Ancient Veil – Rings of Earthly… Live

Una summa dal vivo che permette di ripercorrere lo splendido itinerario musicale di Eris Pluvia ed Ancient Veil. Una grande dimostrazione di vitalità e spessore del prog di casa nostra.

Nel 1991, tra i simboli della rinascita progressiva nel nostro paese, usciva Rings of Earthly Light dei liguri Eris Pluvia, stupenda opera di prog pastorale e bucolico, intriso di aromi canterburyani.

Oggi, gli Ancient Veil – che dagli Eris Pluvia sono derivati, con il vocalist e chitarrista Alessandro Serri, il sassofonista Edmondo Romano e la cantante Valeria Caucino – omaggiano quel luminoso passato, così storicamente importante, riproponendo altresì in versione live brani degli stessi Ancient Veil. Il CD in questione è così la registrazione del bellissimo concerto tenuto alla Claque di Genova l’11 di novembre del 2017: una stupenda alternanza di composizioni vecchie e nuove, un ponte gettato fra passato e presente, con il filo rosso rappresentato dall’amore per la musica di qualità a tener insieme i giorni di ieri e quelli di oggi, senza peraltro alcun compiacimento nostalgico o autoindulgente. La prestazione degli Ancient Veil è impeccabile e sentita (si nota la presenza di Fabio Zuffanti), mentre l’incisione è ottima. Da Rings of Earthly Light vengono riproposte la suite omonima e due brani, il resto è materiale Ancient Veil. E da questo imperdibile concerto emerge come le esperienze dell’uno e dell’altro gruppo si ricolleghino vicendevolmente senza soluzione di continuità. La creatività, del resto, non ha tempo.

Track list
1- Ancient Veil
2- Dance Around My Slow Time
3- The Dance of the Elves
4- Creature of the Lake
5- Night Thoughts
6- New
7- Ring of Earthly Light
8- Pushing Together
9- In the Rising Mist
10- I Am Changing
11- If I Only Knew
12- Bright Autumn Dawn

Line up
Alessandro Serri – Vocals, Guitars, Flute
Edmondo Romano – Reeds
Fabio Serri – Vocals, Piano, Keyboards
Massimo Palermo – Bass
Marco Fuliano – Drums
Valeria Caucino – Vocals
Marco Gnecco – Oboe
Fabio Zuffanti – Guitar
Stefano Marelli – Guitar

ANVIENT VEIL – Facebook

Tax The Heat – Change Your Position

Questo gruppo è un piacevole compendio di guitar rock e di come si possa fare un album energico e che rimanga melodico e molto british.

I britannici Tax The Heat sono la summa di ciò che è stato negli ultimi il rock alternativo più valido.

La Nuclear Blast è una delle maggiori etichette mondiali di metal ed affini, ma ha fatto bene ad introdurre nella propria squadra questo gruppo che è assai interessante. Le sue influenze sono molte e disparate, si parte dal classico rock pop britannico per arrivare al pub rock, e al Duca Bianco e molto oltre. Come detto sopra questa band è un piacevole compendio di guitar rock e di come si possa fare un album energico e che rimanga melodico e molto british. Era da tempo che non si sentiva un gruppo britannico esprimersi a questi livelli senza scimmiottare qualcuno, o proponendo qualcosa di stantio. I Tax The Heat sono una ventata di aria nuova, con il loro rock pop che descrive la nostra difficile società, ma lo fa in maniera da non insegnare nulla a nessuno, solo far capire che, magari, se fossimo più buoni staremmo tutti più comodi. Il gruppo di Bristol è cresciuto molto dal debutto del 2016 Fed To The Lions, che era già valido, ma questo disco è superiore. Le soluzioni sonore sono sempre piacevoli e profonde, le melodie sono sviluppate molto bene e la struttura delle loro canzoni è solida. Non deve spiazzare il fatto che escano per un’etichetta metal, perché i tempi attuali non hanno più queste divisioni e si deve considerare il valore intrinseco del disco. Molti ascoltatori con gusti diversi apprezzeranno questo lavoro dei Tax The Heat, che è una delle cose migliori uscite dalle isole britanniche negli ultimi anni, anche se il gruppo non è spinto come altri dalla stampa musicale inglese.

Tracklist
1. Money In The Bank
2. Change Your Position
3. Playing With Fire
4. All That Medicine
5. On The Run
6. The Last Time
7. Taking The Hit
8. My Headspace
9. We Are Consumers
10. Cut Your Chains
11. Wearing A Disguise
12. The Symphony Has Begun

Line-up
Alex Veale – vocals, guitars
Antonio Angotti – bass, backing vocals
JP Jacyshyn – guitars, backing vocals
Jack Taylor – drums, backing vocals

TAX THE HEAT – Facebook

Wonderworld – III

Con III gli Wonderworld si candidano come una delle massime espressioni nel genere, mostrando d’essere assolutamente in grado di competere con i gruppi di punta dell’hard rock classico internazionale.

Torna il trio italo/norvegese che, sotto il monicker Wonderworld, vede le gesta del nostro Roberto Tiranti al basso ed ovviamente al microfono, Ken Ingwersen alla chitarra e Tom Arne Fossheim alla batteria.

Ancora una volta il gruppo delizia gli ascoltatori con la sua personale rivisitazione dell’hard rock classico, elegante, raffinato e a tratti progressivo, melodico e pregno di ispirazioni hard blues di scuola Deep Purple, Glenn Hughes.
I tre musicisti, come ormai ci hanno abituato, lasciano il loro talento al servizio di questi ennesimi dieci gioiellini, classici ma rivestiti di un’aura fuori dal tempo, perfetti nel continuare la tradizione del rock duro di classe anche nel nuovo millennio.
La voce di Tiranti è sicuramente l’asso nella manica della band: interpretativo, sanguigno e dall’appeal in dote solo ai grandi, ma i suoi compagni non sono da meno con un Ingwersen in stato di grazia, preciso e raffinato, senza perdere in potenza con riff scolpiti nella storia del genere e Fossheim che lega il tutto con il suo drumming granitico.
Un’altra piacevole raccolta di brani rock dunque, nella quale melodie, gustosi solos e refrain da brividi ci accompagnano nel mondo dell’hard rock di classe, presi per mano da splendide perle come Stormy Night, Brand New Man e Stay Away From Me.
Con III Wonderworld si candidano come una delle massime espressioni nel genere, mostrando d’essere assolutamente in grado di competere con i gruppi di punta dell’hard rock classico internazionale ed una vera e propria garanzia per gli amanti di queste sonorità.

Tracklist
01. Background Noises
02. Stormy Night
03. Big Word
04. Crying Out For Freedom
05. A Mountain Left To Climb
06. Brand New Man
07. Rebellion
08. The Last Frontier
09. Stay Away From Me
10. There Must Be More

Line-up
Roberto Tiranti – Vocals, Bass
Ken Ingwersen – Guitars, Backing vocals
Tom Arne Fossheim – Drums, Backing vocals

WONDERWORLD – Facebook

Una Stagione all’Inferno – Il mostro di Firenze

Un inquietante viaggio musicale nella storia di un mistero italiano forse mai del tutto risolto, reso in musica attraverso altrettanto inquietanti barocchismi, oscuri e progressivi.

Non poteva che essere la Black Widow di Genova, forte della sua competenza in materia, a distribuire questo disco, vero gioiello di dark prog d’alta scuola.

Il nome scelto dal gruppo – accompagnato da diversi e prestigiosi ospiti, tra i quali Roberto Tiranti e Pier Gonella – rimanda a Rimbaud, mentre il titolo ai drammatici e tragici fatti di cronaca nera che insanguinarono il capoluogo toscano dalla metà circa degli anni ’80. Una Stagione all’Inferno vuole mettere pertanto in musica quegli inquietanti e mai troppo distanti avvenimenti, la cui radice riporta al fondo buio dell’animo umano: un’impresa non facile, ma anche una scommessa vinta sul piano artistico e musicale. Classico e moderno nello stesso tempo, Il Mostro di Firenze – una sorta di concept, la cui tessitura complessiva non consente quasi di separare i singoli momenti che lo vanno a comporre – si rivela un gran bel disco di oscuro rock sinfonico (è forse questa la migliore definizione possibile dell’intero lavoro), quasi un viaggio barocco nelle tenebre condito da eccellenti parti strumentali e malinconiche melodie, in un sapiente alternarsi di situazioni, ora più pompose ed ora più intimiste. Veramente un ottimo lavoro, superbo sotto il profilo sia della scrittura sia dell’esecuzione.

Track list
1. Novilunio
2. La ballata di Firenze
3. Nella notte
4. Lettera anonima
5. Interludio macabro
6. L’enigma dei dannati
7. Serial Killer Rock
8. Il dottore
9. Plenilunio

Line up
Laura Menighetti – Vocals, Keyboards
Fabio Nicolazzo – Vocals, Guitars
Roberto Tiranti – Bass, Chorus
Pier Gonella – Guitars
Marco Biggi – Drums
Paolo Firpo – Sax, Akai Ewi 4000S
Kim Schiffo, Daniele Guerci, Laura Sillitti – Strings

UNA STAGIONE ALL’INFERNO – Facebook

The Red Coil – Himalayan Demons

Un continuo groove sludge stoner metal, con intarsi desert, intensità mostruosa e su tutto una potenza distorta che porta via.

Un continuo groove sludge stoner metal, con intarsi desert, intensità mostruosa e su tutto una potenza distorta che porta via.

Non è mai facile descrivere un disco che fa pensare a molte cose, e non soggettive ma oggettive. I milanesi The Red Coil faranno la gioia di chi ama la musica pesante nelle sue accezioni più disparate, e qui ce n’è per tutti i gusti. Il gruppo suona uno sludge stoner di rara potenza che non fa prigionieri e che costringe e sentirlo disparate volte. Lla band lombarda esordisce nel 2009 con l’ep Slough Off che riceve una buona accoglienza sia dal pubblico che dalla critica. Nel 2013 i nostri escono con il primo disco su lunga distanza, intitolato Lam, che procura loro  diversi concerti in giro per il nord Italia, soprattutto. Ed eccoci infine arrivati al presente Himalayan Demons, un disco gigantesco. La voce graffia ed è un mirino preciso che indirizza le bordate che arrivano dal resto del gruppo. Prendete i migliori Pantera e date loro un respiro sludge stoner e vi avvicinerete un minimo a cosa sia questo disco. Quando l’atmosfera è incendiata dalla loro musica, arrivano aperture melodiche ottime e totalmente inaspettate. Forte è anche l’influenza dello stile southern metal, che qui è presente in maniera diabolica. I The Red Coil sono un autentico godimento, riescono a trovare sempre la soluzione sonora giusta e rendono rovente il vostro impianto stereo, i loro inediti sono fantastici, ma rende bene e velocemente l’idea di cosa siano l’ultima traccia del disco, la cover di When The Leeve Breaks dei Led Zeppelin, fatta in maniera sublime e con la loro fortissima impronta. Un disco pesantemente fantastico.

Tracklist
1. Withdrawal Syndrome Wall
2. Godforsaken
3.Oriental Lodge
4. Opium Smokers Room
5. The Shroud
6. Moksha
7. The Eyes Of Kathmandu
8. When The Levee Breaks

Line-up
Marco Marinoni – voice
Luca Colombo – guitar
Daniele Parini – guitar
Gelindo – bass
Bull – drum

URL Facebook
https://www.facebook.com/theredcoil/

Captain Black Beard – Struck By Lightning

Dalla Svezia, terra di tradizione melodica e non solo estrema, giungono i Captain Black Beard, fin dal 2009 a dispensare grande rock melodico.

Dalla Svezia, terra di tradizione melodica e non solo estrema, giungono i Captain Black Beard, fin dal 2009 a dispensare grande rock melodico, con tre album all’attivo e collaborazioni illustri come Bruce Kulick (Kiss, Union) e Mats Karlsson sul secondo lavoro (Before Plastic).

Il quartetto, dopo essersi esibito con icone dell’hard rock (Joe Lynn Turner, Robin Beck e House Of Lords), è tornato in studio con la nuova cantante Liv Hansson e con l’aiuto del produttore Jona Tee, noto tastierista degli H.E.A.T., pubblica questo bellissimo quarto lavoro intitolato Struck By Lightning.
Hard rock di gran classe dunque, supportato dalla bellissima e a tratti grintosa voce della bionda vichinga al microfono, ed impreziosita dal gran lavoro dei tre musicisti, anima di questa ottima realtà melodica svedese: Robert Maid al basso, Christian Eck alla chitarra e Vinnie Stromberg alla batteria.
Una produzione scintillante ed un songwriting ispirato fanno il resto e Struck By Lightning può così esplodere nei vostri padiglioni auricolari, composto da dieci folgoranti tracce di hard rock nobilitato da melodie AOR d’alta scuola.
D’altronde su al nord il genere lo sanno suonare eccome, facendo proprie le ispirazioni che vengono da Gran Breatagna e Stati Uniti ed elaborandole come tradizione insegna.
Così fanno anche i Captain Black Beard in brani top come l’opener e primo video All The Pain, perfetto benvenuto nella nuova incarnazione della band con l’arrivo della Hansson.
L’album non conosce pause, la sei corde graffia così come la voce, le tastiere disegnano tappeti colorati di note melodiche sopra le righe alternando taglienti brani di rock duro come Pefect Little Clue, a momenti di rock in cui la classe si respira in ogni nota.
Gotta Go, Dead End Street e la title track incendiano lo spartito, la prova della vocalist rimane di altissimo livello, i cori aprono orizzonti melodici dove perdersi è un attimo e sio arriva alla fine con la voglia matta di ricominciare a sognare, tra grinta e melodia rock confezionata a dovere dai Captain Black Beard.
Album di alto livello, Struck By Llightning si posiziona molto in alto nelle preferenze tra i lavori di hard rock melodico usciti in questa prima metà dell’anno, e non così scontato trovare di meglio, fidatevi.

Tracklist
01.All The Pain
02.Perfect Little Clue
03.Believer
04.Picture Life
05.Gotta Go
06.Out Of Control
07.Dead End Street
08.Struck By Lightning
09.Nobody Like You
10.Straight Outta Hell

Line-up
Robert Maid – Bass
Christian Eck – Guitars
Vinnie Stromberg – Drums
Liv Hansson – Vocals

CAPTAIN BLACK BEARD – Facebook

Goad – Landor

Nuovo lavoro da parte dello storico gruppo toscano, interprete di un incantevole hard prog gotico, dalle inflessioni ora più folk ora più doomeggianti. Puro romanticismo dark in musica, malinconico e melodico insieme.

In pista ormai dal lontano 1983, i fiorentini Goad confermano con questo loro nuovo lavoro tutta la propria creatività artistica, forti di un’identità che li vede pressoché unici nel panorama musicale di casa nostra.

La persistenza della tradizione: forse solo così si potrebbe definire la loro musica, erede del prog (King Crimson, Pink Floyd, VDGG), dell’hard rock anni Settanta (Led Zeppelin, Triumph, Rush, primi Uriah Heep) e del dark più occulto (High Tide, Atomic Rooster, Goblin, Devil Doll). In questa nuova opera – la dicitura non è casuale, in quanto Landor è una sorta di mono-traccia d’oltre cinquanta minuti suddivisa in tredici parti (o movimenti, se si vuole) – l’amore dei quattro toscani, a cui si aggiunto in veste di pianista e ingegnere del suono il lucchese Freddy Delirio (tastierista già con i Death SS e solista notevolissimo), per tematiche romantiche e decadenti trova una ulteriore e nuova declinazione, sonora e canora: progressive tastieristico, doom e impasti folk (con la passione per il gotico a fare, ogni volta, da collante) intersecano i loro piani, in quello che è un concept dalla struggente bellezza, letteraria, oltre che musicale. Non a caso, il secondo CD di questo doppio è un omaggio a Edgar Allan Poe, registrato dal vivo, al Parterre di Firenze, nel luglio dell’oramai lontano 1995: un documento davvero storico, quindi, inciso da una formazione della quale è rimasto solo il vocalist, che arricchisce ulteriormente questa pubblicazione. Alchimisti e teatrali interpreti dell’hard prog, non senza una profonda consistenza materica (si veda l’uso della doppia batteria in Landor), i Goad allora come oggi erano e restano da apprezzare senza riserve, coraggiosi e coerenti.

Tracklist
1- Written on the First Leaf of My Album
2- On Music
3- To One Grave
4- Bolero
5- Goodbye, Adieu
6- Life’s Best
7- Where Are Sights
8- Decline of Life
9- An Old Philosopher
10- The Rocks of Life
11- Defiance
12- Brevities
13- Evocation
14- I’ll Celebrate You
15- Fairyland
16- Dream Within a Dream
17- The Sleeper
18- To One in Paradise
19- Dreamland
20- Alone
21- The Haunted Palace
22- The City in the City
23- The End

Line up
Alessandro Bruno – Guitars, Reeds, Violin
Maurilio Rossi – Vocals, Bass, Guitar, Keyboards
Paolo Carniani – Drums
Enrico Ponte – Drums

GOAD – Facebook

Inyan – A Bitter Relief

Il timbro musicale è molto influenzato dal grunge, linguaggio che non muore mai, al quale si aggiunge un’ottima struttura delle canzoni, che si dipanano dentro l’orecchio dell’ascoltatore, disegnando un racconto in musica.

Gli Inyan arrivano da Legnano e sono un power trio che fa stoner con forti venature grunge e con radici che affondano nel rock pesante.

I nostri sono tre amici che suonavano insieme da tempo per poi separarsi, infine si sono ritrovati per cominciare questa nuova avventura chiamata Inyan nell’aprile del 2011. Lo stoner rock è una materia immensa che si può declinare in varie maniere, e pochi gruppi riescono a trovare una via personale, vuoi per mancanza di fantasia o di bravura compositiva. Gli Inyan impostano tutto sulla loro personale visione della materia, e bisogna dire che spiccano dalla massa. Il loro timbro musicale è molto influenzato dal grunge, linguaggio che non muore mai, al quale si aggiunge un’ottima struttura delle canzoni, che si dipanano dentro l’orecchio dell’ascoltatore, disegnando un racconto in musica. I lombardi non sono particolarmente veloci od incalzanti, perché non ne hanno bisogno, ci sono ripartenze ed accelerazioni, ma mai cose fuori posto, e questa è una delle loro maggiori peculiarità: gli Inyan sono ciò che sono, e non una vuota forma per apparire ciò che in realtà non sono, come fanno molti gruppi. Il disco ha anche una produzione particolare, che mette in risalto il groove così come ogni strumento. La forza di questo gruppo è la sua personalità ed il suono, che esce molto bene dalle casse, in maniera lineare e godibile, per un disco che funzionerà molto bene anche dal vivo.

Tracklist
1.Ain’t No Place
2.Not Afraid
3.Meltin’ Pot
4.Back to Life
5.Don’t Even Matter
6.In This World
7.The Way You Wished
8.My Valentine

Line-up
Simone Cosentini – Vocals & Guitars
Federico Colombo – Bass Guitar
Mirko Bombelli – Drums

INYAN – Facebook

Flynotes – Child in the Woods

C’è ben poco da eccepire su un lavoro che scorre piacevolmente ma, per il quale, la natura esclusivamente strumentale diviene il limite che impedisce una più immediata assimilazione nonché una più duratura permanenza della musica dei Flynotes nella nostra memoria.

Sempre dalla grande madre Russia eccoci altre prese con i Flynotes, terzetto alle prese con un progressive strumentale che porta con sé pregi e difetti derivanti dalla rinuncia alle parti vocali.

Diciamo che gli aspetti positivi, almeno in questo caso, superano di gran lunga quelli negativi, in quanto questi ragazzi ci sanno fare e, soprattutto, non abusano delle loro capacità tecniche bensì le veicolano al meglio per esplorare i diversi territori che vanno a comporre il mondo rock e metal.
Il sound si appoggia molto sul lavoro della chitarra solista, alla quale viene affidato il compito di trasportare l’ascoltatore in un piacevole viaggio che vede i suoi momenti migliori allorché è una psichedelia in quota Ozric Tentacles a prendere il sopravvento (Green Rodeo), ma anche quando vengono messe in evidenza pulsioni più metalliche (Marble) le cose non vanno affatto male.
Per il resto c’è ben poco da eccepire su un lavoro che scorre piacevolmente ma, per il quale, la natura esclusivamente strumentale diviene, come detto, il limite che impedisce una più immediata assimilazione nonché una più duratura permanenza della musica dei Flynotes nella nostra memoria.

Tracklist:
1. Dark Floyd
2. Wolf
3. Green Rodeo
4. Witch
5. Flower Machine
6. Marble
7. Harvest Time
8. Child in the Woods

Line up:
Ilya Rytov – Bass
Natalia Bogulyan – Drums
Roman Komarov – Guitars, Keyboards

FLYNOTES – Facebook

’77 – Bright Bloom

Prendete un cantante emulo di Ozzy Osbourne, un chitarrista che sciorina riff di rock blues e hard rock a metà strada tra Jimmy Page, Angus Young e Tommi Iommi ed il gioco è fatto, avrete tra le mani Bright Bloom, nuovo album dei ’77

Black Sabbath, Led Zeppelin, Ac/Dc: prendete un cantante emulo di Ozzy Osbourne, un chitarrista che sciorina riff di rock blues e hard rock a metà strada tra Jimmy Page, Angus Young e Tommi Iommi ed il gioco è fatto, avrete tra le mani Bright Bloom, nuovo album dei ’77.

I rockers spagnoli ’77, monicker che ricorda i gloriosi anni settanta, in una riproposizione di tutti i clichè di un sound ed un’era che ha fatto la storia del rock, aggiungono alla loro proposta, che fino ad oggi si ispirava in toto al gruppo australiano più famoso del rock, influenze di rock oscuro e sabbathiano (aiutati dal tono della voce del chitarrista/cantante Armand Valeta) e blues sporco di estrazione zeppeliniana.
La formula convince non poco e Bright Bloom, quinto lavoro di una carriera iniziata nel 2010 conferma i fratelli Valeta (LG è il chitarrista solista) come buoni interpreti del sound settantiano.
La formazione, che oltre ai due fratelli si avvale del contributo della sezione ritmica composta da Dani Martin al basso e Andy Cobo alla batteria, propone dunque la sua riproposizione del suono dei leggendari gruppi di cui sopra, una proposta che più vintage di così non si può, avallata da una produzione in presa diretta e completamente in analogico.
Qualche anno fa la band spagnola sarebbe stata tacciata solo di scoppiazzare in lungo ed in largo le discografie delle icone di cui vi abbiamo parlato, ma oggi, con il ritorno in auge dei suoni in voga negli anni settanta, ecco che brani come Bread & Circus, Be Crucified ed il blues di Last Chance prendono tutto un’altro significato e i ’77 si guadagnano il loro posticino nella scena europea del rock classico di estrazione settantiana.

Tracklist
1. Bread & Circus
2. Hands Up
3. Who’s Fighting Who
4. Be Crucified
5. Where Have They Gone
6. It’s Near
7. You Better Watch Out
8. Fooled By Love
9. Last Chance
10. I Want My Money Back
11. Make Up Your Mind

Line-up
Armand Valeta – Lead singer/Rhythm Guitar
LG Valeta – Lead guitar/Backing vocals
Dani Martin – Bass guitar/Backing vocals
Andy Cobo – Drums

77 – Facebook

La Morte Viene Dallo Spazio – Sky Over Giza

Sky Over Giza è un lavoro che non mancherà di affascinare gli amanti dello space rock e delle colonne sonore, un lungo rituale che dallo spazio ci giunge come avvertimento: la morte sta arrivando e non riuscirete a salvarvi.

La label genovese BloodRock Records, da anni attiva nella scena underground italiana ed internazionale, ci presenta questa misteriosa realtà space rock, dalle forti ispirazioni psichedeliche ed influenzata dalle colonne sonore dei film di fantascienza italiani usciti qualche decennio fa.

Quattro musicisti dei quali non si conoscono le generalità hanno unito le loro forze, prima con l’incontro tra La Morte (flauto) e Lo Spazio (chitarra) ed in seguito raggiunte dalle due sacerdotesse al basso ed al synth/moog, per creare musica rituale, per lo più strumentale ed estremamente affascinante.
Sky Over Giza è un ep composto da quattro brani che formano una lunga jam psichedelica, illegale come un trip, acida e liquida nel suo incedere, mentre dallo spazio la morte, sotto svariate forme, si avvicina a noi accompagnata dai suoni e dalle atmosfere cosmiche che la musica del combo milanese disegna nella nostra mente.
La title track è una lunga intro che prepara l’ascoltatore all’arrivo degli zombie dalla stratosfera e il brano (Zombie Of The Stratosphere, appunto) dà il via all’invasione, con la voce in sottofondo che recita su un tappeto di suoni space rock.
Sigu Tolo è strutturata come un brano che segue delle immagini  sfocate dal fumo del rituale che ormai è giunto al culmine, mentre la conclusiva Fever torna a muoversi tra i pianeti gassosi in attesa che la morte inizi la sua discesa sulla terra.
Sky Over Giza è un lavoro che non mancherà di affascinare gli amanti dello space rock e delle colonne sonore, un lungo rituale che dallo spazio ci giunge come avvertimento: la morte sta arrivando e non riuscirete a salvarvi.

Tracklist
1.Sky over Giza
2.Zombies Of The Stratosphere
3.Sigu Tolo
4.Fever (Bonus Track)

LA MORTE VIENE DALLO SPAZIO – Facebook

Settle Your Scores – Better Luck Tomorrow

Dischi come questo sono sempre più difficili da sentire, perché nel pop punk la tentazione di rendere il tutto molto mieloso è sempre presente, invece qui le chitarre viaggiano veloci e la batteria mena, e non sbagliano un ritornello.

I Settle Your Scores sono i diretti discendenti della scuola americana del pop punk veloce che prende qualcosa dal melodic hardcore.

Nati nel 2014, hanno debuttato nel 2016 con il disco The Wilderness, e si sono posti all’attenzione prima della scena del Midwest, poi di quella nazionale e non solo. E non potrebbe essere altrimenti ascoltando questo Better Luck Tomorrow, un disco di pop punk veloce, calibrato e dalle grandi melodie, che non manca di cattiveria quando serve, facendone un prodotto notevole. Una delle peculiarità maggiori del gruppo è il cambiare repentinamente e molto bene la velocità ed il tono della canzone, per arrivare ad un ritornello che ti rimane stampato in testa per molto tempo. I Settle Your Scores sono figli delle grandi suburbie americane, che tanto hanno dato alla musica negli anni, quando la noia regna, chi vuole fare qualcosa suona e spesso il risultato è ottimo come in questo caso. La band regala divertimento, velocità e tante melodie, con stile ed intelligenza, inserendosi in una certa tradizione, ma aggiungendo qualcosa di nuovo che rende più saporito il tutto. Ogni canzone è un potenziale singolo e Better Luck Tomorrow  è uno dei migliori album di pop punk che potrete sentire negli ultimi anni. Dischi come questo sono sempre più difficili da incontrare, perché nel pop punk la tentazione di rendere il tutto molto mieloso è sempre presente, invece qui le chitarre viaggiano veloci, la batteria mena e non c’è un ritornello sbagliato.

Tracklist
1. On the Count of Three
2. Zero Hour
3. Growing Pains – Throwing Blame
4. Dead Man Stalking
5. Keep Your Chin Up and Your Expectations Down
6. Stuck in the Suburbs
7. Rise Fall
8. Off / On
9. No Ragrets
10. Your Teeth vs. the Pavement
11. Valar Morghulis
12. My Reason to Come Back Home

Line-up
Christian Fisher – vocals
Ricky Uhlenbrock -guitar/vocals
Patrick Bryant – guitar
Jeffrey Borer – bass
Caleb Smith – drums

SETTLE YOUR SCORES – Facebook

Alchem – Viaggio Al Centro Della Terra

Viaggio Al Centro Della Terra è un bellissimo esempio dell’arte dark progressiva della quale nel nostro paese siamo precursori ed indiscussi maestri.

Sicuramente di non facile catalogazione, la musica degli Alchem è un viaggio onirico e raffinato nelle note misteriose del dark rock progressivo, un genere di culto che nel nostro paese ha trovato ammiratori, grandi band nel passato e nel presente ed etichette che ci si sono costruite meritevoli reputazioni, cullando e proponendo artisti di indiscusso spessore.

Gli Alchem sono nati quasi vent’anni fa dal connubio tra il talento del chitarrista Pierpaolo Capuano e quello della splendida interprete Annalisa Belli.
Nel corso degli anni i due musicisti hanno collaborato con vari esponenti della scena progressiva tricolore, e al duo nel frattempo si è unito il bassista Luca Minotti, che completa la line up ufficiale.
Su Viaggio al Centro della Terra troviamo ancora una serie di ospiti come Emilio Antonio Cozza (Emian) al violino, Diego Banchero (Il Segno del Comando) al basso, Manuel de Petris al violino, Paolo Tempesta al basso e alla seconda chitarra, Massimiliano Fiocco (Ragno 89) alla batteria e Alessandra Trinity Bersiani (Glareshift). Il tutto valorizza non poco un’opera affascinante, con i brani che sono flashback, immagini in bianco e nero, progressivi ed elegantemente dark, gotici nella forma più pura, sorprendentemente metallici come Il Canto Delle Sirene, sinuosi come la danza di un serpente nell’opener Behind The Door, o spettacolari nel sound che rimanda ai Goblin più duri della title track.
La Belli a tratti lascia senza fiato: stupenda sirena dark, si avvicina in I Don’t Belong Here alle vette espressive di Kate Bush, mentre la musica viaggia tra liquide parti elettroniche, ritmiche progressive di scuola King Crimson e sfuriate elettriche tra alternative rock e prog metal.
Viaggio Al Centro Della Terra è un bellissimo esempio dell’arte dark progressiva della quale nel nostro paese siamo precursori ed indiscussi maestri: l’opera, di una bellezza a tratti disarmante, vive della raffinata interpretazione della cantante così come del pathos trasmesso dai musicisti che donano emozioni a non finire nel crescendo della superba Pioggia D’Agosto, piccolo capolavoro che conclude questo imperdibile lavoro.

Tracklist
1. Behind the Door
2. Spirit of the Air
3. Il canto delle sirene
4. In My Breath
5. Viaggio al centro della Terra
6. I Don’t Belong Here
7. Butterflies Are Singing
8. Armor of Ice
9. Viaggio al centro della Terra – Fragments of Stars
10. Pioggia d’agosto

Line-up
Annalisa Belli – Vocals, Keys
Pierpaolo Capuano – Guitars, Drums, Flute
Luca Minotti – Bass & Programming

ALCHEM – Facebook

Nergard – Memorial For A Wish

Se cinque anni fa non vi siete imbattuti in Andreas Nergård e la sua opera, questa riedizione vi permette di rimediare e fare la conoscenza di un ottimo album.

Memorial For A Wish uscì nel 2013 e fu ennesima metal opera in un periodo in cui album di questo genere spuntavano come funghi dopo le piogge di fine agosto.

Andreas Nergård, musicista e compositore norvegese, ha ripreso in mano l’opera riscrivendo e ri-registrando la maggior parte delle tracce, e tramite la Battlegod Productions ne licenzia questa nuova versione.
Memorial For A Wish racconta tramite un raffinato esempio di power metal progressivo ed altamente melodico del giovane Peter O’Donnel che, nella Dublino del 1890, viene ingiustamente condannato a vent’anni di prigione lasciando la moglie incinta che morirà di parto durante la prigionia.
Come in tutte le metal opere che si rispettino anche Nergard si circonda di ospiti, specialmente per quanto riguarda il canto, con una serie di singer di cui la metà fanno parte della crema del metal classico internazionale come Ralph Scheepers, Michele Luppi, Nils K. Rue dei Pagan’s Mind, Goran Edman, Mike Vescera e Tony Mills.
Power metal, sprazzi di hard rock melodico e progressive sono gli ingredienti per esaltare il sound di cui è composto Memorial For A Wish e le sue nove composizioni che, se non raggiungono le vette di opere più famose come quelle dei vari Avantasia, Ayreon, Trans Siberian Orchestra e Genius (ma potrei citarne all’infinito), non manca di momenti atmosfericamente intensi e drammatici, raccontati con un metal che, anche nei momenti più duri, non manca di un tocco raffinato valorizzato da bellissimi duetti tra gli assi dietro al microfono.
Ottimo il lavoro sui solos chitarristici, affidato a Helge Engelke dei Fair Warning e Stig Nergard dei Tellus Requiem, e di buona qualità il songwriting che lascia trasparire qualche ingenuità ma che tiene botta per quasi un’ora di melodie e graffianti momenti heavy.
Se cinque anni fa non vi siete imbattuti in Andreas Nergård e la sua opera, questa riedizione vi permette di rimediare e fare la conoscenza di un ottimo album.

Tracklist
CD 1: “Memorial for a Wish” 2018 version
1. Angels
2. The Haunted
3. Hell On Earth
4. Stay
5. A Question Of God
6. An Everlasting Dreamscape
7. Nightfall
8. Requiem
9. Inside Memories

CD 2: “Memorial for a Wish” 2013 version
1. Twenty Years In Hell
2. A Question Of God
3. Is This Our Last Goodbye
4. Hell On Earth
5. An Everlasting Dreamscape
6. Nightfall
7. Angels
8. Requiem

Line-up
Andreas Nergård – Composer, Drums, Bass, Keyboards
Age Sten Nilsen – Vocals
Ralf Scheepers – Vocals
Goran Edman – Vocals
Mike Vescera – Vocals
Nils K. Rue – Vocals
Michele Luppi – Vocals
Andi Kravljaca – Vocals
David Reece – Vocals
Tony Mills – Vocals
Ole Martin Moe Thornes – Vocals
Sunniva Unsgard – Vocals
Helge Engelke – Guitar Solos
Stig Nergard – Guitar Solos

NERGARD – Facebook

Blue Cash – When She Will Come

I Blue Cash hanno creato un sound che, se affonda le radici nella musica di Johnny Cash, si muove tra varie pulsioni musicali che hanno attraversato sessant’anni di musica a stelle strisce, madre di tutto quello che si ascolta oggi in ambito rock.

MetalEyes è nato inizialmente per approfondire la parte metallica di In Your Eyes, ma non ha mai fatto mistero delle sue radici rock, radicate in ognuno dei suoi collaboratori, ed è per questo che un album come When She Will Come dei country bluesmen nostrani Blue Cash diventa un momento, come tanti ce ne sono stati e continueranno ad esserci, per dare spazio a suoni in apparenza lontani da quelli ai quali abitualmente ci dedichiamo.

Il quartetto friulano, formato da ottimi musicisti con svariate esperienze nel mondo musicale, suona un rock semiacustico, ispirato in primis al grande Johnny Cash, leggenda del country rock americano, musicista, compositore e poeta, amato anche da molti artisti lontani dalle corde musicali del man in black.
Da Johnny Cash la band parte per un viaggio nel rock, fatto di strade impervie, crocicchi sperduti nelle pianure polverose degli States, di blues e psichedelia, di rock’n’roll e jazz lungo una quarantina di minuti ma che potrebbe durare mezzo secolo.
I Blue Cash, quindi, non si accontentano di tributare il grande artista americano, ma esplorano con l’aiuto della sua influenza il vasto mondo della musica americana, con la personalità di chi ha il talento per marchiare a fuoco con il proprio monicker il sound di cui si compone When She Will Come.
Si passa così da brani country folk a bellissime tracce che ricordano l’assolato confine con il Messico (Stay With Me), dal rock swing di Message To A Friend al rock’n’roll venato di jazz della divertentissima Jenny Doin’ The Rock.
Andrea Faidutti (chitarra e voce), Alan Malusà Magno (chitarra e voce), Marzio Tomada (contrabasso e voce) e Alessandro Mansutti (batteria) hanno creato un sound che, se affonda le radici nella musica di Johnny Cash, si muove tra varie pulsioni musicali che hanno attraversato sessant’anni di musica a stelle strisce, madre di tutto quello che si ascolta oggi in ambito rock.

Tracklist
01.Intro Death & the Devil
02.The End
03.Junkie Man
04.Do It for Nothing
05.Stay with Me
06.King of Nothing
07.Message to a Friend
08.The Gift
09.Jenny Doin’ the Rock
10.When She Will Come
11.Outro the Devil & Death
12.Maledetti Cash

Line-up
Andrea Faidutti – chitarra e voce
Alan Malusà Magno – chitarra e voce
Marzio Tomada – contrabasso e voce
Alessandro Mansutti – batteria

BLUE CASH – Facebook

Otehi – Garden Of God

Garden Of God non è un disco da fruire velocemente, quanto un qualcosa da godere e da lasciare che ti cada dentro ascolto dopo ascolto, perché non è musica comune fatta per intrattenere, ma comunica qualcosa agli abissi che ci portiamo dentro.

Gli Otehi sono un gruppo romano che parte dallo stoner per andare molto lontano. Il loro suono è un lento e possente incedere di suggestioni sciamaniche messe in musica, come un nativo che ti prende per mano dopo aver mangiato un peyote.

Garden Of God è una mostra di delizie, e i cinque pezzi che fanno parte del disco sono tutte ottime composizioni, si prendono il tempo che devono per arrivare a destinazione, ma in realtà la destinazione non ce l’hanno, perché è il viaggio l’importante, il vero scopo del tutto. Esplorare attraverso il suono, la psichedelia arriva e si maschera, cambiando i contorni di ciò che pensavamo sicuro, cambia il gioco rendendolo più vero. Gli Otehi sono un gruppo che si differenzia per la sua impronta personale, per fare un desert stoner connotato e strutturato molto bene nel quale ogni nota ha la sua importanza, ed è una scala verso il cielo. Nato nel 2011, questo trio ha sempre portato avanti con convinzione un certo tipo di discorso musicale, riuscendo a trovare una via personale e potente. Ascoltando Garden Of God si capisce che la musica pesante può benissimo sposare la psichedelia, un matrimonio alchemico che cambia la composizione chimica di chi lo ascolta e di chi lo suona. Garden Of God non è un disco da fruire velocemente, quanto un qualcosa da godere e da lasciare che ti cada dentro ascolto dopo ascolto, perché non è musica comune fatta per intrattenere, ma comunica qualcosa agli abissi che ci portiamo dentro. Fare musica da meditare per un gruppo stoner è un gran bel obiettivo e questi ragazzi lo hanno centrato in pieno.

Tracklist
1.Sabbath
2.Naked God
3.The Great Cold
4.Verbena
5.Purified
6.Esbath

Line-up
Domenico Canino – Guitar, Effects, Voice & Tribal Instruments
Maciej Wild Mikolajczyk – Bass, Voice, Effects & Tribal Instruments
Corrado Battistoni – Drums, Percussions

OTEHI – Facebook

Dite – The Hollow Connection

Lavoro che sprigiona emozioni ad ogni passaggio, The Hollow Connection ci consegna una band notevole ed un sound maturo ed ispirato, un’altro piccolo gioiello musicale battente bandiera tricolore.

Un rock alternativo che si colora di pastelli progressivi, un quadro musicale quanto mai vario tra impulsi elettrici moderni e cambi umorali in un sound che guarda anche al passato senza perdere un briciolo di quella naturale propensione al rock del nuovo millennio che i Dite esprimono ad ogni nota di The Hollow Connection, il loro primo lavoro sulla lunga distanza.

I Dite sono sono un quartetto di musicisti originari della provincia di Belluno con esperienze in altre band con le quali si sono confrontati con generi diversi come il folk metal, l’alternative rock e il prog metal, ed unite le forze hanno dato vita al gruppo nel 2014 con l’intento di unire le loro esperienze ed ispirazioni in un unico sound.
Il loro primo ep, An Explanation, viene riproposto in nuova veste all’interno di questo nuovo lavoro: The Hollow Connection, registrato ai Nadir Studio di Tommy Talamanca, leader storico dei Sadist, in quel di Genova, risulta un’ora abbondante di rock emozionante, tecnico e fuori per lunghi tratti dai soliti schemi predefiniti che ormai incatenano la musica moderna.
I Dite fin da subito cercano una loro strada, anche se molte delle atmosfere di questo album possono portare alla mente i Tool, magari con toni meno introspettivi e più aperti a soluzioni ed emozioni delicatamente rock.
Ma i parallelismi con band più famose finiscono quando la band con maturità ci confonde piacevolmente, tra parti marcatamente pop, coinvolgenti armonie semiacustiche o elettriche sfumature alternative e post rock.
Cambiano le immagini e i colori con cui i Dite giocano con lo spartito, mettendo a disposizione dell’ascoltatore non solo un bagaglio tecnico di tutto rispetto, ma la bellissima ed emozionante voce di Mattia Fistarol.
L’album ha nelle prime tracce più spinta ed urgenza espressiva (il singolo In Pills, Leap Of Faith) per poi deliziarci con un rock progressivo d’autore e concedere almeno due brani capolavoro: Selling A Friend e God’s Bowl, dove Fistarol duetta con una splendida voce femminile.
In Sharp Eye  un canto estremo sottolinea il ritorno ad un sound più energico, sempre in bilico tra post rock e progressive e, con l’anima bagnata dalla pioggia di Seattle, ci lascia alla conclusiva e strumentale title track.
Lavoro che sprigiona emozioni ad ogni passaggio, The Hollow Connection ci consegna una band notevole ed un sound maturo ed ispirato, un altro piccolo gioiello musicale battente bandiera tricolore.

Tracklist
1.In Pills
2.Leap Of Faith
3.Fill This Page
4.If So
5.Selling A Friend
6.Normal Being
7.God’s Bowl
8.About Chance
9.Scars Of Light
10.Venus
11.Sharp Eyes
12.The Hollow Connection

Line-up
Mattia Fistarol – Vocals, Guitars
Filippo Viel – Guitars
Simone Giovinazzo – Bass
Emil Bortoluzzi – Drums

DITE – Facebook

Vendetta Red – Quinceañera

Un lavoro vario, maturo, un viaggio nel rock dell’ultimo trentennio nel quale ogni brano ha una sua ispirazione e linea guida, tra alternative, rock, elettronica, grunge, post rock e si potrebbe andare avanti elencando un’infinità di band e sottogeneri che appaiono e scompaiono tra le trame di Quinceañera.

Dopo l’esplosione del rock dalle camicie di flanella e talenti buttati via tra eroina e crisi esistenziali, Seattle ha continuato a sfornare musicisti, magari non più sotto i riflettori come negli ultimi anni del nuovo millennio, ma pur sempre fautori di un modo di fare rock che è diventato un marchio di fabbrica.

I Vendetta Red sono di Seattle, esordirono addirittura nel 1998, anno che aveva già visto affievolirsi il fermento generato da Nirvana & company e si leccava le ferite con chi cercava fortuna cavalcando un destriero ormai zoppo (Nickelback e il cosiddetto post grunge).
Quattro album nei primi cinque anni del nuovo millennio, un paio di ep e lo split targato 2005 che decretava la fine della band, almeno fino al 2010 e all’annuncio di una reunion live avvenuta al Corazon di Seattle, prima di riprendere i lavori e tornare dopo un paio di singoli con questo Quinceañera, album che ne decreta ufficialmente la rinascita anche e soprattutto qualitativamente parlando.
Un lavoro vario, maturo, un viaggio nel rock dell’ultimo trentennio nel quale ogni brano ha una sua ispirazione e linea guida, tra alternative, rock, elettronica, grunge, post rock e si potrebbe andare avanti elencando un’infinità di band e sottogeneri che appaiono e scompaiono tra le trame di Quinceañera.
Oggi i Vendetta Red sono Zach Davidson, Leif Andersen, Jonah Bergman e Burke Thomas, e sono tornati con un lavoro bellissimo, una raccolta di brani alternative rock come piace chiamarlo a molti, che spazia tra Beatles e Jane’s Addiction, Screaming Trees e Smiths, con un tocco di pazzia punk rock alla Iggy Pop e la bellezza intrinseca di un Marc Bolan ipnotico e psichedelico.
Non conosce passo incerto questo lavoro, ci ammalia con la sua verve cangiante, la sua alternanza di colori vivaci e la sua totale anarchia compositiva, mentre oggi la pioggia è cessata e a Seattle splende il sole.

Tracklist
1.Swim
2.Wild and Dangerous
3.The Dreamers
4.Encantado
5.Where There’s a Will, There’s a Pinche Guey
6.West of Birmingham
7.Deceiver
8.The Unending War
9.No Way Out
10.Acquiesce
11.Til You Have Forgiven Me
12.The Circle

Line-up
Zach Davidson – lead vocals, guitars, piano, organ
Leif Andersen – lead guitar, lap steel, mandolin, violin, keyboards, programming, synthesizers
Jonah Bergman – bass
Burke Thomas – drums, percussion

VENDETTA RED – Facebook

Madball – For The Cause

Dopo tanti anni, dischi, guai e storie di fratellanza, i Madball con For The Cause producono uno dei dischi migliori della loro discografia.

Tornano i detentori a vita della cintura di campioni di New York hardcore, i Madball, nati come progetto parallelo degli Agnostic Front (il cantante Freddy Cricien è il fratello minore di Roger Miret) nella seconda metà degli anni ottanta, in un periodo di gran fermento per la scena newyorchese.

Dopo tanti anni, dischi, guai e storie di fratellanza, i Madball con For The Cause producono uno dei dischi migliori della loro discografia. Chiunque li ami sa cosa aspettarsi, ma è proprio ciò che si vuole da loro, musica veloce, hardcore da cantare sudati ed abbracciati sotto ad un palco. In nuce nel loro suono è sempre stato presente il seme di altri generi, come l’hip hop, infatti l’hardcore newyorchese è stato fondamentale in ciò, con i Biohazard migliore esempio di questo ibrido sonoro. Come il titolo di una canzone di questo disco, i Madball sono Old Fashioned, vecchia scuola che però parla e dialoga con i giovani, e questo disco suona davvero fresco e veloce. Da qualche anno i Madball stanno vivendo una seconda giovinezza, sono sempre più amati e For The Cause è la testimonianza sonora di questo momento di grazia. Per chi pensa che l’hardcore sia solo violenza, si vada a vedere un concerto dei Madball o senta questo disco, ci sono più valori che in tanti proclami o pose. Certamente gli anni passano e nessuno, né loro né noi, ha più vent’anni ma se l’età fa fare dischi così, i Madball saranno ancora lì nei prossimi venti anni. Hardcore, amicizia, birra e la strada, i Madball hanno un’identità ben definita, newyorchesi ed ispanici, hardcore con venature oi e rap. Es Tu Vida è il pezzo in castigliano che rende omaggio alle loro radici e fa pensare che un disco in questa lingua sarebbe bellissimo.
Per la causa i Madball ci sono sempre.

Tracklist
1. Smile Now Pay Later
2. Rev Up
3. Freight Train
4. Tempest
5. Old Fashioned
6. Evil Ways feat. Ice T
7. Lone Wolf
8. Damaged Goods
9. The Fog feat. Tim Timebomb
10. Es Tu Vida
11. For You
12. For The Cause
13. Confessions

Line-up
Freddy Cricien: Vocals
Hoya Roc: Bass
Mike Justian: Drums

MADBALL – Facebook

Armonite – And The Stars Above

Affascinante progetto che troverete sicuramente tra le uscite prog, ma che in realtà di progressive classico ha solo la musicalità totale della propria proposta.

Gli Armonite sono nati per volontà di due musicisti classici residenti a Pavia nel 1996, (Paolo Fosso e Jacopo Bigi): il primo lavoro si intitola Inuit, uscito nel 2000, prima di una lunga pausa ed il ritorno con il secondo lavoro, The Sun Is New Each Day, licenziato nel tre anni fa e che vede la band completarsi con Colin Edwin al basso (Porcupine Tree) e Jasper Barendregt alla batteria.
And The Stars Above è dunque il nuovo lavoro, un’opera interamente strumentale se si esclude l’intervento della splendide voci delle cantanti Diletta Fosso e Maria Chiara Montagnari, a rendere elegante e raffinata l’atmosfera di brani come l’opener The March Of The Stars, Ghosts o Clouds Collide.
Dotati ovviamente di una tecnica strumentale di altissimo livello, gli Armonite danno vita a questo viaggio nella musica classica supportata dalla una sezione ritmica rock, con violino elettrico e tastiere protagonisti indiscussi dello spartito, anche se i cambi di tempo ritmici non mancano nei brani più spinti (Blue Curaçao, What’s The Rush?).
Ne esce un lavoro piacevole, sicuramente originale nel suo andamento, che evita confronti con altre realtà per cercare una sua strada, trovando probabilmente più estimatori nel mondo della musica progressiva, abituati alle digressioni classiche delle band storiche del progressive rock (E.L.P.).
And The Stars Above conferma il talento e la bontà della proposta dei musicisti e compositori nostrani: un’opera a suo modo interessante che coniuga ancora una volta musica classica e rock, due mondi molto più vicini di quanto si possa pensare.

Tracklist
1.The March Of The Stars
2.Next Ride
3.District Red
4.Plaza De España
5.Clouds Collide
6.Blue Curaçao
7.By Heart
8.Freaks
9.By The Waters Of Babylon
10.The Usual Drink
11.What’s The Rush?
12.Ghosts

Bonus Track
13.A Playful Day (for Strings Quartet)
14.The Fire Dancer (for Piano Solo)

Line-up
Paolo Fosso – Piano, Keyboards
Jacopo Bigi – Violin

Alberto Fiorani,Colin Edwin, Giacomo Lampugnani, Gianmarco Straniero – Bass
Corrado Bertonazzi, Emiliano Cava,Jasper Barendregt – Drums
Diletta Fosso, Maria Chiara Montagnari – Vocals

ARMONITE – Facebook