The Insane Slave – The Insane Slave

Il lavoro è fatto di dieci brani medio lunghi, per quasi un’ora di rock nervoso e instabile, con l’unico difetto di risultare leggermente prolissi, per il resto i The Insane Slave hanno fatto un gran lavoro arrivando al debutto con un album interessante e maturo.

Si torna a parlare della scena rock portoghese con i The Insane Slave, alternative rock band di Oporto, attiva da una decina d’anni ma con solo un ep alle spalle licenziato nel 2011 (The Night Rider EP), ed ora finalmente con un full length, il primo, in uscita per Raising Legends.

L’album esce sotto forma di concept, con dieci tracce che raccontano la storia di Jack, lo schiavo folle, una colonna sonora ad accompagnare il tema concettuale che risulta appunto un buon alternative rock, vario e a suo modo originale, virtù non così scontata di questi tempi.
Il taglio drammatico delle canzoni, la voce molto interpretativa e grintosa e l’atmosfera di tensione creano un’aura drammatica che attraversa l’album, mentre con il passare dei minuti il clima si infittisce, alimentato da una elettricità folle, tra momenti lineari e scudisciate rabbiose che ricordano le trame dei brani dei System Of A Down.
Il lavoro è fatto di dieci brani medio lunghi, per quasi un’ora di rock nervoso e instabile, con l’unico difetto di risultare leggermente prolissi, per il resto la band ha fatto un gran lavoro arrivando al debutto con un album interessante e maturo.
Lo sviluppo dei brani potrebbe far storcere il naso ai fans del genere, abituati alla solita formula del rock alternativo, molto più facile e diretta, mentre in Memories Of A Future, Secret Files o The Exodus Of A Born Man la band sfoggia un’attitudine hard rock progressiva di buon livello, ma appunto meno diretta di molti suoi colleghi.
Le influenze, oltre a quella dei SOAD, non mancano e sono riscontrabili nel rock americano dei primi anni del nuovo millennio con Audioslave e Queen Of The Stone Age, quindi se le band citate sono tra i vostri ascolti, The Insane Slave è altamente consigliato.

Tracklist
01.The Insane Slave
02.Memories of a future
03.Secret Files
04.Winds of Anarchy
05.The Bandit Song
06.Gipsy moonlight
07.Sands Of Time
08.Soul Tattoos
09.Desert Ride
10.The Exodus of a born man

Line-up
Freddie – Drums, Vocals
André – Bass
Alex – Guitars
César – Guitars, Vocals

THE INSANE SLAVE – Facebook

Tarja – Act 2

Raccontare un concerto della Turunen diventa superfluo, specialmente per i tanti fans che in tutto il mondo applaudono la bellissima artista finlandese: non mi rimane così che sottolineare la bellezza di questo nuovo lavoro e consigliarne l’ascolto e la visione anche a chi prova mettere in discussione il regno della regina Tarja

Può piacere o meno, ma è indubbio che Tarja Turunen sia ancora oggi la regina tra le sirene del symphonic metal, termine di paragone obbligatorio per ogni bellissima musa al microfono delle centinaia di band nate dopo il successo dei Nightwish.

Da anni la cantante finlandese ha intrapreso un’ottima carriera solista che l’ha portata ad incidere sette full length, una serie infinita di singoli, ep e un paio di live, Act 1, pubblicato nel 2012, e questo nuovo manifesto della sua arte intitolato Act 2, in uscita su earMUSIC e tratto da The Shadow Show, il tour mondiale che ha visto la Turunen protagonista di duecento concerti in quaranta differenti paesi.
Nello specifico, Act 2 ci delizia con lo show esclusivo tenutosi al Metropolis Studio di Londra e il concerto italiano al Teatro Della Luna di Milano, motivo patriottico in più per non perdersi questo bellissimo live.
Licenziato nelle versioni 2CD digipak, 3LP gatefold (180g, nero), DVD, Blu-ray, limited mediabook 2CD+2BD (che include come bonus i due concerti completi tenutisi all’Hellfest in Francia e al Woodstock Festival in Polonia) e in digitale, Act 2 ci presenta una Tarja ancora lontana dall’abdicare, incontrastata sovrana di un genere che, se ultimamente sta tirando la corda, torna a risplendere in quest’opera, splendido esempio dell’arte musicale di una delle figure più nobili che il metal ci abbia regalato nella sua storia.
Due ore di musica che ripercorrono la carriera solista della Turunen, un sound che nella versione live acquista quella giusta grinta per tornare a far rivivere i fasti delle opere che hanno fatto grande la precedente esperienza della cantante, ma che, allo stesso tempo, confermano il talento inarrivabile di cui dispone, anche e soprattutto ora, nell’ormai consolidata carriera solista.
Raccontare un concerto della Turunen diventa superfluo, specialmente per i tanti fans che in tutto il mondo applaudono la bellissima artista finlandese: non mi rimane così che sottolineare la bellezza di questo nuovo lavoro e consigliarne l’ascolto e la visione anche a chi prova mettere in discussione il regno della regina Tarja.

Tracklist
Disc 1
1.No Bitter End
2.Eagle Eye
3.Sing for Me
4.Love to Hate
5.The Living End
6.Medusa
7.Calling From the Wild
8.Victim of Ritual
9.Die Alive
10.Innocence
11.Until my Last Breath
12.Too Many

Disc 2
1.Against the Odds
2.No Bitter End
3.500 Letters
4.Eagle Eye
5.Demons in You
6.Lucid Dreamer
7.Shameless
8.The Living End
9.Calling from the Wild
10.Supremacy
11.Tutankhamen – Ever Dream – The Riddler – Slaying the Dreamer
12.Goldfinger
13.Deliverance
14.Until Silence – The Reign – Mystique Voyage – House of Wax – I Walk Alone
15.Love to Hate
16.Victim of Ritual
17.Undertaker
18.Too Many
19.Innocence
20.Die Alive
21.Until my Last Breath

Line-up
The Shadow Shows:
Kevin Chown: bass
Christian Kretschmar: keyboards
Max Lilja: cello
Alex Scholpp: guitar
Timm Schreiner: drums

TARJA – Facebook

Reveers – To Find A Place

La poetica dei Reveers colpisce al cuore e parla attraverso immagini che nascono attraverso la musica, dove si sentono note e sequenze dai molti colori

I Reveers sono un gruppo composto da quattro ragazzi della provincia udinese, formatosi jam dopo jam.

Questo debutto è un dolcissimo disco di rock pop, con aperture post rock, di una maturità e di una consapevolezza straordinarie. Prendete Paul Simon a vent’anni, trasportatelo nella nostra epoca buia, fatelo suonare con dei ragazzi che hanno una grande padronanza degli strumenti e potreste avvicinarvi a cosa fanno i Reveers. Qui regna la calma, siamo in una sala parto dove nasce buona musica e ogni elemento è prezioso: si passa dal post rock a momenti molto floydiani, il tutto con personalità e gusto. Ogni canzone del disco è come un movimento che contiene al suo interno diversi elementi e tutti questi trovano armonia se posti assieme. Le tracce sono quasi tutte di lunga durata, e ciò rende possibile sviluppare un disegno sonoro molto interessante ed avanzato. La poetica dei Reveers colpisce al cuore e parla attraverso immagini che nascono attraverso la musica, dove si sentono note e sequenze dai molti colori, in cui tutto muta. Scorrendo le biografie dei componenti del gruppo si nota che sono musicisti con basi solide e si sente, soprattutto nella composizione e nelle strutture dei pezzi, che appaiono di un altro livello rispetto alle cose che si trovano in giro oggi. Si potrebbe quasi definire To Find A Place il disco più slowcore ascoltato da qualche anno a questa parte, ma in realtà c’è molto di più. Inoltre spuntano anche elementi elettronici trattati con grande sapienza e capacità. Questi ragazzi esordiscono con un grande album, ma se volessero hanno la possibilità di spingersi anche ben oltre: con le capacità ed il gusto esibito nulla è loro precluso.

Tracklist
1. Low to the ground
2. Fortune teller
3. Thesis, antithesis and synthesis
4. Music for a silent film
5. Mosaico
6. Spheres
7. Waves from the sky
8. Blind alley

Line-up
Fabio Tomada
Ismaele Marangone
Elia Amedeo Martina
Giulio Ghirardini

REEVERS – Facebook

Devin Townsend Project – Ocean Machine – Live at the Ancient Roman Theatre Plovdiv

Devin Townsend si odia o si ama, e sicuramente non ha lasciato indifferente chi ha seguito l’evoluzione della musica rock/metal negli ultimi due decenni e anche più: Ocean Machine – Live at the Ancient Roman Theatre Plovdiv è l’imperdibile giusto tributo al suo talento.

Il genio di Devin Townsend viene celebrato in questo monumentale lavoro che raccoglie, nei formati 3CD/2DVD/Blu-Ray con un documentario (Reflecting The Chaos), 3CD/DVD Digipak, Blu-Ray e in digitale, il concerto tenuto nel teatro romano di Plovdiv in Bulgaria per festeggiare i vent’anni dall’uscita dell’album Ocean Machine, più una serie di brani suonati con la State Opera Orchestra e richiesti dai fans.

Un vero e proprio monumento eretto in omaggio alla musica dell’artista canadese, una colossale opera che può sicuramente essere definita come il suggello definitivo di chi ha fatto dell’imprevedibilità e della ricerca dell’originalità un modo per differenziarsi nel mondo del metal mondiale.
Ovviamente la versione video è sicuramente quella più spettacolare, ma risulta ottima e gustosissima anche quella in cd, dove nei primi due troviamo i brani richiesti dai fans e suonati con l’orchestra e nel terzo la sola band a rendere onore allo storico lavoro.
L’orchestra riempie i brani scelti di gloriosa 23trasformando splendidi esempi del genio del musicista canadese come Truth e Stormbending o la devastante Be Your Command, lasciando che la festa si trasformi in uno spettacolare tributo alle tante vie e strade che la musica di Townsend prende, con una naturalezza che ha del sorprendente tra un capolavoro come Gaia o Deadhead, da Accelerated Evolution.
La monumentale Canada, la folle Bad Evil danno il via la secondo cd, prima che l’orchestra lasci la band alle prese con il clou di questo enorme spettacolo, ed i brani di Ocean Machine tornino a ricordarci di quanta genialità è intrisa la musica di questo musicista e compositore che per molti è un folle, ma che è in realtà uno dei più autentici innovatori della musica moderna, un visionario che ha sempre composto e suonato musica avanti di almeno due decenni rispetto a tutti gli altri.
Devin Townsend si odia o si ama, e sicuramente non ha lasciato indifferente chi ha seguito l’evoluzione della musica rock/metal negli ultimi due decenni e anche più: Ocean Machine – Live at the Ancient Roman Theatre Plovdiv è l’imperdibile giusto tributo al suo talento.

Tracklist
By Request Set with Orchestra
1. Truth
2. Stormbending
3. Om
4. Failure
5. By Your Command
6. Gaia
7. Deadhead
8. Canada
9. Bad Devil
10. Higher
11. A Simple Lullaby
12. Deep Peace

Ocean Machine
1. Seventh Wave
2. Life
3. Night
4. Hide Nowhere
5. Sister
6. 3 A.M.
7. Voices in the Fan
8. Greetings
9. Regulator
10. Funeral
11. Bastard
12. The Death of Music
13. Truth
Line-up
Line-Up: By Request Set

Devin Townsend – Vocals, Guitar, Keys, Programming Ryan
Van Poederooyen – Drums
Dave Young – Guitar, Keys
Brian ‘Beav’ Waddell – Bass
Mike St-Jean – Keyboards, Synths, Programming
+ Orchestra and Choir of State Opera Plovdiv

Ocean Machine:

Devin Townsend – Vocals, Guitar, Keys, Programming
The Project
Ryan Van Poederooyen – Drums
Dave Young – Guitar, Keys
John ‘Squid’ Harder – Bass
Mike St-Jean – Keyboards, Synths, Programming

DEVIN TOWNSEND – Facebook

Wolfen Reloaded – Changing Time

Un album da ascoltare con la massima rilassatezza, così da poter assaporare l’elettricità sprigionata dal nobile metallo progressivo, sposata con il rock dal taglio moderno e valorizzata da splendide linee vocali e raffinate melodie.

A volte ritornano, come scriveva Stephen King su uno dei suoi più famosi romanzi: una frase che calza a pennello per i tedeschi Wolfen Reloaded, tornati sul mercato grazie all’etichetta napoletana Volcano Records, sempre più attiva anche oltre confine.

La band, attiva come Wolfen addirittura da metà anni ottanta, e dal 1996 tornata con il nuovo monicker, licenzia questo ottimo esempio di elegante metal/rock che si muove tra tradizione e modernità, senza rinunciare ad un tocco progressivo che nobilita il sound di Changing Time.
Composto da dieci brani raffinati e mai fuori dai binari di una controllata potenza, l’album vive di emozioni progressive, toccando corde riscontrabili in gruppi che hanno fatto la storia del metal più elegante come i Queensryche ed in parte i King’s X, le fonti di più moderne del gruppo ed in linea con il rock alternativo di fine secolo scorso.
Ne esce un lavoro introspettivo, mai fuori dai binari di un’urgenza rock che non esplode ma lascia che l’anima progressiva la prenda per mano e l’accompagni tre le trame di brani come Promised Land o Frozen, e solo a tratti si liberi dalle briglie che la tiene legata per ruggire con classe (All The Heroes, Cyber Nation).
Changing Time si rivela così un lavoro riuscito, nel quale il metal è al servizio della melodia progressiva ed a suo modo alternativa, ma con il gusto e l’eleganza quale comune denominatore di tutti i brani presenti.
Un album da ascoltare con la massima rilassatezza, così da poter assaporare l’elettricità sprigionata dal nobile metallo progressivo, sposata con il rock dal taglio moderno e valorizzata da splendide linee vocali e raffinate melodie.

Tracklist
1.Amazing
2.Promised Land
3.All the Heroes
4.A Million Faces
5.Frozen
6.Tomorrow Never Comes
7.Judgement Day
8.All Hope Is Lost
9.Cyber Nation
10.New Horizon

Line-up
Christian Freimoser -Vocals
Wolfgang Forstner -Guitars
Thomas Rackl -Bass
Manuel Wimmer -Drums

WOLFEN RELOADED – Facebook

Roterfeld – Hamlet At Sunset

Consigliato agli amanti del gothic dark più melodico, l’album è destinato a ripetere il successo del suo predecessore, almeno tra chi è frequentatore abituale della vita notturna nei club mitteleuropei, da sempre molto ricettivi quando si parla di queste sonorità.

Dopo il discreto successo del primo album Blood Diamond Romance, torna con un nuovo lavoro il vocalist austriaco Aaron Roterfeld.

Il gruppo a cui dà il proprio nome vede alla chitarra Marc Filler e alla batteria Andre Schwarz: il sound prodotto è un buon esempio di gothic dark rock ispirato dai gruppi ottantiani, ma con un tocco moderno ed alternativo.
Molto vario e melodico, Hamlet At Sunset è composto da una raccolta di brani dall’appeal elevato, specialmente se siete legati al genere: cantate sia in inglese che in tedesco, le tracce presenti riescono sicuramente a soddisfare tanto i fans dei Sisters Of Mercy come quelli degli Him.
Aaron Roterfeld è in possesso di una voce calda e molto vicina a quella di Ville Valo, ergendosi a protagonista di un album che alterna dinamiche tracce di rock alternativo dal feeling romanticamente ombroso a brani gotici e dark.
Raffinato e melodico, Hamlet At Sunset lascia che sia l’atmosfera notturna e malinconica il leit motiv che accompagna canzoni come No Friend Of Mine, I Want More o King Of This Land, anche se è tutto l’album a mostrare un songwriting lineare e dall’approccio immediato.
A tratti il groove risveglia l’anima moderna, alter ego di un’attitudine dark rock espressa con eleganza dal singer austriaco, mattatore indiscusso di questo lavoro.
Consigliato agli amanti del gothic dark più melodico, l’album è destinato a ripetere il successo del suo predecessore, almeno tra chi è frequentatore abituale della vita notturna nei club mitteleuropei, da sempre molto ricettivi quando si parla di queste sonorità.

Tracklist
1. No Friend Of Mine
2. Bring Your Own Star To Life
3. I Want More
4. Flieg
5. Black Blood
6. King Of This Land
7. Sea Of Stones
8. Father And Son
9. Great New Life (Reborn)
10. You Are The One I’d Spend All My Money

Line-up
Aaron Roterfeld – Vocals
Andre Schwarz – Drums
Marc Filler – Guitars

ROTERFELD – Facebook

Street Dogs – Stand For Something Or Die For Nothing

Stand For Something Or Die For Nothing è un disco che suona molto bene e fresco, inserendosi tra i migliori ascolti punk che si possano fare quest’anno.

Gl Street Dogs vengono da Boston ed incarnano molto bene ciò che significa il punk rock nella loro città.

Attivi dall’ormai lontano 2001, i nostri sono ormai dei veterani della scena, e questa esperienza si sente tutta nella loro ultima prova. Il suono è un energico concentrato di punk rock dalle forti influenze inglesi ed oi, nato nella stessa fertile atmosfera dei concittadini Dropkick Murphys. Il disco è un buon compromesso tra melodia e velocità, il tutto con cori che porteranno molta gente a volare giù dal palco e ad alzare il dito in aria cantando a squarciagola. Punk rock come questo è un qualcosa che non stancherà mai, ma che, anzi, porterà sempre nuove leve ad appassionarsi a questa musica. Gli Street Dogs sono uno di quei gruppi che viaggia e suda per conquistarsi ciò che ha, e non a caso la loro reputazione nella scena è ottima. Il disco è un bel manuale di come si possa fare punk rock orientato al passato con passione, bravura e tante melodie che ti entrano nel cuore. La musica degli Street Dogs è fatta dalla classe operaia per il divertimento della classe operaia, ma non è assolutamente musica disimpegnata. Certamente il loro punk rock è molto americano e nella fattispecie bostoniano, veloce e da cantare a squarciagola, e con quel gran cuore che contraddistingue i gruppi che vengono da quelle parti. Inoltre Stand For Something Or Die For Nothing è un disco che suona molto bene e fresco, inserendosi tra i migliori ascolti punk che si possano fare quest’anno.

Tracklist
1. Stand For Something Or Die For Nothing
2. Other Ones
3. The Comeback Zone
4. Angels Calling (feat. Slain)
5. These Ain’t The Old Days
6. Working Class Heroes
7. Lest We Forget
8. The Round Up
9. Mary On Believer Street
10. Never Above You, Never Below You
11. Torn And Frayed

Line-up
Mike McColgan – Lead Vocals
Johnny Rioux – Bass
Matt Pruitt – Guitar
Lenny Lashley – Guitar
Pete Sosa – Drums

STREET DOGS – Facebook

The Night Flight Orchestra – Sometimes The World Ain’t Enough

Hard rock melodico, arena rock, funky, dance, pop, fantascienza e porno soft da salette private in compagnia di fanciulle disinibite: come si può non amare i The Night Flight Orchestra?

I The Night Flight Orchestra o si amano alla follia o si odiano con altrettanta veemenza.

La band, nata su un tour bus nelle estenuanti giornate in attesa di salire sul palco e che vede coinvolti una manciata di musicisti della scena melodic death metal scandinava capitanati da quel ragazzaccio di Björn Strid (Soilwork), torna con un nuovo lavoro dopo un annetto dallo splendido Amber Galactic, confermando che questo è tutt’altro che un progetto estemporaneo, divenendo sempre più una priorità per i suoi protagonisti.
Ovviamente i deathsters duri e puri possono tranquillamente passare oltre: Sometimes The World Ain’t Enough è un altro straordinario viaggio tra la musica rock e dance a cavallo tra gli anni settanta e ottanta, una raccolta di brani dall’appeal stratosferico che fanno l’occhiolino all’hard rock melodico così come alla pop/dance, tra luci che colorano le piste da ballo direttamente dalla Febbre Del Sabato Sera e i watt sprigionati nei concerti da arena rock negli anni d’oro del pomp rock.
Comunque la si giri, si continua a guardare all’ America ed ai suoi eccessi, in un’atmosfera che più vintage di così non si può: l’opener This Time sottolinea fin da subito il concept nostalgico e rock/pop che sta dietro a questo insolito progetto.
Strid sembra nato per cantare i ritornelli delle varie Turn To Miami, Speedwagon o della splendida Barcelona, le tastiere sono macchine del tempo che ci riportano ai tempi in cui i Toto imperversavano nelle classifiche, e le ritmiche accendono luci funky e pop nelle discoteche della New York da bere e ballare.
Ovviamente avvicinarsi a questo ennesimo bellissimo lavoro vuol dire dimenticarsi completamente per un’oretta della provenienza dei sei musicisti al comando della navicella musicale (siamo sempre nell’immaginario sci-fi di serie b) The Night Flight Orchestra, per godere degli eccessi stilistici di un’era definitivamente dimenticata dai più, ma in cui la band si cala perfettamente, si diverte e ci fa divertire; d’altronde le influenze che traspaiono sono il meglio che la musica rock/pop ha regalato negli anni d’oro.
Hard rock melodico, arena rock, funky, dance, pop, fantascienza e porno soft da salette private in compagnia di fanciulle disinibite: come si può non amare i The Night Flight Orchestra?

Tracklist
01.This Time
02.Turn To Miami
03. Paralyzed
04.Sometimes The World Ain’t Enough
05.Moments Of Thunder
06.Speedwagon
07.Lovers In The Rain
08.Can’t Be That Bad
09.Pretty Thing Closing In
10.Barcelona
11.Winged And Serpentine
12.The Last Of The Independent Romantics

Line-up
Björn Strid – Vocals
David Andersson – Guitars
Sharlee D‘Angelo – Bass
Richard Larsson – Keyboard
Sebastian Forslund – Guitars, Percussion
Jonas Källsbäck – Drums

THE NIGHT FLIGHT ORCHESTRA – Facebook

Old Man Wizard – Blame It All On Sorcery

Un’altalena tra le trame progressive e le potenti divagazioni heavy, questo risulta Blame It All On Sorcery senza mai sconfinare nei cliché del progmetal, bensì mantenendo un approccio hard rock ispirato ai nomi storici del progressive di quarant’anni fa.

Nuovo lavoro per il trio progressive heavy rock degli Old Man Wizard, dei quali MetalEyes vi aveva parlato riguardo al singolo apripista per questo album uscito sul finire dello scorso anno.

Attiva da sei anni e con un full length risalente ormai a cinque anni fa ed intitolato Unfavorable, uscito anche in versione strumentale, la band mantiene le promesse continuando imperterrita sulla strada a ritroso verso il progressive rock settantiano, qui rivisto in chiave più heavy, a tratti estrema con il contrasto tra la voce melodica ed il sound smaccatamente metallico e pregno di groove.
Un’altalena tra le trame progressive e le potenti divagazioni heavy, questo risulta Blame It All On Sorcery senza mai sconfinare nei cliché del prog metal, bensì mantenendo un approccio hard rock ispirato ai nomi storici del progressive di quarant’anni fa.
Innocent Hands e The Blind Prince sono i due brani ereditati dal singolo, con le restanti otto canzoni che sono ancora più incentrate su questo contrasto, a suo modo originale, tra i due generi che compongono l’idea di musica del gruppo americano, bravissimo nel partire con sferzate ritmiche al confine con il metal estremo per poi ritornare su lidi progressive di matrice Jethro Tull / Gentle Giant e poi riavvicinarsi al nuovo millennio con momenti di rock americano in Seattle style.
Quando il progressive rock prende il sopravvento, Somehow ci delizia con trame acustiche, mentre The Long-Nosed Wiseman conclude l’album in modo splendido, tra King Crimson e Black Sabbath.
Promesse mantenute dunque, ed album che trova posto tra i lavori di spicco nel panorama del metal/rock con un occhio rivolto al passato.

Tracklist
1.Beginnings and Happenstance
2.Sorcerer
3.The Blind Prince
4.Never Leave
5.Cosmo
6.Somehow
7.Innocent Hands
8.Last Ride of the Ancients
9.The Vision
10.The Long-Nosed Wiseman

Line-up
Andre Beller – Bass Guitar, Vocals
Francis Roberts – Guitar, Vocals, etc.
Kris Calabio – Drums, Vocals

OLD MAN WIZARD – Facebook

Graveyard – Peace

Peace continua il viaggio dei Graveyard nella musica degli anni settanta, con un sound forse più immediato di altri ma pur sempre ricalcando la formula, ormai abusata, del classic rock animato da iniezioni di rock duro e drogato di psichedelia.

Il successo dei suoni vintage ha portato verso le più importanti etichette mondiali band che sarebbero rimaste nel più profondo underground, mentre oggi una label come Nuclear Blast (da sempre punto di riferimento per i fans del metal) si permette di avere nel proprio roster non poche realtà dai suoni che ricalcano il sound sviluppatosi nei leggendari anni settanta.

Un bene sia chiaro, specialmente per chi non ha mai smesso di ascoltare rock classico pur guardando allo sviluppo dei tantissimi generi e sotto generi a cui il metal ha dato i natali in quarant’anni di musica.
I Graveyard sono un quartetto svedese capitanato dal chitarrista e cantante Joakim Nilsson: dopo essersi sciolti poco più di un anno fa lasciando un fatturato di quattro album, ora arriva l’inaspettata reunion seguita dalla pubblicazione di Peace, nuovo lavoro con la novità Oskar Bergenheim alla batteria, sostituto del partente Axel Sjöberg.
Peace continua il viaggio dei Graveyard nella musica degli anni settanta, con un sound forse più immediato di altri ma pur sempre ricalcando la formula, ormai abusata, del classic rock animato da iniezioni di rock duro e drogato di psichedelia.
Questo significa Black Sabbath, The Doors, Led Zeppelin e Pink Floyd riletti secondo il credo di Nilsson e compagni, i quali riescono a divertire con un album fresco, composto da un lotto di brani che attirano gli amanti del rock radiofonico ma che sanno anche conquistare (quando vogliono) con atmosfere di blues desertico e psichedelico sopra le righe.
Del Manic e Birth Of Paradise sono il cuore pulsante e stordito dal sole di Peace, brani che alzano la temperatura dell’album, sanguigni e ricchi di quelle sfumature sporche di blues che sono il marchio di fabbrica delle nuove leve dell’hard rock.
Il resto viaggia con il pilota automatico: buone canzoni dure il giusto per piacere ai fans dell’hard rock con i jeans a zampa di elefante ed il sacchetto delle erbe medicinali a tracolla, facili da ascoltare in una serata estiva sulla spiaggia accompagnati da un falò.

Tracklist
1. It Ain’t Over Yet
2. Cold Love
3. See The Day
4. Please Don’t
5. The Fox
6. Walk On
7. Del Manic
8. Bird Of Paradise
9. A Sign Of Peace
10. Low (I Wouldn’t Mind)

Line-up
Joakim Nilsson – vocals, guitars
Jonatan La Rocca Ramm – guitars
Truls Mörck – vocals, bass guitar
Oskar Bergenheim – drums

GRAVEYARD – Facebook

Steelmade – The Stories We Tell

La band forse si specchia leggermente troppo su una formula che alla lunga lascia qualcosa in termini di scorrevolezza, ma le idee ci sono, qualche buona canzone anche, quindi per noi l’album è promosso anche se non con lode.

Terra di tradizione metal e rock, la Svizzera ha dato i natali anche agli Steelmade, trio alternative hard rock nato tra le Alpi e composto da Paul Baron alla voce, Jadro alla chitarra e Joe Williams alla batteria.

Il debutto è targato 2016 e si intitola Love Or A Lie, quindi il terzetto di rocker torna dopo tre anni con un nuovo lavoro che si compone di una dozzina di brani incentrati su un alternative hard rock che, se da una parte, risulta l’ormai classico suono in voga nel nuovo millennio, dall’altra non rinuncia a qualche sfumatura più tradizionale specialmente nei solos.
Parte bene The Stories We Tell, le prime tracce convincono, potenti il giusto, molto americane nell’approccio che nasconde un’anima blues (Fairytales Of Childhood Days) e quindi pregne di attitudine ribelle.
La voce maschia e sporcata da un approccio rock’n’roll convince, Raise Your Voice (molto più moderna), Ashes Over Waters, il suono grasso e corposo di The Beast For Last e la grinta di Stupidity sono i momenti migliori di un album che a tratti però risulta leggermente ripetitivo: non un peccato mortale, ma certe formule ripetute all’eccesso creano un’atmosfera di stanca colpevole della poca fluidità dell’album.
La band forse si specchia leggermente troppo su una formula che alla lunga lascia qualcosa in termini di scorrevolezza, ma le idee ci sono, qualche buona canzone anche, quindi per noi l’album è promosso anche se non con lode.

Tracklist
1.Remember When (A Piece Of Contemporary History)
2.Raise Your Voice
3.The Stories We Tell
4.Fairytales Of Childhood Days
3:30
5.Ashes Over Waters
6.Trial And Tribulation
7.The Best For Last
8.Deal With The Devil
9.Stupidity
10.Appearance And Reality
11.Desire And Love
12.We Are Bizarre

Line-up
Paul Baron – Vocals
Jadro – Guitar
Joe Williams – Drums

STEELMADE – Facebook

Descrizione Breve

Autore
Alberto Centenari

Voto
68

Genere – Sottogeneri – Anno – Label
2018 Hard Rock 6.80

Nofu – Interruzione

I Nofu con i loro magnifici testi e l’hardcore punk vecchia scuola sono una bellezza da sentire e da vivere, perché potrebbero darvi il codice sorgente per hackerare la nostra vita.

I Nofu sono uno uno dei migliori gruppi hardcore punk con tocchi metal italiani di sempre.

Interruzione è il loro disco più recente del 2017, uscito in free download e in forma fisica sempre attraverso il contributo di diverse etichette, con il metodo della cospirazione do it yourself, che è un vaffanculo al capitalismo musicale, essendo una produzione dal basso. I Nofu con i loro magnifici testi e l’hardcore punk vecchia scuola sono una bellezza da sentire e da vivere, perché potrebbero darvi il codice sorgente per hackerare la nostra vita. Il loro suono deve molto ai Negazione, da quel maledetto giorno quando li ascolto o li nomino il pensiero va sempre a Marco Mathieu in coma da mesi, e a quella fantastica scuola italiana, anche se qui c’è un prepotente tocco di hardcore americano. I Nofu riescono a fondere molto bene testi forti e musica veloce, ed è uno dei modi più validi di fare politica, ovvero quella cosa che cambia la vita in meglio, o che dovrebbe farlo. Ascoltando il gruppo romano si entra in un mondo senza filtri e soprattutto liberato dal leviatano capitalista, analizzando le nostre vite e i nostri rapporti con gli altri, non dando risposte ma scatenando dubbi. Un testo come Interruzione Pt. 2, la traccia che chiude il disco, è un qualcosa di pazzesco e di molto indicativo su cosa sia diventata la musica alternativa, perché i Nofu non sono la vetrina, ma il sasso che la spacca. Inoltre i Nofu possiedono una tecnica invidiabile e molto forte, che non va nella direzione dell’onanismo musicale, ma che è sempre al servizio della musica. Un disco forte e che ti entra dentro, come facevano e come faranno sempre i dischi suonati con il cuore e per la tua gente.

Tracklist
1.L’odio e le risa
2.Noi
3.Cenere
4.Disposto soggetto
5.Interruzione
6.Fragile Incompiutezza
7.Instabile (feat Giovanni Confusione/Flic dans la tete)
8.Spettri
9.In proprio
10.Interruzione pt.2

NOFU – Facebook

Tengil – Shouldhavebeens

Shouldhavebeens è un’opera trasversale per definizione, con il potenziale necessario per raccogliere consensi ed attenzioni da più parti, come richiesto da una così nitida esibizione di talento.

Gli svedesi Tengil sono una giovane band che aveva già seminato bene nel recente passato con un full length molto ben accolto come titolo, ma a giudicare dall’esito di questo nuovo Shouldhavebeens la loro evoluzione appare un qualcosa di imprevedibilmente inarrestabile.

Post rock, shoegaze e una componente post hardcore e rumorista, il tutto va a confluire in un coacervo sonoro a volte limpido e cristallino come acqua di fonte, in altri inquieto e torbido quasi a voler togliere certezze all’ascoltatore.
In realtà è proprio questo contrasto tra luci ed ombre, tra levità e senso di oppressione, a rappresentare il motore concettuale e musicale di un lavoro splendido, capace di commuovere, esaltare e far pensare: del resto il titolo che fa riferimento “ciò che potrebbe essere stato” è un po’ il leit motiv nell’esistenza di ognuno, destinato peraltro a divenire sempre più pressante man mano che il tempo a propria disposizione diminuisce in maniera ineluttabile; se poi, certe elaborazioni mentali sono prodotte da menti giovani e fresche come quelle di questi musicisti, figuriamoci l’impatto che tutto ciò può avere nei soggetti più sensibili con qualche decennio di vita in più a consuntivo.
Meglio non guardare indietro, alla fine, e cercare semmai di vivere ogni istante come se fosse destinato a durare per sempre: la musica dei Tengil può essere di grande aiuto, perché una canzone stupenda come It’s all for springtime è solo la punta dell’iceberg di un lavoro che supera per intensità un punto di riferimento per i Tengil quali sono senz’altro gli Alcest, rispetto ai quali la malinconia viene esibita in maniera molto meno diretta.
And the best was yet to come è un altro episodio che impressiona per urgenza e potenza comunicativa, con il bravissimo Sakarias Westman (che speso e volentieri ricorda per timbrica il giovane Bono) capace di imprimere al suo cantato quel quid emotivo ed interpretativo che fa la differenza.
Shouldhavebeens è un’opera trasversale per definizione, con il potenziale necessario per raccogliere consensi ed attenzioni da più parti, come richiesto da una così nitida esibizione di talento.

Tracklist:
1. I dreamt I was old
2. And the best was yet to come
3. With a song for dead darlings
4. A lifetime of white noise
5. It’s all for springtime
6. All for your myth
7. In Murmur

Line up:
Sakarias Westman
Pontus Carling
Karl Hauptmann
Tobias Jensen

TENGIL – Facebook

A Gathering Of None – One Last Grasp At Hope

I The Gathering Of None suonano rock a stelle e strisce, potente e melodico e pazienza se molti passaggi di One Last At Hope li avrete sicuramente già sentiti negli album usciti qualche anno fa, certo rock è come il bacio di una bella donna: non stanca mai.

Alternative metal, post grunge, modern hard rock, c’è di tutto un po’ nel sound degli statunitensi A Gathering Of None, band del Massachusetts al terzo full length dopo Purging Empty Promises del 2013 e Nothing Left To Lose uscito nel 2015.

Il gruppo, nato come one man band del chitarrista e cantante Tracy Byrd, è ad oggi una band composta da cinque musicisti, il cui prodotto è come scritto un buon mix dei suoni nati e cresciuti negli ultimi anni del secolo scorso nel nuovo continente: rock americano, potenziato da iniezioni di metal moderno e sfumature di quel grunge ancora oggi nelle corde degli ascoltatori dai gusti più moderni ed alternative.
Niente di nuovo, ma un lotto di belle canzoni, suonate e cantante davvero bene, con gli Alter Bridge a fare da padrini e poi una serie di band diventate icone di almeno due decenni di hard rock targato U.S.A.
One Last Grasp At Hope è quindi un buon modo per non perdere di vista un certo tipo di sonorità: la voce di TB aiuta non poco i brani a risplendere di una luce melodica che rimane accesa anche nei passaggi più grintosi, così che l’album funziona e piace fin dal primo ascolto.
No Stone Left Unturned, Fabulous Mishap, Dissolution (un tuffo nello stoner di marca Corrosion Of Conformity) sono brani semplici ma perfettamente in grado di non mancare l’appuntamento con i fans del genere, grazie ad una perfetta armonia tra l’anima metal e quella rock.
Band che non ha nulla da invidiare ai gruppi più blasonati, gli A Gathering Of None suonano rock a stelle e strisce, potente e melodico e pazienza se molti passaggi di One Last Grasp At Hope li avrete sicuramente già sentiti negli album usciti qualche anno fa, certo rock è come il bacio di una bella donna: non stanca mai.

Tracklist
1.What For?
2.No Stone Left Unturned
3.Break My Stride
4.A Fabulous Mishap
5.You Stagnate
6.Reaching Out
7.Dissolution
8.Something You Should Know
9.Predatory Male (Miltown cover)
10.I Hope I’m Wrong
11.Move Along

Line-up
TB – vocals, lead and rythm guitars
Justin Travis Osburn – rythm and lead guitars/bgvs
Jeff Grunn – lead and rythm guitars/bgvs
Ken Belcher – bass/bgvs
Chris White – drums/backup vocals

A GATHERING OF NONE – Facebook

Hollowscene – Hollowscene

Gli Hollowscene sono una grande band lombarda di progressive rock. Il loro è un prog di stampo vintage, caldo e analogico, capace di guardare alla grande tradizione – britannica, soprattutto – degli anni Settanta.

Gli Hollowscene sono una grande band lombarda di progressive rock.

Recentemente si sono esibiti al FIM 2018 insieme a Prowlers, Anekdoten e La Fabbrica dell’Assoluto. Il loro è un prog di stampo vintage, caldo ed analogico, capace di guardare alla grande tradizione – inglese, soprattutto – degli anni Settanta. Non stupisce quindi, al riguardo, che questo loro interessantissimo lavoro sia uscito per Black Widow, da sempre attentissima al suono valvolare e primigenio di ciò che è progressive rock. Il disco si apre con la suite in cinque atti Broken Coriolanus: un vero e proprio caleidoscopio di suoni e sensazioni, di creatività ed emozioni, guidate dalla doppia tastiera e dalla doppia chitarra, sorrette da una sezione ritmica inappuntabile, non senza opportune spezie folk dovute al flauto. La suite è multiforme e cangiante, densa di cromatismi sonori e cambi di situazione, nello stesso tempo oscura e melodica, non priva di una tensione quasi drammatica e vagamente teatrale. Molto bella ed azzeccata poi l’idea di inserire, in chiusura dell’album, una cover di The Moon Is Down dei mitici Gentle Giant, con cui gli Hollowscene confermano una volta di più, non solo a livello timbrico, la ascendenza della loro visione musicale. Davvero un bellissimo disco.

Track list
1 Broken Coriolanus
2 The Worm
3 The Moon Is Down

Line up
Andrea Massimo – Guitar, Vocals
Walter Kesten – Guitar, Vocals
Demetra Fogazza – Flute, Vocals
Lino Cicala – Piano, Keyboards
Andrea Zani – Piano, Keyboards
Tony Alemanno – Bass
Matteo Paparazzo – Drums

HOLLOWSCENE – Facebook

Flames At Sunrise – Born In Embers

Born In Embers spara le sue nove frecce alternative come un cupido terribilmente dispettoso, voi cadrete nell’incantesimo e non potrete che innamorarvi dei Flames At Sunrise.

Arrivano da Barcellona i Flames At Sunrise, giovane band alternative al debutto con Born In Embers, full length del quale la Wormholedeath cura la promozione.

In questo ambito, oltre a buone canzoni, se hai tra le tue fila un talento al microfono, uomo o donna che sia, parti già con parecchi metri di vantaggio sulla concorrenza e questo è il caso del gruppo catalano, che può vantare le prestazione di Eve Nezer, giovanissima cantante che si produce in una notevole prova tra clean e scream d’impatto.
Il sound dei Flames At Sunrise si posiziona perfettamente tra il rock ed il metal alternativo, dal piglio dark/gothic quando le melodie prendono spazio ed il gruppo lascia alla cantante la scena, spettacolare nei vari cambi di tonalità e molto interpretativa.
Ma i Flames At Sunrise ovviamente non si fermano qui ed il resto della band sale in cattedra nei momenti più metallici dell’album quando scudisciate alternative colmano di umori nu metal brani dal piglio drammatico come Shades Falls Into Oblivion (in quota Disturbed), brano che da solo, se non vi sono bastati i fuochi d’artificio di Ark Flesh e The Myth (Eurodice’s Death), vale l’acquisto di questo ottimo lavoro.
I Flames At Sunrise conquistano: delicatamente dark quando si placa la tempesta, rabbiosi e potentissimi quando le chitarre gridano dolore seguendo le montagne russe su cui sale con una naturalezza disarmante la voce della cantante.
Born In Embers spara le sue nove frecce alternative come un cupido terribilmente dispettoso, voi cadrete nell’incantesimo e non potrete che innamorarvi dei Flames At Sunrise.

Tracklist
1.Ember
2.Dolmer
3.Ark Flesh
4.Dark Ages
5.The Myth (Eurodice’s Death)
6.Never Coming Home II
7.Shades Falls Into Oblivion
8.III faces
9.More Than Fear

Line-up
Eve Nezer – Vocals
Jordi Domìnguez – Guitars
Eric Knight – Guitars
Jose Escobar – Bass
Alvaro Garcia – Drums

FLAMES AT SUNRISE – Facebook

ParcoLambro – ParcoLambro

Sei brani per quasi un’ora di musica che non conosce l’usura del tempo e che necessita, in modo d’essere apprezzata anche da chi non frequenta più certi lidi sonori da anni, della giusta apertura mentale per farsi attraversare da note provenienti dalle più disparate direzioni.

Questo album autointitolato, uscito nel 2017 per Music Force, mette in luce il quintetto bolognese ParcoLambro, band che offre un sound capace di tener fede agli intenti dichiarati in sede di presentazione, facendo riferimento a gruppi storici come Area (direi più la versione 2 guidata dal compianto Giulio Capiozzo, rispetto a quelli monumentali con Demetrio Stratos) e Soft Machine.

Se emulare i nomi presi a riferimento rappresenta decisamente una bella sfida, bisogna dire che i ParcoLambro reggono adeguatamente il confronto, grazie ad un approccio che è quello tipico della jam session, attualizzato comunque da un uso originale dell’elettronica e di una notevole varietà ritmica.
Come spesso accade in tali frangenti, a fare la parte del leone sono soprattutto i fiati e un organo che fornisce un notevole carico di psichedelia al tutto, ma anche la restante strumentazione è protagonista con pari dignità, per cui non resta, a chi lo voglia fare, di compiere quello che è comunque il tuffo in un passato musicale sigillato saldamente nel DNA della mia generazione (ovvero quella degli imberbi ragazzotti che nel ’79 gremivano l’Arena di Milano per ricordare uno dei più grandi vocalist mai apparsi sul pianeta), indipendentemente dai gusti e dagli ascolti sviluppati negli anni a venire.
Abbiamo così sei brani per quasi un’ora di musica che non conosce l’usura del tempo e che necessita, in modo d’essere apprezzata anche da chi non frequenta più certi lidi sonori da anni, della giusta apertura mentale per farsi attraversare da note provenienti dalle più disparate direzioni; infatti, se il brano d’apertura #5 sembra fornire coordinate riconducibili ai già citati modelli, arriva la prima parte di Nord con il suo incipit funky a smentire il tutto, mente in Not For You sembra a tratti di ascoltare la Mahavishnu Orchestra con i fiati a sostituire il violino, prima che a spiazzare ulteriormente arrivi una breve parte cantata, che resterà l’unica nell’intero lavoro.
Notturno è improvvisazione allo stato puro, mentre è un’altra traccia divisa in due parti, Ibis, a chiudere al meglio quest’opera impegnativa ma allo stesso tempo gratificante; non c’è solo una fredda esibizione di tecnica nel progetto musicale dei ParcoLambro, bensì il fluire privo di vincoli di una musica progressiva nel senso più genuino del termine.
Considerando che l’album non è proprio recentissimo, è auspicabile che a breve la band bolognese possa rifarsi viva con qualche succulenta novità.

Tracklist:
1. #5
2. Nord pt. 1
3. Nord Pt. 2
4- Not For You
5. Notturno
6. Ibis Pt. 1
7. Ibis Pt. 2

Line up:
Clarissa Durizzotto – sax alto
Mirko Cisilino – trombone, farfisa, moog, nordlead
Giuseppe Calcagno – chitarra, basso
Andrea Faidutti – chitarra, basso, voce
Alessandro Mansutti – batteria

PARCOLAMBRO – Facebook

 

Mr. Bison – Holy Oak

Tante influenze mescolate benissimo, un suono molto personale, un giro continuo, un disco solidissimo che fa viaggiare.

I Mr. Bison sono uno dei migliori gruppi italiani di musica pesante con innesti psichedelici.

Provenienti da Cecina sono al quarto disco, e ad ogni uscita si può notare un miglioramento rispetto a quella precedente. Holy Oak è un disco che suona benissimo, potente, bilanciato e con ottime scelte sonore. La loro musica è uno stoner di livello superiore, con intarsi desert e sconfinamenti negli anni settanta, perché la loro musica ha fortissime radici in quegli anni. Il groove generato da questi signori toscani è un qualcosa che vi conquisterà, come ha già conquistato molti, soprattutto coloro che hanno avuto l’occasione di vederli dal vivo. Cosa li differenzia dagli altri gruppi? I Mr. Bison hanno una maniera differente di trattare la musica, la fanno sgorgare libera e fresca dagli ampli, hanno un tocco southern senza esserlo strettamente, hanno gli anni settanta dentro, ma senza essere derivativi, e riescono sempre ad essere piacevoli usando la musica pesante. Nel loro contesto si muovono moltissimi gruppi, la media qualitativa, soprattutto in Italia, è cresciuta molto, ma gruppi come i Mr. Bison ce ne sono pochi. E questo è un fatto oggettivo, non soggettivo, basta ascoltare Holy Oak, o i dischi precedenti, per capire che qui c’è qualcosa in più: sarà talento o gusto, ma esiste ed è tangibile. Tante influenze mescolate benissimo, un suono molto personale, un giro continuo, un disco solidissimo che fa viaggiare.

Tracklist
1.Roots
2.Sacred Deal
3.Heavy Rain
4.Earth Breath
5.Holy Oak
6.The Bark
7.The Wave
8.Red Sun
9.Beyond the Edge

Line-up
Matteo Barsacchi – Guitar, Vocals
Matteo Sciocchetto – Guitar Vocals
Matteo D’Ignazi – Drums, Sounds

MR.BISON – Facebook

Black Rose – A Light In The Dark

Il gruppo è protagonista di un album piacevole, melodico e grintoso in ugual misura, graffiante e raffinato quanto basta per soddisfare gli amanti dell’hard & heavy melodico e classico.

Gli svedesi Black Rose festeggiano, a distanza di venticinque anni dal primo album (Fortune Favours the Brave), con l’uscita di un nuovo lavoro sempre incentrato su un hard rock a metà strada tra l’hard & heavy e il più melodico AOR.

Con al microfono il nuovo arrivato Jakob Sandberg, il gruppo affronta la sesta prova sulla lunga distanza con il piglio dei veterani e A Light In The Dark risulta il classico album di matrice scandinava, nel genere terra maestra nei suoni melodici ancora prima di quelli estremi.
Ma non aspettatevi melensaggini, perchè i Black Rose schiacciano sul pedale quando serve, graffiano e ci consegnano un lavoro grintoso pur con i suoi momenti dove con eleganza l’hard rock melodico si prende il suo spazio tra i suoni taglienti di brani metallici come Sands Of Time o la title track.
Gli Europe dei primi album sono la band che più ispira questo lavoro, anche se l’heavy metal di scuola tradizionale alza la temperatura del sound, con cori dal taglio epico e solos che sono lampi di luce nel buio.
Bellissima Web Of Lies, mid tempo ispirato ai Dio, e di scuola Scorpions le ritmiche con cui la band dà inizio alla trascinante Ain’t Over ‘til It’s Over, che si trasforma in una canzone da arena rock in pieno stile anni ottanta.
Il gruppo capitanato dai due Haga (Peter alla batteria/tastiere e Anders al basso) è protagonista di un album piacevole, melodico e grintoso in ugual misura, graffiante e raffinato quanto basta per soddisfare gli amanti dell’hard & heavy melodico e classico.

Tracklist
1.Sands of Time
2.Hear the Call
3.Carry On
4.We Come Alive
5.A Light in the Dark
6.Web of Lies
7.Ain’t Over ‘til It’s Over
8.Powerthrone
9.Don’t Fear the Fire
10.Love into Hate

Line-up
Anders Haga – Bass
Peter Haga – Drums, Keyboards
Thomas Berg – Guitars
Jakob “Jacke” Sandberg – Vocals (lead)

BLACK ROSE – Facebook

The Sponges – Official Demo

Oggi va di moda la parola old school per descrivere una proposta che guarda al passato e l’hard rock suonato dai The Sponges è sicuramente da inserire nel filone classico, con le ispirazioni che seguono il passato da cover band dei gruppi citati, ai quali andrebbero aggiunti i primi UFO.

E’ un hard’n’heavy che guarda gli anni settanta/ottanta, pregno di ardore metallico, il sound offerto da questo gruppo proveniente dal trevigiano chiamato The Sponges.

Questi cinque brani compongono il demo di inediti con cui il giovane quartetto lascia definitivamente il mondo delle cover band (Led Zeppelin, Deep Purple e Judas Priest) per lasciare alla propria musica il compito di rappresentarli.
Oggi va di moda la parola old school per descrivere una proposta che guarda al passato e l’hard rock suonato dai The Sponges è sicuramente da inserire nel filone classico, con le ispirazioni che seguono il passato da cover band dei gruppi citati, ai quali andrebbero aggiunti i primi UFO.
Warrior è una marcia hard rock rocciosa che perde qualcosina in impatto nel ritornello, mentre la seguente Run Or Burn risulta più metallica, un crescendo dai toni priestiani che si aggiudica la palma di miglior brano del demo.
La ballatona Love Is Gone spezza la tensione, prima che Song 4 torni a caricare di elettricità l’atmosfera e un riff potentissimo di scuola Zakk Wilde apra la conclusiva My Fucking Brain, il brano più “moderno” di questo primo lavoro targato The Sponges.
L’impatto non manca, i musicisti fanno del loro meglio per dare una loro personalità ai brani, quindi l’inizio è senz’altro positivo, e  noi attendiamo fiduciosi ulteriori sviluppi.

Tracklist
1.Warrior
2.Run Or Burn
3.Love Is Gone
4.Song 4
5.My Fucking Brain

Line-up
Alessandro Russo (Rusho) – Vocals
Davide Zanella – Drums
Sat – Guitars
Andrea Zanella – Guitars

THE SPONGES – Facebook