del gruppo, sommata ad una scaletta straordinaria, rendono questo live un evento imperdibile per tutti gli amanti del hard rock, tributato con il giusto talento dalle sorelle Wilson e dai loro ospiti.

Tracklist
1. Bébé Le Strange (with Dave Navarro)
2. Straight On (with Dave Navarro)
3. Crazy On You (with Dave Navarro)
4. Lost Angel
5. Even It Up (with Gretchen Wilson)
6. Rock’n Roll (with Gretchen Wilson)
7. Dog & Butterfly (with Rufus Wainwright)
8. Would? (with Alice In Chains & Duff McKagan) *
9. Rooster (with Alice In Chains & Duff McKagan)
10. Alone (with Carrie Underwood)
11. Magic Man
12. Misty Mountain Hop (with Dave Navarro)
13. Dreamboat Annie
14. Barracuda

Line-up
Ann Wilson – Vocals
Nancy Wilson – Guitars
Ben Smith – Drums
Craig Bartock – Guitars
Dan Rothchild – Bass
Chris Joyner – Drums

HEART – Facebook