Ghost – Prequelle

I Ghost sono gli Abba dei tempi moderni, fanno musica teatrale o teatro musicale, sono la quintessenza del pop di qualità, proprio come i connazionali lo furono anni fa.

I Ghost sono gli Abba dei tempi moderni, fanno musica teatrale o teatro musicale. Sono la quintessenza del pop, proprio come i connazionali lo furono anni fa.

Sgombriamo subito il campo dalla voce che è sempre girata fin dal loro primo disco, ovvero che siano i nuovi Mercyful Fate: con i danesi non hanno da spartire e lo si può benissimo ascoltare qui. La strada intrapresa è quella che abbiamo sentito in Meliora, rock pop con connotazioni molto a stelle e strisce; rispetto ai lavori passati Prequelle ha un respiro operistico, perché ci sono anche pezzi strumentali che danno un valore diverso al tutto. Le canzoni catturano molto bene l’attenzione dell’ascoltatore, e come nei dischi passati quasi tutti i pezzi sono delle potenziali hit. Una recensione dei Ghost non è fatta per convincere chi non li ama, perché essi rimarranno fermi sulle loro posizioni, ma è uno sprone ad ascoltarli senza preconcetti. L’aura satanica rimane, ma è più che altro un colpo di teatro, anche se i testi sono interessanti come sempre e trattano dell’uomo e della sua vita carnale e spirituale, di una parabola che non si esaurisce in terra, ma è un qualcosa che supera la nostra vita. Un’altra peculiarità molto importante dei Ghost è il riuscire a dare un sapore ottocentesco, un tocco di feuilleton ad un rock pop che si ispira molto alle atmosfere dell’ultimo ottocento e del primo novecento. Le capacità compositive del gruppo svedese crescono disco dopo disco, e dove non arriva l’ispirazione c’è il mestiere ad aiutarli. Una delle novità è qualche composizione dal sapore prog, soprattutto grazie al gran lavoro delle tastiere, come in Miasma, una piccola suite di poco più di cinque minuti che ci mostra un lato nascosto del pianeta Ghost, e che potrebbe avere sviluppi molto interessanti, anche perché nell’ultima parte del pezzo parte un assolo di sassofono davvero sorprendente e molto adeguato. Alcuni ritornelli possono essere considerati troppo radiofonici, ma questo è pop di alta qualità ed è musica che non può essere criptica, ma deve raggiungere le persone; non scordiamoci che, a parte forse il primo album, i Ghost scrivono musica per essere suonata dal vivo. Prequelle è un lavoro più profondo di Meliora, possiede la solita forza del gruppo svedese, ma anche sostanziali novità, e cosa più importante, è un lavoro di grande qualità.

Tracklist
1. Ashes
2. Rats
3. Faith
4. See The Light
5. Miasma
6. Dance Macabre
7. Pro Memoria
8. Witch Image
9. Helvetesfönster
10. Life Eternal

GHOST – Facebook

Gunjack – Totally Insane

I Gunjack seguono gli insegnamenti di Lemmy in modo perfetto, ma, a differenza di altri, la personalità e la convinzione nei propri mezzi ed in quello che suonano diventa determinante per la riuscita di questa raccolta di brani.

Sarà che, ogni tanto, di sano, robusto e cattivo rock’n’roll se ne ha bisogno come il pane, sarà che in fondo Lemmy ci manca, sarà che quando lavori come questo nascono da chi ha le giuste doti e l’attitudine per non sembrare solo un clone, ma all’ascolto di Totally Insane, debutto dei Gunjack, ci si ritrova pieni di bernoccoli a causa delle capocciate provocate dal sound irresistibile e motorheadiano di questa fulminate raccolta di brani.

Il trio di rockers è composto da vecchie conoscenze della scena hard & heavy tricolore, una band pronta ad assaltare i nostri padiglioni auricolari con quello che risulta 100% Motorhead Style, con Lemmy che da lassù (o da laggiù) applaude tra una golata di whiskey ed una sigaretta.
Totally Insane è probabilmente l’album più bello che sia uscito negli ultimi anni tra quelli che rispecchiano in toto il credo musicale di chi ha inventato un genere ed un sound immortale.
I Gunjack seguono gli insegnamenti di Lemmy in modo perfetto, ma, a differenza di altri, la personalità e la convinzione nei propri mezzi ed in quello che suonano diventa determinante per la riuscita di questa raccolta di brani.
Prodotto magnificamente e suonato al meglio, l’album travolge ogni cosa spinto da una carica irrefrenabile, undici calci nelle natiche a chi pensa che suonare rock’n’roll di matrice motorheadiana sia obsoleto.
Vecchia scuola o come si dice oggi old school, mettetela come volete, ma dall’opener 4B4Y la band passa idealmente in rassegna il meglio della discografia del gruppo britannico, rivelandosi una perfetta macchina da guerra che ci rinfresca la memoria con una serie di bordate micidiali (Black Mark, Into The Fire, Old Guard) .
Mr.Messerschmitt (voce e basso), Gamma Mörser (chitarra) e M47 (batteria) hanno dato vita ad un terremoto sonoro, occhio all’inevitabile tsunami rock’nroll che vi travolgerà.

Tracklist
1.4B4Y
2.Totally Insane
3.Black Mark
4.Bloodbath
5.Into the Fire
6.Seven
7.Old Guard
8.Cry of Demon
9.Iron Cross
10.Mr.Daniels
11.Outro

Line-up
Mr.Messerschmitt – Vocals, Bass
Gamma Mörser – Guitars
M47 – Drums

GUNJACK – Facebook

Pacino – Fallen America

Album che ha l’unico difetto di durare solo mezz’ora, Fallen America risulta un sorprendente sunto di una buona fetta di rock suonato negli ultimi decenni, moderno e personale, assolutamente letale come un sicario tra i tavoli di un bar.

Atmosfere noir, scene del crimine che si disegnano nella nostra mente risvegliando immagini di pellicole storiche come Il Padrino o C’era una Volta In America, portate però dalla musica in un contesto più moderno alla C.S.I.

Fallen America è un album originale, alternativo ma dallo spirito rock’n’roll, essenziale ma nello stesso tempo pieno come una colonna sonora, riassunto in musica di una storia portata sullo schermo ma nuda di emozioni se non accompagnata dalle giuste note.
I Pacino sono un gruppo nostrano, in arrivo dalla laguna veneziana, e arrivati agli studi di Atomic Stuff dove Oscar Burato ha mixato e masterizzato Fallen America, album composto da otto brani di alternative rock personale ed alquanto originale, una sorpresa fin dalla title track che fa da opener a questo viaggio musicale, tra suoni distanti tra loro solo all’apparenza ma perfettamente assemblati in un unico sound.
Synth-Bass al posto del basso classico, suoni moderni e liquidi, tastiere classiche, chitarre metal e voce interpretativa e a tratti filtrata, compongono questo quadro musicale che ci presenta l’immagine di un massacro, una resa dei conti drammatica e tragica.
Anni novanta, la scena rock mondiale, il grunge da una parte ed i suoni alternativi dall’altra, così che ci si ritrova tra un album hard rock dei Soundgarden, micidiali schegge elettroniche suonate dai Nine Inch Nails e la musica totale dei grandi Faith No More , tutte espressioni musicali plasmate a piacimento dai Pacino per creare un sound difficile da trovare in giro di questi tempi.
E’ splendida Lately, brano noir con la linea di synth che entra prepotente nel petto come la pallottola di una Beretta sparata a bruciapelo, mentre Desert Trip è un blues moderno, Out The Cage risulta un brano 100% NIN e il vocalist Mattia Briggi si trasforma in Mike Patton nel capolavoro Iknusa.
Album che ha l’unico difetto di durare solo mezz’ora, Fallen America risulta un sorprendente sunto di una buona fetta di rock suonato negli ultimi decenni, moderno e personale, assolutamente letale come un sicario tra i tavoli di un bar.

Tracklist
01. Fallen America
02. Lately
03. Lifestyle
04. Desert Trip
05. Out Of The Cage
06. Iknusa
07. The Misanthrope
08. Under My Feet

Line-up
Mattia Briggi – Vocals
Francesco Bozzato – Guitars
Bruno Zocca – Keyboards&synths
Douglas D’Este – Drums

PACINO – FAcebook

Six Circles – New Belief

Lo stile musicale dei Six Circles è unico, riceve ispirazione da molti generi, dalla psichedelia al blues, dal rock anni sessanta più lascivo a musica adatta per riti fra strani tappeti.

Duo d’eccezione, composto da Sara Montenerro dei grandissimi Messa e anche nei Restos Humanos, e Giorgio Trombino, uno che fa ottima musica negli Haemophagus, Assumption, Elevators to the Grateful Sky e Furious Georgie.

Insieme hanno messo su i Six Circles per produrre questo New Belief, che è uno splendido viaggio lisergico per diversi mondi mentali grazie ad un suono vintage ma rielaborato molto bene. Lo stile musicale dei Six Circles è unico, riceve ispirazione da molti generi, dalla psichedelia al blues, dal rock anni sessanta più lascivo a musica adatta per riti fra strani tappeti. Sara possiede un modo di cantare che proietta direttamente la nostra mente in un posto molto lontano, dove si sta certamente meglio che nella nostra attuale sistemazione. New Belief sembra un manifesto di una religione sorta nella California degli anni sessanta, dove si predica una spiritualità legata alla carnalità, una consapevolezza che la vita è sogno e bisogna viverla così. L’incedere del disco svela molte sorprese, ma è soprattutto la coscienza alterata che provoca la peculiarità maggiore del disco. Là dove molti imitano, Sara e Giorgio ti prendono dolcemente per mano, con un talento mai in discussione, riuscendo a fare un disco che piacerà a molti. Non manca una parte importante di acid folk che rende il tutto ancora più bello. L’album è stato registrato fra Padova e Palermo in tre mesi, per un risultato davvero buono.

Tracklist
1.New Belief Begins
2.Blue Is The Colour
3.Come, Reap
4.Time Of Erosion
5.The Prism
6.Sins You Hide
7.Late To Awake
8.Take Me To Your Desert
9.Lavender Wells

Line-up
Sara Montenegro – voce e tamburello
Giorgio Trombino – chitarre acustiche ed elettriche, basso, batteria, piano, harmonium, synth, armonica, percussioni

SIX CIRCLES – Facebook

Aeren – Breakthru

Un debutto che si rivela una partenza ideale gli Aeren, bravi nell’abbinare grinta ed eleganza in un alternative rock piacevole ed accattivante.

La scena alternative tricolore continua a sfornare ottime realtà che, ognuna a modo proprio, arricchiscono il mondo della musica rock con lavori di buon livello, magari non troppo originali ma sicuramente ben confezionati e dal taglio internazionale.

Da nord a sud le band che presentano debutti interessanti non mancano ed ogni mese presentare ai lettori una manciata di nuovi lavori made in Italy è diventata una piacevole abitudine.
Gli Aeren, per esempio, sono un quartetto pugliese fondato da Simone D’Andria (chitarra) e Simone Solidoro (basso, tastiere, pianoforte) nel 2014, raggiunti da Silvia Galetta (voce) e Cosimo De Marco (batteria) a completare la formazione.
Il loro ep omonimo è targato 2015 e ha fornito la possibilità di iniziare l’avventura nel mondo del rock tra concerti e video promozionali, in attesa di dare alle stampe Breakthru, primo lavoro sulla lunga distanza rilasciato da Sliptrick Records, affidando il mastering a Giovanni Versari, vincitore del Grammy Award per Drones, l’ultimo album dei Muse.
Breakthru soddisfa le aspettative degli amanti del rock alternativo moderno: il quartetto si affida alla voce dall’ottimo appeal della suadente e graffiante Silvia Galetta ed alla chitarra di Simone D’Andria, il quale non rinuncia alla potenza quando il sound si avvicina all’alternative metal, accompagnati da una sezione ritmica ben presente e tastiere che concedono buoni spunti elettronici.
Il bersaglio viene centrato con i due singoli, Breath Of Air e Wrong Reactions, ma è tutto l’album che convince e strappa un giudizio più che buono, grazie ad un songwriting studiato alla perfezione ed una raccolta di canzoni che miscela piacevolmente Muse e Lacuna Coil con suoni che alternano ispirazioni new wave e post grunge.

Tracklist
1.Time Flux
2.Wrong Reactions
3.Preachers
4.Shooting Stars
5.[Prelude]
6.Breath of Air
7.Our Flaws
8.Lightheartedness
9.Don’t Fall Apart
10.In the Wall
11.No Way for Crying
12.Bad Weakness
13.Breath of Air (full version) (bonus track) –

Line-up
Silvia Galetta – Vocals
Simone D’Andria – Guitars
Simone Solidoro – Bass, Keyboards
Cosimo De Marco – Drums

AEREN – Facebook

The Damned – Evil Spirits

Evil Spirits è comunque una buona prova per un gruppo che difficilmente sbaglia disco, anche se i vecchi Damned erano tutt’altra cosa.

Nuovo capitolo di una delle carriere più lunghe e tenaci della storia del punk rock.

Secondo molti i The Damned furono i primi a pubblicare un singolo ed un disco punk rock nonché i primi ad andare in tour negli States. Come si può facilmente intuire la questione è più complicata, ma questa non è la sede adatta per dirimerla. I The Damned sono stati invece sicuramente il primo gruppo punk rock ad introdurre forti elementi gothic nella loro opera. Evil Spirits è la loro prima apparizione su disco dal 2008, quando pubblicarono So, Who’ S Paranoid, e ha visto la luce grazie alla raccolta fondi dei fans: si tratta di un lavoro pop gothic, molto inglese nella sua essenza, ovvero con melodie e atmosfere quasi alla Smiths e con il cantato di Vanian che è, come sempre, una delle cose migliori dei Damned. Il confronto con i dischi passati è impossibile da fare, perché i Damned prima erano un’altra cosa, e comunque anche questo disco è qualitativamente buono. Un po’ come per l’ultimo disco dei The Adicts, i suoni fin troppo curati e i volumi contenuti non riescono a rendere quella magia degli anni passati, anche se l’intelaiatura è presente. Il disco è scorrevole, l’organo di Monty Oxymoron fa un grandissimo lavoro, anzi è forse l’attore protagonista, però si sente che i The Damned portano a casa il risultato perché sono un gruppo che ha molto talento e mestiere, che contrappongono alla mancanza di idee. E allora si buttano sulla melodia, che certamente non è mai mancata, e grazie a questa si salvano. Ci sono canzoni migliori delle altre, e forse se la durata media delle stesse fosse minore il discorso sarebbe più compatto. Evil Spirits è comunque una buona prova, per un gruppo che difficilmente sbaglia disco, anche se, come detto,  i vecchi Damned erano tutt’altra cosa.

Tracklist
01. Standing On The Edge Of Tomorrow
02. Devil In Disguise
03. We’re So Nice
04. Look Left
05. Evil Spirits
06. Shadow Evocation
07. Sonar Deceit
08. Procrastination
09. Daily Liar
10. I Don’t Care

Line-up
David Vanian – Vocals
Captain Sensible – Guitar
Monty Oxy Moron – Keyboard
Pinch – Drums
Paul Gray – Bass

THE DAMNED – Facerbook

Palmer Generator – Natura

L’album è un viaggio tra lo psych rock strumentale in cui l’urgenza heavy è a disposizione di uno spartito dilatato e a tratti liquido, con quattro brani semplicemente intitolati Natura e numerati di conseguenza, scarni e perfetti nella loro dinamica.

La scena underground tricolore alternative e psichedelica ci ha regalato in questi anni non pochi lavori di un certo spessore, enfatizzati da una componente metallica che negli ultimi tempi ne ha fatto oggetto d’interesse anche per gli amanti dei suoni heavy.

Da Jesi arriva la famiglia Palmieri, con padre, zio e nipote che formano i Palmer Generator, trio che ci presenta la sua terza fatica discografica intitolata natura.
Shapes (2014) e Discipline (2016) sono i precedenti lavori di questa realtà psichedelica molto affascinante, che amalgama stoner, musica heavy e post rock e lo tramuta in una manciata di jam acide, difficili da digerire se avete in mente la solita forma canzone, molto più suggestive se l’approccio al disco è come ad un quadro astratto dove i colori formano su tela quello che la nostra immaginazione fotografa.
L’album è un viaggio tra lo psych rock strumentale in cui l’urgenza heavy è a disposizione di uno spartito dilatato e a tratti liquido, con quattro brani semplicemente intitolati Natura e numerati di conseguenza, scarni e perfetti nella loro dinamica.
Registrato presso il Caffiero Studio di Alessandro Gobbi, Natura espande sensazioni, si nutre di musica cosmica e la traduce in quaranta minuti di rock oltre le barriere ed i generi, rivelandosi un’opera di difficile catalogazione ma a suo modo atmosfericamente affascinante.

Tracklist
1.Natura 1
2.Natura 2
3.Natura 3
4.Natura 4

Line-up
Tommaso Palmieri – Guitars
Michele Palmieri – Bass
Mattia Palmieri – Drums

PALMER GENERATOR – Facebook

Death Alley – Superbia

La varietà del songwriting potrebbe far storcere il naso a più di un ascoltatore, ma passate le prime burrasche motorheadiane che portano nuvoloni color cremisi, il sound dei Death Alley si apre all’ascoltatore come un libro aperto e sfogliato dalla rude carezza del vento.

La scena rock/metal olandese, spesso dimenticata a favore di quelle statunitensi e nord europee, ma altrettanto importante, ha sempre regalato gruppi e realtà di un certo spessore specialmente in generi come il metal estremo.

Si osa e molto nei Paesi Bassi parlando di musica, una libertà di espressione che ha portato alla nascita di band originali o comunque coraggiose nel proporre la loro idee di musica rock.
I Death Alley sono una di queste: attivi da circa sei anni e con una discografia che vede, oltre ad una manciata di lavori minori, un album licenziato nel 2015 dal titolo Black Magic Boogieland e la firma con la Century Media, tornano sul mercato con Superbia, lavoro che nel suo essere assolutamente vintage brilla per personalità, con quel tocco di insana originalità che contribuisce ad una innata follia artistica.
D’altronde non è così semplice inglobare in un sound che all’apparenza risulta scarno, poco lavorato e dal mood rituale e fumoso, schegge punk rock, jam psichedeliche e mood progressivo facendone un piccolo scrigno di musica old school ma ben salda nel presente musicale, in questo inizio di millennio.
La band, guidata dal chitarrista Oeds Beydals, ci consegna un album che senza alcuna riverenza amalgama King Crimson e Motorhead, The Stooges e Hawkwind, Mc5 e primi Pink Floyd, passando da brani diretti e garage punk come The Chain o Shake The Coil, a lunghe jam progressive/psichedeliche come l’opener Daemon, Feeding The Lions o la conclusiva The Sewage.
Ovviamente al primo ascolto la varietà del songwriting potrebbe far storcere il naso a più di un ascoltatore, ma passate le prime burrasche motorheadiane che portano nuvoloni color cremisi, il sound dei Death Alley si apre all’ascoltatore come un libro aperto e sfogliato dalla rude carezza del vento.
Abituati ormai da alcuni anni al ritorno di sonorità che credevamo ormai esclusiva di rocker nostalgici, Superbia non può che diventare un punto fermo degli ascolti dei giovani amanti del rock di scuola 60’/70′, mentre la curiosità per dove andrà a parare il sound del gruppo olandese è pari alla sua imprevedibilità.

Tracklist
01. Daemon
02. The Chain
03. Feeding The Lions
04. Headlights In The Dark
05. Shake The Coil
06. Murder Your Dreams
07. Pilgrim
08. The Sewage

Line-up
Douwe Truijens – Lead Vocals
Oeds Beydals – Guitars, Backing Vocals
Sander Bus – Bass
Uno Bruiniusson – Drums

DEATH ALLEY – Facebook

Super Trutux – Trilogia dell’Halibut

Usando l’hardcore melodico i Super Trutux ci portano in profondità dentro i gangli che hanno causato la degenerazione nostra e della società, e ci rendono partecipi del nostro dolore.

La Trilogia dell’Halibut è una raccolta che ri-aggrega in una unica opera i tre video-album Halibut Sociale, Halibut Ambientale e Halibut Individuale, realizzati dai Super Trutux nel periodo tra il 2010 e il 2017.

L’ intenzione dei Super Trutux è quella di concepire un’opera totale, con musica e video che vanno di pari passo dall’atto creativo a quello dell’esposizione. I tre dischi si possono gustare ora nella loro interezza e di seguito, e lo sguardo d’insieme accresce il valore dell’opera. I tre video album formano un corpus unico, un’opera unica nel suo genere ed ambiziosamente proletaria, nel senso che rappresentano un lavoro dal basso che illustra magistralmente meccanismi che regolano le nostre vite e che ci schiacciano ogni giorno. Usando l’hardcore melodico i Super Trutux ci portano in profondità dentro i gangli che hanno causato la degenerazione nostra e della società, e ci rendono partecipi del nostro dolore. La musica potrebbe essere addirittura definita come hardcore melodico progressivo, che mette nella giusta tensione psicologica per andare avanti in questo abisso. Il primo dei tre dischi, Halibut Sociale, descrive come funziona l’economia nel nostro mondo, e qui ci sono i prodromi della distruzione, che è come un circolo vizioso, perché per vivere perpetriamo un capitalismo davvero inumano, che porta poi al secondo disco della serie. Il secondo episodio è l’Halibut Ambientale, seconda tappa della nostra degenerazione, e parla sia dell’abbrutimento ambientale, sia dell’ambiente sociale, che dell’ambiente dentro e fuori da noi. Come nel primo disco la voce narrante, che è giustamente inquietante ed incalzante, ci porta per il labirinto. Il tutto è davvero ben calibrato e con ottimi risvolti, induce a pensare, e pensare fa sempre bene. Arriviamo quindi al terzo ed ultimo atto dell’opera, l’Halibut Individuale. Quest’ultimo è il risultato degli altri due Halibut, ovvero una psicosi generata da una continua esposizione ad un ambiente negativo, che frammenta l’anima e l’essere umano, e lo porta a fratturasi dentro. La Trilogia dell’Halibut è qualcosa di unico, sia per la profondità, sia come riuscita. Non è solo un disco, non è solo un video, è molto altro e va oltre. Si entra nei nervi della società nella quale sopravviviamo e nemmeno sempre. Un disco che spiega più di molti libri la nostra vita, inevitabilmente persa nell’halibut.

Tracklist
01 – Halibut della società del malessere
02 – La società del malessere
03 – Halibut della tecnologia
04 – La tecnologia
05 – Halibut di Adam Smith
06 – Adam Smith
07 – Halibut del monetarismo
08 – Monetarismo
09 – Halibut della fiducia, dell’etica e del decoro
10 – Fiducia, etica e decoro
11 – Halibut della carenza e della scarsità
12 – Carenza e scarsità
13 – Halibut dell’utopia del benessere sociale
14 – Utopia del benessere sociale
15 – Il cerchio aperto
16 – Gli stimoli ambientali devianti
17 – Una idea molto fuorviante
18 – Buddha
19 – L’inverno della fame olandese
20 – La predisposizione
21 – La teoria della fase zero
22 – Il ricordo del proprio passato
23 – Le conseguenze negative dell’ambiente
24 – La metamorfosi
25 – Il cerchio chiuso
26 – L’orlo del precipizio
27 – L’inizio delle emicranie
28 – Il sovraccarico mentale
29 – Il caos nel cervello
30 – Il graduale spegnimento interiore
31 – Il conflitto con l’io
32 – L’insonnia
33 – Il disagio
34 – I tentativi di guarigione
35 – Il fallimento dei tentativi di guarigione
36 – La voce nella testa
37 – L’ossessione
38 – La resa

Line-up
Bennetts: Batteria
Drino: Basso
Folsi: Chitarra

SUPER TRUTUX – Facebook

Nereis – Turning Point

Turning Point è un album vario e moderno ma che mantiene un approccio classico, formato da belle canzoni e suonato al meglio: si può dire quindi che i Nereis hanno superato ogni aspettativa.

Da più di dieci anni attivi nella scena underground metallica tricolore, i trentini Nereis giungono al secondo lavoro sulla lunga distanza licenziato da Eclipse Records.

I Black Star (così si chiamavano fino allo scorso anno), dopo qualche problemino di line up, un esordio uscito nel 2012 dal titolo Burnin ‘Game e l’ep From the Ashes di tre anni dopo, hanno avuto la possibilità di suonare live con buona frequenza, mettendo in saccoccia un bel po’ di esperienza che è sicuramente servita per dare alle stampe questo buon lavoro dal titolo Turning Point.
Heavy metal e hard rock progressivo e melodico in un contesto moderno, rivestono la raccolta di brani e testimoniano  di un gruppo convincente nelle sue varie influenze assimilate per benino e sfruttate in toto per creare brani dal forte impatto, ricchi di  tecnica ed attitudine e valorizzati da arrangiamenti che guardano più alla scena moderna che quella classica.
Un buon mix che la bravura dei musicisti valorizza con cambi di tempo e solos che sono rasoiate, impreziosite da chorus di scuola hard rock, melodici ed accattivanti così come la voce del cantante, protagonista di una prova straordinaria.
Turning Point non conosce intoppi, forte di una serie di brani trascinanti che fino alla sesta traccia (Now) sono un susseguirsi di colpa di scena.
Unity, la melodica Ready For War, la super heavy Overdrive saltano da un genere all’ altro, tra hard rock melodico, heavy metal ed alternative fondendo abilmente King’s X, Alter Bridge, Symphony X e Gotthard.
What Is Wrong What Is Right torna alle montagne russe musicali dopo la parentesi One Time Only/The Wave,  ballata spezza ritmo dove ci si riposa prima del finale.
Turning Point è un album vario e moderno ma che mantiene un approccio classico, formato da belle canzoni e suonato al meglio: si può dire quindi che i Nereis hanno superato ogni aspettativa.

Tracklist
1.Unity
2.Ready for War
3.Breaking Bad
4.Overdrive
5.Two Wolves
6.Now
7.One Time Only
8.The wave
9.What is Wrong And What Is Right
10.Induced Extinction
11.Born To Fly
12.We Stand As One

Line-up
Andrea “Andy” Barchiesi – Vocals
Samuel “Sam” Fabrello – Guitar
Mattia “Pex” Pessina – Guitar
Gianluca “Gian” Nadalini – Bass
Davide “Dave” Odorizzi – Drums

NEREIS – Facebook

L’Ora X – Sottovoce

E’ innegabile il fatto che i fratelli Mangano siano riusciti ad usare in modo assolutamente perfetto la lingua italiana in un sound dal taglio internazionale, tra rabbiosi growl, sentite parti melodiche e ritmati passaggi rap metal, così da creare un lavoro piacevole, duro, melodico e composto da undici bellissime canzoni.

In ritardo sull’uscita targata 2017, il primo lavoro dei fratelli Mangano (Gabriele e Ilario, degli Yattafunk) merita sicuramente di essere portato all’attenzione dei lettori di MetalEyes dai gusti alternativi.

Sottovoce, infatti,  è un album composto da dieci brani (più la cover di Non é Francesca di Battisti) che formano un concept sull’amore e le sue sfumature, raccontato dal duo tramite un sound che si nutre di quel nu metal che fece sfracelli tra la fine del secolo scorso e l’alba del nuovo millennio, senza perdere di vista l’alternative rock tricolore.
Cantato (benissimo) in lingua madre, Sottovoce vede la partecipazione in studio di Wahoomi Corvi (responsabile degli arrangiamenti), che i lettori conoscono per il suo importantissimo lavoro in tante opere targate Wormholedeath, e Mika Jussila, alle prese con il master ai Finnvox Studios in Finlandia.
L’album mantiene le promesse, in un susseguirsi di atmosfere che vanno dalla rabbia alla malinconia, dalla disperazione alla gaudente felicità che l’amore porta inevitabilmente con sé, e la musica accompagna questo saliscendi emozionale tra esplosioni metalliche, rock e rap.
E’ innegabile il fatto che i fratelli Mangano, con il marchio L’Ora X, siano riusciti ad usare in modo assolutamente perfetto la lingua italiana in un sound dal taglio internazionale, tra rabbiosi growl, sentite parti melodiche e ritmati passaggi rap metal, così da creare un lavoro piacevole, duro, melodico e composto da undici bellissime canzoni.
Difficile trovare brani meritevoli d’attenzione più di altri, Sottovoce va ascoltato nella sua interezza, e se magari può sembrare in ritardo di qualche anno a livello di sound, vi apparirà davvero intenso se godete della musica aldilà delle mode del momento.
Ed allora, tra le trame di Lebbracadabra, Io Ci sarò, Quello Che I Miei Occhi Non vedono e Daimyo troverete splendide note accostabili a Limp Bizkit, Adema, Non Point e Timoria, quindi niente di originale, ma davvero ben fatto.

Tracklist
1.Animae
2.Lebbracadabra
3.Gaius Baltar
4.Non é Francesca
5.Io Ci sarò
6.Quello Che I Miei Occhi Non vedono
7.Sweet Home Roma est
8.Che Sarà Di Noi
9.Daimyo
10.X
11.Sottovoce

Line-up
Gabriele Mangano- Voce, Chitarra, Batteria, Tastiere
Ilario Mangano – Chitarra, Basso

Arrangiamenti: Ilario Mangano, Gabriele Mangano, Wahoomi Corvi

L’ORA X – Facebook

Mata – Atam

Non è musica facile e non lo vuole essere, ma è davvero affascinante e colpisce nel segno, traccia dopo traccia, andando a pescare il meglio del vero underground italiano, e rielaborandolo in maniera del tutto nuova ed originale, come un big bang di morte e cellule sporche.

Maschere, rumore, ansia, facendo cadere il velo delle nostre piccole incertezze. Siamo certi che sia meglio raccontare che tutto è tranquillo e dobbiamo pensare positivo e restare sereni?

Non sarebbe forse meglio liberare il rumore e sbattere la testa contro il muro della nostra quotidiana e continua marcia di avvicinamento alla morte? I Mata ci offrono come sonici Morpheus una pillola blu o rossa, sta a noi scegliere. Se scegliete di ascoltare Atam allora aspettatevi di tutto, non-musica, noise saturante, frasi molto precise come automi in Westworld, una poetica da megalopoli del 2300. Dalla provincia italiana arrivano questi alieni musicali che fanno un qualcosa che spazza via il mainstream ma soprattutto il finto alternativo. Non ci sono pose o stilemi, ma dittatura del rumore e orgasmi di macchine e strumenti, ultimi rantoli e vagiti delle future bestie. Non è musica facile e non lo vuole essere, ma è davvero affascinante e colpisce nel segno, traccia dopo traccia, andando a pescare il meglio del vero underground italiano, e rielaborandolo in maniera del tutto nuova ed originale, come un big bang di morte e cellule sporche. Il cantato in italiano è un valore aggiunto per una visione musicale che è di valore, e che soprattutto non vuole essere la solita zona di comfort anche quando si proclama alternativa. Qui ci sono aggressioni sonore ed imboscate sonore, ruggiti di demoni maledetti e poesie di chimica bellezza. I Mata sono un progetto parallelo dei Nevroshockingiochi, e hanno fatto questo lavoro concepito in quattro movimenti musicali di catarsi e merda in faccia. Non si sente spesso un qualcosa di così forte e nemmeno di così strutturato, che passa dal glitch all’idm, dal noise all’ambient.
Benvenuti nel nostro futuro, siete pregati di non staccare la siringa dal braccio.

Tracklist
Zero Uno – Movimento Uno
Zero Due – Movimento Due
Zero Tre – Movimento Tre
Zero Quattro – Movimento Quattro

Line-up
Massimo Marini
Mauro Mezzabotta
Emanuele Sagripanti
Alessandro Bracalente

MATA – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=HMLTiat_Tyw

Descrizione Breve

Labyrinthus Noctis – Opting For The Quasi-Steady State Cosmology

Il gruppo milanese fa un disco che commuove e che, come accadeva in alcuni concept prog degli anni settanta, porta l’ascoltatore lontanissimo, ponendo la maggiore distanza possibile fra lui e la Terra, luogo di eterno dolore.

Disco esoterico di gothic prog metal, una magia per ricordarci che non apparteniamo a questa terra, e che questa terra non è la nostra casa, ma siamo fatti per andare oltre, molto oltre, forse verso Marte che è il protagonista di questa terza prova dei milanesi Labyrinthus Noctis, un gruppo che difficilmente sbaglia un disco.

La novità più grossa è l’entrata in formazione della dotatissima cantante Ivy che porta la band ad un livello superiore. Il disco è un viaggio esoterico oltre il nostro pianeta ospitante, verso il pianeta rosso, e ovviamente ciò vale anche per ciò che sta dentro di noi. Il concept è diviso in tre diversi movimenti, e tutti assieme concorrono a descrivere un viaggio cosmico verso e dentro Marte. Quest’ultimo pianeta è una delle mete più anelate dalla razza umana, una delle ultime Thule, un confine anche angusto per le dimensioni dell’universo, ma un passo enorme e forse impossibile per noi umani. Il gruppo milanese ha sempre fuso nel suo stile musicale diversi generi con grande sapienza e gusto, ma qui si supera. Opting For The Quasi-Steady State Cosmology è un disco di gothic prog doom, uno spartito terrestre per musica celestiale, e l’andamento è praticamente cinematografico, come se la musica descrivesse i fotogrammi di un film inquietante ed inquieto, dove tutto si muove, e il moderno si sfasa per copulare con l’estremamente antico, in una fusione che genera diversi multiversi, descritti mirabilmente dai Labyrinthus Noctis. Il gruppo milanese fa un disco che commuove e che, come accadeva in alcuni concept prog degli anni settanta, porta l’ascoltatore lontanissimo, ponendo la maggiore distanza possibile fra lui e la Terra, luogo di eterno dolore. Un gran bel disco che assicura tanti ascolti e molti sospiri di cuore. Il disco si conclude con la cover di Padre Davvero di Mia Martini, una canzone che parla davvero al cuore, che si lega a Marte e che qui è interpretata magistralmente.

Tracklist
Chapter One: DISCUSSION AND CONTROVERSIES IN THE LIGHT OF FURTHER X-RAY
OBSERVATIONS
1. Reaching The Last Scattering Surface
2. Cygnus X-1 (con Chiara Tricarico alla voce)
3. Melancholia
4. Negentropy
Chapter Two: DARK ENERGY EQUATION-OF-STATE (EOS) AND ITS APPLICATIONS
5. Lament Of Melusine
6. Linear A
7. Kosmonaut Vladimir Komarov
8. Amborella Trichopoda
Chapter Three : FROM HYPERSPACE TO MULTI MESSENGER ASTRONOMY
9. Noctis Labyrinthus
10. Hydrocarbon Lakes
11. Kiss The Scorpion, or The Ballad Of Lilith And Mars
12. Wings Of Honneamise
13. Padre Davvero

Line-up
Moreno: Guitars
Ark: Keyboards, Theremin, Effects
Aeb: Drums
Sin: Bass, Backing Vocals
Ivy: Lead Vocals

LABYRINTHUS NOCTIS – Facebook

Kickstarter Ritual – Ready To Take A Ride

Scendiamo dalla motocicletta giusto il tempo per rifornirci di carburante e birra, per poi ripartire verso la ribelle libertà che i Kickstarter Ritual evocano ad ogni passaggio di questo ottimo lavoro, imperdibile se vi considerate dei veri rocker.

Alla scena hard rock tricolore si aggiungono i piacentini Kickstarter Ritual, terzetto al debutto con Ready To Take A Ride, uscito in digitale lo scorso anno ed ora anche in formato fisico per Atomc Stuff.

Il gruppo nasce quattro anni fa e all’attivo ha l’ep Black Mama, licenziato nel 2014: nel frattempo qualche cambio in corsa nella line up porta la band ad oggi, con un buon album come Ready To Take A Ride ed una formazione che vede Gaby al basso (Houston!, Neverland, Lilygun, Scorpion Tailor), Juliusz alla chitarra (Hollywood Pornostar) e Fortu alla batteria e voce (Nasty Love, Houston!, Evil Eye Lodge).
Easy Rider: all’ascolto dell’album le immagini del famoso film di Dennis Hopper ci passano davanti come se i brani di Ready To Take A Ride fossero la sua naturale colonna sonora, infatti il sound dei Kickstarter Ritual risulta un urgente e scarno hard rock, colmo di blues, punk e psichedelia, rock desertico che oggi si chiama stoner ma che negli anni sessanta e settanta era semplicemente rock, di quello che gli Steppenwolf ci costruirono un’intera carriera con Born To Be Wild.
E allora allacciatevi il casco, dopo aver indossato il giubbotto di pelle, lisciatevi i basettoni e partite on the road con Cooperate e i brani che compongono questo album fuori dal tempo e a suo modo originale nel non cavalcare l’onda del rock vintage di moda in questo periodo, ma andando indietro di qualche anno ancora.
Poi sono passati cinquant’anni e allora ecco che tra le note di psichedelico rock’n’roll di Too Old, The Man On The Hawling Machine e The Cities Are Burning (With Rock’n’Roll), spuntano inevitabilmente tracce di Monster Magnet, The Hellacopters e Gluecifer.
Scendiamo dalla motocicletta giusto il tempo per rifornirci di carburante e birra, per poi ripartire verso la ribelle libertà che i Kickstarter Ritual evocano ad ogni passaggio di questo ottimo lavoro, imperdibile se vi considerate dei veri rocker.

Tracklist
1.Cooperate
2.Messin Around
3.Too Old
4.Dirty Old Town
5.Nanananana
6.The Man On The Hawlin’ Machine
7.Get It On
8.Hazy Days
9.The Cities Are Burning (Whit Rock’ N ’Roll)
10.Kiss My Gun
11.Ready To Take A Ride

Line-up
Gaby – Bass, B.vocals
Juliusz – Gutars, B.vocals
Fortu – Vocals, Drums

KICKSTARTER RITUAL – Facebook

Serpico – Rock Tattoo

Rock Tattoo non è un brutto lavoro, l’attitudine da parte del gruppo c’è, manca però l’impatto che rimane confinato in brani che sanno di Thin Lizzy, come di Motley Crue, in un sodalizio che non esprime tutte le sue potenzialità tra classic e street rock.

I Serpico sono una hard rock band finlandese attiva da una dozzina d’anni e con un paio di lavori alle spalle (l’ep Bad Commercial uscito nel 2011 e l’album di debutto Shallow Mistress licenziato tre anni dopo).

Dopo l’uscita di un paio di singoli e nulla più, il 2018 è l’anno del ritorno al full length con Rock Tattoo, album che unisce hard rock settantiano e rock’n’roll tra Scandinavia e Los Angeles.
Il quintetto finnico nulla aggiunge e nulla toglie al genere: la band ci prova, a volte ci riesce, altre meno, ma i brani non esplodono come dovrebbero trascinandosi per oltre cinquanta minuti senza che si accenda la miccia sopra al candelotto di dinamite.
Rock Tattoo non è un brutto lavoro, l’attitudine da parte del gruppo c’è, manca però l’impatto che rimane confinato in brani che sanno di Thin Lizzy, come di Motley Crue, in un sodalizio che non esprime tutte le sue potenzialità tra classic e street rock.
Eppure qualche chorus azzeccato non manca (No Confusion, Ain’t Better To Live), ma il sound dai rimandi punk rock risulta scarno e poco curato negli arrangiamenti.
I riff che imprimono qualche accelerata rimangono confinati a qualche brano, mentre il piede comincia a battere al ritmo dell’adrenalinica Lightning Thunder Baby, troppo poco per andare oltre una sufficienza conquistata al fotofinish.
Peccato, perché la passione per il genere è tanta nei Serpico, ma deve essere ancora veicolata nel migliore dei modi; noi aspettiamo fiduciosi.

Tracklist
1. Rock Tattoo
2. Shout
3. Irish Roots
4. A.O.F.
5. No Confusion
6. This is What I Am
7. Half Step
8. July
9. Ain’t Better To Leave
10. Lightning Thunder Baby
11. Ex-Serpico
12. Let It Burn

Line-up
Kalle Vee Dour – Lead vocals
Snake – Lead guitar
Eddy – Guitar
Andy Motörfager – Bass
Jani Serpico – Drums

SERPICO – Facebook

Paola Pellegrini Lex Rock – Lady To Rock

Paola Pellegrini ci regala mezz’ora abbondante di sano rock’n’roll, dieci schiaffi in pieno volto energici e con quell’urgenza punk che ne ha sempre contraddistinto il sound, confermando le sue capacità nel saper trovare la giusta formula per convincere con quei semplici quattro accordi che hanno fatto storia.

Torna la Suzi Quatro o, se preferite, la Joan Jett del rock tricolore, con un nuovo lavoro licenziato questa volta dalla Red Cat ed intitolato Lady To Rock.

Paola Pellegrini, cantante, chitarrista, avvocato e scrittrice, con il monicker Paola Pellegrini Lex Rock torna sul luogo del delitto, imbraccia la sua chitarra e con l’aiuto di Franco Licausi al basso e Simone Morettin alla batteria smuove montagne con il suo terremotante rock’n’roll.
La musicista toscana ci regala mezz’ora abbondante di sano rock’n’roll, dieci schiaffi in pieno volto energici e con quell’urgenza punk che ne ha sempre contraddistinto il sound, confermando le sue capacità nel saper trovare la giusta formula per convincere con quei semplici quattro accordi che hanno fatto storia.
Divertente, ma allo stesso tempo maturo, Lady To Rock non fa prigionieri, ci rivolta come calzini, travolti dall’energia sprigionata da brani d’impatto immediato e dai refrain facilmente memorizzabili, come l’opener No Half Way e Lovely Man, coppia di canzoni che apre l’album all’insegna dell’energia.
Avuta Mai è l’unica traccia cantata in italiano, segnata da un mid tempo e da un’atmosfera ombrosa, mentre il seguito di Lady To Rock alterna song dirette e dal piglio punk rock ai ritmi cadenzati di Cut The Chains e Wild Shot.
Paola è una tigre, morde, graffia, gioca con noi, prede da confondere prima di azzannarle con il suo rock d’assalto che tanto sa delle eroine accennate ad inizio articolo, ma che vive di una personalità spiccata e di una sound travolgente.
Con il suo ottimo ritorno, Paola Pellegrini si conferma come una delle più credibili interpreti del rock’n’roll made in Italy: assolutamente da non perdere se capita dalle vostre parti in versione live, perché se tanto mi da tanto c’è da divertirsi.

Tracklist
1.No Half Way
2.Lovely Man
3.Avuta Mai
4.Cut The Chains
5.Endless Begin
6.Wild Shot
7.Making Love Forever
8.What I Like
9.You Better Believe
10.All My Love Has Gone

Line-up
Paola Pellegrini – Voice, Guitars
Franco Licausi – Bass
Simone Morettin – Drums

PAOLA PELLEGRINI LEX ROCK – Facebook

Sammal – Suuliekki

Psichedelia condita con funghi allucinogeni, rock anni settanta con venature prog per un risultato di altissimo livello.

Psichedelia condita con funghi allucinogeni, rock anni settanta con venature prog per un risultato di altissimo livello.

Con una musica così poco importa il fatto che cantino in finlandese, perché va benissimo ugualmente . I Sammal pubblicano su Svart Records il loro terzo disco, ed è stata una gestazione lunga, ma da come si può ascoltare ne è assolutamente valsa la pena. La musica di questi finnici è molto ricca e cresce spontaneamente come in una lunga jam, dove i limiti ed i generi vengono abbattuti, e tutto nasce, muore e si ricrea continuamente. Suuliekki è un groove contunuo, un respiro musicale ininterrotto fatto da musicisti di grande talento per una psych prog di grande effetto, dove nulla è lasciato a casa, studiando a fondo la composizione di ogni canzone, smussando e perfezionando in maniera continua. I Sammal ricevono una grande influenza dagli anni settanta, ma oltre ad essere originali riescono anche ad innovare questo suono, soprattutto nel mischiare vari strumenti e diverse situazioni. Ci sono assoli alla Pink Floyd, momenti di psych latinoamericana come nel primo Santana, intarsi totalmente rock anni settanta e su tutto ciò c’è la firma stilistica di un gruppo come i Sammal che raramente sbaglia una canzone. Il disco è davvero godibile e di effetto, e va ascoltato dall’inizio alla fine, ma si può anche scegliere una traccia e soffermarsi su di essa a lungo, dato che sono tutte molto ricche. Suuliekki ha diverse anime, che possono vivere di luce propria ma anche compenetrarsi molto bene, per un risultato finale davvero buono.

Tracklist
1.Intro
2.Suuliekki
3.Lukitut päivät, kiitävät yöt
4.Ylistys ja kumarrus
5.Pinnalle kaltevalle
6.Vitutuksen valtameri
7.Maailman surullisin suomalainen
8.Herran pelko
9.Samettimetsä

Line-up
Jura
Janu
Tuomas
Lasse
Juhani

SAMMAL – Facebook

Hogs – Fingerprints

Fingerprints rappresenta tre quarti d’ora di puro divertimento, suonato a meraviglia e con la sorpresa dietro al microfono del giovane cantante Simone Cei, un mostro di bravura ed emozioni al servizio del rock di questo supergruppo nostrano.

Difficile rimanere indifferenti al ritmo imposto da questa raccolta di brani creati dagli Hogs, band che tra le sue fila accoglie musicisti di un certo spessore come Francesco Bottai (turnista per Irene Grandi, Articolo 31), Pino Gulli (Dharma, Anhima e C.S.I) e Luca Cantasano, dal 2010 nei Diaframma, a cui si aggiunge il cantante Simone Cei.

Fingerprints è il loro secondo album licenziato da Red Cat, come il primo Hogs In Fishnets (uscito nel 2015), ed è caratterizzato da un sound che si muove tra gli anni settanta e novanta, caldo come il funky ed il blues, generi che vivono tra le note di brani irresistibili così come il miglior rock’n’roll.
Fingerprints rappresenta tre quarti d’ora di puro divertimento, suonato a meraviglia e con la sorpresa dietro al microfono del giovane cantante Simone Cei, un mostro di bravura ed emozioni al servizio del rock di questo supergruppo nostrano.
L’anima funky del sound è l’asso nella manica degli Hogs che, senza tregua, ci regalano undici splendide tracce tra Led Zeppelin, Glenn Hughes e Primus, con l’opener Man Size che dà fuoco alle polveri che esplodono in fuochi d’artificio hard rock.
La band il suo mestiere lo sa fare alla grande, ci costringe a muovere il corpo, a battere piedi, a cantare ritornelli che entrano in testa al primo passaggio, a seguire le linee di un basso che comanda le operazioni e ordina alla sei corde di esaltarci con riff di scuola settantiana, mentre le pelli tremano sotto il ritmo funky/rock di Stinking Like A Dog o il reggae della splendida Down To The River.
Another Down ricorda il miglior Lenny Kravitz, l’album scivola via tra il rock duro di Can’t Find My Home e le ballate blues Jewish Vagabond, Just For One Day, finale emozionante di questo gioiellino fuori dal tempo.
Grandi musicisti, bellissime canzoni ed atmosfere che ricordano il più puro spirito rock’n’roll: Fingerprints diverte, incanta e sorprende.

Tracklist
1.Man Size
2.Stinking Like A Dog
3.Mr.Hide
4.Australia Summerland
5.Down To The River
6.Another Down
7.Man Of The Scores
8.Can’t Find My Home
9.Jewish Vagabond
10.Don’t Stop Moving
11.Just For One Day

Line-up
Simone Cei – Vocals
Francesco Bottai – Guitars
Luca cantasano – Bass
Pino Gulli – Drums

HOGS – Facebook

Nox Interna – A Minor Road

A Minor Road dice ancora poco sui Nox Interna odierni, se non il fatto d’esser in presenza di un musicista dal buon potenziale che deve trovare ancora la sua forma d’espressione ideale e più completa.

Nox Interna è il nome del progetto gothic rock del musicista spagnolo Richy Nox, di stanza però da diversi anni a Berlino.

Il sound offerto in questo ep contenente tre brani e del tutto in linea con le aspettative del genere, con un’offerta che si colloca nella scia di band ben note sul suolo tedesco come Mono Inc., quindi dal buon impatto melodico ed una spruzzata di ruvidezza inferta da qualche riff più deciso, anche se a livello di influenze vengono citati tra gli altri i Sisters Of Mercy dei quali, francamente, non è che se ne rivengano soverchie tracce oggi, a differenza dei lavori precedenti nei quali il sound appariva molto più cupo e screziato di pulsioni industriali.
La title track è senz’altro gradevole ma non esalta, molto meglio allora Doom Generation, più accattivante e varia e dalle maggiori chances di fare breccia negli ascoltatori.
Il terzo brano è la stracoverizzata Entre Dos Tierras degli Heroes del Silencio, brano che si ascolta sempre volentieri e che Richy Nox ripropone in versione più ritmata, senza ovviamente sfigurare nella parte cantata potendolo interpretare in lingua madre.
A Minor Road dice ancora poco sui Nox Interna odierni, se non il fatto d’esser in presenza di un musicista dal buon potenziale che deve trovare ancora la sua forma d’espressione ideale e più completa.

Tracklist:
1. A Minor Road
2. Doomed Generation
3. Entre Dos Tierras

Line-up:
Richy Nox

NOX INTERNA – Facebook

Kino – Radio Voltaire

Radio Voltaire è un lavoro dedicato non solo ai fans dei gruppi da cui i musicisti provengono, ma ad uso e consumo anche di tutti quelli che amano la musica rock infarcita di grandi melodie.

Tredici anni dopo il loro debutto Picture tornano i Kino, super gruppo che vede impegnati John Mitchell (Arena, It Bites, Lonely Robot), Pete Trewavas (Marillion), Craig Blundell (Steven Wilson) e John Beck (It Bites), pubblicano questo sognante esempio di rock progressivo dal titolo Radio Voltaire.

Un album, questo, che conferma il talento dei musicisti, soprattutto per quanto riguarda il songwriting di altissima qualità supportato dalla tecnica sopraffina, ma che lascia spazio a canzoni che risultano una più bella dell’altra.
Rock e pop vengono rivisitati in chiave progressiva e moderna, per una raccolta di emozionanti brani che, nel corso dei cinquantacinque minuti di durata, non scendono mai da un livello qualitativo eccellente, regalando note ariose, magnificamente melodiche e progressive, come se i Genesis orfani di Peter Gabriel e Steve Hackett, incontrati gli Yes e i Marillion, cominciassero a suonare diretti da Gary Hughes dei Ten (I Don’t Know Why).
Radio Voltaire sorprende ad ogni passaggio, alternando brani dal piglio radiofonico a delicate ballad dal sapore folk, in un saliscendi emozionale che vede l’ascoltatore circondato da un sound pieno e a tratti melodicamente pomposo, o cullato da note acustiche di rara bellezza.
Non c’è un brano che sia uguale all’altro nella track list di questo lavoro, arrivato dopo una lunga attesa dei fans, i quali vengono ripagati dalle trame progressive di Out Of Time, dai ritmi rock wave di Grey Shapes On Concrete Fields e dalla ballad dal sapore aor Keep The Faith.
In poche parole, Radio Voltaire è un lavoro dedicato non solo ai fans dei gruppi da cui i musicisti provengono, ma ad uso e consumo anche di tutti quelli che amano la musica rock infarcita di grandi melodie.

Tracklist
1. Radio Voltaire
2. The Dead Club
3. Idlewild
4. I Don’t Know Why
5. I Won’t Break So Easily Any More
6. Temple Tudor
7. Out Of Time
8. Warmth Of The Sun
9. Grey Shapes On Concrete Fields
10. Keep The Faith
11. The Silent Fighter Pilot
Bonus tracks
12. Temple Tudor (Piano Mix)
13. The Dead Club (Berlin Headquarter Mix)
14. Keep The Faith (Orchestral Mix)
15. The Kino Funfair

Line-up
John Mitchell – Vocals, Guitars
Pete Trewavas – Bass, Synths
Craig Blundell – Drums
Special guest:
John Beck – keyboards

KINO – Facebook